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1807 | https://it.wikipedia.org/wiki/Escudo%20portoghese | Escudo portoghese | L'escudo, suddiviso in 100 centavos (singolare centavo), è stata la valuta utilizzata in Portogallo prima dell'introduzione dell'euro. Il nome deriva dalla parola portoghese per "scudo".
Per importi superiori a 1000 escudos, era pratica comune fare riferimento ad un suo multiplo, il conto (al plurale contos); valeva infatti l'eguaglianza per cui un conto corrispondeva a 1000 escudos ovvero circa 5 euro.
Storia
Il 1º gennaio 1999 entrò in vigore l'euro, il cui tasso di cambio irrevocabile con l'escudo era stato fissato a 200,482 escudi per 1 euro. Da quel momento l'escudo rimase in vigore solo come espressione non decimale dell'euro, anche se monete e banconote continuavano ad essere denominate in escudi. Per tutte le forme di pagamento non fisiche (trasferimenti elettronici, titoli, ecc.), invece, da quella data si adottò solo l'euro. Il 1º gennaio 2002, con l'entrata in circolazione delle monete e banconote in euro, si aprì una fase di doppia circolazione, durata fino al 28 febbraio 2002. Le monete potevano essere cambiate fino al 31 dicembre 2002, mentre le banconote fino al 28 febbraio 2022.
Note
Voci correlate
Escudo
Altri progetti
Valute sostituite dall'euro
Monetazione portoghese |
1812 | https://it.wikipedia.org/wiki/Paul%20Gauguin | Paul Gauguin | Non apprezzato fino a dopo la sua morte, Gauguin è riconosciuto per il suo uso sperimentale del colore e dello stile sintetista che si distinse dall'impressionismo. Verso la fine della sua vita, trascorse dieci anni nella Polinesia francese, dove dipinse persone o paesaggi di quella regione.
Il suo lavoro influenzò l'avanguardia francese e molti artisti moderni, tra cui Pablo Picasso e Henri Matisse, mentre è ben noto il suo rapporto con Vincent e Theodorus van Gogh. La sua arte divenne popolare in parte grazie alle iniziative del mercante d'arte Ambroise Vollard che organizzò mostre verso la fine della sua carriera e collaborò all'organizzazione di due importanti esposizioni postume a Parigi.
Gauguin fu anche una figura importante nel movimento simbolista come pittore, scultore, incisore, ceramista e scrittore. La sua espressione del significato intrinseco dei soggetti nei suoi dipinti, sotto l'influenza dello stile cloisonnista, ha aperto la strada al primitivismo e al ritorno alla pastorale. Fu anche un influente sostenitore dell'incisione e della xilografia come forme d'arte.
Biografia
Infanzia
Lo stesso Gauguin parla della propria bellezza nei suoi scritti autobiografici e non esita a definirla «esotica»: in effetti appare sorprendente come i primi anni di vita di Paul (pittore universalmente noto per aver trovato sé stesso con uno stile di vita ribelle e ramingo che lo ha poi portato nelle assolate isole della Polinesia) si siano consumati nel segno di una fuga verso civiltà lontane, lontane dalla Francia natia, in un susseguirsi di vicende esistenziali che poi, sostanzialmente, si ripeteranno spesso nella biografia del futuro artista.
Eugène-Henri-Paul Gauguin nacque il 7 giugno 1848 a Parigi, al n. 56 di rue Notre-Dame-de-Lorette, celebre strada di Montmartre. La madre, Aline Marie Chazal (1831-1867), discendeva da una famiglia spagnola con diramazioni in Perù, Stato presso il quale godeva di notevole prestigio politico e benessere finanziario: la madre della Chazal era infatti Flora Tristan, una scrittrice molto nota dall'animo ribelle e avventuroso, impegnata politicamente (supportava con calda simpatia la causa del socialismo sansimoniano) e socialmente (era infatti una femminista ante litteram e una sostenitrice dell'amore libero). Il padre, Clovis Gauguin, era un giornalista al servizio della rivista Le National animato da un solido credo repubblicano, che gli costò tuttavia notevoli attriti con il governo di Napoleone III.
Nel 1849, la stanchezza del parlamentarismo e della Repubblica, attraversata com'era da fortissimi conflitti intestini, era palese a tutti i francesi, e altrettanto trasparenti erano le ambizioni di Napoleone III di far rivivere lo spirito bonapartista dello zio defunto e di restaurare l'Impero con un colpo di Stato. Clovis Gauguin, spaventato da un clima politico così teso, nello stesso anno decise di approfittare delle origini peruviane della famiglia della moglie e di trasferirsi a Lima, in Sud America, insieme a Paul e alla primogenita Marie. Papà Clovis morì il 30 ottobre 1849 durante il viaggio in piroscafo: ciò, tuttavia, non compromise l'infanzia del giovane Gauguin, che trascorse idilliaca in un borgo pittoresco, quale era Lima, che poi egli stesso rievocherà nei suoi scritti colorandolo con la nostalgia di un emigrato:
Mamma Aline, tuttavia, a Lima era tormentata da pressanti problemi familiari e da un clima politico decisamente surriscaldato. Per questo motivo, dopo aver goduto per quasi quattro anni della generosa ospitalità dei genitori, la Chazal nel 1855 lasciò Lima e, rinunciando esplicitamente alla cospicua eredità accumulata dal padre, don Pio, tornò in Francia, a Orléans. Ridotta all'isolamento e in preda a stringenti difficoltà economiche la Chazal si rivolse alla famiglia del marito defunto, alloggiando fino al 1859 presso la dimora del cognato Isidore Gauguin. Furono questi anni assai difficili per il piccolo Paul, costretto a seguire lezioni di francese (il suo accento spagnolo, è noto, suscitava molte ilarità tra i compagni di classe) e a convivere con uno zio - Isidoro - che non apprezzava e con una sorella - Marie - dispotica e intransigente. Solo la madre, Aline, riusciva a rallegrare le sue giornate: in un tessuto familiare frantumato come il suo, la figura materna fu una presenza fondamentale e insostituibile, o - per usare le parole dello stesso Paul - «leggiadra e graziosa» dallo «sguardo così dolce, così fermo, così puro e carezzevole».
Nessuna prospettiva professionale sembrava interessare il giovane Paul, che in effetti compì un percorso scolastico abbastanza deludente. Dopo quattro anni trascorsi dietro i banchi del Petit Séminaire de la Chapelle-Saint Mesmin di Orléans, diretta da un vescovo abbastanza conosciuto e particolarmente incline agli sperimentalismi didattici, nel 1861 Paul Gauguin si trasferì a Parigi, dove la madre era andata a lavorare come sarta, intrecciandovi persino una relazione amorosa con Gustave Arosa, uomo d'affari impegnato con il padre nel commercio del guano in Perù.
Gauguin voleva fuggire, evadere da quella situazione che sentiva come un intollerabile avvilimento, e perciò - dopo aver fallito l'esame di ammissione all'Accademia Navale di Parigi per i suoi scarsi profitti scolastici - decise, senza indugio alcuno, di arruolarsi come allievo pilota sul mercantile Luzitano. Sotto l'egida della Marina Francese Gauguin girò il mondo, ritornò in Perù, scoprì Rio de Janeiro e nel 1867 visitò persino l'India: la sosta asiatica, tuttavia, si rivelò particolarmente luttuosa per il giovane Paul, che scoprì dell'improvvisa morte della madre, morta il 7 luglio di quell'anno. Quando Gauguin tornò in Francia, poi, non fu accolto dal caloroso abbraccio della madre, ormai defunta, bensì dalle sanguinose barbarie della guerra franco-prussiana, scoppiata un anno prima. Anche Gauguin combatté valorosamente per la sua patria: non aveva che ventitré anni.
«Un indiscutibile temperamento di pittore moderno ...»
Fu proprio in questo triste periodo, tuttavia, che Gauguin iniziò ad avvicinarsi alle Belle Arti. Importante, in tal senso, fu l'amicizia con Gustave Arosa, l'ex compagno della madre, ormai divenuto in seguito alle disposizioni testamentarie di quest'ultima il suo tutore. Arosa, oltre a essere un gros bonnet della finanza francese, si interessava con grande acutezza alla pittura contemporanea, a tal punto da essere un avido collezionista di opere di Eugène Delacroix, Jean-Baptiste Camille Corot, Gustave Courbet e Camille Pissarro. Fu proprio grazie all'intercessione di Arosa che Gauguin trovò impiego come démarcheur [commesso] presso l'agenzia di cambio dei Bertin. Il suo compito era quello di curare il rapporto con la clientela e di accrescere il patrimonio finanziario dell'azienda con opportuni investimenti: Gauguin, d'altronde, svolgeva il suo lavoro con lodevole arguzia e intuito, tanto che gli veniva persino concesso di speculare in proprio.
Dopo una gioventù tumultuosa, Gauguin riuscì ad adattarsi a uno stile di vita rispettabilmente borghese, suggellato nel 1873 con le nozze con la danese Mette Gad, che gli diede ben cinque figli, Émile (1874), Aline (1877-1897), Clovis (1879-1900), Jean-René (1881) e Paul, chiamato anche Pola (1883-1961). Una passione, tuttavia, stava serpeggiando nelle crepe della sua modesta ma decorosa vita impiegatizia: era quella per le Belle Arti. Seguendo l'esempio del suo tutore Gauguin iniziò infatti a investire il suo denaro acquistando dipinti contemporanei. Il suo gruppo preferito era quello degli Impressionisti, all'epoca ancora embrionale e particolarmente criticato: Gauguin, tuttavia, non se ne curava, tanto che fu un ingordo collezionista di opere di Cézanne, Pissarro, Sisley, Monet e altri. Paul si era ormai reso conto di come l'arte era l'unico passatempo che gli risultasse gratificante e che fosse in grado di sedare i suoi tumulti interiori, e per questo arrivò persino a imparare autonomamente come dipingere, dapprima sotto la paziente guida della figlia di Arosa, pittrice dilettante e poi frequentando l'Accademia Colarossi, dove allacciò un'affettuosa amicizia con Émile Schuffenecker, anch'egli appartenente al ceto impiegatizio parigino.
In questo periodo Gauguin realizzò opere di modesta levatura, distanti dagli accademismi dei Salon ma ancora condizionate dalla maniera di Corot e dei pittori di Barbizon: opere distintive e garbate di questo primo Gauguin sono La Senna con il ponte di Jena e il Sottobosco a Viroflay. L'artista che, più di tutti, riuscì a fornire un decisivo impulso agli interessi artistici di Gauguin fu Camille Pissarro: era costui uno dei maggiori animatori della stagione impressionista, insofferente a ogni forma di accademismo e indifferente al consenso della critica e del pubblico. Gauguin si avvantaggiò molto delle lezioni e dei consigli di Pissarro, maestro sia sotto il profilo artistico che sotto quello umano, dal quale derivò quell'anarchismo libertario che lo avrebbe persuaso a non sottomettersi servilmente alle piacevolezze dei Salon e soprattutto una pittura più artigianale, intellettuale, dove la natura non andava riprodotta fotograficamente bensì andava ricreata con accenti quasi simbolisti.
Con la complicità del buon Pissarro, Gauguin strinse amicizia con altri due artisti le cui presenze furono molto attive nella sua maturazione pittorica: Cézanne e Degas. Del primo, che conobbe in occasione dei soggiorni estivi a Pontoise, Gauguin apprezzava la capacità di elaborare il dato naturalistico in maniera più intellettuale e meno lirica rispetto agli Impressionisti canonici, quali potevano essere Monet o il primo Renoir. A Parigi, poi, Gauguin vide al lavoro anche Degas, importantissimo punto di riferimento con il quale si creò una solida complicità cementata sulla stima che il nostro nutriva per le audaci peculiarità stilistiche del maestro più anziano e, soprattutto, su un comune anarchismo a sfondo aristocratico e individualista, insofferente ai freni e alle divise. Certo, come troviamo scritto in Avant et après Gauguin rimproverava le opere di Degas perché prive di un «cuore che palpita», eppure tra i due si stabilì un rapporto intessuto di una feconda stima da parte del primo e da una benevolenza quasi paterna da parte del secondo.
Fu grazie al supporto di Pissarro e Degas, le cui lezioni andavano ben al di là dei puri nozionismi pittorici, che Gauguin accettò a partire dal 1879 di partecipare alle mostre impressioniste. Le perplessità di Renoir e Monet, per i quali Gauguin non era che un principiante, non bastarono a sedare il suo entusiasmo e, gradualmente, l'artista iniziò a guadagnarsi le attenzioni della critica: la Suzanne che cuce esposta nel 1880 si attirò per il suo sapore courbettiano la stima di Joris-Karl Huysmans, letterato all'epoca ancora deferente ai modi del naturalismo zoliano che individuò nello stile oggettivo di Gauguin «un indiscutibile temperamento di pittore moderno».
Il lusinghiero commento di Huysmans aumentò l'autosufficienza artistica e la stima di Gauguin, finalmente convinto di avere le abilità e la motivazione per consacrare la propria vita all'arte: neanche la moglie, preoccupata di come un ingenuo passatempo avesse acquistato preminenza nelle priorità del marito, bastò a dissuaderlo dai suoi intenti.
Il crollo finanziario dell'Union Générale e la puntuale crisi che ne seguì costrinse l'azienda di cambio presso la quale lavorava Gauguin a ridimensionare il volume dei propri dipendenti: fu in questo modo che, nell'ottobre del 1883, l'artista fu licenziato. Se prima era un uomo borghese e discretamente agiato, dopo il crac dell'Union Générale Gauguin fu tormentato da profondi disagi economici, i quali lo spronarono a dedicarsi completamente alla pittura con il tentativo di guadagnarsi da vivere vendendo i propri dipinti. Se le speranze di Gauguin furono tutto sommato ingenue, fu solo grazie a quest'inaspettata situazione di indigenza che Gauguin votò la propria vita alle Belle Arti. Non disponendo di risorse Gauguin si trasferì quindi con la famiglia a Rouen, feudo dell'amico Pissarro, dove tentò di vendere qualche suo dipinto.
Nulla andò per il verso giusto: gli affari non decollarono e il pubblico era ancora impreparato per apprezzare la carica rivoluzionaria delle sue opere d'arte. Non riuscendo a vendere neanche un suo dipinto, nonostante a Rouen la vita costasse meno rispetto a Parigi, Gauguin prosciugò istantaneamente i suoi risparmi e, per guadagnarsi da vivere, fu costretto a liquidare la sua assicurazione sulla vita e a vendere molti pezzi della sua collezione di quadri impressionisti. A queste incertezze economiche si aggiunsero complicazioni familiari: Mette, avvilita dall'indecoroso regime di vita nel quale era precipitato Gauguin, decise di tornare dalla famiglia a Copenaghen, trovandovi lavoro in qualità di traduttrice e insegnante. Gauguin, sperando in questo modo di acquisire maggiore notorietà, seguì la moglie a Copenaghen, ma anche qui le sue speranze furono deluse: pur avendo più tempo libero per dipingere, infatti, il pittore era ossessionato dall'esigenza di vendere e di racimolare denaro, e ciò certamente gettò un'ombra funesta sulle opere di questo periodo che, non a caso, non piacquero, tanto che una sua mostra monografica fu accolta dal silenzio della critica e del pubblico e durò infatti soli cinque giorni.
La svolta di Pont-Aven
Il primo soggiorno bretone
Quando naufragò persino il tentativo di darsi al commercio di tele impermeabili Gauguin, ormai completamente emarginato da Mette, era talmente amareggiato da decidere, nel giugno del 1885, di lasciare la Danimarca insieme al figlio Clovis («Odio profondamente la Danimarca, i suoi abitanti, il suo clima» borbottò sprezzante a un amico). Le difficoltà economiche lo spinsero in un primo tempo a stabilirsi per tre mesi in Inghilterra, poi ad accettare a Parigi un lavoro di attacchino di manifesti, il quale gli fruttava solo cinque franchi giornalieri: a causa dell'impossibilità di pagarsi la pensione egli cambiò spesso alloggio e fu anche ospite nella casa di Schuffenecker. Con tutto ciò Gauguin non trascurò affatto la pittura e nel maggio del 1886 partecipò all'ottava e ultima mostra degli impressionisti, esponendo diciotto dipinti vicini allo stile di Pissarro.
In quest'esposizione l'attenzione della critica e del pubblico era tutta magnetizzata da Una domenica pomeriggio sull'isola della Grande-Jatte, capolavoro di Seurat che intendeva superare i valori già promossi dall'Impressionismo per proporne di nuovi. Lo stesso Gauguin, pur ripudiando la pittura di Seurat e dei colleghi (che soprannominava ironicamente «piccoli chimici»), in quell'anno - che denuncia, come già accennato, il tramonto dell'Impressionismo - iniziò a ricercare nelle proprie opere d'arte risonanze interiori, musicali, in grado di arpeggiare «un'armonia sorda» con la coadiuvazione dei colori. La mostra del 1886 fu poi molto importante perché vide Gauguin stringere amicizia con l'abile incisore Félix Bracquemond e con Ernest Chaplet, ceramista grazie al quale il pittore imparò a sfruttare le potenzialità del gres smaltato e a produrre ceramiche con le tecniche orientali a fuoco vivo.
Stimolato dal vivace dibattito che verteva intorno alle qualità dei lavori artigianali, supportati specialmente da William Morris, Gauguin acquistò notevole dimestichezza con le ceramiche e ne realizzò ben cinquanta esemplari, mostrando tra l'altro di aver conciliato il ricordo delle manifatture precolombiane recepite in Perù durante l'infanzia con l'esempio della Piccola danzatrice di quattordici anni di Degas. «Diciamo che ero nato per fare l'artigiano e non ho potuto farlo. Vetri dipinti, mobili, ceramiche: a questo sono portato, molto più che alla pittura in sé»: furono queste le parole che nel 1892 Gauguin rivolse a Daniel de Monfreid.
Un'ambizione, tuttavia, serpeggiava da mesi nell'animo di Gauguin, desideroso di abbandonare il caos febbrile della metropoli e di trasferirsi a Pont-Aven, in Bretagna. Alla decisione di recarsi in un luogo sostanzialmente ancora rude e selvaticamente primitivo sono ascrivibili tre fattori: le suggestioni esercitate dalla lettura di opere come Un voyage en Bretagne di Flaubert e du Camp, il minor costo della vita e, soprattutto, le ambizioni di Gauguin di scandagliare, seppur in maniera ancora nebbiosa, nuovi modi di dipingere in un paese che era riuscito a proteggere le sue peculiarità storiche e geografiche dal giogo della modernità.
Fu così che, nell'estate del 1886, Gauguin si insediò presso la pensione di Marie-Jeanne Gloanec, la quale praticava infatti prezzi stracciati per gli artisti: in questo piccolo porticciolo del Finistère Gauguin, venerato con rispetto come il «pittore impressionista», si attirò intorno un consistente numero di discepoli, fra i quali Èmile Bernard, allora diciottenne, e Charles Laval, con il quale allacciò un intenso sodalizio pittorico e umano. Tornato a Parigi per un breve periodo, Gauguin ebbe agio di conoscere Théo van Gogh, mercante d'arte che con grande intuito e lungimiranza collezionava i dipinti di quei giovani pittori avanguardisti che, pur essendo disprezzati dal pubblico, ambivano a essere riconosciuti. Gauguin riuscì a cedere a Théo due suoi dipinti, e progettava per di più di vendere qualche ceramica: egli, tuttavia, era incalzato da una difficile situazione economica, del tutto incompatibile con la frenetica esuberanza del mondo artistico parigino che, completamente assorbito nel successo neoimpressionista, gli appare come «un deserto per chi è povero».
Da Panama alla Martinica
Snervato da questa situazione insostenibile Gauguin decise di abbandonare la Francia, paese dove era impossibile farsi notare dalla critica e dal pubblico. La meta: Taboga, un'isoletta nel golfo di Panama dove poteva godere del sostegno economico del cognato che lì aveva fatto fortuna con il suo fiuto commerciale. «Vado a Panama per vivere da selvaggio» comunicò alla moglie, rimasta in Danimarca «conosco a una lega da Panama un'isoletta del Pacifico (Taboga), è quasi disabitata, libera e fertile. Porto colori e pennelli e mi ritemprerò lontano da tutti». Nulla, tuttavia, andò per il verso giusto: giunto a Colón il 30 aprile 1887 dopo venti giorni di viaggio in compagnia del fido compagno Laval, Gauguin dovette fare i conti con un ambiente avverso, sia dal punto di vista sociale che sotto quello climatico (il clima tropicale fu infatti funesto per la salute di entrambi), e soprattutto non riuscì a vendere neanche un dipinto.
A Panama erano in corso i lavori per la costruzione del canale e Gauguin per più di un mese si guadagnò da vivere come sterratore: dopo quest'orribile esperienza, alla fine, i due decisero di trasferirsi a Saint-Pierre, villaggio sulla costa nord-occidentale dell'isola della Martinica, colonia francese ubicata nelle Antille. Gauguin era entusiasta del luogo, nel quale riconosceva quel paradiso terrestre tanto ambito e che ora finalmente poteva trasporre nei propri dipinti, stimolato dall'esuberanza della vegetazione e della popolazione locale:
Le opere realizzate durante il soggiorno a Martinica diventano finalmente prensili alla suadente violenza della luce e alla rigogliosa, variegata e coloratissima vegetazione tropicale, resa con una tavolozza che riassume colori frizzanti, ruggenti, come i viola, i verdi e i porpora. «Le composizioni» spiega la Damigella «acquistano [ Martinica] un ritmo più ampio e le forme risultano come tessute dalle brevi pennellate a tratteggio, con sottili vibrazioni luminose; si dispongono serrate e fitte che si avverta alcuno stacco di densità tra vegetazione, mare, e i rari cieli. Le tele hanno lo splendore e la qualità decorativa di un arazzo». Eppure, quando in seguito ad accessi di malaria e dissenteria Gauguin tornò nel novembre 1887 in Francia, nessuno si interessò alla decoratività splendida e poetica di queste tele, fatta eccezione per Théo van Gogh, che fu l'unico ad acquistarne qualcuna, e al fratello Vincent, pittore all'epoca misconosciuto la cui amicizia ebbe risvolti importanti nella biografia di Gauguin, oltre che nella sua.
Bernard
Se Gauguin sperava di appoggiarsi, sul piano degli affari, allatelier di ceramiche di Chaplet, così non fu, perché quest'ultimo si ritirò dalla sua attività: amareggiato e senza denaro, per fortuna Gauguin poté contare sul generoso aiuto dell'amico Schuffenecker, che accettò di ospitarlo presso la sua dimora. Con l'attenuarsi delle pressioni finanziarie Gauguin nel febbraio 1888 ripartì per Pont-Aven, città che lo allettava non solo per via dell'ampio credito che la pensione Gloanec, dove alloggiò e allestì lo studio, gli accordò: «l'elemento selvaggio e primitivo» era ciò che veramente lo attraeva di quei posti selvaggi, come confidò allo stesso Schuffenecker «Quando i miei zoccoli risuonano su questo suolo di granito, sento il tono sordo, opaco e possente che vorrei ottenere quando dipingo».
In estate Pont-Aven si popolava di pittori e Gauguin venne raggiunto anche da Charles Laval. Una conoscenza ancor più decisiva fu però quella del giovanissimo Émile Bernard, che in agosto si recò da Saint-Briac nel villaggio bretone, portando con sé alcune tele. Egli, insieme con l'amico pittore Anquetin, aveva messo a punto una nuova tecnica, il cloisonnisme, che captava gli stimoli provenienti dalle vetrate gotiche e dagli smalti medievali e si strutturava su campiture cromatiche piatte delimitate da contorni molto marcati. Questa nuova espressione d'arte, dalla forte portata simbolica e costruttiva, fu giudicata «molto interessante» da Gauguin, ammaliato dai modi di «le petit Bernard», «uno che non teme[va] nulla» e che gli forniva gli strumenti per sintetizzare, con uno stile fortemente anticonvenzionale e innovativo, le varie suggestioni recepite durante gli esordi: Degas, Cézanne, le stampe giapponesi. Il più alto frutto di questa felice creatività cloisonniste fu La visione dopo il sermone, un olio su tela oggi custodito alla National Gallery of Scotland di Edimburgo.
Il dramma di Arles
Vincent van Gogh, dopo un'esistenza tumultuosa che lo portò ad essere prima mercante d'arte, poi predicatore nelle miserabili regioni minerarie del Belgio, e infine artista a Nuenen e Parigi, intendeva schiarire la sua pittura e animarla di una luce abbagliante, simile a quella che danzava nelle stampe giapponesi, e per inseguirla nel 1888 decise di lasciare la capitale e di inoltrarsi ad Arles, nel Meridione francese. Il progetto accarezzato da van Gogh ad Arles presentava un respiro corale e attivistico: per scrollarsi di dosso le pastoie dell'arte accademica, secondo il giudizio di van Gogh, si poteva e si doveva contare su un affratellamento di pittori che, dopo essersi riuniti in un apposito atelier (la celebre «Casa Gialla» di place Lamartine), avrebbero potuto lottare insieme per un'arte e un mondo migliore, in un'ottica di cooperazione e solidarietà reciproca.
Gauguin amava intensamente la vita e non era disposto ad assoggettarsi a quello che, su stessa ammissione di van Gogh, più che uno studio artistico sembrava un ordine monastico. Van Gogh, tuttavia, nutriva una fede incrollabile nel suo progetto, che non esitò tra l'altro a comunicare al fratello Théo, al quale era legato da un rapporto affettuosissimo e particolarmente profondo: «Ho l'ambizione di riuscire a fare col mio lavoro una certa impressione a Gauguin e quindi non posso che desiderare di lavorare da solo, prima che lui venga, il più possibile. Il suo arrivo cambierà il mio modo di dipingere e spero che ci guadagnerò» scrisse entusiasta nella lettera 544.
Alla fine Gauguin, che apprezzava le opere di van Gogh ma era perplesso dalla sua eccentricità, accettò di andare a vivere sotto il sole del Sud, grazie al salvifico effetto di Théo, che in quell'estate del 1888 stipulò con lui un contratto che gli garantiva uno stipendio di centocinquanta franchi in cambio di un quadro ogni mese e il pagamento di ogni spesa relativa al soggiorno arlesiano. Gauguin, non abituato a ricevere tanto denaro, non poteva rifiutare e il 29 ottobre 1888 raggiunge Arles: a conti fatti quella operata da Gauguin non era che una prostituzione artistica, siccome era consapevole che avrebbe ingannato consapevolmente Vincent: il progetto della Casa Gialla non era per lui che un mero quanto utopico capriccio che, tuttavia, doveva fingere di supportare, pur di vedere i propri quadri venduti da Théo van Gogh, nella prospettiva di lasciare Arles una volta racimolato sufficiente denaro per raggiungere i Tropici.
La permanenza ad Arles, infatti, fu irta di difficoltà per entrambi. Mentre van Gogh apprezzava il paesaggio mediterraneo e dimostrò grande ammirazione per il suo nuovo compagno, Gauguin rimase profondamente deluso della Provenza - «trovo tutto piccolo, meschino, i paesaggi e le persone», scrisse a Bernard – e non credeva possibile una lunga convivenza con Vincent, dal quale tutto lo divideva: carattere, abitudini, gusti e concezioni artistiche. Ben presto, dunque, l'iniziativa di Vincent prese una piega tutt'altro che piacevole. Gauguin, d'altronde, non fece mistero dei contrasti che lo dividevano da van Gogh, e all'amico Schuffenecker («Schuff») scrisse:
Il sostegno economico fornito da Théo era ormai insufficiente per convincere Gauguin a continuare a convivere con van Gogh, il quale subendo continuamente l'arroganza dell'amico e presagendo il rovinoso crollo del suo sogno di fondare un atelier del sud, era diventato sempre più bizzarro e stravagante. Niente sembrava poter allentare le tensioni esistenti tra i due: Gauguin, ormai disilluso, preferì avvertire Théo delle conflittualità esistenti e gli scrisse:
Fu in questo modo che la Casa Gialla, ben lungi dal divenire quellatelier del sud sognato così a lungo da Vincent, fu al contrario teatro di un episodio drammatico. In una crisi di follia, infatti, van Gogh si recise il lobo dell'orecchio sinistro, e fu poi internato in manicomio: Gauguin, profondamente scosso, si precipitò a Parigi, abbandonando l'amico nel dolore. Pur non sentendosi responsabile di questo tragico avvenimento Gauguin non solo ascoltò le preghiere di van Gogh evitando di «parlar male della nostra povera piccola casa gialla», ma conservò un ricordo molto affettuoso nei confronti dell'«amico Vincent» e un'enorme stima verso le sue opere. «Quando Gauguin dice "Vincent" la sua voce è dolce»: con questa frase, pronunciata da Jean Dolent e riportata in Avant et après, si può riassumere magistralmente un rapporto che, nonostante le varie ambivalenze, legava intimamente Gauguin con Vincent.
La pre-historia tahitiana
Dopo il triste epilogo della «Casa Gialla» Gauguin ritornò in Bretagna a Pont-Aven, nella prospettiva di accrescere la notorietà sua e degli altri artisti cloisonniste. Ciò, tuttavia, non avvenne. La presenza delle dodici tele gauguiniane alla mostra dei XX tenuta nel febbraio 1889 a Bruxelles, ad esempio, si risolse in un clamoroso insuccesso: i suoi dipinti, rimasti tutti invenduti, con i loro prati rossi, gli alberi blu e i cieli gialli, provocarono la maligna ilarità del pubblico. L'unica voce fuori dal coro fu il critico Octave Maus, che si espresse in questi termini: «Esprimo la mia sincera ammirazione per Paul Gauguin, uno dei coloristi più raffinati che io conosca e il pittore più alieno dai consueti trucchi che esista. L'elemento primitivo della sua pittura mi attrae come mi attrae l'incanto delle sue armonie. Vi è in lui del Cézanne e del Guillaumin; ma le sue tele più recenti testimoniano che si è avuta un'evoluzione rispetto a quelli e che già l'artista si è liberato da tutte le influenze ossessive».
Non scoraggiato da questo insuccesso Gauguin decise di tornare a Parigi, che proprio in quell'anno ospitava lExposition Universelle, fiera commerciale e scientifico-culturale che intendeva celebrare i fasti della produzione industriale e riaffermare la rinata gloire francese, appannata dopo l'infausta disfatta di Napoleone III nella guerra contro la Prussia. Per stupire il mondo e ribadire la grandeur della Francia libera e repubblicana Gustave Eiffel costruì una formidabile tour en fer di trecento metri: a Parigi non si parlava di altro, e furono in molti a ricoprirla di vituperi: questa «torre ridicola e vertiginosa» che schiacciava «ogni cosa con la sua massa barbara e sinistra» e con il suo «scheletro sgraziato e gigantesco», sorprendentemente, risultò assai gradita a Gauguin, che in un articolo espose con lucida quanto anticonformistica lungimiranza i suoi pareri in merito all'utilizzo del ferro nelle architetture, assolutamente lecito, purché privo di mistificazioni di sorta.
Gauguin, tuttavia, non era giunto a Parigi solo per ammirare la torre Eiffel, bensì soprattutto per sfruttare le potenzialità pubblicitarie dell'Esposizione e per esporre, durante il periodo della manifestazione, alcune sue opere insieme a Louis Anquetin, Émile Bernard, Léon Fauché, Charles Laval, George-Daniel de Monfreid, Louis Roy ed Émile Schuffenecker: nonostante il pomposo monopolio detenuto dallart pompier a Gauguin e alla sua bànde vennero concessi i locali del Caffè Volpini, a pochissimi passi dal Campo di Marte, dove lExposition Universelle aveva luogo. Concepita in termini antitetici rispetto alle esposizioni d'arte ufficialmente promosse dallo Stato francese, la mostra «impressionista e sintetista», come fu denominata dallo stesso Gauguin, fu accolta dall'usuale silenzio della critica e del pubblico, anche se non mancò di polarizzare l'interesse dei futuri pittori Nabis.
Nessuno degli espositori, malgrado il nome dato al gruppo, era comunque un impressionista e infatti sulla mostra piovve la disapprovazione dei «veri» impressionisti, Pissarro in testa. Così, senza che nessuno degli espositori fosse riuscito a vendere un solo quadro, Gauguin ritornò a Pont-Aven e di qui si trasferì in autunno nel vicino Le Pouldu (Clohars-Carnoët), allora un minuscolo villaggio, anch'esso affacciato sull'Oceano.
Con il crollo della fiducia positivistica nel progresso e l'affermarsi di una nuova sensibilità idealista-spiritualista Gauguin, circondato da un alone di anticonformismo e di esotico sacralismo, iniziò a godere di una maggiore popolarità, sia nella scena artistica che in quella letteraria, che molto doveva alle sue opere: importanti furono le amicizie con Mallarmé, Redon, Morice e, soprattutto, Aurier, poeta che in un articolo apparso nel 1891 sul Mercure de France prese le difese della pittura di Gauguin e dei suoi discepoli, da lui battezzata «ideista», fornendole una patente di legittimità e formulando una delle prime definizioni di questa innovativa tendenza. Gauguin, d'altronde, era contento di esser finalmente giunto a un punto decisivo della sua maturazione pittorica, condotta nel segno di un sincretismo tra un cromatismo accesissimo, gli insegnamenti di Cézanne, il misticismo che gli era già proprio, l'arte primitiva incontrata in Perù e conosciuta in Bretagna. Felice espressione di questo periodo dell'arte gauguiniana è Il Cristo giallo, oggi conservato nel museo di Buffalo, negli Stati Uniti.
Egli, tuttavia, era consapevole di come la Francia fosse poco stimolante per la sua arte: la sua inquietudine poteva placarsi infatti solo in un posto distante anni luce dall'Europa, in un mondo incontaminato e incontaminabile dove tutto era autenticamente primitivo. Né il Madagascar né il Tonchino convinsero pienamente Gauguin, che alla fine optò per Tahiti, luogo celebrato ne Le Mariage di Pierre Loti che vi aveva individuato un vero e proprio paradiso terrestre, congeniale per una felice realizzazione dei propri progetti artistici e lontanissima dalla disuguaglianza e dalla sopraffazione tipiche della società civilizzata. L'intento di Gauguin ora era quello di raccogliere sufficiente denaro per sostenere la causa tahitiana: dopo il fallimento delle trattative con un certo Charlopin, il quale gli aveva offerto cinquemila franchi (somma con la quale sarebbe stato possibile un lunghissimo soggiorno in qualunque terra tropicale) per un consistente numero di suoi dipinti, Gauguin seppe rifarsi con l'asta delle sue opere tenutasi a Parigi il 23 febbraio 1891, la quale gli fruttò più di novemila franchi, come comunicò solerte alla moglie la quale non ottenne un soldo, pur dovendo mantenere a Copenaghen cinque figli con un mestiere tutt'altro che redditizio.
La fuga a Tahiti
Al pittore simbolista Odilon Redon, che gli aveva fatto un ritratto e cercò di dissuaderlo a partire, Gauguin scrisse di aver «deciso di andare a Tahiti per finire là la mia esistenza. Credo che la mia arte, che voi ammirate tanto, non sia che un germoglio, e spero di poterla coltivare laggiù per me stesso allo stato primitivo e selvaggio. Per far questo mi occorre la calma: che me ne importa della gloria di fronte agli altri! Per questo mondo Gauguin sarà finito, non si vedrà più niente di lui» partì quindi per Tahiti. Il dado ormai era tratto: il 23 marzo 1891 Gauguin salutò gli amici simbolisti in un banchetto presieduto da Mallarmé tenuto nel loro ritrovo abituale del Café Voltaire di Parigi, e il 4 aprile partì per Marsiglia dove, il 24 aprile, lo attendeva la nave per Tahiti.
Era riuscito a sovvenzionare il viaggio con il sostegno economico del governo francese, dal quale fu incaricato di recarsi a Tahiti per «fissare il carattere e la luce della regione», definizione che preserva l'aroma di quelle mission scientifiques che tentavano di giustificare dal punto di vista culturale le mire espansionistiche degli stati europei durante l'epoca coloniale.
Il viaggio da Marsiglia durò sessantacinque giorni, a causa dei lunghi scali – a Bombay, Perth, Melbourne, Sidney e Auckland – effettuati lungo il percorso. Il 28 giugno 1891 Gauguin sbarcò a Papeete, il capoluogo di Tahiti, presentandosi al governatore per specificargli la sua condizione di «inviato in missione artistica». Due settimane dopo il suo arrivo sull'isola, tuttavia, Gauguin ebbe la sfortuna di apprendere la notizia della morte di Pomaré V, l'ultimo sovrano indigeno di Tahiti, dal quale sperava di ottenere dei favori particolari. Fu questo un avvenimento che Gauguin ritenne emblematico: con l'amministrazione passata in mani francesi non si faceva che suggellare il tramonto di un'intera civiltà, contagiata dai costumi europei e dall'arrivo dei primi colonialisti. «Tahiti sta diventando tutta francese» ringhiò Gauguin in una lettera alla moglie Mette «a poco a poco, il vecchio stato di cose scomparirà. I nostri missionari hanno già importato molta ipocrisia ed eliminato in parte la poesia». L'emigrazione europea aveva in effetti condotto alla formazione di famiglie miste e introdotto modi di vita europei, allo sviluppo del commercio, della piccola industria, dell'agricoltura intensiva, e all'introduzione del culto cristiano, prevalentemente cattolico.
Un barlume di speranza, tuttavia, sembrò accendersi nel cuore di Gauguin quando partecipò ai funerali di Pomaré V, attesi da un amplissimo concorso di indigeni dai costumi ancora integri. Fu allora che Gauguin comprese come la capitale Papeete, accogliendo soprattutto funzionari francesi e le famiglie dei notabili indigeni, non conservasse l'espressione dell'autentica civiltà maori, dei genuini caratteri e dei ritmi vitali degli indigeni non ancora toccati dal dominante influsso coloniale, che potevano essere rintracciati solo nei villaggi più lontani. Perciò, dopo qualche mese, insieme con la meticcia Titi, il pittore si trasferì venti chilometri più lontano, a Pacca. Ben presto, tuttavia, il pittore fu deluso anche da Titi, donna troppo «civilizzata [...] per metà bianca e falsa a causa del contatto con gli europei», e pertanto inadeguata per la sua missione pittorica. Fu allora che Gauguin si inoltrò nel villaggio di Mataiea, dove fece la conoscenza della tredicenne Tehura, che portò a vivere con lui: polinesiana, dalla personalità incontaminata e impenetrabile, questa «buona selvaggia» era perfetta per realizzare l'obbiettivo che si era prefisso. Una volta imparata la lingua maori, grazie ad una sua amica di nome Suzanne Bambridge, Gauguin riuscì ad integrarsi bene nella comunità indigena, ad assimilarne i costumi e le tradizioni, a familiarizzare con i loro stili di vita.
A Mataiea il pittore si stabilì presso una capanna di bambù con il tetto di foglie di palma davanti all'oceano, arredata con stampe giapponesi, riproduzione di figure giavanesi ed egizie e altri arredi relativi al suo bagaglio culturale ed esistenziale: «Mi porto, in fotografie e disegni, un piccolo mondo di amici che mi parleranno ogni giorno di voi» scrisse ad Odilon Redon.
In Noa-Noa, la profumata – il racconto biografico e romanzato della sua scoperta dell'isola – Gauguin scrisse che «la civiltà mi sta lentamente abbandonando. Comincio a pensare con semplicità, a non avere più odio per il mio prossimo, anzi ad amarlo. Godo tutte le gioie della vita libera, animale e umana. Sfuggo alla fatica, penetro nella natura: con la certezza di un domani uguale al presente, così libero, così bello, la pace discende in me; mi evolvo normalmente e non ho più vane preoccupazioni». Non è proprio così, perché il denaro cominciava lentamente a diminuire, dalla Francia non ne arrivava altro e le comunicazioni epistolari iniziarono a farsi lentissime. Stimolato dalla colorita mitologia maori e dalla florida bellezza delle donne locali, a Tahiti Gauguin licenziò un cospicuo numero di tele, fra le quali vanno senza dubbio segnalate Ia Orana Maria, Aha oe feii? e Manao tupapau. Si dedicò anche alla produzione di sculture in legno e in ceramica nelle quali rappresentò dei e idoli maori senza scrupoli filologici, ma operando una contaminazione di motivi iconografici, ridando in qualche modo vita a immagini della tradizione religiosa tahitiana in via di estinzione, raggiungendo così «il fine di ridare forma e speranza a una società sul punto di morire».
Il ritorno in Francia
C'era ancora molta strada da fare, e Gauguin, pur compiacendosi dei progressi compiuti, sapeva di non esser riuscito a completare la sua missione pittorica. Era nelle sue intenzioni rimanere più a lungo a Tahiti, tuttavia l'opprimente peso della solitudine, le pressanti condizioni economiche (per nulla alleviate dalla partecipazione all'Esposizione Libera di Arte Moderna di Copenaghen, dove le sue opere rimasero invendute) e le difficoltà materiali di sorta lo sollecitarono a fare la domanda per il rimpatrio. Neppure la silenziosa Tehura, che a causa della sua giovane età non poteva partecipare ai culti tribali, era più di aiuto a Gauguin, ormai disilluso di poter mai trovare le sorgenti del primitivismo, così a lungo bramate già durante il soggiorno bretone.
Nell'aprile del 1893, una volta ottenuto l'ordine di rimpatrio, Gauguin si imbarcò a Tahiti su una nave che, tre mesi dopo, lo condusse a Marsiglia, dove giunse in un grande disagio economico e fisico. Con sé, tuttavia, aveva un notevole bagaglio di esperienze e numerosi quadri che egli riteneva inestimabili per il loro pregio artistico. Per fortuna, però, le cose andarono per il meglio: grazie al denaro inviatogli dagli amici Paul Sérusier e George-Daniel de Monfreid (suo primo biografo) e alla predisposizione di una ricca eredità da parte dello zio Isidoro di Orléans (ben novemila franchi) Gauguin riuscì a pagare i debiti e a ritornare a Parigi, dove poté finalmente dedicarsi a tempo pieno alla sua arte, senza preoccupazioni materiali. Per promuovere le sue opere Gauguin sfruttò la carta del suo viaggio tahitiano: era sua opinione, infatti, che condurre uno stile di vita bizzarro e disinvolto, nel culto della Polinesia e delle sue tradizioni esotiche, fosse il modo giusto per attirare su di sé l'attenzione dei critici e del pubblico.
Fu così che, sostenuto dall'eredità di Isidore, Gauguin prese in affitto un alloggio-studio a rue Vercingétorix e lo arredò esoticamente, con oggetti guerreschi maori, stoffe polinesiane, pareti dipinte in verde e giallo cromo e chincaglierie coloniali: a coronare il tutto vi erano poi una scimmietta, un pappagallo, la scritta «Te fararu» [Qui si ama] sull'uscio della porta e l'immancabile Anna, una mulatta giavanese con la quale il pittorIe trascorse notti piccanti e lussuriose. Nell'insieme questo atelier era così innovativo e audacemente ambiguo che i benpensanti del bel mondo parigino, quando Gauguin vi indiceva un incontro con i suoi amici simbolisti, non potevano fare a meno di pensare a sfrenate orge carnali.
Gauguin, poi, intendeva promuovere i suoi dipinti con altre due strategie complementari a questo suo stile di vita eccentrico.
Con il patrocinio di Degas (fervente ammiratore delle sue opere), Gauguin allestì nel 1893 una mostra personale presso la Galleria Durand-Ruel: le quarantaquattro opere esposte, tuttavia, furono accolte assai freddamente, e ad apprezzarle furono solo i Nabis e Mallarmé, per il quale era «incredibile che qualcuno riesca a mettere tanto mistero in tanto splendore». Gauguin, poi, sfruttò la sua avventura esotica anche sotto il profilo letterario, pubblicando libri propedeutici a una maggiore comprensione della sua pittura sulla base di alcuni manoscritti redatti a Tahiti: Cahier pour Aline, dedicato alla sua figliola prediletta («note sparse senza continuità, come i sogni, come la vita fatta tutta di frammenti»), e soprattutto Noa Noa [profumata profumata], un «libro d'artista» dove sono raccolti testi autobiografici ed etnografici. A causa di alcuni disguidi editoriali, tuttavia, Gauguin riuscì a pubblicare Noa Noa solo nel 1901, «fuori stagione», come osservò egli stesso.
A dicembre Gauguin rese l'ultima visita alla famiglia a Copenaghen e nel maggio del 1894, mosso da un'intensa nostalgia, fece ritorno nei suoi luoghi preferiti della Bretagna, in compagnia dell'amata Anna. Tutto, però, era cambiato, anche nel piccolo villaggio bretone: la Marie Gloanec aveva chiuso la sua pensione, i suoi condiscepoli di Pont-Aven non erano più disposti a seguirlo, essendo presi da ricerche figurative del tutto individuali, e per di più l'insofferenza della popolazione locale verso l'amante mulatta Anna lo fece incappare in numerose disavventure. Il 24, durante una passeggiata sulla banchina di Concarneau, alcuni marinai rivolsero ad Anna e alla scimmietta di Gauguin commenti pesanti e volgari. Gauguin, indignato, reagì di malo modo, ma venne picchiato e si fratturò una caviglia. Per di più, mentre era ricoverato in ospedale, Anna fece ritorno a Parigi, s'impossessò del denaro – non toccò invece nessuno dei dipinti – e fece perdere le sue tracce.
Gli ultimi anni in Polinesia
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?
Impossibilitato a dipingere per via della degenza in ospedale, privo dell'amore che Anna, seppur ipocritamente, gli aveva rivolto in quello che fu il suo ultimo soggiorno francese, Gauguin non ne poteva più di rimanere in Francia. D'altronde, non vi era giunto con la prospettiva di rimanervi. Nuovamente deciso a partire per la Polinesia, il 18 febbraio 1895 organizzò una vendita delle sue tele: il ricavo fu modesto - il fallimento della mostra lo ferì profondamente, e lui stesso ammise che quella stessa sera «piangeva come un bambino» - ma sufficiente per partire. Il mondo sognato da Gauguin e quello occidentale erano definitivamente incompatibili: a testimoniarcelo è l'ultima statuetta realizzata dall'artista sul suolo europeo, Oviri, un idolo esotico in grès che riproduce plasticamente l'insanabile voglia di fuggire che animava Gauguin in quei giorni. Dopo aver affidato la maggior parte dei suoi dipinti ad Auguste Bachu e Georges Chaudet, il 3 luglio Gauguin si imbarcò a Marsiglia:
Raggiunta Papeete l'8 settembre Gauguin si trasferì nel villaggio di Paunaania, dove affittò un terreno sul quale, con l'aiuto degli indigeni, si costruì una capanna. Furono questi anni ricchi di emozioni e di avvenimenti, sia positivi che negativi. La sua salute appariva compromessa dalla frattura non risolta della caviglia, dalle numerose piaghe alle gambe, dalle frequentissime eruzioni cutanee e dalla sifilide, contratta in occasione di un incontro con una prostituta: una degenza di due mesi in ospedale gli recò poco giovamento. Più felice fu la convivenza con la quattordicenne Pahura la quale, nel 1896, gli partorì una figlia che tuttavia sopravvisse solo un anno. Nel marzo del 1897 gli giunse invece dalla moglie la notizia della morte per polmonite della figlia prediletta Aline, avvenuta il precedente gennaio; da questo momento Gauguin non avrà più notizie della famiglia.
L'isolamento affettivo, l'aridità morale, il grave lutto della figlioletta furono tutti fattori che scaraventarono Gauguin in uno stato di spaventosa prostrazione. Sentendosi disperatamente solo, Gauguin nel 1897 si recò sulla sommità di una montagna con una boccetta di arsenico e tentò di suicidarsi ingerendo il veleno letale: la dose assunta, tuttavia, era talmente elevata che Gauguin rigurgitò spontaneamente la tossina e rimase l'intera giornata sulla montagna in preda a dolori strazianti, per poi scendere a farsi curare dal medico del villaggio. L'espressione pittorica più compiuta del torpore esistenziale che avvolgeva Gauguin in questo periodo è la monumentale tela Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, iniziata poco prima del tentativo di suicidio.
Una volta rinsavito dalle sue velleità suicide Gauguin era più battagliero che mai. Alla fine di quell'anno portò a termine il manoscritto L'Église catholique et les temps modernes, un velenoso attacco alla Chiesa cattolica, accusata di «falsificazioni e imposture», in quanto avrebbe tradito lo spirito originario del Cristianesimo. Secondo Gauguin esiste un'unica verità in tutte le religioni, dal momento che tutte sarebbero fondate su un mito primigenio, dal quale si sarebbero poi differenziate. Si tratta allora di recuperare il significato autentico della dottrina cristiana «corrispondente così esattamente e anche in modo grandioso alle aspirazioni ideali e scientifiche della nostra natura», attuando così «la nostra rigenerazione». Questa guerresca invettiva contro la religione, tuttavia, servì a poco, se non ad attrarsi le malevolenze delle autorità ecclesiastiche del villaggio.
Gauguin collaborò anche con il giornale satirico Les Guêpes, pubblicandovi articoli e vignette contro l'amministrazione coloniale francese, accusata di opprimere gli abitanti indigeni; in agosto pubblicò a sue spese un altro giornale satirico, Le Sourire, sempre in polemica con le autorità e con i loro soprusi. Considerata la necessità di guadagnare più denaro, Gauguin si trasferì poi a Papeete dove s'impiegò, per sei franchi al giorno, come scrivano nel Ministero dei Lavori Pubblici, finché, con il denaro pervenutogli dalla Francia grazie alla vendita dei suoi quadri, riuscì a estinguere il debito con la banca, potendo così lasciare l'impiego e tornare nella sua casa di Paunaania, dove la sua compagna Pahura gli diede un altro figlio, Émile.
Hiva Oa
Nel frattempo, dopo aver prodotto un'impressionante mole di dipinti, Gauguin sentì l'esigenza di ricercare ambienti esotici più stimolanti e per questo motivo approdò all'inizio nel 1901 Hiva Oa, nelle isole Marchesi, a circa millequattrocento chilometri a nord-est di Tahiti. A Hiva Oa Gauguin recuperò le sue energie creative e diede vita a dipinti particolarmente riusciti e sereni, animati da un perfetto equilibrio tra il colore e la luce, oltre che a numerosi scritti. Pur avendo più facile il pennello che la penna, infatti, durante il soggiorno a Hiva Oa Gauguin scrisse ininterrottamente, dando vita a testi che non solo spiegavano gli intendimenti dei suoi dipinti, ma che affrontavano in maniera distaccata ed energicamente ironica anche le sue peripezie esistenziali, oltre che questioni di ordine estetico, morale, etico e religioso: Diverses choses, Racontars de Rapin ed Avant et après.
La sua ostilità contro le autorità coloniali ed ecclesiastiche, poi, toccò livelli particolarmente virulenti. In quel periodo, infatti, il pittore fece propaganda presso i nativi perché si rifiutassero di pagare le tasse e non mandassero più i figli nella scuola missionaria: «La scuola è la Natura», proclamava, e la sua opera di persuasione riscosse tra l'altro un grande successo, tanto che la grande maggioranza degli abitanti dell'isola aderì entusiasticamente al suo invito. Gauguin poi denunciò un gendarme, tale Guichenay, accusandolo di favorire il traffico di schiavi e questi lo denunciò a sua volta, accusandolo di calunnia e di sovversione. Il 31 marzo 1903 il tribunale multò Gauguin e lo condannò a tre mesi di prigione.
Gauguin, tuttavia, non scontò mai la pena: la mattina dell'8 maggio il pastore protestante Vernier lo trovò morto, disteso nel suo letto. Gauguin era ammalato di sifilide. Il vescovo Rogatien-Joseph Martin, accorso alla notizia, si preoccupò di distruggere quelle opere che giudicò blasfeme e oscene: poi benedisse la salma e gli concesse una sepoltura senza nome nel cimitero della chiesa della missione, che appariva – immagine trascurabile e lontana, eppure incombente dall'alto – nella tela dipinta pochi mesi prima, Donne e cavallo bianco, una valle di paradiso naturale dove Gauguin volle fondere ancora in un'armonia senza tempo l'umanità e gli animali di Hiva Oa. Pochi nativi assistettero alla sua sepoltura: presto dimenticata, la sua tomba fu ritrovata venti anni dopo e gli fu posta una lapide con la semplice scritta «Paul Gauguin 1903».
Stile
Gli inizi impressionisti
Paul Gauguin è stato uno dei maggiori interpreti di quella temperie artistica che oggi si suole definire «post-impressionismo». La formazione artistica di Gauguin, per il quale la pittura da svago piacevole era ben presto divenuta attività vitale, era avvenuta in seno all'esperienza impressionista: nei suoi esordi, infatti, Gauguin realizzò opere che gli venivano suggerite dall'osservazione quotidiana della vita che si svolgeva intorno a lui, in ambito familiare o anche nelle campagne fuori Parigi, nutrendo una fiducia tutta impressionistica sulla concreta validità dell'esperienza visiva, da condurre analiticamente e rigorosamente en plein air. Ciò malgrado Gauguin non soffrì mai delle limitazioni dell'Impressionismo stesso: i suoi dipinti, a differenza di quelli impressionisti, non colgono l’istante transitorio della realtà, né vogliono fissare l'attimo fuggitivo con una stesura vibrante finalizzata a catturare i giochi luminosi di una realtà in perenne trasformazione, bensì sono elaborati con maggiore rigore intellettuale e intessuti di pennellate curve, brevi, e di una policromia nervosa fatta di colori opachi, sordi e materici che, venendo rialzati da riflessi artificiali, spesso danno vita a una sensazione di immobile ampiezza.
Gauguin apprezzò gli Impressionisti anche perché, nel segno di un rifiuto netto dei canoni estetici ottocenteschi, si erano svincolati con successo dagli squallidi freni imposti dall'insegnamento accademico: «L'Impressionismo è puro, non ancora contaminato dal putrido bacio dell'École des Beaux-Arts» amava ripetere agli amici. Sotto la spinta della lezione di Degas, poi, Gauguin dipinse anche figure solide ed equilibrate, prensili di una luce che non ne dissolve le forme, ma che invece le modella e le evidenzia con realismo e vivacità, e che pertanto aderisce spontaneamente ai canoni del Naturalismo. Muovendo da premesse impressioniste, in effetti, era naturale che Gauguin tendesse a una rappresentazione per quanto possibile oggettiva della realtà. Non sorprende, pertanto, se il primo a rendersi conto delle qualità artistiche di Gauguin fu Joris-Karl Huysmans, letterato che prima di volgersi all'estetismo decadente si consacrò al naturalismo di impronta zoliana. Si legga il seguente commento, riferito al Nudo di donna che cuce realizzato da Gauguin nel 1880:
Pur subendo indubbiamente l'ascendente impressionista - si pensi con quale avidità egli collezionò le opere di Monet e Cézanne - Gauguin profeticamente non si votò mai a quella determinata corrente, preferendo piuttosto esaminarla e assimilare da essa tutte quelle lezioni che riteneva opportune per il suo repertorio artistico. Ben presto, come vedremo nel paragrafo successivo, Gauguin recepì infatti le suggestioni provenienti dai dipinti di Delacroix e dall'arte giapponese, virando bruscamente verso il cloisonnisme, il quale fu certamente più vicino alla sua sensibilità artistica.
La svolta cloisonniste
Appare dunque evidente come lo stile del primo Gauguin, pur giungendo a esiti nuovi e originali, affondi in realtà le proprie radici nel tessuto
culturale della Parigi dell'Ottocento. Ad accelerare il distacco di Gauguin dall'Impressionismo, ormai affollatissimo, furono in particolare due esperienze artistiche: il romanticismo di Delacroix e le stampe giapponesi. I quadri di Delacroix, infatti, risultarono particolarmente graditi a Gauguin non solo per la loro vivacissima verve cromatica, ma anche per la loro tensione drammatica che non era affatto finalizzata a riprodurre la realtà visibile in modo imparziale e assolutamente obiettivo, ma che al contrario serviva per far emergere il vulcanico temperamento dell'autore. L'infatuazione di Gauguin per le stampe giapponesi, poi, era sintomatica per diversi motivi: i grandi maestri dell'ukiyo-e, infatti, ricorrevano a colorazioni xilografiche smaglianti, a contorni calligrafici molto marcati e ad inquadrature arditamente decentrate che non descrivevano minuziosamente i particolari ma che si soffermavano solo sui soggetti protagonisti dell'opera.
Gauguin, quindi, subì la fascinazione di una vastissima rosa di correnti artistiche, ma non appartenne veramente che a sé stesso, pur amalgamando secondo il suo spirito eccentrico e geniale, per poi obliarli in una matrice pittorica personalissima, i molteplici suggerimenti emanati da un clima culturale così carico. Così il Dorival:
Senza pregiudicare la sua originalità ossequiandosi a una formula o a una regola scolastica, Gauguin, soprattutto dopo il trasferimento a Pont-Aven, decise di intraprendere una strada, quella cloisonniste, destinata a segnare un momento fondamentale dell'intera arte moderna. Proseguendo un discorso già intrapreso da Delacroix e che verrà poi amplificato anche da van Gogh, infatti, Gauguin fu tra i primi ad emanciparsi dalle velleità impressioniste di riprodurre la natura con una sottile trascrizione delle sensazioni ottiche, e a marcare un punto di vista molto soggettivo: con forza egli piegava la realtà al proprio desiderio espressivo, nella convinzione che lo scopo ultimo della pittura fosse quello di esprimere le sue emozioni (ex movere, muovere fuori da): è per questo motivo che Gauguin «sentiva», non «vedeva» soltanto. Questa suggestione emotiva (espressione) trovava una corrispondenza assoluta con l'ordine interno della composizione, strutturato su campiture omogenee e intense di colore dogmaticamente delimitate da contorni ben marcati (cloisonné) che ricordano il calligrafico procedere dell’arte giapponese e prive di modellato (senza cioè l'effetto di profondità ottenuto con mezzi quali la prospettiva o il chiaroscuro).
Per evitare, dipingendo all'aperto, di essere condizionato dagli effetti di luce, Gauguin dipingeva infatti a memoria, semplificando le sensazioni ed eliminando i particolari; di qui l'espressione di una forma, più che sintetica – giacché ogni forma in arte è sempre necessariamente sintetica – sintetistica, perché volutamente semplificata. Egli rinunciò anche ai colori complementari che, se avvicinati, si fondono e preferisce mantenere ed esaltare il colore puro: «Il colore puro. Bisogna sacrificargli tutto».
Tuttavia egli non portò alle estreme conseguenze questa concezione, perché l'uso quantitativamente eccessivo di colori, anche se non scossi da varianti tonali o chiaroscurali, avrebbe distrutto spazio e volumi e allora attenuato l'intensità delle tinte. Per questo motivo ne deriva il tono generalmente «sordo» e un disegno piuttosto sommario, come lo stesso pittore confidò a Bernard: «La mia natura porta al sommario in attesa del completo alla fine della mia carriera». Gauguin con grande lungimiranza evitò anche di cadere nella triviale decorazione, come spesso accade all'Art Nouveau che origina da quegli stessi presupposti, racchiudendo «nelle sue superfici decorative un contenuto fantastico, onde creò il simbolismo pittorico».
In un certo senso è possibile «diagnosticare» la fisionomia artistica di Gauguin con la seguente classificazione: «post-impressionista di matrice espressionista». Come si è visto, infatti, Gauguin è post-impressionista, nel senso che è consapevole dei limiti intrinseci dell'Impressionismo e, con le novità pittoriche di cui abbiamo appena discusso, intende superarli. Il forte grafismo disegnativo e la marcatura cromatica conducono invece a un potenziamento della valenza espressiva delle sue opere, che pertanto possono dirsi «di matrice espressionista». Quanto appena enunciato può essere condensato anche con i termini «cloisonnisme», come si è già detto, oppure con «sintetismo», nomenclatura particolarmente apprezzata da Gauguin che così definì il suo stile. Di seguito riportiamo l'illuminante giudizio del critico Albert Aurier, il quale - fornendo una sorta di manifesto programmatico delle nuove tendenze sintetiste - descrisse indirettamente anche lo stile di Gauguin:
Via dalla pazza folla: Gauguin e il primitivismo
Il precedente giudizio di Aurier ricolmò di soddisfazione genuina l'animo di Gauguin, il quale si vide finalmente confermata la valenza «primitiva» della sua produzione artistica. Per comprendere in modo adeguato il primitivismo di Gauguin e le sue matrici originarie è indispensabile collocarlo esattamente dal punto di vista storico e filosofico.
Quando Gauguin stava iniziando ad assecondare quella sete di evasione che lo condurrà a Tahiti, infatti, in Europa si era diffusa ormai capillarmente la filosofia positivista, la quale - com'è noto - ebbe anche importanti indirizzi «evoluzionistici», genialmente teorizzati dal biologo inglese Charles Darwin. Semplificando la complessa elaborazione scientifica di Darwin, secondo tale teoria tutti gli organismi di questo pianeta, sotto l'influenza delle condizioni ambientali, subiscono variazioni genetiche casuali che vengono trasmesse alla progenie per via ereditaria, cosicché una specie nel suo complesso si modifica secondo un meccanismo di «selezione naturale» che provoca l'eliminazione degli individui più deboli e inadeguati e il miglioramento di quelli sopravvissuti. I concetti darwiniani di «selezione» e di «lotta per la sopravvivenza», tuttavia, furono estesi anche alle forme della società, divenendo in questo modo strumentali per la giustificazione di aberranti degenerazioni ideologiche che teorizzavano come necessarie e legittime vere e proprie gerarchie di ordine razziale, nonché il trionfo dell'Occidente civilizzatore sui popoli barbari e selvaggi, come quelli tahitiani, accendendo così la scintilla dei pericolosi fenomeni coloniali e imperialistici che segnarono luttuosamente il XX secolo.
Disilluso dall'individualismo e dell'abbrutimento della società moderna Gauguin fu animato sin da adolescente da un impellente desiderio di evadere dalla civiltà, corrotta e corruttrice, e di avventurarsi in paesi esotici e lontani. Certo, Gauguin era perfettamente un uomo del suo tempo: in pieno accordo con la mitologia positivista, infatti, egli «credeva nel progresso della conoscenza e vagliava criticamente i contributi che potevano portare all'affermazione di una visione del mondo capace in qualche modo di aiutare a superare la crisi e promuovere la rigenerazione dell'uomo» (Damigella).
Gauguin, tuttavia, non poteva fare a meno di sognare di abbandonare, una volta e per sempre, una realtà spregiudicatamente intrisa di ipocrisia e avidità come quella europea e di rifugiarsi in mondi puri, autentici e lontani da Parigi. Non bisogna dimenticare, tra l'altro, che già dai primissimi anni di vita Gauguin aveva potuto beneficiare di uno stile di vita straordinariamente girovago che ampliò in modo assolutamente significativo la sua nozione di spazio: già a due anni, infatti, Gauguin era in viaggio per il Perù, dove come già accennato trascorse la sua fanciullezza, per poi imbarcarsi una volta adolescente su un mercantile con il quale scoprì tutti i più importanti porti del mondo.
Bisogna ammettere che erano in moltissimi a non riconoscersi negli insopportabili meccanismi della società moderna. Gauguin, tuttavia, non scelse la strada tracciata da poeti come Baudelaire o Rimbaud, i quali si ripiegarono ossessivamente verso la loro dimensione interiore, cercando rispettivamente di evadere dalla realtà mediante l'assunzione di droghe e di superalcolici o votandosi a una vita randagia e sconclusionata. A differenza dei tanti personaggi del romanzo estetizzante - si pensi al Des Esseintes di À rebours, che cercò inutilmente di abbandonarsi ad un'egoistica ricerca del piacere in una realtà-finzione da lui architettata - Gauguin prese concretamente le distanze dal consorzio civile e si rifugiò nei mari del Sud: «se tanti sognano l'evasione della società, Gauguin la attua» commenta in tal proposito il critico Piero Adorno.
È possibile argomentare che il fil rouge che ha guidato i vari viaggi di Gauguin sia quell'affanno tutto romantico di rincorrere per terra e per mare un sogno ancestrale di libertà e di felicità che, in realtà, si può solo afferrare con il raggiungimento di una pacifica serenità interiore: si tratta di una tesi brillantemente sostenuta dai poeti latini Seneca, Lucrezio e Orazio («ciò che cerchi non lo puoi trovare lontano, ma dentro te stesso») e, in maniera più umile, anche da Pierre-Auguste Renoir («si può dipingere bene anche a Batignolles», nel pieno centro di Parigi).
È innegabile, tuttavia, che alla base del peregrinare gauguiniano vi siano anche motivi di natura economica e, soprattutto, un'insaziabile fame di stimoli visivi diversi, finalizzata al recupero del linguaggio arcaico delle origini. Immergendosi nel contesto naturalistico della Polinesia e assecondando il suo «diritto di fare tutto», infatti, Gauguin non solo volse definitivamente le spalle a una società ossificata e moribonda come quella europea, bensì riuscì anche a dare nuova energia e vigore alla sua pittura. In un mondo dove poteva raffigurare solo animali, alberi, onde marine e ragazze seminude dalla sensualità misteriosa Gauguin seppe recuperare quei valori eterni e arcaici che scaturiscono da un rapporto più sincero ed equilibrato con la Natura, comportando così nella sua pittura un rinnovamento senza eguali: proseguendo un discorso già intrapreso a Pont-Aven, infatti, sotto il sole del Sud Gauguin esasperò la sua tendenza all'astrazione, ammorbidì le sue linee di contorno, incrementò la plasticità dei suoi volumi e depotenziò la violenza dei colori, in modo tale da aprire le sue opere alle suggestioni della musica.
Si vengono così a creare dei veri e propri «poemi musicali» senza parole («L'essenziale consiste precisamente in quello che non è espresso», come egli disse), potenziati da Gauguin dal consapevole ricorso al suo bagaglio estetico europeo e a una grandissima varietà di fonti, dalle stampe giapponesi all'arte precolombiana, dalle sculture maori alla figurazione medievale. «Sembra che il pittore s'è fatto selvaggio e s'è naturalizzato maori senza cessare di essere sé stesso, di essere artista»: è in questo modo che un commentatore anonimo denuncia il sincretismo presente nelle opere di Gauguin, consapevolmente aperte a categorie estetiche come «barbaro», «infantile», «primitivo», operose anche se in forma embrionale già durante i suoi esordi artistici. In maniera analoga con quanto accade con i bambini, o con i primitivi per l'appunto, per Gauguin «l'unico modo per rappresentare la natura deve scaturire da percezioni innate e del tutto personali, ovvero da sensazioni immanenti più soggettive che visive, che dipendono dalla visione spirituale dell'artista» (Walther).
Retaggio
L'eco figurativa riscossa da questa particolare visione dell'arte nutrita da Gauguin fu immensa: i pittori nabis e i simbolisti si richiamarono esplicitamente a lui, mentre la libertà decorativa delle sue composizioni aprì la via all'Art Nouveau, così come il suo trattamento della superficie lo rese un precursore del fauvismo e la semplificazione delle forme fu tenuta presente da tutta la pittura del Novecento. Di seguito si riporta un brillante commento del critico d'arte René Huyghe:
Opere
1880
Nudo di donna che cuce, 65×54 cm, Ny Carsberg Gliptotek, Copenaghen
1881
Vaso di fiori davanti a una finestra, 19×27 cm, Louvre, Parigi
1884
Mette Gauguin in abito da sera, 65×54 cm, Nasjonalgaleriet, Oslo
1886
Quattro donne bretoni, 72×91 cm, Neue Pinakotek, Monaco di Baviera
1887
Alberi e figure sulla spiaggia, 54×90 cm, Ny Carsberg Glyptotek, Copenaghen
Vegetazione tropicale, National Gallery of Scotland, Edimburgo
Raccolta della frutta, 89×116 cm, Museo Vincent van Gogh, Amsterdam
1888
Il guardiano di porci, 73×93 cm, Collezione privata, Los Angeles
La visione dopo il sermone, 73×92 cm, National Gallery of Scotland, Edimburgo
Bambini bretoni al bagno, 60×73 cm, Collezione privata, Inghilterra
La raccolta del fieno, 73×92 cm, Musée d'Orsay, Parigi
Madeleine Bernard, 72×58 cm, Museo di Grenoble
Autoritratto, 45×55 cm, Museo Vincent van Gogh, Amsterdam
Autoritratto, 46×38 cm, Museo Puškin, Mosca
Vincent van Gogh che dipinge girasoli, 73×92 cm, Museo Vincent van Gogh, Amsterdam
Veduta degli Alyscamps, 91,5×72,5 cm, Musée d'Orsay, Parigi
Miserie umane, 73×92 cm, Ordrupgaardmlingen, Copenaghen
Al caffè, 73×92 cm, Museo Puškin, Mosca
La signora Roulin, 50×63 cm, City Art Museum, Saint Louis
1889
La famiglia Schuffenecker, 73×92 cm, Musée d'Orsay, Parigi
La signora Kohler, 46×38 cm, National Gallery of Art, Washington
La belle Angèle, 92×72 cm, Musée d'Orsay, Parigi
Ondina, 92×72 cm, Cleveland Museum of Art, Cleveland
I mietitori,92×73 cm, Courtauld Institute, Londra
Il Cristo giallo, 92x73;cm, Albright Art Gallery, Buffalo
Cristo nell’orto degli ulivi, 72,4x91,4 cm, Norton Museum of Art, Florida
1890
Natura morta con ceramica, 28×36 cm, 1890, Fogg Art Museum, Cambridge (Massachusetts)
La perdita della verginità, 90×130 cm, Chrysler Art Museum, Provincetown
1891
Vahine no te tiare, 70×46 cm, Ny Carsberg Gliptotek, Copenaghen
Suzanne Bambridge, 70×50 cm, Musées Royaux des Beaux-Arts, Bruxelles
Tavolo con casco di banane e tre figure, 73x 92, Musée d'Orsay, Parigi
Ave Maria (Ia Orana Maria), 114 x89 cm, Metropolitan Museum, New York
I raro te oviri, 73×92 cm, Minneapolis Institute of Arts, Minneapolis
Due donne tahitiane, 69×91 cm, Musée d'Orsay, Parigi
Te faaturuma, 69 x91 cm, Worcester Art Museum, Worcester
1892
Lo spirito dei morti veglia (Manao Tupapau), 73×92 cm, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo
Due donne tahitiane sulla spiaggia, 91×64 cm, Honolulu Academy of Arts, Honolulu
Vahine no te Miti, 90×73 cm, Museo Nacional de Bellas Artes, Buenos Aires
Te nane nave fenua, 91×72 cm, Ohara Art Museum, Kurashiki
Aha oe feii?, 68×92 cm, Ermitage, San Pietroburgo
Fatata te Miti, 68×92 cm, National Gallery of Art, Washington
Ta matete, 73×92 cm, Kunstmuseum, Basilea
Hina te Fatou, 112×62 cm, Museum of Modern Art, New York
Nafea faa ipoipo, 105×77,5 cm, Kunstmuseum, Basilea
Arearea, 75×94 cm, Museo d'Orsay, Parigi
1893
Aita tamari vahina Judith te parari, 116×81 cm, Hanloser, Berna
Autoritratto, 46×38 cm, Musée d'Orsay, Parigi
1894
Giorno di dio (Marana no atua), 70×91 cm, Art Institute, Chicago
Nave nave moe, 73×96 cm, Ermitage, San Pietroburgo
Aerarea no varua ino, 60×98 cm, Ny Carsberg Gliptotek, Copenaghen
Villaggio sotto la neve, 76×66 cm, Musée d'Orsay, Parigi
1895
La donna dei manghi, 97×130 cm, Ermitage, San Pietroburgo
Nave nave mahana, 94×130, Musée des Beax-Arts, Lione
No te aha oe riri, 95×130 cm, Chicago Art Institute, Chicago
1896
La nascita di Cristo, figlio di Dio, 96×131 cm, Neue Pinakothek, Monaco di Baviera
1897
Nevermore, 60×116 cm, Courtauld Institute Galleries, Londra
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, 139×375 cm, Museum of Fine Arts, Boston
Te rerioa, 95×132 cm, Courtauld Institute Galleries, Londra
Due bagnanti, 73×92 cm, Barber Institute, Birmingham
1898
Il cavallo bianco, 141×91 cm, Musée d'Orsay, Parigi
I seni coi fiori rossi, 94×73, Metropolitan Museum, New York
Il grande Buddha, 134×95 cm, Museo Puškin, Mosca
1899
Rupe rupe, 128×200 cm, Ermitage, San Pietroburgo
Te avae no Maria, 9×72 cm, Ermitage, San Pietroburgo
Il paniere quadrato, 61×73, Nasjonalgalleriet, Oslo
1901
Due donne tahitiane sedute (... E l'oro dei loro corpi), 67×76 cm, Musée d'Orsay, Parigi
Due cavalieri in riva al mare, 73×92 cm, Museo Puškin, Mosca
1902
Racconti barbari, 130×89 cm, Museum Folkwang, Essen
La chiamata, 130×90 cm, Cleveland Museum of Art, Cleveland
Lo stregone di Hiva Oa, 92×73, Musée des Beaux-Arts, Liegi
Giovane tahitiana col ventaglio, 92×73 cm, Museum Folkwang, Essen
Cavalieri sulla spiaggia, 66×76 cm, Museum Folkwang, Essen
Tre donne e amazzone, 28×46 cm, Nationalmuseum, Stoccolma
1903
Donne e cavallo bianco, 72×92 cm, Museum of Fine Arts, Boston
Cavallo al pascolo e maiale, 75×65 cm, Ateneumin Taidemuseo, Helsinki
Autoritratto con gli occhiali, 42×25 cm, Kunstmuseum, Basilea
Scritti
Ancien Culte Mahorie, Parigi, Éditions Hermann, 2005. ISBN 2-7056-6437-8
Film e altre opere su Paul Gauguin
Film e documentari
La luna e sei soldi di Albert Lewin (1942) - film
Gauguin di Alain Resnais (1950) - cortometraggio
Pictura (segmento "Paul Gauguin") di Ewald André Dupont, Luciano Emmer e Robert Hessens (1951) - film
Paul Gauguin di Folco Quilici (1957) - documentario
Más allá del color: La vida de Gauguin y Degas di Ernesto Mas e Esteban Serrador (1958) - film
Paul Gauguin di Roger Pigaut (1975) - film
The Savage di Leslie Megahey (1977) - film tv
Gauguin the Savage di Fielder Cook (1980) - film tv
Oviri di Henning Carlsen (1986) - film
Shadow in a Landscape di J. Brian Waddell (1987) - film
Bonjour Monsieur Gauguin di Jean-Claude Labrecque (1988) - film
Paul Gauguin: The Savage Dream di Michael Gill (1988) - documentario
Post-Impressionists: Gauguin di Bob Carruthers, Ronald Davis, Dennis Hedlund (2000) - documentario
The Post-Impressionists: Van Gogh & Gauguin, episodio di Biography di Bruce Alfred (2003) - documentario
Gauguin: The Full Story di Waldemar Januzczak (2003) - documentario
Paradise Found di Mario Andreacchio (2003) - film
Paul Gauguin, je suis sauvage di Marie-Christine Courtès (2017) - documentario
Gauguin - Voyage de Tahiti di Edouard Deluc (2017) - film
Gauguin in Tahiti-Il paradiso perduto di Claudio Poli (2019) - documentario
Libri
Il paradiso è altrove, romanzo di Mario Vargas Llosa (ricostruisce in parallelo la biografia del pittore e quella della nonna Flora Tristan)
Note
Bibliografia
Voci correlate
Autoritratti di Paul Gauguin
Pola Gauguin
Paul René Gauguin
Altri progetti
Collegamenti esterni
Pittori simbolisti |
1823 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fattorizzazione | Fattorizzazione | In matematica, la fattorizzazione o scomposizione in fattori di un numero o altro oggetto matematico consiste nella loro rappresentazione come prodotto di più fattori, di solito più piccoli o più semplici e della stessa natura. Per esempio è una fattorizzazione dell'intero . Invece è una fattorizzazione del polinomio
La fattorizzazione non è generalmente considerata significativa negli insiemi numerici aventi un'operazione di divisione, come i numeri reali o quelli complessi, poiché qualsiasi può essere scritto banalmente come per ogni diverso da zero. In ogni caso un'utile fattorizzazione per i numeri razionali e le funzioni razionali può essere ottenuta riducendoli ai minimi termini e successivamente fattorizzando i loro numeratori e denominatori.
La fattorizzazione degli interi era già in uso presso gli antichi matematici greci: Apollonio di Perga, Archimede, Euclide, ecc. Si deve a Euclide il teorema fondamentale dell'aritmetica in cui si afferma che ogni intero positivo può essere scomposto in un prodotto di numeri primi, cioè numeri che non possono essere ulteriormente fattorizzati in altri interi maggiori di 1, e che questo prodotto è unico se si trascura l'ordine dei fattori. La fattorizzazione è un processo algoritmico di successive divisioni per ottenere i singoli fattori e quindi può apparire metaforicamente come l'inverso della moltiplicazione, ma la difficoltà di questo processo cresce enormemente con i grandi numeri ed è proprio questa difficoltà che viene sfruttata dai moderni sistemi di crittografia RSA.
Anche la fattorizzazione di un polinomio è studiata da secoli. Nell'algebra elementare, fattorizzare un polinomio si riduce al problema di trovare le sue radici per poi trovare i fattori il cui prodotto è uguale al polinomio. Un polinomio con coefficienti interi gode anch'esso della proprietà simile a quella del teorema fondamentale dell'aritmetica, con la differenza che ogni suo fattore viene detto polinomio irriducibile. Un polinomio a una incognita e coefficienti complessi ammette un'unica fattorizzazione in prodotto di polinomi lineari (cioè di grado uno), caso particolare del teorema fondamentale dell'algebra. I polinomi a coefficienti interi sono fondamentali per l'algebra computazionale. Ci sono algoritmi computazionali efficienti per il calcolo completo di un anello polinomiale a coefficienti razionali (si veda la scomposizione dei polinomi).
Un anello commutativo che ha una fattorizzazione unica è detto dominio a fattorizzazione unica. Ci sono sistemi numerici come certi anelli di interi algebrici, che non sono domini a fattorizzazione unica. Tuttavia, essi soddisfano la proprietà più debole di essere un dominio di Dedekind: gli ideali ammettono fattorizzazione unica in ideali primi.
La fattorizzazione si può riferire a un concetto più generale di scomposizione di un oggetto matematico in un prodotto di oggetti più piccoli o più semplici. Per esempio, ogni funzione può essere fattorizzata nella composizione di una funzione suriettiva con una funzione iniettiva. Le matrici hanno molti tipi di fattorizzazione in prodotti di matrici. Per esempio, ogni matrice ha un'unica fattorizzazione LUP consistente nel prodotto di una matrice triangolare inferiore , avente tutti gli elementi della diagonale uguali a 1, per una matrice triangolare superiore , e per una matrice di permutazione .
Numeri interi
Dal teorema fondamentale dell'aritmetica si ha che ogni numero intero maggiore di 1 ha un'unica fattorizzazione in numeri primi, cioè in numeri interi che non possono essere a loro volta fattorizzati in interi maggiori dell'unità.
Per calcolare la fattorizzazione di un intero , occorre un algoritmo per trovare un divisore di a meno che sia primo. Nel caso che si sia trovato un divisore, la ripetizione dell'algoritmo ai fattori e / si concluderà alla fine con il completamento della fattorizzazione di .
Per trovare un divisore di , se esiste, è sufficiente verificare tutti i valori di tali che e . Infatti, se è un divisore di e , allora è un divisore di tale che .
Se si provano i valori di in ordine crescente, il primo divisore trovato è necessariamente un numero primo, e il cofattore non può avere un divisore minore di . Per ottenere la completa fattorizzazione, è perciò sufficiente ripetere l'algoritmo cercando un divisore di non minore di e non maggiore di .
Non occorre verificare tutti i valori di per applicare il metodo. In linea di principio è sufficiente provare con divisori primi. Per fare ciò occorre avere una tabella di numeri primi, magari ottenuta con il crivello di Eratostene. Poiché il metodo di fattorizzazione indicato è essenzialmente lo stesso del crivello, è in generale più efficiente cercare un divisore solo per quei numeri per i quali non è immediatamente chiaro se siano primi o no. Normalmente si procede con i divisori 2,3,5 e i numeri , che abbiano come cifra delle unità 1,3,7,9 e che la somma delle cifre di non sia multipla di 3.
Questo metodo funziona bene per fattorizzare piccoli interi, ma è inefficiente per grandi interi. Ad esempio, Pierre de Fermat non fu in grado di scoprire che il sesto numero di Fermat
non è un primo. Infatti, l'applicazione del metodo riportato richiederebbe più di 10 000 divisioni, per quel numero di 10 cifre.
Ci sono algoritmi più efficienti, ma non ancora abbastanza. Allo stato attuale dell'arte non si riesce ancora a fattorizzare, pur con i calcolatori più potenti, un numero che abbia 500 cifre e sia il prodotto di due primi scelti a caso. Questa incapacità garantisce la sicurezza su cui si basa il sistema di crittografia RSA, che è largamente usato per la protezione delle comunicazioni internet.
Esempio
Per fattorizzare in un prodotto di primi:
Iniziare con la divisione per 2 (n è pari) e . Continuare con 693, e 2 come primo candidato divisore.
693 è dispari (2 non è un suo divisore), ma è multiplo di 3: si ottiene e Continuare con 231, e 3 come primo candidato divisore.
Anche 231 è multiplo di 3: si ottiene , e quindi Continuare con 77, e 3 come primo candidato divisore.
77 non è multiplo di 3, perché la somma delle cifre è 14 che non è multiplo di 3. Non è neanche multiplo di 5 perché la cifra delle unità è 7. Il prossimo divisore da cercare è perciò 7. Si ottiene e quindi Si verifica facilmente che 7 è primo. Continuare con 11, e 7 come primo candidato divisore.
Siccome il processo è terminato. Perciò 11 è primo, e la fattorizzazione completa in primi risulta
Espressioni
La manipolazione delle espressioni è alla base dell'algebra. La fattorizzazione è uno dei più importanti metodi di manipolazione delle espressioni per diversi motivi. Se si riesce a rappresentare un'equazione in forma fattorizzata , il problema di risolvere l'equazione si suddivide in due problemi indipendenti (e di solito più facili): e . In una espressione fattorizzata, i fattori sono molto più semplici, e offrono quindi una migliore visione del problema. Per esempio:
che contiene 16 moltiplicazioni, 4 sottrazioni e 3 addizioni, può essere fattorizzata in un'espressione molto più semplice
con solo tre moltiplicazioni e tre sottrazioni. Inoltre la forma fattorizzata indica già quali sono le radici del polinomio.
La fattorizzazione non è sempre possibile, e quando lo è i fattori non sono sempre più semplici. Per esempio, può essere fattorizzato in due fattori irriducibili e
Sono stati sviluppati vari metodi per trovare le fattorizzazioni, alcuni sono descritti più avanti.
La risoluzione di equazioni algebriche può essere vista come un problema di fattorizzazione di polinomi. Infatti il teorema fondamentale dell'algebra può essere espresso come segue: ogni polinomio in di grado con coefficienti complessi può essere fattorizzato in fattori lineari con , dove gli sono le radici del polinomio. Anche se la struttura della fattorizzazione è nota in questi casi, gli , in genere non possono essere calcolati in termini di radicali (cioè mediante radici -esime), per il teorema di Abel-Ruffini. In molti casi il meglio che si può fare è calcolare valori approssimati delle radici con appositi algoritmi.
Storia della fattorizzazione delle espressioni
L'uso sistematico di manipolazioni algbriche per semplificare le espressioni (più precisamente le equazioni) può essere datato dal secolo IX, con il testo Breve opera sul calcolo di spostare e raccogliere di al-Khwarizmi che è intitolato con due tipi di manipolazioni.
Tuttavia, persino per le soluzioni delle equazioni di secondo grado, il metodo di fattorizzazione non era in uso prima del lavoro di Harriot pubblicato nel 1631, dieci anni dopo la sua morte.
Nel suo libro Artis Analyticae Praxis ad Aequationes Algebraicas Resolvendas, Harriot disegna tabelle per l'addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione di monomi, binomi e trinomi. Successivamente, in una seconda sezione, egli imposta l'equazione e mostra che essa ha la forma di una moltiplicazione precedentemente indicata, dando la sua fattorizzazione .
Metodi generali
I seguenti metodi si applicano a qualsiasi espressione fatta di somme o che può essere trasformata in somme. Quindi essi sono applicati spesso ai polinomi, anche quando i termini delle somme non sono monomi, ma prodotti di variabili e costanti.
Fattori comuni
Può verificarsi il caso che tutti i termini della somma siano costituiti da prodotti e che alcuni fattori siano comuni a tutti i termini. In questo caso la proprietà distributiva permette il loro raccoglimento a fattor comune totale. Se ci sono diversi fattori comuni, conviene raccogliere a fattor comune il loro massimo comun divisore (MCD).
Per esempio,
poiché 2 è l'MCD di 6, 8, 10, e divide tutti i termini.
Raggruppamento
Il raggruppamento di termini permette di usare altri metodi di fattorizzazione.
Ad esempio, per fattorizzare
si nota che i primi due termini hanno in comune il fattore , e gli ultimi due hanno in comune il fattore . Quindi
Poi risulta evidente il fattore in comune e quindi
In generale, questo metodo funziona per somme di quattro termini che sono il risultato del prodotto di due binomi. In qualche caso, non frequente, anche in esempi più complicati.
Addizione e sottrazione di termini
Qualche volta il raggruppamento di alcuni termini appare come parte di un prodotto notevole. In questo caso è utile aggiungere i termini mancanti e nello stesso tempo sottrarli per non alterare il valore dell'espressione. Un tipico uso è il metodo del completamento del quadrato per ottenere una forma quadratica.
Un altro esempio è la fattorizzazione di . Se si introduce l'unità immaginaria , comunemente denotata con , si ottiene una differenza di quadrati
Nel caso si volesse anche una fattorizzazione con coefficienti reali, si può aggiungere e sottrarre . Raggruppando tre termini si può riconoscere il quadrato di un binomio
Inoltre, sottraendo e aggiungendo si ottiene la fattorizzazione
Queste fattorizzazioni funzionano non solo con i numeri complessi, ma anche per ogni campo di numeri, ove uno dei valori -1, 2, -2 sia un quadrato. In un campo finito, il prodotto di due numeri, che non siano dei quadrati, è un quadrato; ciò implica che il polinomio , che è irriducibile nel campo degli interi, diventa riducibile modulo un primo. Per esempio,
poiché
poiché
poiché
Prodotti notevoli
Molte identità rappresentano un'uguaglianza tra una somma e un prodotto. I precedenti metodi possono mettere in evidenza la parte somma di un'identità che quindi può essere sostituita con il suo prodotto.
Di seguito sono riportate identità in forma generalizzata (tramite le variabili e rappresentanti parti dell'espressione originale da fattorizzare).
Differenza tra due quadrati
Per esempio,
Somma/differenza di due cubi
Differenza di due potenze di quarto grado
Somma/differenza di due valori all'-esima potenza
Nelle seguenti identità i fattori sono spesso a loro volta fattorizzabili.
Differenza con esponente pari
Differenza, con qualsiasi esponente
Questo è un esempio di fattori più numerosi della somma da fattorizzare.
Somma con esponente dispari
(ottenuta scambiando con nella precedente formula)
Somma con esponente pari
Se l'esponente è una potenza di 2, l'espressione non può, in generale, essere fattorizzata senza usare numeri complessi (se e contengono numeri complessi potrebbe non essere vero). Se ha un divisore dispari, cioè se con dispari, si può
usare la formula precedente ("Somma con esponente dispari") e applicarla a
Trinomi e formule cubiche
Sviluppi binomiali
Nel teorema binomiale ci sono delle forme facilmente riconoscibili in base ai numeri interi presenti di grado piccolo:
In generale, i coefficienti degli sviluppi di e sono i coefficienti binomiali, che appaiono nella -esima riga del triangolo di Pascal.
Radici dell'unità
Le radici -esime dell'unità sono quei numeri complessi ciascuno dei quali è la radice del polinomio . Essi sono perciò i numeri
per
Dal cui segue che per ogni coppia di espressioni e , si ha:
Se ambedue sono espressioni reali, e si desiderano fattori reali, occorre rimpiazzare ogni coppia di fattori complessi coniugati con i suoi prodotti. Poiché il complesso coniugato di è e
si hanno le seguenti fattorizzazioni reali (si passa dall'una all'altra sostituendo con o con , e applicando le solite formule trigonometriche:
I coseni che appaiono in queste fattorizzazioni sono numeri algebrici, che possono essere espressi in termini di radicali (possibile in quanto il loro gruppo di Galois è ciclico); tuttavia, queste espressioni radicali sono troppo complicate da usare, con l'eccezione per piccoli valori di . Per esempio,
Spesso si desidera una fattorizzazione con coefficienti razionali. Esse implicano polinomi ciclotomici. Per ottenere fattorizzazioni razionali di somme e differenze o di potenze, è necessaria una notazione per l'omogeneizzazione di un polinomio: se , la sua omogeneizzazione è il polinomio a due variabili . Allora si ottiene
dove i prodotti si riferiscono a tutti i divisori di , o di che non sono divisori di , e è l'-esimo polinomio ciclotomico.
Per esempio:
poiché i divisori di 6 sono 1,2,3,6, e i divisori di 12 che non dividono 6 sono 4 e 12.
Polinomi
Per i polinomi la fattorizzazione è strettamente legata al problema della soluzione di una equazione algebrica. Un'equazione algebrica ha la forma
dove è un polinomio in con . Una soluzione di questa equazione (chiamata anche radice del polinomio) è un valore di tale che
Se è una fattorizzazione di come prodotto di due polinomi, allora le radici di sono l'unione delle radici di e quelle di . Per cui la soluzione di è ridotta ai più semplici problemi di risolvere e .
All'opposto, il teorema del fattore asserisce che se è una radice di , allora può essere fattorizzato come
dove è il quoziente di una divisione euclidea (vedi regola di Ruffini) di per il fattore lineare .
Se i coefficienti di sono reali o complessi, il teorema fondamentale dell'algebra afferma che ha una radice reale o complessa. Utilizzando ricorsivamente il
teorema del fattore, risulta che
dove sono le radici reali o complesse di , con alcune di esse anche ripetute. Tale fattorizzazione completa è unica.
Se i coefficienti di sono reali, in generale si preferisce che anche la fattorizzazione abbia coefficienti reali. In questo caso, nella fattorizzazione completa possono esserci fattori quadratici. Questa fattorizzazione può facilmente essere dedotta dalla fattorizzazione completa precedente. Infatti, se è una radice non reale di , allora il suo complesso coniugato è anch'esso una radice di . Per cui, il prodotto
è un fattore di con coefficienti reali. Ripetendo l'operazione per tutti i fattori non reali si ottiene una fattorizzazione con fattori reali lineari o quadratici.
Per calcolare questi fattori, reali o complessi, occorre trovare le radici del polinomio, che possono non essere esatte, ma solo approssimate tramite algoritmi di calcolo delle radici.
In pratica, molte equazioni algebriche di interesse hanno coefficienti interi o razionali e si desidera lo stesso per la fattorizzazione. Il teorema fondamentale dell'aritmetica può essere generalizzato a questo caso, in quanto i polinomi con coefficienti interi o razionali hanno anch'essi la proprietà di avere un'unica fattorizzazione. Più precisamente, ogni polinomio con coefficienti razionali può essere fattorizzato nel prodotto
dove è un numero razionale e sono polinomi variabili a coefficienti interi che sono polinomi irriducibili e primitivi; ciò significa che nessuno dei può essere scritto come prodotto di due polinomi (con coefficienti interi) che non siano 1 o -1 (gli interi sono considerati come polinomi di grado zero). Inoltre, questa fattorizzazione è unica a meno dell'ordine e del segno dei fattori.
Ci sono efficienti algoritmi per calcolare le fattorizzazioni, utilizzati dalla maggior parte dei calcolatori algebrici. Si veda scomposizione dei polinomi. Sfortunatamente questi algoritmi sono troppo complicati da utilizzare sulla carta. A parte il calcolo euristico sopra accennato, solo pochi metodi si prestano a un calcolo manuale, e sono per polinomi di grado minore, con pochi coefficienti maggiori di zero. I principali di questi metodi sono descritti qui di seguito.
Fattorizzazione in parte primitiva e contenuto
Ogni polinomio a coefficienti razionali può essere fattorizzato in un unico modo come prodotto di un numero razionale e un polinomio a coefficienti interi primitivo (cioè l'MCD dei coefficienti è 1) e ha un coefficiente positivo iniziale (coefficiente del termine con il grado più elevato). Ad esempio:
In questa fattorizzazione, il numero razionale è detto contenuto e il polinomio primitivo è detto parte primitiva. Il calcolo di questa fattorizzazione può essere fatto come segue:
Ridurre i coeficienti a un comune denominatore, per ottenere il quoziente intero di un polinomio a coefficienti interi.
Raccogliere a fattore comune l'MCD dei coefficienti di questo polinomio per ottenere la parte primitiva, essendo il contenuto .
Se necessario, cambiare di segno e tutti i coefficienti della parte primitiva.
Questa fattorizzazione può portare a un'espressione più estesa di quella originale (tipicamente quando ci sono molti denominatori interi coprimi), ma ciò nonostante la parte primitiva è generalmente più facile da manipolare per ulteriori fattorizzazioni.
Utilizzo del teorema del fattore
Il teorema del fattore afferma che se è una radice di un polinomio
con , allora esiste una fattorizzazione
dove
con . Il risultato della divisione lunga di un polinomio o quella sintetica è allora:
Tutto questo può essere utile quando si conosce o si intuisce qual è la radice del polinomio.
Ad esempio, per si può facilmente vedere che la somma dei coefficienti è 0, per cui è la radice. Siccome e , si ha
Radici razionali
Per i polinomi a coeffienti razionali, si può cercare le sue radici razionali. La precedente fattorizzazione parte primitiva-contenuto riduce il problema della ricerca di radici razionali al caso di polinomi a coefficienti interi non aventi un MCD > 1.
Se è una radice razionale di detto polinomio
il teorema del fattore mostra che si ha la fattorizzazione
dove ambedue i fattori hanno coefficienti interi (il fatto che ha coefficienti interi risulta dalla formula sopraccitata del quoziente di diviso per ).
La comparazione dei coefficienti di grado con i coefficienti costanti dell'uguaglianza sopra, mostra che se è una radice razionale, in forma ridotta, allora è un divisore di e è un divisore di . Perciò c'è un numero finito di possibilità per e , che possono essere sistematicamente esaminate.
Ad esempio, se il polinomio
ha radici razionali con , allora deve dividere 6; cioè e deve dividere 2, quindi . Inoltre, se , i termini del polinomio sono negativi, e perciò una radice non può essere negativa. Si deve quindi avere
Un calcolo diretto mostra che solo è una radice, per cui non possono esserci altre radici razionali. Applicando il teorema del fattore si arriva finalmente alla fattorizzazione
Metodo quadratico AC
Questo metodo può essere adatto ai polinomi quadratici detto metodo AC di fattorizzazione.
Si consideri il polinomio quadratico
con coefficienti interi. Se esso ha una radice razionale, il suo denominatore deve essere un divisore di e può essere scritto possibilmente come una frazione riducibile . Tramite le formule di Viète, l'altra radice è
con . Quindi anche la seconda radice è razionale, e la seconda formula di Viète porta a
cioè
Controllando tutte le coppie di interi il cui prodotto è si ottengono, se esistono, le radici razionali.
Ad esempio, consideriamo il polinomio quadratico
Analizzando i possibili fattori di si trova , danno le radici
e la fattorizzazione
Utilizzo di formule per le radici dei polinomi
Qualsiasi polinomio quadratico a un'incognita può essere fattorizzato con la formula quadratica:
dove e sono le due radici del polinomio.
Se sono variabili reali, i fattori sono anch'essi reali se e solo se il discriminante è positivo. Altrimenti, il polinomio non può essere fattorizzato in fattori reali variabili.
La formula è valida quando i coefficienti appartengono a una caratteristica del campo numerico diversa da due, e in particolare, per coefficienti di un campo finito con un numero dispari di elementi.
Ci sono pure formule per le radici dei polinomi cubici e quartici che sono, in generale, troppo complicate per un uso pratico. Il teorema di Abel-Ruffini afferma che non possono esserci formule generali per le radici di polinomi di grado cinque o superiore.
Utilizzo delle relazioni tra radici
Può capitare che si conosca qualche relazione tra le radici di un polinomio e i suoi coefficienti. L'uso di questa conoscenza può aiutare il lavoro di fattorizzazione del polinomio e la ricerca delle sue radici. La teoria di Galois è basata su uno studio sistematico di queste relazioni che includono le formule di Viète.
Qui ci limitiamo a considerare il caso più semplice di due radici e di un polinomio che soddisfa la relazione
dove è un polinomio.
Questo implica che è una radice comune a e , è quindi una radice del polinomio MCD di questi due polinomi. Da ciò segue che questo MCD è un fattore variabile di La divisione dei polinomi consente il calcolo dell'MCD.
Ad esempio, se si conosce o si intuisce che: ha due radici la cui somma è zero, si può applicare l'algoritmo euclideo a e . Il primo passo della divisione consiste nell'aggiungere a ottenendo il resto di
Poi, dividendo per ottenendo zero come nuovo resto, e come quoziente, arrivando così alla completa fattorizzazione
Domini a fattorizzazione unica
Gli interi e i polinomi di un campo condividono la proprietà della fattorizzazione unica, cioè, ogni elemento diverso da zero può essere fattoirizzato in un prodotto di un elemento invertibile (una unità, nel caso degli interi) e un prodotto di elementi irriducibili (numeri primi nel caso degli interi), e questa fattorizzazione è unica a meno dell'ordine degli elementi e dello spostamento delle unità tra i fattori. I domini di integrità che condividono questa proprietà sono detti domini a fattorizzazione unica (UFD).
L'MCD esiste negli UFD, e di converso, ogni dominio di integrità, nei quali esiste l'MCD, è un UFD. Ogni dominio ad ideali principali è un UFD.
Un dominio euclideo è un dominio di integrità nel quale è definita una divisione euclidea simile a quella degli interi. Ogni dominio euclideo è un dominio di ideali principale, e perciò un UFD.
In un dominio euclideo, la divisione euclidea consente la definizione di un algoritmo euclideo per il calcolo dell'MCD. Tuttavia, ciò non implica l'esistenza di un algoritmo di fattorizzazione. C'è un esempio esplicito di un campo in cui non può esistere qualsiasi algoritmo di fattorizzazione nel dominio euclideo dei polinomi a una incognita di .
Ideali
Nella teoria dei numeri algebrici, lo studio delle equazioni diofantee indusse i matematici, durante il XIX secolo, a introdurre una generalizzazione dei numeri interi detti interi algebrici. Il primo anello di interi algebrici preso in considerazione fu l'intero gaussiano e l'intero di Eisenstein, che condividono con gli interi usuali la proprietà di essere dominio ad ideali principali, aventi perciò la proprietà della fattorizzazione unica.
Sfortunatamente, la maggior parte degli algebrici interi si rivelarono subito come non principali e senza una fattorizzazione unica. Il più semplice di essi è nel quale
e tutti questi generi di fattori sono irriducibili.
Questa mancanza di un'unica fattorizzazione è una delle maggiori difficoltà per la soluzione delle equazioni diofantee. Per esempio, molte dimostrazioni errate dell'ultimo teorema di Fermat (probabilmente quelle dello stesso Pierre de Fermat) erano basate sull'implicita ipotesi della fattorizzazione unica.
Questa difficoltà fu risolta da Dedekind, che dimostrò che gli anelli degli interi algebrici hanno un'unica fattorizzazione in ideali: in questi anelli ogni ideale è il prodotto di primi ideali, e questa fattorizzazione è unica. I domini di integrità che possiedono questa proprietà di fattorizzazione unica sono ora detti domini di Dedekind. Essi hanno molte proprietà interessanti che li rendono fondamentali nella teoria dei numeri algebrici.
Matrici
Gli anelli di matrici sono non commutativi e non hanno un'unica fattorizzazione: ci sono, in generale, molti modi di scrivere una matrice come prodotto di matrici. Per cui il problema della fattorizzazione consiste nel trovare fattori di un tipo specifico. Per esempio, la decomposizione LU porta a una matrice risultante dal prodotto di una matrice triangolare inferiore (L) per una matrice triangolare superiore (U). Siccome ciò non è sempre possibile, in generale, si prova la decomposizione LUP avente una matrice di permutazione come terzo fattore.
Si veda la decomposizione di una matrice per i tipi più comuni di fattorizzazione di matrici.
Una matrice logica rappresenta una relazione binaria, e la moltiplicazione di matrici corrisponde a una composizione di relazioni. Scomporre una relazione tramite fattorizzazione serve a dare un profilo alla natura della relazione, come per esempio una relazione difunzionale.
Note
Voci correlate
Metodo di fattorizzazione di Eulero
Metodo di fattorizzazione di Fermat
Fattorizzazione dei monoidi
Partizione prodotto
Collegamenti esterni
Matematica di base
Algebra elementare |
1824 | https://it.wikipedia.org/wiki/File%20Transfer%20Protocol | File Transfer Protocol | File Transfer Protocol (FTP) (protocollo di trasferimento file), in informatica e nelle telecomunicazioni,
è un protocollo di livello applicativo per la trasmissione di dati tra host
basato su TCP e con architettura di tipo client-server.
Il protocollo usa connessioni TCP distinte per trasferire i dati e per controllare i trasferimenti e richiede autenticazione del client tramite nome utente e password, sebbene il server possa essere configurato per connessioni anonime con credenziali fittizie.
Dato che FTP trasmette in chiaro sia tali credenziali sia ogni altra comunicazione, e visto che non dispone di meccanismi di autenticazione del server presso il client, il protocollo è spesso reso sicuro utilizzando un sottostrato SSL/TLS e tale variante è chiamata FTPS.
L'acronimo SFTP designa invece un altro protocollo che, pur essendo molto simile a quest'ultimo dal punto di vista funzionale, è alquanto diverso da quello tecnologico: SSH File Transfer Protocol.
Storia
FTP è uno dei primi protocolli definiti della Rete Internet e ha subito una lunga evoluzione negli anni. La prima specifica, sviluppata presso il MIT, risale al 1971 (RFC-114). L'attuale specifica fa riferimento all'RFC-959.
Gli obiettivi principali di FTP descritti nella sua RFC ufficiale furono:
Promuovere la condivisione di file (programmi o dati)
Incoraggiare l'uso indiretto o implicito di computer remoti.
Risolvere in maniera trasparente incompatibilità tra differenti sistemi di stoccaggio file tra host.
Trasferire dati in maniera affidabile ed efficiente.
Descrizione
Modello
Dove:
PI (protocol interpreter) è l'interprete del protocollo, utilizzato da client (User-PI) e server (Server-PI) per lo scambio di comandi e risposte. In gergo comune ci si riferisce a esso come "canale comandi".
DTP (data transfer process) è il processo di trasferimento dati, utilizzato da client (User-DTP) e server (Server-DTP) per lo scambio di dati. In gergo comune ci si riferisce a esso come "canale dati".
Funzionamento generale
FTP, a differenza di altri protocolli come per esempio HTTP, utilizza due connessioni separate per gestire comandi e dati. Un server FTP generalmente rimane in ascolto sulla porta 21 TCP a cui si connette il client. La connessione da parte del client determina l'inizializzazione del canale comandi attraverso il quale client e server si scambiano comandi e risposte. Lo scambio effettivo di dati (come per esempio un file) richiede l'apertura del canale dati, che può essere di due tipi.
In un canale dati di tipo attivo il client apre una porta solitamente casuale, tramite il canale comandi rende noto il numero di tale porta al server e attende che si connetta. Una volta che il server ha attivato la connessione dati al client FTP, quest'ultimo effettua il binding della porta sorgente alla porta 20 del server FTP. A tale scopo possono venire impiegati i comandi PORT o EPRT, a seconda del protocollo di rete utilizzato (in genere IPv4 o IPv6).
In un canale dati di tipo passivo il server apre una porta solitamente casuale (superiore alla 1023), tramite il canale comandi rende noto il numero di tale porta al client e attende che si connetta. A tale scopo possono venire impiegati i comandi PASV o EPSV, a seconda del protocollo di rete utilizzato (in genere IPv4 o IPv6).
Sia il canale comandi, sia il canale dati sono delle connessioni TCP; FTP crea un nuovo canale dati per ogni file trasferito all'interno della sessione utente, mentre il canale comandi rimane aperto per l'intera durata della sessione utente, in altre parole il canale comandi è persistente mentre il canale dati è non persistente.
Un server FTP offre svariate funzioni che permettono al client di interagire con il suo filesystem e i file che lo popolano, tra cui:
Download/upload di file.
Resume di trasferimenti interrotti.
Rimozione e rinomina di file.
Creazione di directory.
Navigazione tra directory.
FTP fornisce inoltre un sistema di autenticazione in chiaro (non criptato) degli accessi. Il client che si connette potrebbe dover fornire delle credenziali a seconda delle quali gli saranno assegnati determinati privilegi per poter operare sul filesystem. L'autenticazione cosiddetta "anonima" prevede che il client non specifichi nessuna password di accesso e che lo stesso abbia privilegi che sono generalmente di "sola lettura".
Comandi
Lista dei comandi definiti nella RFC-959.
Codici di risposta
1xx: Risposta positiva preliminare. L'azione richiesta è incominciata ma ci sarà un'altra risposta a indicare che essa è effettivamente completata.
2xx: Risposta positiva definitiva. L'azione richiesta è completata. Il client può ora mandare altri comandi.
3xx: Risposta positiva intermedia. Il comando è stato accettato ma è necessario mandarne un secondo affinché la richiesta sia completata definitivamente.
4xx: Risposta negativa temporanea. Il comando non è andato a buon fine ma potrebbe funzionare in un secondo momento.
5xx: Risposta negativa definitiva. Il comando non è andato a buon fine e il client non dovrebbe più ripeterlo.
x0x: Errore di sintassi.
x1x: Risposta a una richiesta informativa.
x2x: Risposta relativa alla connessione.
x3x: Risposta relativa all'account e/o ai permessi.
x4x: Non meglio specificato.
x5x: Risposta relativa al file-system.
Problemi relativi alla sicurezza
La specifica originale di FTP non prevede alcuna cifratura per i dati scambiati tra client e server. Questo comprende nomi utenti, password, comandi, codici di risposta e file trasferiti i quali possono essere "sniffati" o visionati da malintenzionati in determinate situazioni (esempio: ambienti intranet).
Il problema è comune a diversi altri protocolli utilizzati prima della diffusione di SSL quali HTTP, TELNET e SMTP. Per ovviare al problema è stata definita una nuova specifica che aggiunge al protocollo FTP originale un layer di cifratura SSL/TLS più una nuova serie di comandi e codici di risposta.
Il protocollo prende il nome di FTPS ed è definito nella RFC-4217.
Da non confondersi con SFTP che è comunque una valida alternativa per ovviare al problema descritto.
Applicazioni che utilizzano FTP
FileZilla, Fire Downloader, gFTP, JDownloader sono alcuni dei tanti gestori di download che permettono di trasferire i dati mediante connessione FTP.
Tuttavia nei sistemi operativi, in genere, si può effettuare l'accesso anche tramite riga di comando.
Server FTP
Alcuni server FTP popolari sono:
FileZilla Server (Windows e Linux)
Titan FTP Server (Windows)
Pure-FTPd (Unix)
VsFTPd (Unix)
ProFTPd (Unix)
Note
Voci correlate
Hypertext Transfer Protocol
Protocollo (informatica)
Protocollo di rete
Altri progetti
Collegamenti esterni
RFC 959 FTP (traduzione in italiano)
RFC 2228 FTP Security Extensions
RFC 2640 Internationalization of FTP
RFC 4217 Securing FTP with TLS
Difference Between FTP and SFTP
Difference Between Active and Passive FTP
Test di FTP Server Online
Massachusetts Institute of Technology |
1829 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fauna%20italiana | Fauna italiana | La fauna italiana è l'insieme delle specie animali viventi allo stato selvatico all'interno del territorio italiano. In base ai dati forniti dallAnnuario Dati Ambientali ISPRA (aggiornato al 2018), la fauna italiana comprende circa specie – includendo anche specie di protozoi, che, per la vicinanza filogenetica al regno animale, vengono considerati parte integrante della fauna –, in tutto equivalente a più di un terzo dell'intera fauna europea, portando così l'Italia al primo posto in Europa per biodiversità.
Il gruppo più rappresentato è quello degli invertebrati ( specie, quasi il 95%), costituito essenzialmente dal phylum degli artropodi ( specie, circa l'80% della fauna italiana), dominato a sua volta dalla classe degli insetti.
I vertebrati costituiscono invece solo il 2,2% ( specie), con: 127 specie di mammiferi, 473 di uccelli, 52 di rettili, 38 di anfibi e 568 di pesci.
La checklist delle specie della fauna d'Italia include specie animali endemiche, che equivalgono all'8,6% del totale.
Le ragioni della biodiversità
L'Italia presenta il maggiore livello di biodiversità in Europa, con oltre specie segnalate: si tratta di più di un terzo dell'intera fauna europea.
Questo è dovuto principalmente a:
Posizione geografica: l'Italia è uno dei paesi più meridionali d'Europa, ed è circondata dal mare su tre lati. Presenta chilometri di coste e la sua posizione al centro del mar Mediterraneo la rende un corridoio tra l'Europa centrale, il sud Europa e il Nordafrica. Le specie presenti sul territorio italiano, inoltre, provengono anche dai Balcani, dall'Eurasia e dal Medio Oriente. L'avifauna italiana risente positivamente anche della vicinanza con l'Africa, mentre la penisola e le isole (anche attraverso il ponte Corsica-Sardegna) sono un punto di passaggio fondamentale per gli uccelli migratori, che in alcuni casi possono diventare stanziali, come, per esempio, i fenicotteri.
Variegata struttura geologica del territorio.
Presenza di alte catene montuose, soprattutto le Alpi e gli Appennini.
Diversità di clima e di habitat: un arco alpino molto ampio al Nord con ambienti glaciali e foreste di conifere, boschi e fiumi al centro, gariga e macchia mediterranea al Sud.
Notevole diversità di specie botaniche (9 000 specie: almeno la metà del totale europeo, di cui numerose però introdotte dall'uomo sin da epoche protostoriche, come ulivo, cipresso, pino marittimo, pino d'Aleppo, castagno, vite, ecc.).
L'86% della fauna italiana è terrestre e il 14% acquatico. Gli insetti rappresentano circa i due terzi dell'intera fauna.
Va rimarcato, poi, che l'Italia risente della presenza umana, che ha determinato sia l'estinzione di alcune specie in epoca storica o tardo-preistorica (uro, bisonte, leone euroasiatico, prolago sardo, ecc.; talvolta, con estinzioni locali e poi ritorni da aree vicine, come nei casi della lince e dello sciacallo) sia l'introduzione di specie animali e vegetali, dapprima da tutto il bacino euro-mediterraneo e dall'Oriente (già in epoca classica romana e preromana, come la carpa, il coniglio selvatico iberico, il daino, ecc.; molto maggiore fu il carico di specie vegetali naturalizzate) e, poi, nell'età moderna e nel Novecento, da tutto il mondo. In molti casi, le specie introdotte si sono adattate senza creare eccessivi disturbi agli animali nativi (come i fagiani e gli altri uccelli da cacciagione introdotti nel Cinquecento) o con danni minimi (ad esempio, il persico sole), altre, invece, si sono rivelate invasive e dannose per la fauna autoctona, che tendono a sostituire (come lo scoiattolo grigio americano a danno dello scoiattolo rosso e il gambero della Louisiana ai danni del gambero di fiume). Inoltre, buona parte delle specie selvatiche italiane, soprattutto quelle di mammiferi di taglia medio-grande, devono la loro sopravvivenza ed esistenza all'intervento dell'uomo avvenuto nel corso del tempo, in particolare all'attività venatoria medievale, che contribuì a selezionare, incrociare, diffondere o ridurre la presenza di alcuni animali. L'estinzione di alcune specie preistoriche, come il cavallo selvatico (Equus ferus) e l'asino selvatico (Equus hydruntinus), sono state localmente rimpiazzate dal rinselvatichimento di cavalli (talvolta, anche in areali in cui le specie selvatiche non esistevano, come i cavalli di Giara) e di asini.
Ecoregioni
La maggior parte del territorio italiano è compreso nel bacino del Mediterraneo. Importanti ecoregioni terrestri includono: la tundra e la foresta di conifere sulle Alpi, la foresta decidua illirica, le foreste semi-decidue e a sclerofille italiane, le foreste miste dell'Appennino meridionale, le foreste a sclerofille e miste tirreniche e adriatiche, le foreste decidue appenniniche, le foreste miste dinariche e le foreste miste del bacino del Po. Ci sono inoltre molti sistemi di grotte, importanti per la biodiversità.
Vertebrati
Mammiferi
La fauna è costituita soprattutto da animali tipici delle montagne, delle pianure e della macchia mediterranea. Animali diffusi ovunque in Italia sono i mustelidi: la donnola, il tasso, l'ermellino (solo sull'Arco Alpino), la faina, la puzzola e la martora; discorso diverso va fatto per la lontra: essa è stata sterminata in gran parte del paese ed è, oggi, presente stabilmente in Basilicata, Calabria, Campania e Puglia, ma sta tornando a ripopolare anche i corsi d'acqua dell'Abruzzo e del Molise. I felidi sono rappresentati dal gatto selvatico europeo, presente stabilmente nell'area centro-meridionale e con avvistamenti sporadici al nord, e dalla lince eurasiatica: essa era un tempo presente in tutta la penisola, ma col tempo venne sterminata ovunque; oggi sta tornando a ripopolare le Alpi orientali grazie alle popolazioni austriache e slovene. I canidi in Italia sono abbastanza diffusi: la volpe rossa, ad esempio, è molto comune in Italia; il lupo, invece, venne quasi sterminato, ma a partire dal 1970 i pochi esemplari rimasti sono tornati a colonizzare le montagne e, da allora, l'Appennino presenta popolazioni di lupo stabili anche grazie alla presenza dei vari parchi nazionali. L'animale sta però tornando a popolare anche le Alpi italiane; il suo isolamento, nel corso dei millenni, ha portato alla genesi di una sottospecie a sé stante, endemica della penisola italiana, il lupo appenninico. L'altro canide presente in Italia è lo sciacallo dorato, animale non autoctono, tipico dell'area balcanica, che negli ultimi anni si è spinto in Italia dalla vicina Slovenia e che sta gradualmente espandendo il suo areale verso sud. Si crede che l'orso bruno fosse un tempo diffuso su tutta la penisola, ma oggi ne sopravvivono pochi esemplari: una buona popolazione che si sposta dal Trentino-Alto Adige alle altre aree del nord grazie a progetti europei di reintroduzione e una popolazione isolata in Abruzzo dell'orso marsicano, sottospecie a sé stante dell'orso bruno ed autoctona dell'Italia centro-meridionale, in forte rischio di estinzione. Tra gli ungulati sono diffusi: il cervo nobile, il capriolo, presente anche con una sottospecie endemica, il capriolo italico, tipica della Toscana, ma è stato introdotto in altre aree, come il parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, il parco nazionale del Gran Sasso, il Gargano, la tenuta di Castelporziano e in Calabria, il daino, il camoscio alpino, il muflone (in Sardegna), lo stambecco delle Alpi e il camoscio appenninico nel parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise. Sono diffusissimi i cinghiali. Alcune specie hanno recentemente passato i confini italiani entrando in Italia, un esempio è quello della genetta, animale africano presente anche in Spagna e Francia, ed è proprio da quest'ultimo paese che la genetta è arrivata in Italia per la prima volta, col primo avvistamento avvenuto nel 2008 nel parco naturale regionale delle Alpi liguri; un altro animale che ha seguito il metodo della genetta è il castoro europeo, che si estinse in Italia nel Seicento a causa della caccia indiscriminata per fabbricare pellicce e cappelli.
A novembre 2018 c'è stato il primo avvistamento di castoro sul suolo italiano dopo più di 400 anni, nel comune di Tarvisio, in Friuli-Venezia Giulia; si pensa che il castoro abbia raggiunto nuovamente l'Italia dalla vicina popolazione austriaca. Inoltre, sono presenti moltissimi animali tipici dei boschi e delle montagne, come molte sottospecie di lepre, la talpa romana, la marmotta, lo scoiattolo europeo, l'istrice, il riccio europeo, il moscardino, il topo quercino, il ghiro e l'arvicola.
Specie alloctone
A parte lo sciacallo dorato, il castoro europeo e la genetta comune, che hanno raggiunto il nostro paese naturalmente, ci sono molti altri animali che sono stati introdotti in Italia dall'uomo per svariate ragioni, che possono variare dalla caccia all'industria delle pellicce. Caso particolare è quello del procione, liberato dall'esercito statunitense nella Francia settentrionale nel 1966: da allora, l'animale ha iniziato a guadagnare sempre più terreno arrivando fino in Italia settentrionale, dove, ad oggi, sono in atto progetti di bonifica volti ad eliminare alcune popolazioni. La nutria e il visone americano furono invece importati come animali da pelliccia; successivamente alcuni esemplari fuggirono e formarono branchi in giro per l'Italia. La nutria, ad esempio, è considerata uno degli animali più invasivi al mondo e dal nord è arrivata fino alla Sicilia; similmente, si sono formati branchi di visoni in giro per il paese, alcuni dei quali autonomi anche dal punto di vista riproduttivo. L'ammotrago è stato introdotto in Italia, come è successo anche negli Stati Uniti ed in Messico, per ragioni venatorie, mentre animali come il tamia siberiano, lo scoiattolo grigio, lo scoiattolo di Pallas e lo scoiattolo di Finalyson furono introdotti come animali da compagnia oppure nei parchi cittadini, sfuggendo poi al controllo umano e determinando una forte competizione con lo scoiattolo autoctono.
Uccelli
Migrazione degli uccelli
L'Italia è un'importante rotta migratoria verso le regioni sahariane, in quanto costituisce un ponte naturale tra l'Europa continentale e l'Africa attraverso il Mediterraneo.
Gli uccelli migratori con un basso carico alare come la cicogna, il falco pecchiaiolo, il nibbio bruno, il falco di palude, il gheppio e il lodolaio eurasiatico dipendono dalle termiche e dalle correnti ascensionali per attraversare il Mediterraneo in primavera. Anche se la maggior parte di questi uccelli entrano in Europa attraverso il Bosforo o lo stretto di Gibilterra, molti partono da Capo Bon in Tunisia ed entrano in Europa passando per le Isole Eolie e lo stretto di Messina verso la Calabria. Molti di questi uccelli nidificano in Europa centrale e settentrionale. In autunno gli uccelli ritornano in Africa passando sulla stessa rotta.
Rettili
Anfibi
Pesci
Invertebrati
La fauna italiana include 56 213 specie di invertebrati che rappresentano il 97,8% sulla ricchezza totale delle specie (i vertebrati sono il 2,2%). Di questi, 37 303 specie (circa il 65%) sono insetti. La ricchezza della biodiversità italiana è una delle più alte per uno Stato europeo. Per quanto riguarda gli insetti (i più conosciuti negli altri paesi e quindi adatti a un confronto), la ricchezza di biodiversità è la più alta in assoluto (Minelli A., 1996). Nell'Italia settentrionale (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino-Alto Adige, Lombardia, Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna) sono presenti 33 414 specie di invertebrati. L'Italia peninsulare (Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata) vanta 24 297 specie. Questo potrebbe indicare un gradiente faunistico, ma per l'Italia meridionale sono disponibili dati meno completi e i biotopi sono assai differenti (Stoch F., 2004).
Fauna marina
Tipi di habitat caratteristici delle zone costiere italiane sono la biocenosi di Cystoseira e le praterie di Posidonia oceanica. Le comunità di Lithophyllum lichenoides formano reef coralligeni notevoli.
Lo stretto di Messina
Il mar Tirreno e il mar Ionio si incontrano nello stretto di Messina generando delle potenti correnti e delle forte turbolenze, aggravate dei bruschi cambi di conformazione del fondale in vicinanza della città di Messina. Di conseguenza molte specie solitamente rare nel Mediterraneo si possono trovare in gran numero nei pressi dello stretto. È piuttosto comune trovare in superficie specie tipiche delle acque più profonde e viceversa, o specie di mare aperto vicino alla spiaggia. L'acqua in risalita trascina le specie dal fondale verso la superficie fino a farle talvolta arenare sulla spiaggia. Reso famoso nel diciannovesimo secolo dagli zoologi Nikolaj Miklucho-Maklaj e Anton Dohrn, lo stretto presenta una straordinaria abbondanza di comunità planctoniche, bentoniche e pelagiche.
Migrazione lessepsiana
Dall'apertura del canale di Suez nel 1869 alcune specie invasive originarie del Mar Rosso sono diventate una componente non indifferente dell'ecosistema mediterraneo, avendo un impatto significativo sull'ecologia del Mediterraneo poiché minacciano molte specie locali ed endemiche. Circa 300 specie native del Mar Rosso sono state identificate nel Mediterraneo, ma probabilmente ce ne sono altre da scoprire. Questo fenomeno è chiamato migrazione lessepsiana.
Tropicalizzazione e meridionalizzazione del Mediterraneo
Specie aliene e introdotte
La fauna italiana è ricca di specie aliene e introdotte. Alcune di esse risalgono ai tempi dell'Impero romano, come ad esempio la carpa.
Fauna del Pleistocene
I grandi mammiferi italiani del Pleistocene provenivano principalmente dalle zone più fredde dell'Europa settentrionale. Specie tipiche sono:
Orso delle caverne
Leone delle caverne
Ippopotamo europeo
Uomo di Neanderthal
Mammut lanoso
Mammut meridionale
Palaeoloxodon antiquus
Rinoceronte lanoso
Elefanti nani
Gli elefanti nani del Pleistocene si sono evoluti a seguito di un processo di nanismo insulare in Sardegna:
Mammuthus lamarmorae
Palaeoloxodon antiquus
Palaeoloxodon melitensis
e in Sicilia e a Malta
Palaeoloxodon antiquus leonardii
Palaeoloxodon mnaidriensis
Palaeoloxodon falconeri
Altri animali del Pleistocene ritrovati in queste isole sono:
Cynotherium sardous
Hippopotamus pentlandi
Conservazione
L'Italia ha 20 parchi nazionali e 130 parchi regionali. Inoltre sono state istituite delle riserve nazionali (circa 150 zone protette da leggi dello stato), riserve regionali (un totale di 270 aree protette da leggi regionali) e 16 riserve marine.
Note
Bibliografia
Voci correlate
Geografia della Repubblica Italiana
Fauna della Sardegna
Rettili in Italia
Anfibi in Italia
Farfalle e falene endemiche dell'Italia
Flora italiana
Specie animali endemiche dell'Italia
Musei di zoologia
I musei che contengono importanti collezioni della fauna italiana e che hanno gallerie pubbliche dedicate alla fauna sono:
Il Museo di storia naturale di Trieste
Il Museo della Specola di Firenze
Il Museo di storia naturale di Ferrara
Il Museo di storia naturale di Genova
Il Museo di storia naturale di Milano
Il Museo di storia naturale di Pavia
Il Museo civico di zoologia di Roma
Il Museo civico di Rovereto
Il Museo di scienze naturali di Bergamo
Il Museo di storia naturale di Firenze
Il Museo regionale di scienze naturali di Torino
Il Museo di storia naturale di Pisa
Il Museo tridentino di scienze naturali di Trento
Il Museo di Zoologia di Napoli
Il Museo paleontologico di Montevarchi
Il Museo di Storia Naturale di Verona
Associazioni zoologiche italiane
Lega Italiana Protezione Uccelli
Unione zoologica italiana
Accademia nazionale italiana di entomologia
Società entomologica italiana
Societas Herpetologica italica
Associazione primatologica italiana
Associazione teriologica italiana
Società italiana per lo studio e la conservazione delle libellule - ODONATA.IT
Centro studi cetacei
Collegamenti esterni
Wild wonders of Europe - Galleria di immagini
Fishbase - Pesci d'Italia
Mondomarino - Galleria fotografica
www.faunaitalia.it - Checklist delle specie appartenenti alla fauna italiana.
Liste di biologia
Liste relative all'Italia |
1831 | https://it.wikipedia.org/wiki/Franco%20francese | Franco francese | Il franco francese era la valuta ufficiale della Francia prima dell'introduzione dell'euro ed era diviso in centesimi (centimes in francese). Il franco era valuta legale anche nel principato di Monaco e, insieme alla peseta spagnola, ad Andorra.
Storia
Il primo franco, il "franco a cavallo", fu battuto in Francia il 5 dicembre 1360. Era uno scudo da 3,87 grammi d'oro fino e valeva una "lira tornese", ossia 20 soldi. Nella Francia pre-rivoluzionaria franc era quindi sinonimo di livre tournois. Con la Rivoluzione francese, il franco, o "franco-oro", divenne la sola ed unica moneta legale.
Il 23 dicembre 1865 fu creata l'Unione monetaria latina, sotto forma di un'associazione monetaria che definiva i principi di uniformità monetaria in termini di peso, titolo del metallo e corso legale per le monete di quattro paesi (Francia, Belgio, Svizzera ed Italia), ai quali si unì la Grecia nel 1868. Dopo la prima guerra mondiale e la crisi economica e monetaria che ne seguì, il "franco germinale" fu sostituito dal "franco Poincaré".
Durante la seconda guerra mondiale, le zone liberate utilizzarono temporaneamente diverse denominazioni del franco legate al dollaro americano, ma il franco Poincaré tornò rapidamente a essere la moneta ufficiale nel territorio metropolitano, nei DOM (Domini d'Oltre Mare) e in Africa del Nord.
Nel 1960 vi fu una rivalutazione nominale del franco, tale che a 100 vecchi franchi corrispondesse 1 nuovo franco. Aveva ugualmente corso legale nelle regioni francesi d'oltre-mare (Guyana francese, Martinica, Guadalupa, Réunion), nei dipartimenti di Mayotte e di Saint-Pierre-et-Miquelon e nelle Terre australi e antartiche francesi.
Il 1º gennaio 1999 entrò in vigore l'euro, il cui tasso di cambio irrevocabile con il franco era stato fissato il giorno precedente in 6,55957 franchi francesi per 1 euro. Da quel momento il franco rimase in vigore solo come "espressione non decimale dell'euro", anche se monete e banconote continuavano ad essere denominate in franchi. Per tutte le forme di pagamento "non-fisiche" (trasferimenti elettronici, titoli, ecc.), invece, da quella data si adottò solo l'euro.
Il 1º gennaio 2002, con l'entrata in circolazione delle monete e banconote in euro, si aprì una fase di doppia circolazione, durata fino al 17 febbraio 2002. Le banconote in franchi francesi potevano essere cambiate in euro dalla Banca di Francia fino al 17 febbraio 2012. Per le monete, il termine è scaduto il 17 febbraio 2005.
Monete
Le monete in circolazione avevano il valore nominale di 1, 5, 10, 20 e 50 centesimi e di 1, 2, 5, 10 e 20 franchi.
Banconote
Le banconote in circolazione avevano un valore nominale di 20, 50, 100, 200 e 500 franchi.
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Note
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1832 | https://it.wikipedia.org/wiki/Franco%20belga | Franco belga | Il franco belga era la valuta del Belgio, prima dell'introduzione dell'euro.
Storia
La conquista di gran parte dell'Europa occidentale da parte della Francia prima rivoluzionaria e poi napoleonica condusse ad un'ampia circolazione del franco francese. Nei Paesi Bassi austriaci, (il Belgio attuale) il franco sostituì il Kronenthaler. A sua volta il franco fu sostituito dal fiorino olandese quando fu creato il Regno dei Paesi Bassi.
Circa due anni dopo la proclamazione dell'indipendenza dal Regno dei Paesi Bassi, il 5 giugno 1832, il nuovo regno del Belgio adottò il suo franco, equivalente al franco francese, seguito dal Lussemburgo nel 1848 e dalla Svizzera nel 1850. Al momento dell'unità nazionale l'Italia, dove esisteva già la lira del Regno di Sardegna, adottò lira su una base simile nel 1862.
Nel 1865 Francia, Belgio, Svizzera Italia e Lussemburgo crearono l'Unione monetaria latina (cui si unì la Grecia nel 1868): ogni stato avrebbe posseduta la propria moneta nazionale (franco, lira, dracma) dal valore di 4,5 g di argento o 290,322 mg di oro fino, tutte liberamente circolanti in ogni stato alla pari. Nel 1870 il valore aureo divenne lo standard e la situazione continuò fino al 1914.
Nel 1926, il Belgio che, come anche la Francia, aveva subito una notevole svalutazione, introdusse il belga dal valore di 5 franchi e il paese uscì dall'unione monetaria che cessò comunque di esistere alla fine dello stesso anno. Il belga fu legato alla sterlina britannica con un tasso di cambio di 35 belga (175 franchi) = 1 sterlina; il contenuto aureo del belga fu fissato a 209,211 mg di fino. L'unione monetaria del 1921 tra Belgio e Lussemburgo tuttavia sopravvisse formando le basi per la piena unione economica nel 1932. Nel 1935, il belga fu svalutato del 28% a 150,632 mg di oro fino ed il rapporto tra il franco lussemburghese e quello belga fu fissato a 1 franco lussemburghese = 1¼ franchi belgi.
In seguito all'occupazione tedesca del Belgio nel maggio 1940, il franco fu fissato ad 0,1 Reichsmark, ridotto a 0,08 Reichsmark il luglio 1940. Dopo la liberazione nel 1944, il franco entrò nel sistema di Bretton Woods, con un rapporto iniziale di 43,77 franchi = 1 dollaro statunitense stabilito il 5 ottobre di quell'anno. Fu poi cambiato a 43,8275 nel 1946 e poi a 50 in seguito alla svalutazione della sterlina nel settembre 1949. Il franco belga fu svalutato nuovamente nel 1982.
L'euro
Assieme ad altre 10 valute europee il franco belga/lussemburghese ha cessato di esistere il 1º gennaio 1999, quando fu fissato a 1 EUR= 40,3399 BEF/LUF, quindi con il franco a un valore di 0,024789 euro.
Da quel momento il franco rimase in vigore solo come espressione non decimale dell'euro, anche se monete e banconote continuavano ad essere denominate in franchi. Per tutte le forme di pagamento «non-fisiche» (trasferimenti elettronici, titoli, ecc.), invece, da quella data si adottò solo l'euro.
Il 1º gennaio 2002, con l'entrata in circolazione delle monete e banconote in euro, si aprì una fase di doppia circolazione, durata fino al 28 febbraio 2002, quando le vecchie monete e banconote belghe hanno terminato il loro corso legale.
Le vecchie monete potevano essere cambiate fino al 31 dicembre 2004, mentre per le banconote non esiste limite.
Lingua
Inizialmente le legende erano solo in lingua francese. Dal 1869 furono introdotte monete in fiammingo. Alcune monete presentavano scritte in entrambe le lingue. Se le due lingue apparivano su la stessa faccia, venivano prodotte due versioni, una con il francese a destra e il fiammingo a sinistra e una con le lingue poste al contrario. Le banconote divennero bilingui dal 1880 e, dal 1992, trilingui, visto che si aggiunse il tedesco: su un lato il francese o il fiammingo e sull'altro il tedesco e l'altra lingua. Alcune monete commemorative sono state coniate anche in tedesco, ma nessuna per la circolazione monetaria.
Monete
Tra il 1832 ed il 1834 furono introdotte monete di rame da 1, 2, 5 e 10 centime, d'argento da ¼, ½, 1, 2 e 5 franchi, e d'oro da 20 e 40 franchi. Alcuni dei primi pezzi da 1 e 2 centime furono sovrabattuti su monete olandesi da ½ e 1 cent. La moneta da 40 franchi non fu emessa fino al 1841, mentre le monete d'argento da 2½ franchi e d'oro da 10 e 25 franchi furono emessi tra il 1848 ed il 1850. La moneta d'argento da 20 centime sostituì quella da ¼ franco il 1852. Nel 1860, furono introdotti i 20 centime i cupronichel, seguiti dalle monete sempre in cupronichel da 5 e 10 centime nel 1861. La coniazione dei 5 franchi d'argento fu interrotta nel 1876. Tra il 1901 ed il 1908 furono introdotte monete in cupronichel da 5, 10 e 25 centime, forate al centro.
Nel 1914 la produzione della moneta da 1 centime e di tutte quelle d'argento e d'oro terminò. Furono introdotte monete di zinco da 5, 10 e 25 centime nella zona d'occupazione tedesca, seguite dalla moneta di zinco da 50 centime nel 1918. La produzione da 2 centime terminò nel 1919. Nel 1922 e nel 1923 furono introdotte monete in nichel da 50 centime e da 1 e 2 franchi; queste monete recavano il testo «Buono per» (Bon pour in francese, Goed voor in fiammingo). Il nichel-ottone sostituì il cupro-nichel nei 5 e 10 centime nel 1930, seguite dai 25 centime nel 1938. Monete in nichel da 5 e 20 franchi furono introdotti rispettivamente nel 1930 e nel 1931, seguiti dai 20 franchi d'argento nel 1933 e dai 50 franchi nel 1939.
In conseguenza dell'occupazione tedesca nel 1940, la monetazione d'argento fu interrotta. Nel 1941 lo zinco sostituì gli altri metalli nei 5, 10 e 25 centime, 1 e 5 franchi. Nel 1948 furono introdotte le monete in cupro-nichel da 5 franchi ed in argento da 50 e 100 franchi seguite da quella in argento da 20 franchi nel 1949 ed in cupro-nichel da 1 franco nel 1950. I 20 ed i 50 centime in bronzo furono coniati rispettivamente nel 1953 e nel 1952. La monetazione in argento cessò completamente nel 1955.
I 25 centime in cupronichel sostituirono i 20 centime nel 1964. I 10 franchi di nichel furono introdotti nel 1969 (battuti solo fino al 1979), seguiti dai 20 franchi di bronzo nel 1980 e dai 50 franchi di nichel nel 1987. Il bronzo-alluminio sostituì il cupro-nichel nei 5 franchi nel 1986, mentre il ferro ricoperto di nichel sostituì il cupro-nichel nella moneta da 1 franco nel 1989.
Al momento dell'entrata in vigore dell'euro erano in circolazione le seguenti monete:
Banconote
Erano in circolazione banconote da 100, 200, 500, , e franchi.
Note
Voci correlate
Monete euro belghe
Unione economica belga-lussemburghese
Economia del Belgio
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Belgio
Economia del Belgio
Valute sostituite dall'euro
Monetazione belga |
1836 | https://it.wikipedia.org/wiki/Famiglia%20%28tassonomia%29 | Famiglia (tassonomia) | In biologia, ai fini della tassonomia, la famiglia è uno dei livelli di classificazione scientifica degli organismi viventi e di altre entità biologiche, quindi della zoologia, della botanica, della protistologia, batteriologia, virologia.
Descrizione
Nell'organizzazione sistemica, la famiglia è inferiore all'ordine e superiore al genere. Nello stesso ordine ci sono perciò una o più famiglie, e ciascuna famiglia è suddivisa in uno o più generi.
La suddivisione in generi può essere preceduta da quella in sottofamiglie, che in zoologia possono essere a loro volta suddivise in tribù.
In zoologia i nomi delle famiglie terminano sempre con -idi (-idae); la prima parte si basa invece sul nome del genere più rappresentativo.
Esempio Famiglia di appartenenza dell'Anatra becco rosso (Anas erythrorhyncha): Quella degli Anatidi (Anatidae), insieme alle altre (Anhimidae, Anseranatidae) è una delle famiglie afferenti all'ordine degli Anseriformi (Anseriformes). Questa famiglia è ulteriormente suddivisa nelle sottofamiglie Anserinae, Anatinae, ecc. Quest'ultima sottofamiglia è ulteriormente suddivisa in tribù: Tadornini, Anatini. La tribù degli Anatini comprende i generi Anas, Tachyeres; ognuno dei quali suddiviso ulteriormente in specie.
Voci correlate
Classificazione scientifica
Tassonomia
Sistematica
Nomenclatura binomiale
Classificazione scientifica |
1840 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fantascienza | Fantascienza | La fantascienza è un genere di narrativa popolare sviluppatosi nel Novecento, che ha le sue radici nel romanzo scientifico, estesosi poi dalla letteratura agli altri mass media, anzitutto il cinema, quindi i fumetti, la televisione e i videogiochi.
Si tratta di una narrazione basata su speculazioni e ipotesi di carattere più o meno plausibilmente tecnico-scientifiche (ivi incluse speculazioni relative sia alle scienze esatte sia alle scienze molli) e i loro impatti sulla società e sull'individuo. I personaggi, oltre che esseri umani, possono essere alieni, robot, cyborg, mostri o mutanti; la storia può essere ambientata nel passato, nel presente o, più frequentemente, nel futuro.
Il termine è usato, in senso più generale, in riferimento a qualsiasi tipo di letteratura di fantasia che includa un fattore scientifico, comprendendo a volte ogni genere di racconto fantastico; un certo grado di plausibilità scientifica rimane tuttavia un requisito essenziale.
L'espressione inglese science fiction fu coniata da Hugo Gernsback nel 1926. Gernsback inizialmente chiamò questo genere di storie scientific fiction. L'espressione poi si contrasse in scientifiction, per ridursi infine a science fiction (spesso abbreviata Sci-Fi dagli anglosassoni). La traduzione italiana fantascienza, attraverso un calco linguistico, è attribuita a Giorgio Monicelli nel 1952.
Storia
La data di nascita della fantascienza è convenzionalmente indicata al 5 aprile del 1926, quando uscì negli Stati Uniti la prima rivista di fantascienza, Amazing Stories, diretta da Hugo Gernsback, ma al genere possono essere ascritte numerose opere precedenti, dal Frankenstein di Mary Shelley ai romanzi di Jules Verne e H. G. Wells.
Prima della fantascienza
Prima della fantascienza, esistevano i resoconti dei viaggiatori, che presentavano elementi spesso fantasiosi o del tutto immaginari. Da qualche parte, lontano da qui, in qualche angolo inesplorato del mondo, esistevano strane culture, fauna e flora esotiche, a volte persino mostri marini.
La fantascienza vera e propria vide i suoi albori solo dopo la nascita della scienza moderna, in particolare dopo le rivoluzioni avvenute nel campo dell'astronomia e della fisica nel corso del Seicento. Fianco a fianco con l'antico genere della letteratura fantastica (di cui oggi il sottogenere più diffuso è il fantasy), vi erano notevoli precursori, tra i quali:
Il romanzo greco La storia vera di Luciano di Samosata (120-180 d.C.), primo resoconto noto di un viaggio sulla Luna, e di incontri con i Seleniti. Esso include due dei temi principali del genere: il viaggio su un altro corpo celeste e l'incontro con una civiltà extraterrestre.
Il trattato La nuova Atlantide (incompiuto) di Bacone, sebbene sia per lo più un trattato filosofico, racconta di una civiltà tecnocratica avveniristica che immagina molte delle nostre invenzioni future.
I viaggi immaginari sulla Luna del XVII secolo, mostrati per la prima volta nel Somnium di Giovanni Keplero (1634), poi ne L'altro mondo o Gli stati e gli imperi della Luna (L'autre monde ou Les états et empires de la Lune, 1657) di Savinien Cyrano de Bergerac
Il mondo alternativo scoperto nell'Artico da un giovane nobiluomo nel romanzo di Margaret Cavendish del 1666 The Description of a New World, Called the Blazing-World
Descrizioni di vita nel futuro, come L'anno 2440 di Louis-Sébastien Mercier (1772) o la Storia filosofica dei secoli futuri di Ippolito Nievo del 1860. Tra queste opere vi è il secondo romanzo più venduto del secolo negli Stati Uniti, Guardando indietro, 2000-1887 (Looking Backward) di Edward Bellamy (1888).
Culture aliene ne I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift (1726) e ne Il viaggio sotterraneo di Niels Klim di Ludvig Holberg (1741)
Elementi di fantascienza nelle storie del XIX secolo di Edgar Allan Poe, Nathaniel Hawthorne e Fitz-James O'Brien. Negli ultimi decenni del secolo, le opere fantascientifiche per adulti e ragazzi erano numerose, malgrado non esistesse ancora il termine "science fiction". Nella poesia romantica, inoltre, le immaginazioni degli scrittori portavano a visioni di altri mondi e di remoti futuri come in Locksley Hall di Alfred Tennyson. Voltaire, d'altra parte, chiamava il suo Micromégas (1752) non un racconto fantastico ma una "storia filosofica" (titolo ripreso poi, non a caso, da Nievo).
Il più rilevante esempio rimane però il romanzo Frankenstein di Mary Shelley, del 1818. Brian Aldiss, nel suo libro Billion Year Spree, sostiene che Frankenstein rappresenta "il primo lavoro seminale al quale l'etichetta di fantascienza può essere logicamente appiccicata". È anche il primo esempio del cliché dello "scienziato pazzo". Un altro romanzo avveniristico di Mary Shelley, L'ultimo uomo (The Last Man), è spesso citato come la prima vera storia di fantascienza.
La prima fantascienza
La fantascienza in Europa inizia propriamente alla fine del XIX secolo con il romanzo scientifico (scientific romance), di cui un esponente di spicco fu Jules Verne (1828 – 1905), per il quale la scienza era piuttosto sul livello dell'invenzione, come pure le storie di critica sociale orientate alla scienza di H. G. Wells (1866 – 1946).
Wells e Verne non furono privi di concorrenti nello scrivere la prima fantascienza: racconti e romanzi brevi con temi di immaginazione fantastica apparvero nei quotidiani per tutta la fine dell'Ottocento, e molti utilizzavano idee scientifiche come espediente per l'immaginazione. Erewhon è un romanzo di Samuel Butler pubblicato nel 1872 sul concetto che le macchine potessero un giorno diventare senzienti e supplenti della razza umana. Malgrado sia più conosciuto per altre opere, sir Arthur Conan Doyle scrisse anch'egli di fantascienza. L'unico libro con il quale Charles Dickens si avventurò nel territorio della speculazione scientifica e negli strani misteri della natura fu il romanzo Casa desolata (Bleak house, 1852), nel quale faceva morire uno dei personaggi di combustione umana spontanea (dopo avere svolto minuziose ricerche sulla casistica del fenomeno).
Wells e Verne avevano entrambi un bacino di lettori internazionale e influenzarono numerosi scrittori, in particolare in America, dove ben presto nacque fantascienza indigena. Molti scrittori britannici inoltre trovarono più lettori nel mercato americano, scrivendo in uno stile americanizzato.
Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov, uno dei due fondatori del bolscevismo, medico, sperimentatore, filosofo ed economista, fu il più importante scrittore fantascientifico russo prima della rivoluzione del 1917, autore del popolare romanzo La stella rossa (Красная звезда Krasnaja zvezda, 1908) e del suo seguito L'ingegner Menni (Inžener Menni, 1912), ambientati in un pianeta Marte dalla società socialista utopica.
Circa negli stessi anni esordì il grande scrittore americano H. P. Lovecraft, considerato uno dei geni più rivoluzionari nel campo della fantascienza "cosmica" e dell'horror soprannaturale.
Nel 1924 fu pubblicato il romanzo Noi del russo Evgenij Ivanovič Zamjatin, considerato il precursore di molti successivi romanzi distopici.
La science fiction, come fenomeno letterario di massa, è fatta risalire alla pubblicazione negli Stati Uniti del primo numero di Amazing Stories (Storie fantastiche), il 5 aprile del 1926. Hugo Gernsback, il fondatore della rivista, nell'editoriale annunciava di voler pubblicare: “… Quel tipo di storie scritte da Jules Verne, H. G. Wells ed Edgar Allan Poe – un affascinante romanzo fantastico, in cui si mescolino fatti scientifici e visioni profetiche… “.
Il successivo grande scrittore britannico di fantascienza dopo H. G. Wells fu Olaf Stapledon (1886 – 1950), le cui quattro opere maggiori (Last and First Men, 1930; Odd John, 1935; Star Maker, 1937; Sirius, 1940) introdussero una miriade di idee che furono presto adottate da altri scrittori.
Più tardi, le opere di John Wyndham (1903 – 1969) guadagnarono l'acclamazione del pubblico dei lettori e della critica. Wyndham, che firmava con una quantità di pseudonimi, amava definire la fantascienza come una logical fantasy. Prima della seconda guerra mondiale, Wyndham scrisse quasi esclusivamente per i pulp magazine statunitensi, ma nel dopoguerra divenne noto al grande pubblico, anche al di fuori dell'ambito degli appassionati, a partire dal suo romanzo Il giorno dei trifidi (The Day of the Triffids, 1951).
Anni quaranta: l'epoca d'oro
La prima fantascienza aveva una forte base avventurosa ed era caratterizzata dalla "meraviglia" per i progressi della scienza (si era nell'epoca dell'avvento dell'elettricità), ma dagli anni quaranta cominciò a occuparsi più delle ripercussioni del progresso scientifico che non delle ipotetiche conquiste della scienza in sé stesse.
Questi anni sono dominati da John W. Campbell, che alla fine del 1937 assunse la direzione della rivista Astounding Stories nella quale ospitò tutti gli autori della cosiddetta Golden Age (Età dell'oro), quali A. E. van Vogt, Isaac Asimov, Robert A. Heinlein, Clifford D. Simak, Ray Bradbury, Theodore Sturgeon: per quanto l'"epoca d'oro" vera e propria la si consideri terminata negli anni cinquanta, questi scrittori sarebbero diventati i "mostri sacri" a cui si sarebbero rifatti gli autori successivi, compresi quelli degli anni sessanta, anche solo per contestarli o farne la satira.
Secondo i critici degli anni cinquanta, la caratteristica della fantascienza americana era l'estrapolazione, ovvero il riconoscimento, sulla base di alcuni elementi, di una tendenza in atto per proiettarla nei suoi sviluppi futuri, non tanto con lo scopo di prevedere il futuro come farebbe la futurologia, quanto per discutere fenomeni del presente estremizzandoli in un contesto ipotetico. Altri spunti critici mettono invece in luce il (prevalente) riferimento al "sense of wonder" ("la meraviglia"), che fa appello ad un analogo della "volontaria sospensione dell'incredulità" di cui parlava il poeta Coleridge ("Quella volontaria e momentanea sospensione dell'incredulità che costituisce la fede poetica").
Anni cinquanta: tra sociologia e letteratura
Gli anni cinquanta segnano per la fantascienza americana un notevole cambiamento: all'atteggiamento fiducioso e ottimistico nei confronti della scienza, a causa della bomba atomica si sostituisce un approccio più angosciato. La guerra fredda, la società dei consumi, la paura del diverso (sia esso il comunista o il nero, a causa delle lotte per i diritti civili), la società di massa americana dominata da pubblicità e televisione (significativa fu la vittoria alle elezioni del 1952 di Dwight D. Eisenhower su Adlai Stevenson II: nonostante Stevenson fosse candidato più colto e brillante, l'apparato pubblicitario scatenato per sostenere Eisenhower lo portò alla vittoria): tutti temi centrali per quella che verrà a lungo chiamata "fantascienza sociologica".
Rappresentanti più importanti di questa tendenza sono la coppia Frederik Pohl e Cyril M. Kornbluth, Robert Sheckley, Richard Matheson, Walter M. Miller, jr. nonché la prima produzione di Philip K. Dick.
Ma accanto a questa linea sociologica, che usa la fantascienza come strumento di critica della società americana e dei suoi eccessi, ce n'è un'altra, che s'incarna soprattutto nella figura del grande editor e scrittore Anthony Boucher, che si sforza di promuovere una migliore qualità letteraria nella fantascienza. Suo discepolo è Philip K. Dick, ma a questa tendenza appartengono anche altri scrittori che esplodono in questo decennio, come Fritz Leiber (che insegnava Shakespeare in un college) o Cordwainer Smith (coltissimo discendente di una potente famiglia americana, cresciuto in Cina e imbevuto della cultura di quel paese); le esperienze, le invenzioni, le scoperte e le soluzioni stilistiche di questi scrittori apriranno la strada ai discepoli, negli anni sessanta, della "New Wave".
Anni sessanta: la New Wave
La rivoluzione nella fantascienza fu portata avanti sui due lati dell'Atlantico: nel Regno Unito c'era il gruppo di scrittori legati alla rivista New Worlds, tra cui spiccava J. G. Ballard, ma che contava anche altri talenti come Brian W. Aldiss, John Brunner e Michael Moorcock. Negli Stati Uniti la figura di riferimento diventò il provocatorio e dissacrante Harlan Ellison, innovativo autore di racconti e curatore di due antologie (intitolate Dangerous Visions e Again, Dangerous Visions) che smossero le acque fin troppo ferme del genere con argomenti scottanti: il sesso, le droghe, il femminismo, il razzismo, il Vietnam, ecc. Nelle antologie di Ellison ci sono nomi importanti della nuova fantascienza americana: Robert Silverberg, Philip José Farmer, Philip K. Dick, Roger Zelazny, Samuel R. Delany, Norman Spinrad, R. A. Lafferty, Joanna Russ, Ursula K. Le Guin, Gene Wolfe, Kate Wilhelm.
La fantascienza della New Wave fu il prodotto di due tendenze che s'incrociavano creando un equilibrio instabile:
una ricerca letteraria che spinge molti scrittori a rifarsi ai modelli della letteratura modernista e alle avanguardie del postmodernismo, quindi a non scrivere nello stile da best seller (letteratura di consumo) tipico fino a quel momento di molta letteratura fantascientifica (e il migliore rappresentante di questa tendenza è il più sofisticato e letterario tra gli scrittori americani, Thomas M. Disch);
una ben precisa volontà di andare a toccare temi tabù che erano stati assenti per anni dalle riviste di fantascienza: non a caso questo è il momento in cui s'inseriscono autori neri, come Delany, o donne, come la Russ o la Le Guin, o dichiaratamente gay, come Thomas M. Disch e ancora Samuel R. Delany.
Se da un lato la nuova ondata (questo il significato letterale di New Wave) costrinse finalmente il mondo accademico – non solo negli Stati Uniti – ad occuparsi della fantascienza (pur tra resistenze e incomprensioni) - è in questo periodo che nascono le prime riviste accademiche di critica sulla fantascienza, Science-Fiction Studies, Foundation ed Extrapolation, - dall'altro la sofisticazione letteraria di queste opere portò alla presa di distanza di molti fan della fantascienza tradizionale degli Asimov e degli Heinlein.
A metà di questo decennio, Frank Herbert, con Dune (1965), introdusse nel filone fantascientifico temi che saranno poi sviluppati nei decenni successivi, in particolare dal sottogenere della space opera, mischiando ambientazioni futuristiche e topoi della storia passata dell'umanità, con imperi spaziali e strutture sociali di tipo feudale. Dune si rivelò un successo senza precedenti, ed è il romanzo di fantascienza che detiene il record del maggior numero di copie vendute.
Anni settanta
Il decennio successivo fu caratterizzato dalla continuazione dell'attività della New Wave: soprattutto J. G. Ballard scrisse in questo periodo la sua trilogia fondamentale, Crash, Il condominio (High Rise) e L'isola di cemento (The Concrete Island). Entrò in crisi invece Philip K. Dick, per problemi di droga ed esistenziali, che lo portarono a una pausa nella sua produzione fino alla seconda metà del decennio. L'impatto innovativo della New Wave poco a poco si attenuò: i singoli autori andarono ciascuno per la propria strada.
Il fenomeno degli anni settanta fu da un lato l'emergere di numerose scrittrici, sempre più interessate ai temi del femminismo e più in generale dell'identità femminile. Tra le figure dominanti spiccarono Joanna Russ e Ursula K. Le Guin, Marion Zimmer Bradley, Doris Lessing (autrice che proveniva da altre esperienze, ma che negli anni settanta scrisse il monumentale ciclo fantascientifico di Canopus in Argos: Archives). A queste va aggiunta Alice Sheldon, una notevole autrice che fino al 1977 si era nascosta dietro lo pseudonimo maschile di James Tiptree Jr..
A metà degli anni settanta nel cinema di fantascienza il travolgente successo di Guerre stellari di George Lucas riporta in auge i temi della space opera degli anni quaranta; la pellicola richiamava alcuni elementi di sword and sorcery (fu coniato per essa il termine ibrido science fantasy e alcuni commentatori si sono azzardati a dichiarare che si tratta di una fiaba riverniciata di fantascienza). Il successo clamoroso della serie sancì il ritorno a una fantascienza d'intrattenimento, più spensierata e meno culturalmente impegnata.
Gli anni settanta vedono anche, in controtendenza al ritorno della fantascienza d'intrattenimento nei canali mainstream, l'emergere del seminale lavoro di Darko Suvin, il quale eserciterà un'influenza senza precedenti sugli studi di fantascienza. Perno centrale del lavoro di Suvin è la concezione della fantascienza come letteratura dello straniamento cognitivo. Il primo termine, derivato dal lavoro dei formalisti russi, sta ad indicare come la rappresentazioni di mondi alternativi a quelli vissuti da lettori e scrittori possa funzionare come dispositivo in grado di gettare nuova luce sulle società in cui questi vivono. Questo nuovo sguardo non è però la soddisfazione di una semplice curiosità, ma ha valore, per l'appunto, cognitivo, che nella terminologia suviniana possiamo interpretare come sinonimo di critico. Per fare un esempio, il mondo futuro rappresentato nella Macchina del Tempo di H.G. Wells permette di evidenziare alcuni aspetti critici dell'imperialismo britannico della fine del XIX secolo, e può quindi configurarsi come critica radicale delle politiche messe in atto dall'impero.
Ciò che permetterebbe alla fantascienza di vantare un tale valore cognitivo in opposizione ad altri generi che pur di discostano dai canoni del più comune realismo (come ad esempio il fantasy) sarebbe la plausibilità sociale e tecnologica dei mondi immaginati. In altre parole, immaginare mondi possibili in cui esistono avanzate tecnologie permette di fare una critica alla società con una profondità impossibile per mondi per definizione impossibili. Ultimo elemento fondamentale del pensiero di Suvin è il cosiddetto novum, ovvero ciò che rende effettivamente il mondo immaginato diverso da quello vissuto da autore e lettore, come ad esempio una tecnologia avanzata o degli esseri extraterrestri.
Anni ottanta: il cyberpunk
A dominare la scena nei primi anni ottanta fu l'ondata cyberpunk. Il nuovo spazio da esplorare, dopo quello esterno tra le stelle e quello interiore della psiche, fu quello virtuale delle tecnologie informatiche e di telecomunicazione. Si può dire che Internet sia stata profetizzata (anche se già ne esisteva una prima forma pionieristica) nel 1984 dal romanzo più celebrato del cyberpunk, Neuromante di William Gibson con il suo cyberspazio. Anche il cyberpunk fu lanciato da un'antologia di racconti, Mirrorshades, curata dall'intraprendente scrittore e giornalista Bruce Sterling.
Sulla scia dell'ondata cyberpunk si assistette ad un rinnovato interesse accademico per la fantascienza (vista come un'area confinante con la letteratura postmoderna), all'esplodere dell'immaginario fantascientifico nel nuovo ambito dei videogiochi, ma soprattutto ad un rinnovato interesse da parte del cinema di Hollywood, che cominciò a realizzare, complici le nuove tecnologie digitali, film sempre più spettacolari spesso basati, direttamente o indirettamente, sui classici del genere. Le avanguardie furono una volta ancora sostituite dal "mercato".
L'ondata cyberpunk durò meno della New Wave, soprattutto a causa dell'affievolirsi dell'ispirazione dell'autore più dotato, William Gibson. Altri autori del movimento si affermarono in modo più o meno duraturo, come Lucius Shepard, Kim Stanley Robinson, Rudy Rucker, Lewis Shiner. A margine del movimento cyber si pose una tra le più interessanti autrici di quegli anni, la sofisticata e letteraria Pat Cadigan, mentre ne era del tutto al di fuori l'altra figura di spicco della scrittura al femminile, l'afroamericana Octavia E. Butler.
Anni novanta
Il periodo fu caratterizzato da una forte ripresa della fantascienza britannica, tanto che alla fine del decennio si parlò di un vero e proprio "British Boom", legato all'attività di nuovi autori quali Iain Banks, Ken MacLeod, M. John Harrison e infine il più giovane, China Miéville.
Negli Stati Uniti si assistette invece a un declino delle vendite di tali proporzioni che alcuni scrittori cambiarono genere: un vecchio leone come Thomas M. Disch, si riciclò brillantemente nell'horror con la sua Minnesota Supernatural Series; Robert Sheckley tentò di passare al giallo (come aveva già fatto negli anni sessanta), ma senza grandi risultati; Patricia Anthony, una delle autrici più promettenti, dalla fantascienza passò al fantasy; Jonathan Lethem, considerato da alcuni l'unico vero erede di Philip K. Dick, passò alla letteratura mainstream.
Tutto questo avvenne nel momento in cui temi, idee, immagini, luoghi, trame della fantascienza comparivano sempre più spesso anche al di fuori del genere, e si parlò di un genere Avantpop che pescava dalla fantascienza, dal giallo, dal western, dall'horror. Oltre alla prima produzione di Lethem, buon rappresentante di questa tendenza fu uno degli scrittori giovani, Matt Ruff.
Anche in Gran Bretagna la ripresa della letteratura fantascientifica si legò a fenomeni d'ibridazione, che fecero parlare di new weird, o di weird fiction, o slipstream. China Miéville, ad esempio, nei suoi romanzi mescolò fantasy, horror, gotico, fantascienza e (in dosi massicce) i giochi di ruolo.
La fantascienza in lingua italiana
La protofantascienza italiana
Ancora prima della nascita del termine "fantascienza", a partire dagli ultimi anni del XIX secolo appaiono in Italia racconti e romanzi brevi di contenuto fantascientifico nei supplementi domenicali dei quotidiani, nelle riviste letterarie, in collane popolari e opere antologiche. Gli autori sono tra i protagonisti della letteratura popolare dell'epoca, come Emilio Salgari (in particolare con il romanzo Le meraviglie del duemila) e Yambo, ma anche note figure della letteratura, tra i quali Massimo Bontempelli, Luigi Capuana, Guido Gozzano, Ercole Luigi Morselli. Già prima di questi vi sono però degli interessanti quanto poco conosciuti esempi, come la Storia filosofica dei secoli futuri di Ippolito Nievo del 1860.
La nascita ufficiale (1952)
L'anno ufficiale di nascita della fantascienza in Italia è considerato generalmente il 1952, con il primo numero della rivista Scienza Fantastica, avventure nello spazio, tempo e dimensione e nello stesso anno della rivista Urania. A queste prime pubblicazioni ne seguono altre, generalmente di breve vita, non tutte con storie avventurose in cui non mancano classici elementi come gli alieni dalla carnagione verde, armi a raggi, astronavi ed eroine scollate, in puro stile pulp.
La rivista Oltre il cielo, diretta dall'ing. Cesare Falessi, affiancava lavori di science fiction al consueto novero di articoli sull'aviazione e l'astronautica. Poi nel 1957 si affianca alla guida della rivista Oltre il cielo l'ingegnere Armando Silvestri che nell'anteguerra, nel 1938, aveva ideato, ma senza successo concreto, il progetto per una rivista quadrimestrale, Avventure dello spazio, che però non trovò mai il favore di un editore.
A testimonianza dell'aderenza del pubblico al canone da poco sviluppatosi oltreoceano, gli scrittori italiani pubblicano i loro racconti sotto pseudonimi rigorosamente anglosassoni: Gianfranco Briatore diventa John Bree; Ugo Malaguti si firma Hugh Maylon; Luigi Naviglio, Louis Navire; Roberta Rambelli è Robert Rainbell, al maschile; Carlo Bordoni, Charley B. Drums.
All'inizio degli anni sessanta, con Futuro – a cura di Lino Aldani già noto sotto lo pseudonimo di N. L. Janda, Massimo Lo Jacono già conosciuto sotto lo pseudonimo di L. J. Mauritius e Megalos Diekonos, e Giulio Raiola – la science fiction italiana acquista tuttavia un respiro internazionale, che avrà però corta durata (solo otto numeri mensili, fra il maggio-giugno 1963 e il novembre 1964).
Negli anni sessanta il numeroso pubblico degli appassionati diede vita a numerose fanzine, il più delle volte pubblicate a ciclostile in poche centinaia di copie, che costituirono un momento di passaggio per futuri scrittori come Vittorio Curtoni e Paolo Brera.
Il ruolo di Urania
Sempre nel 1952 la casa editrice Mondadori lancia una rivista e una collana di romanzi, ispirandosi alla musa dell'astronomia: Urania. Primo direttore: Giorgio Monicelli, che conia anche il termine italiano "fantascienza". La rivista chiude dopo appena un anno, mentre i suoi romanzi a cadenza quindicinale riscuotono un grande successo. Negli anni sessanta le copertine sono disegnate da Karel Thole, mentre la direzione della collana viene assunta da Fruttero & Lucentini.
Il ruolo di Urania nella diffusione della letteratura fantascientifica tra gli italiani è rilevante: molti scrittori di fantascienza come Asimov, Ballard, Dick, Le Guin e altri furono pubblicati per la prima volta in questi libri dal cerchio rosso in copertina. D'altro canto per un trentennio la collana evitò di pubblicare autori italiani, favorendo l'idea che si trattasse di una letteratura esclusivamente d'importazione, fino a che nel 1989 istituì un noto premio letterario, che ha scoperto e lanciato autori come Luca Masali e Valerio Evangelisti.
La fantascienza online
Con l'eccezione di Urania, oggi la letteratura di fantascienza è praticamente scomparsa dalle edicole italiane, avendo ceduto molto terreno ai generi fantasy e horror restando tuttavia nelle librerie. Il ruolo di riviste come Robot (tuttora pubblicata) è stato parzialmente ripreso dalle pubblicazioni sul Web (riviste e fanzine), che raggiungono migliaia di lettori. Le più popolari sono Delos e il Corriere della Fantascienza che sono parte del portale Fantascienza.com e Intercom.
Le riviste online raggiungono non soltanto il tradizionale lettore della narrativa di fantascienza, ma coinvolgono anche chi è appassionato a questo genere in altre forme, come cinema, fumetti e soprattutto serie televisive. In questo senso le riviste online contribuiscono in qualche misura ad avvicinare alla letteratura chi non la conosceva, dando un impulso, anche se di proporzioni tutte da verificare, allo sviluppo di nuove generazioni di lettori.
Siti web, blog, forum, newsgroup e mailing list inoltre contribuiscono in questa direzione grazie alla creazione di grandi comunità di appassionati e al conseguente scambio di esperienze e di consigli di lettura, allargando quello che prima degli anni novanta era, sebbene in misura molto minore e qualitativamente diversa, il fenomeno del fandom.
Fantascienza italiana extra-Urania
Negli anni, altre iniziative editoriali sono state fondate e hanno dato possibilità agli autori di fantascienza italiana di arrivare sul mercato. Tra queste Delos Digital, Zona42, Edizioni Della Vigna, Elara Libri e Perseo Libri, che hanno pubblicato autori come Alessandro Vietti, Elena di Fazio, Elisa Emiliani e Francesco Verso.
Dal 2015, il Premio Italia ha istituito una sezione denominata "Romanzo di Autore Italiano - Fantascienza".
La fantascienza cinematografica italiana
Il film di Paolo Heusch La morte viene dallo spazio, del 1958, è spesso indicato come la prima pellicola fantascientifica (non farsesca) del cinema italiano; narra della minaccia al pianeta Terra portata da una pioggia di asteroidi, con precisi riferimenti al cinema americano ed effetti speciali di Mario Bava. Totò nella luna, dello stesso anno, è stato visto come la risposta comica a questo film. In precedenza c'erano stati altri film farseschi: la commedia Mille chilometri al minuto (1939) di Mario Mattoli (uno dei primi voli verso il pianeta Marte, anche se s'interrompe quasi sul nascere) e Baracca e burattini, una commedia musicale del 1954, con la regia di Sergio Corbucci. Di una certa rilevanza per il genere, la tetralogia della stazione spaziale Gamma 1, del 1965, diretta da Antonio Margheriti.
Generi e filoni
Malgrado la fantascienza sia stata un tempo incentrata anzitutto "sulla scienza", all'interno e ai confini di questo tipo di narrativa si è evoluta una grande varietà di generi e sottogeneri, con la commistione sempre più frequente della fantascienza con il fantasy e l'horror, tanto che alcuni autori e critici utilizzano di preferenza l'espressione speculative fiction (narrativa speculativa) per descrivere complessivamente il fenomeno e altri utilizzano il termine slipstream intendendo il fantastico, cioè quella forma letteraria estremamente ampia che utilizza l'immaginario, il surreale e tutto ciò che non è mimetico della realtà, per dare maggior impatto ad un messaggio radicato nella visione politica, ideologica del reale.
Vi possono essere molti modi diversi per tentare di classificare un'opera di fantascienza; non di rado un'opera o un autore utilizzano vari temi contemporaneamente e si possono collocare all'interno di più categorie. Una prima classificazione, puramente convenzionale, viene spesso effettuata tra fantascienza hard o tecnologica (hard science fiction) e fantascienza soft (soft science fiction), dove la prima si occupa con verosimiglianza degli aspetti tecnologici, la seconda rivolge il suo interesse ai temi umanistici e sociologici.
Un genere avventuroso molto popolare è la space opera (in particolare quella militare), a base di astronavi e battaglie spaziali, che ha avuto un notevole influsso anche nella tv e nel cinema, da Star Trek a Guerre stellari. Altre storie di forte presa sul pubblico sono quelle apocalittiche o postapocalittiche, che descrivono in termini drammatici la fine del mondo o della civiltà.
Movimenti che hanno introdotto nuovi fermenti nel panorama fantascientifico sono stati prima la New Wave negli anni sessanta, poi il cyberpunk negli anni ottanta; quest'ultimo ha generato tutta una serie di sotto-filoni fino ai giorni nostri, e ad esso si affianca lo steampunk. Le opere contemporanee di fantapolitica, le utopie e le distopie vengono a loro volta fatte rientrare nel genere fantascientifico, come pure le ucronìe, dove le vicende sono ambientate in una immaginaria linea temporale del passato, una "storia alternativa".
Temi tipici
Vi sono alcuni temi particolarmente sfruttati nelle storie di fantascienza. Anzitutto lo spazio: la sua conquista, l'esplorazione e la sua colonizzazione, il viaggio interstellare (in genere con astronavi più veloci della luce) è stato per lungo tempo uno dei temi più popolari, ed in buona parte rimane tale. Lo spazio tuttavia può essere visto anche come un pericolo per l'umanità, un luogo ignoto e misterioso da cui possono prevenire terribili minacce, come un corpo celeste che minaccia la Terra o una invasione aliena. L'esistenza di forme di vita e di intelligenze extraterrestri (maligne o benigne), assieme alla possibilità di stabilire con esse un primo contatto, sono soggetti ritenuti particolarmente affascinanti dagli autori e dai loro lettori, vista la mole di opere che vi sono state dedicate. Dalla fine degli anni cinquanta, con la nascita dell'ufologia, anche gli UFO sono un elemento molto presente nelle opere popolari. Dagli anni sessanta lo sono anche le facoltà paranormali e la parapsicologia.
Il viaggio nel tempo è un tema classico già a partire dalla fine dell'Ottocento, con La macchina del tempo di H. G. Wells. A propria volta, la teoria sull'esistenza di dimensioni parallele offre innumerevoli spunti narrativi per le più diverse trame. La possibilità ipotetica di creare vita artificiale, presente in miti e leggende e nel Frankenstein, mantiene intatto ed accresce il suo fascino grazie all'interesse sviluppato per l'intelligenza artificiale e con la creazione di robot, cyborg e androidi ad imitazione dell'essere umano. Questo tema è spesso legato a quello della ribellione della macchina. Verso la fine del Novecento, dopo la rivoluzione informatica, tra gli ambienti da esplorare si è aggiunta la realtà virtuale e in particolare il cyberspazio. La trascendenza dalla condizione umana, così spesso trattata a livello filosofico e religioso, è divenuta a sua volta un tema fantascientifico, soprattutto in relazione alle modificazioni della genetica, come le mutazioni o la clonazione, e alle biotecnologie in generale. Le ambientazioni in un futuro duramente colpito dai cambiamenti climatici rientrano nel filone del Climate Fiction.
Cinema di fantascienza
Benché il cinema di fantascienza venga spesso riconosciuto come genere autonomo solo a partire dagli anni cinquanta, l'elemento del fantastico era ben presente fin dagli esordi della settima arte. Il neonato cinema viene scoperto infatti come un mezzo che permette di portare sullo schermo non solo la realtà quotidiana, ma anche per visualizzare i sogni, le fantasie dell'essere umano, in modo da suscitare stupore e meraviglia nello spettatore. Tra i primissimi esempi Viaggio nella Luna del 1902 di Georges Méliès, seguito a breve distanza da Viaggio attraverso l'impossibile; lo stesso Méliès è anche l'inventore dei primi effetti speciali.
Per circa mezzo secolo sarebbero quindi uscite una serie di opere che verranno definite solo a posteriori come fantascienza, ma sono più che altro appartenenti al genere avventuroso di ambientazione esotica, venato di fantastico e condito di dettagli pseudoscientifici. Fanno eccezione poche pellicole, a cominciare dal celeberrimo Metropolis (1927), di Fritz Lang o La vita futura di William Cameron Menzies del 1936. Queste opere forniranno ispirazione per le produzioni successive, quali Aėlita (primo kolossal sovietico), King Kong, Frankenstein, La donna e il mostro, La maschera di Fu Manchu, L'isola delle anime perdute, per citarne alcuni tra i più noti e suggestivi.
Il cinema di fantascienza ha esplorato una grande varietà di soggetti e temi, molti dei quali non potrebbero essere facilmente rappresentati in alcun altro genere. Questi film sono stati utilizzati, oltre che per intrattenere lo spettatore, per esplorare delicati temi sociali e politici. Attualmente le produzioni fantascientifiche puntano molto sull'azione e sono in prima linea riguardo all'uso degli effetti speciali. La platea si è abituata alla rappresentazione di realistiche forme di vita aliene, spettacolari battaglie spaziali, armi ad energia, viaggi più veloci della luce e paesaggi di lontani mondi.
Note
Bibliografia
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Voci correlate
Cinema di fantascienza
Fumetto di fantascienza
Letteratura di consumo
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Collegamenti esterni
Museo fotografico della fantascienza italiana (a cura di S. Sosio e E. Vegetti)
La città e le stelle - studi e ricerche sulla fantascienza, a cura di Carlo Pagetti
The Encyclopedia of Science Fiction, terza edizione
Elenco di opere fantascientifiche disponibili online di pubblico dominio, grazie al Progetto Gutenberg Australia
Glossario e cronologia delle idee e invenzioni della fantascienza
(IT) Audio Racconti di Fantascienza in italiano da Worlds of IF (Copyleft)
(IT) Storia delle Pulp Mags & racconti in italiano di Asimov, Ballard, Bradbury, Clarke, Dick, Matheson, Wyndham (Copyleft)
Generi letterari
Letteratura contemporanea |
1842 | https://it.wikipedia.org/wiki/Societ%C3%A0%20italiana%20durante%20il%20fascismo | Società italiana durante il fascismo | La società italiana durante il fascismo cominciò a essere guidata, a partire dal 3 gennaio 1925, da un regime avente tra i suoi scopi quello di mutare il modo d'essere e comportarsi degli italiani, in definitiva il loro stile di vita, per uniformarli al modello sociale ed etico dettato dell'ideologia fascista.
La propaganda del regime propugnava la conformazione a ideali quali il nazionalismo, il patriottismo, il militarismo, l'eroismo e l'esaltazione della civiltà romana.
Il fascismo volle infatti presentarsi come "terza via" alternativa a capitalismo e socialismo.
Obiettivo finale era la creazione di un nuovo tipo d'uomo, destinato, negli auspici del regime, a guidare l'Italia e Roma a nuovi fasti imperiali.
Simboli del fascismo
Agli italiani veniva insegnato a riconoscersi in simboli come il fascio littorio, portato dagli uomini come distintivo a spilla sul bavero sinistro della giacca, e la camicia nera, indumento della divisa della milizia volontaria per la sicurezza nazionale e più in generale indossato da coloro che apertamente desideravano mostrare la loro adesione al fascismo.
In un'ottica patriottica e tradizionalista, si esaltava il tricolore italiano (viene introdotto il reato di vilipendio alla bandiera), la figura del re (che incarna l'unità della patria) e del duce (presentato come salvatore della patria) e la religione cattolica, quest'ultima non tanto intesa nei suoi principi etici e morali ma piuttosto esaltata come un simbolo politico della romanità e come strumento di coesione nazionale (a seguito dei Patti Lateranensi diventa nel 1929 la religione di Stato), si diffondono inoltre numerosi motti e inni a carattere nazionalista.
Tra gli inni più diffusi vi furono Giovinezza, divenuto l'inno del Partito Nazionale Fascista, Fratelli d'Italia, poi assunto a inno nazionale con l'attuale Repubblica Italiana e "l'Inno a Roma" di Puccini, tuttavia alle manifestazioni ufficiali veniva sempre eseguita anche la Marcia Reale.
Viene anche modificata la datazione: pur conservando il calendario gregoriano, vengono indicati in maniera diversa gli anni tramite una doppia numerazione, in cifre arabe l'anno secondo l'Era cristiana e in cifre romane quello secondo l'era fascista, conteggiato a partire dal giorno successivo alla Marcia su Roma.
Il fascismo tentò inoltre, ma senza successo, di abolire l'uso della stretta di mano, considerata anti-igienica, da sostituire col saluto romano obbligatorio nelle circostanze ufficiali e nelle parate dove le truppe devono marciare al passo romano.
Modello maschile fascista
Il maschio ideale per il fascismo deve avere un fisico atletico: si incoraggia l'attività sportiva e quella ginnica delle scuole, mediante l'opera propagandistica, la creazione di strutture apposite e cospicui finanziamenti pubblici.
Il fascismo esaltava la semplicità e la compostezza rispetto alla frivolezza e al disordine: pertanto l'aspetto fisico del perfetto fascista non deve essere trasandato e il volto deve essere sbarbato.
Si incoraggia la sicurezza e la compostezza anche nel modo di porsi, financo in quello di camminare.
In un'ottica tradizionalista, mirata soprattutto alle aree rurali del paese, il regime spinse per il recupero delle caratteristiche degli abiti tradizionali delle regioni italiane.
Modello femminile fascista
Seppure originariamente, nel programma di San Sepolcro del 23 marzo 1919, il fascismo presentasse diverse proposte innovative sotto il profilo della politica femminile, proponendo di concedere il voto alle donne, ciò non avvenne. Infatti il regime mantiene la già presente divisione tra educazione scolastica maschile e femminile: le classi miste non sono ammesse. Il ruolo sociale femminile è quello della madre di famiglia: il regime insiste sulla necessità di un popolo numeroso e giovane come condizione necessaria per la realizzazione dell'Impero italiano.
A tal fine, la donna fascista ideale deve avere un fisico prestante, che le permetterà di esser madre di tanti e sani figli: per questo viene introdotta una preparazione ginnica di alto livello negli istituti femminili e si sviluppano le discipline sportive femminili.
In linea con una politica di sobrietà e semplicità incoraggiata dal regime, la moda del tempo scoraggia la cosmesi, rifacendosi a uno stile che riprendeva la moda francese degli anni venti: si riteneva il trucco una manifestazione di vanità e frivolezza, non in linea con i canoni pragmatici del fascismo.
In questi anni nasce la moda italiana e si afferma anche nel paese la sfilata di moda con la passerella rialzata (per permettere la vista, oltre che del vestito, anche delle scarpe indossate), al posto delle precedenti rappresentazioni teatrali. Inizia a essere diffuso anche l'uso di modelle e attrici come testimonial pubblicitarie.
Educazione dei giovani
Il controllo sulla educazione e crescita dei giovani e il loro inquadramento nella dottrina fascista fu uno dei principali impegni del governo fascista. Ciò provocò uno scontro con le autorità ecclesiastiche quando, nonostante i Patti Lateranensi firmati, Mussolini sciolse temporaneamente nel 1928 l'Azione Cattolica. Tale scontro si concluse nel 1931 quando la Chiesa accettò di relegarne l'attività alla semplice sfera religiosa e preferì sacrificare lo scautismo cattolico anche per arrivare alla firma del Concordato.
Le associazioni scout italiane tra il 1927 e il 1928 furono sciolte. Numerosi gruppi proseguirono tuttavia clandestinamente le loro attività e alcuni di questi scout presero parte alla Resistenza (il Corpo Nazionale dei Giovani Esploratori Italiani chiama questo periodo Giungla silente). Anche sul versante cattolico dello scautismo, molti gruppi dell'Associazione Scautistica Cattolica Italiana non si lasciarono intimidire. Il gruppo clandestino più famoso fu quello delle Aquile randagie, che in seguito diede anche vita all'OSCAR, un'organizzazione per sostenere rifugiati, perseguitati politici e prigionieri di guerra alleati.
Bambini e ragazzi sono quindi inquadrati in organizzazioni giovanili ed educati alla disciplina militare. Per i loro esercizi usano moschetti finti di legno.
A sei anni un bambino italiano diventa figlio della lupa e indossa la sua prima camicia nera. A otto diventa balilla e a quattordici avanguardista. Analogamente le ragazze, dopo essere state figlie della lupa, sono organizzate prima nelle piccole italiane e poi nelle giovani italiane.
Gli studenti universitari vengono organizzati nei Gruppi Universitari Fascisti (Guf).
L'educazione fisica e lo sport diventano un fenomeno di massa: tutti sono sollecitati a praticare l'attività fisica. Ogni sabato, il sabato fascista, vi sono riunioni, inquadrate nelle attività del partito, per lezioni di dottrina fascista e per praticare sport, e dare sfoggio della propria abilità.
I ragazzi fanno volteggi, maneggiano il moschetto, si lanciano attraverso cerchi di fuoco. Le ragazze, in camicetta bianca e gonna nera, fanno roteare cerchi, clave, bandiere e si esibiscono nella corsa e nel salto.
Vengono creati i Littoriali della cultura e quelli dello sport.
Le attività sportive vengono regolate nel 1928 all'interno del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI).
Nel piano di inquadramento del tempo libero rientrano anche il Dopolavoro nazionale, agevolazioni per viaggi familiari e svaghi collettivi. Lo stato organizza le colonie estive, suddivise in alpine e marine, per i figli dei lavoratori fino all'età di 16 anni, ove i ragazzi sono sempre organizzati in strutture di tipo militare e in divisa.
Nel 1939 ebbe inizio il Servizio Premilitare dei giovani, con l'obbligo di presentarsi, ogni sabato pomeriggio, ai rispettivi Gruppi Rionali. Nel 1940, ebbe luogo la Marcia della Gioventù, attraverso le città d'Italia, con la partecipazione della classe 1922.
Battaglie interne
Quella fascista è l'epoca delle "grandi battaglie", campagne esaltate dalla propaganda del regime:
La battaglia del grano per aumentare la produzione interna e ridurre le importazioni, anche tramite dazi su queste ultime, che, pur raggiungendo i suoi obiettivi, ebbe come conseguenza l'abbandono di altre coltivazioni più produttive e utili.
La battaglia delle bonifiche, con la quale vari territori sono strappati all'acqua e alla malaria e trasformati in campi coltivabili. Con l'inizio della guerra alcune di queste opere, pur sempre presenti nella propaganda del regime, furono interrotte per la mancanza di finanziamenti.
La battaglia demografica (con la tassa sul celibato) per accrescere la popolazione italiana secondo il concetto, ereditato da una tradizione agricola, che più figli significano più lavoratori disponibili e soprattutto più soldati: nei suoi ultimi discorsi prima dell'inizio della seconda guerra mondiale, Mussolini per affermare la potenza militare italiana parlerà di "8 milioni di baionette". Per questo motivo il matrimonio con molti figli è favorito in tutti i modi: i padri con famiglie numerose ricevono salari maggiori, le madri sono premiate con nastri, diplomi, medaglie d'argento e d'oro; alle nuove coppie vengono dati premi in denaro o fatti prestiti pubblici che devono essere restituiti allo Stato solo se non nascono figli o se ne nascono pochi; essere celibi è un ostacolo alla carriera ed è un impedimento assoluto alla promozione per gli impiegati dello Stato; tutti gli uomini non sposati dovevano pagare la tassa sul celibato creata allo scopo di motivare al matrimonio.
Censura e controllo politico della società
A partire dal delitto Matteotti, il fascismo nel corso degli anni radicalizza le sue posizioni censurando sempre di più la libertà di opinione e perseguendo coloro che criticano il governo, esprimendo opinioni diverse dal pensiero ufficiale.
Permangono tuttavia alcuni giornali non in linea col pensiero ufficiale o esplicitamente critici del fascismo e taluni intellettuali, come Benedetto Croce, proseguono la propria attività, spesso critica del fascismo.
Ai mass media (al tempo di fatto solo radio e carta stampata) venne imposto di parlare il meno possibile di fatti di cronaca nera e di crimini in genere e, in quei casi in cui fosse stato impossibile omettere la notizia, era chiesto di minimizzarla il più possibile. Questo serviva per garantire un falso senso di sicurezza nell'opinione pubblica, che percepiva l'assenza di notizie di questo tipo come l'assenza del tipo di atti a cui si riferivano. Ad esercitare il potere di censura sulla stampa, mediante stringate direttive diramate alle redazioni (le veline) è il potente Ministero della cultura popolare, la cui abbreviazione telegrafica "minculpop" verrà mutuata nel linguaggio giornalistico italiano per definire, dopo il fascismo, persone ed uffici che tentano a vario titolo di censurare articoli e opinioni.
Il cinema d'importazione subì un fermo per via di una disposizione del Ministero dell'Interno del 22 ottobre 1930: veniva imposto un completo rifiuto nei film del parlato che non fosse in lingua italiana, anche in minima parte. Fino a quel momento si era preferita la scelta di lasciare il sonoro originale e di utilizzare didascalie, anche se buona parte della popolazione non sapeva leggere correttamente. Per ovviare a questa disposizione si scelse di aggiungere alle scene dei film altre con attori italiani, che spiegavano cosa avessero detto precedentemente gli attori statunitensi. La censura coinvolse più di 300 film dell'epoca. La censura di regime colpisce tutte le forme di cultura d'importazione dai paesi anglosassoni e in particolare i fumetti, rei di "americanizzazione".
Con la riforma elettorale viene abolito il voto segreto: alle elezioni ci si deve esprimere con un sì o con un no alle proposte del governo, consegnando agli scrutatori una scheda del "sì" che all'esterno è tricolore, oppure una scheda del "no" che è tutta bianca. L'aspetto più vistoso della violenza fascista contro gli oppositori si manifesta tipicamente con le manganellate e la costrizione a bere un'abbondante dose di olio di ricino, che causava in qualche caso una violenta disidratazione del corpo (l'olio di ricino come strumento di tortura e punizione fu introdotto da Gabriele d'Annunzio durante l'occupazione di Fiume e poi ripreso dal fascismo).
La polizia politica, l'OVRA, è attivissima contro gli antifascisti che vengono giudicati e condannati da un tribunale speciale per la difesa dello Stato; istituendo tale tribunale viene anche reintrodotta la pena di morte per alcuni reati a carattere politico. Il tribunale speciale opera secondo le norme del codice penale militare di guerra e contro le sue sentenze non è possibile alcuna impugnazione. Sono proibite le riunioni di più di tre persone sia nei luoghi di lavoro che nei ritrovi pubblici (il diritto di riunione, già formalmente proibito dallo Statuto Albertino, era tuttavia largamente tollerato).
Gli ebrei, in seguito a leggi razziali del 1938, sono esclusi da incarichi pubblici, viene loro proibita la proprietà terriera oltre i 50 ettari e viene imposta la separazione razziale nella scuola e il divieto di iscriversi all'università, ad eccezione delle famiglie dei caduti o per altri meriti speciali. Se in un primo tempo vengono definiti "ebrei" solo i figli di genitori entrambi di origine ebrea, dopo pochi mesi dall'emanazione delle leggi la definizione viene estesa anche ai figli di matrimoni misti sospettati di seguire la religione o le usanze ebraiche. Vengono istituiti campi di internamento sia civili sia militari, in particolare durante la guerra.
In seguito alla promulgazione della legge sui culti ammessi nel 1929 viene limitata la libertà di culto alle sole confessioni acattoliche riconosciute; la circolare Buffarini-Guidi del 1935, vieta il culto pentecostale in tutto il Regno in quanto esso si estrinseca e concreta in pratiche religiose contrarie all'ordine sociale e nocive all'integrità fisica e psichica della razza. Molte volte denunciati dai parroci cattolici, molti pentecostali vengono arrestati, alcuni muoiono in carcere, altri in campo di concentramento.
Numerosi sono i detenuti politici confinati in piccole isole o in piccoli paesi lontani dalla regione in cui vivono, tra questi Carlo Levi. Molti italiani sono costretti a prendere la via dell'esilio, tra i quali Ignazio Silone e Sandro Pertini.
Italianizzazione forzata e modifiche al lessico
Anche sui nomi e sulle parole il fascismo impone la sua ideologia nazionalistica. Gli italiani sono invitati a far uso di termini nuovi, purché "genuinamente italiani", in sostituzione di quelli di origine straniera o che sembrano tali. Tutto ciò che è straniero è infatti visto come estraneo, non patriottico. I bar si trasformano in "mescite" (o "quisibeve") e i sandwich in "tramezzini" (termine poi entrato nell'uso comune e mantenuto anche dopo la caduta del regime), il club del tennis diventa la "consociazione della pallacorda" (dal nome del simile ma più antico gioco), il tessuto di cashmere "casimiro" e il film "filmo", lalcool diviene l'"alcole", e il football "calcio". Anche le squadre di calcio avente nome straniero furono costrette e cambiare nome: il diventò il Milano (dal 1938 al 1945) e l' veniva chiamata "Ambrosiana".
L'italianizzazione coinvolge anche molti cognomi terminanti con una consonante e quindi apparentemente "stranieri"; a questi viene aggiunta una vocale finale per renderli foneticamente "più italiani". L'operazione viene motivata con la "legittimità'" per ogni italiano di "reclamare" un cognome italiano; questo cambiamento anagrafico, da ottenersi con domanda scritta al prefetto, venne prima accordata agli abitanti della provincia di Trento secondo l'art. 1 del decreto legge 10 gennaio 1926, n. 17 -"Restituzione in forma italiana dei cognomi delle famiglie della provincia di Trento", definitivamente convertito nella legge 24 maggio 1926, n. 898, l'ultimo capoverso del quale stabiliva che, una volta ufficialmente italianizzato il cognome, il suo utilizzo nella forma "straniera" era punibile con una multa da 500 a 5000 lire. Il secondo articolo della legge estendeva la possibilità di italianizzare i cognomi stranieri o di origine straniera, su richiesta dell'interessato, anche nei casi non previsti dall'art. 1. Successivamente, tramite il regio decreto 7 aprile 1927, n. 494, e il regio decreto 31 maggio 1928, n. 1367 l'italianizzazione dei nomi venne espressamente estesa a tutta l'area della Venezia Tridentina ed alla zona di Fiume. Queste leggi vennero confermate nell'art. 164 del regio decreto n. 1238 del 9 luglio 1939 sull'Ordinamento dello Stato Civile.
Queste leggi furono abrogate soltanto nel 1991, con la legge 28 marzo 1991, n. 114. Il processo di italianizzazione dei nomi comportò anche la conversione della toponomastica ufficiale di tutte le località dell'area altoatesina.
Il fascismo tenta di imporre l'uso del "voi" al posto del "lei", considerato "residuo del servilismo italiano verso gli invasori stranieri ed espressione di snobismo borghese" nella lingua parlata; quest'ultima imposizione diede agio alla fronda antifascista di esprimersi a motteggi come "da oggi vietato parlare di Galileo Galilei, si dovrà parlare di Galileo Galivoi" e Benedetto Croce, uso a tenere una corrispondenza epistolare con cui dava del voi al suo interlocutore, cambiò l'incipit delle sue lettere passando al "lei". Tuttavia questa campagna contro il "lei" godrà anche dell'appoggio di uomini di cultura come il linguista "neopurista" Bruno Migliorini e il romanziere Bruno Cicognani che, nella terza pagina del Corriere della Sera, definì questo pronome come "aberrazione grammaticale e sintattica... spagnolismo... prodotto del cortigianismo ... servilismo e goffaggine", auspicando un ritorno "al “tu” espressione dell'universale romano e cristiano" e al "“voi” segno di rispetto e di riconoscimento di gerarchia".
Note
Bibliografia
Andrea Padoin, Breve storia dello Scautismo, Roma, Edizione scout nuova fiordaliso, 2003.
Antonio Stefani, Fuori dalla Giungla Silente. Soppressione e rinascita dello scautismo a Vicenza (1926-1945), Vicenza, Galla Libreria Editrice, 1995.
Carlo Verga, Vittorio Cagnoni, Le Aquile Randagie. Scautismo clandestino lombardo nel periodo 1928-1945, Roma, Edizioni scout nuova fiordaliso, 2002.
Come si viveva ai tempi del fascismo, Focus Storia n. 3, estate 2005, Gruner+Jahr/Mondadori
Domenico Sorrentino, Storia dello scautismo nel mondo. Fatti, protagonisti, avventure. 1907-1957, Roma, Nuova Fiordaliso, 1997.
Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Editori Laterza, 2002, ISBN 88-420-7544-2
Eric Hobsbawm, Il Secolo breve, Rizzoli, 2006, ISBN 88-17-25901-2
Fabio Foresti, Credere, obbedire, combattere: il regime linguistico nel Ventennio, Pendragon, 2001, ISBN 88-8342-179-5
Fabrizio Marinelli, I Giovani Esploratori Italiani. Breve storia del C.N.G.E.I. 1912-1976, Roma, Edizioni Scautismo, 1983.
Giordano Bruno Guerri, Fascisti, Mondadori, Milano 1995.
Gabriella Klein, La politica linguistica del fascismo, Volume 26 di Studi linguistici e semiologici, Il Mulino, 1986, pag 234, ISBN 88-15-00988-4
Giorgio Vecchiato, Con romana volontà, Marsilio Editori, 2005, ISBN 88-317-8690-3
Giuseppe dell'Oglio, Alere Flammam. Breve storia dello scautismo in Italia, Milano, Lampi di stampa (collana TuttiAutori), 2010. ISBN 978-88-488-1076-0
M. Addis Saba, Gioventù italiana del Littorio, Feltrinelli, Milano 1973
Mario Sica, Gli scout. Storia di una grande avventura iniziata con 22 ragazzi su un'isola, Bologna, Società editrice il Mulino, 2002. ISBN 978-88-15-08477-4
Mario Sica, Storia dello scautismo in Italia, 4ª ed., Roma, Edizioni scout fiordaliso, 2006. ISBN 978-88-8054-774-7
Mattia Pessina, Obbedire? Lo scautismo italiano di fronte al fascismo, Trieste, Centro Studi Scout «Eletta e Franco Olivo» del CNGEI, 2010.
Paola Dal Toso, Nascita e diffusione dell'ASCI. 1916-1928, Milano, FrancoAngeli, 2006. ISBN 978-88-464-8388-1
Philippe Ariès, Georges Duby, La vita privata - Il Novecento, Laterza, 2001, ISBN 88-420-6493-9
Piet J. Kroonenberg, Gli intrepidi. Scautismo clandestino e rinascita del movimento nei paesi dell'Europa centro-orientale, Roma, Edizioni scout nuova fiordaliso, 2001.
Luca Goldoni, Enzo Sermasi, Fiero l'occhio svelto il passo, Arnoldo Mondadori Editore, 1979
Voci correlate
Casellario Politico Centrale
Condizione femminile in Italia
Censura fascista in Italia
Fascismo
Futurismo
Giovane fascista
Italianizzazione (fascismo)
Letteratura italiana durante il fascismo
OVRA
Riforma Gentile
Repressione del dissenso nell'Italia fascista
Socializzazione (fascismo)
Sport e fascismo
Storia dell'Italia fascista
Treni popolari
Uomo nuovo
Collegamenti esterni
Fascismo |
1843 | https://it.wikipedia.org/wiki/Francis%20Galton | Francis Galton | Oltre a tale parola, ha lasciato alla scienza anche termini come anticiclone – in quanto si interessava anche di meteorologia – e regressione e correlazione. Contribuì all'affermazione di diverse discipline sperimentali, tra cui la psicometria.
Biografia
Di famiglia quacchera, era nipote di Erasmus Darwin e cugino di Charles Darwin (sua madre, Frances Ann Violetta Darwin, era la sorellastra minore del padre di Charles Darwin, Robert), ma, nonostante la notevole parentela, non portò a termine né gli studi in medicina, né ottenne il diploma di matematica a Cambridge.
Personaggio polivalente e intellettualmente prolifico, Galton ha scritto più di 340 fra articoli e libri nel corso della sua vita. Fortemente interessato al miglioramento della razza e alla selezione di una élite intellettuale, è stato il fondatore di una nuova disciplina da lui denominata eugenetica. La sua teoria è anche detta darwinismo sociale. La teoria evolutiva portava con sé un ottimismo razionale, quello che la selezione naturale avrebbe migliorato le specie viventi; il darwinismo sociale rilevava che l'evoluzione umana non seguiva queste regole, e sosteneva che la selezione doveva applicarsi all'uomo poiché anch'esso appartiene al regno animale e perché la selezione naturale avrebbe garantito la migliore qualità degli individui e il migliore futuro della specie umana.
Il 5 febbraio 1844 entrò nella Massoneria, nella Scientific lodge di Cambridge, appartenente alla Gran Loggia unita d'Inghilterra, divenne Compagno l'11 marzo e Maestro il 13 maggio dello stesso anno. Uno dei suoi certificati massonici della Scientific lodge si trova tra le sue carte all'University College di Londra..
Galton e l'eugenetica
Da quest'immagine semplicistica dell'uomo come animale in evoluzione, si dedusse un'immagine dello sviluppo della società umana come evoluzione altrettanto spontanea e incontrollata di quella che si supponeva fosse l'evoluzione dell'organismo umano (H. Drummond, Natural law in the spiritual world, Londra, 1883). Muovendo da questa concezione, Francis Galton si accinse con le migliori intenzioni a studiare l'eredità delle grandi personalità del suo tempo (F. Galton, Hereditary genius, Londra, 1869). Egli trovò che molti di questi uomini superiori erano imparentati fra di loro e che tutti appartenevano a un numero relativamente ristretto di famiglie.
Galton tuttavia trascurò che la classe dominante inglese del suo tempo costituiva un'esigua minoranza di famiglie, legate fra di loro da vincoli matrimoniali, e che le probabilità di successo, anche intellettuale, andavano in maniera schiacciante a favore dei giovani della classe dominante. Il lavoro di Galton ha tuttavia il merito di essere il primo esempio, per quanto grossolano, di statistica applicata allo studio dell'ereditarietà; esso pose le fondamenta dell'eugenetica, scienza socio-biologica, che da allora è stata utilizzata soprattutto per tentar di provare, sul terreno genetico, la superiorità di sangue delle classi privilegiate, e la necessità di proteggerne la purezza da incroci avventati con le classi inferiori. Quest'interpretazione biologica della società, col suo accento sul fatto razziale e sugli incroci, ha influenzato in maggiore o minor misura molti storici e sociologici anche progressivi. Essa è stata popolarizzata da storici come Green e da romanzieri come Wells.
Contributi alla geografia
Tra il 1845 e il 1846 si recò in Egitto e intraprese un viaggio lungo il Nilo fino a Khartum in Sudan, da dove poi proseguì fino a Beirut, Damasco e lungo le rive del Giordano. Diviene socio della Royal Geographical Society e nel 1850 parte per un viaggio esplorativo autofinanziato nell'Africa Sudoccidentale. Lo accompagnò l'esploratore britannico di origine svedese Carl Johan Anderson che si fermò nei territori per un periodo più lungo. Durante il viaggio esplorarono e tracciarono le mappe del Damaraland e dell'Ovamboland. Al rientro, nel 1851, pubblicò la sua relazione: "Narrative of an Explorer in Tropical South Africa" che gli valse la medaglia d'oro della Royal Geographical Society e la medaglia d'argento della Société de Géographie francese.
Contributi alla statistica
Nel 1865 comincia a interessarsi alla metodologia statistica e alla sua applicazione in molteplici settori, fra i quali la
genetica, l'antropometria, l'educazione e la psicologia. Grazie ai suoi tentativi di quantificare il comportamento dell'uomo viene considerato il padre della biometria. In una ricerca del 1869 introdusse il concetto di correlazione, senza darne una definizione (osservò che tra moralità di un individuo e la sua instabilità morale non vi è correlazione).
Nel 1877, studiando la relazione tra l'altezza dei figli e l'altezza dei padri, constatò che lo scarto dalla media regredisce. In tale studio (nel quale fa uso della curva gaussiana di distribuzione normale) introdusse anche una misura numerica di tale funzione (relazione) lineare oggi nota come coefficiente di regressione (regressione è sinonimo di dipendenza), identificata già da Galton con la lettera r come abbreviazione di regressione (in realtà, non standardizzava le variabili, come si fa oggi, ma le normava usando lo scarto interquartile). Grazie a Hamilton Dixon formalizzò la distribuzione di tale misura verificando che era una distribuzione normale bivariata. Determinando alcuni parametri di tale distribuzione anticipò alcuni concetti dell'analisi delle componenti principali.
Con la sua ricerca su come migliorare la razza umana (eugenetica) e su come misurare tale miglioria contribuisce allo sviluppo di concetti come la mediana e i frattili. Nel 1901 finanzia la creazione della rivista Biometrika. Molto amico di Karl Pearson (altro personaggio chiave della statistica), nel 1904 farà confluire il suo Eugenics Record Office nel laboratorio di biometria di Pearson, dando origine al Laboratorio Galton. Per testamento crea il Galton Chair of National Eugenics, dotato di 45 mila sterline. Sono inoltre famosi i suoi studi sulla Macchina di Galton (Quinconce), un piccolo dispositivo per lo studio della distribuzione binomiale.
Impronte digitali
Galton dedicò svariati volumi (1891, 1892, 1893 e 1895) e articoli all'esposizione dei suoi studi sulle impronte digitali. Misurò la probabilità che due individui diversi possiedano le medesime impronte, ne indagò l'ereditarietà e le caratteristiche in diverse gruppi razziali, e ideò un sistema per la loro classificazione. Il metodo di identificazione mediante impronte digitali era stato già introdotto da William James Herschel negli anni 1860, e il suo uso in ambito criminale e giudiziario già proposto da Henry Faulds nel 1880. Ma furono le ricerche di Galton, congiuntamente a quelle svolte da Sir Edward Henry nel medesimo periodo, a impostare su base scientifica lo sviluppo e le applicazioni di questo metodo, favorendone quindi l'effettiva adozione nelle aule giudiziarie (cfr. Bulmer 2003).
Note
Opere (selezione)
1853: Tropical South Africa
1855: The Art of Travel
1863: Meteorographica, or Methods of Mapping the Weather
1865: Hereditary talent and character
1869: Hereditary Genius, in cui compare il concetto di regressione, senza ulteriore definizione
1874: English Men of Science: their Nature and Nurture
1879: Psychometric Facts
1880: Visualised numerals
1883: Inquiries into Human Faculty and Its Development, in cui compare per la prima volta il termine "eugenetica"
1884: Anthropometric Laboratory
1886: Notes on permanent colour types in mosaic
1888: Note on Australian marriage systems
1889: Natural Inheritance
1891: The patterns in thumb and finger marks
1892: Finger Prints
1893: Decipherment of Blurred Finger Prints
1895: Finger Print Directories
1907: Probability, the Foundation of Eugenics
1908: Memories of My Life (autobiografia)
1909: Essays in Eugenics
Opere Tradotte (selezione)
1999: L'arte di viaggiare (Titolo originale The Art of Travel) ed. Ibis a cura di Graziella Martina ISBN 978-88-7164-248-2
2001: Piccolo manuale di sopravvivenza (Tratto da L'arte di viaggiare) ed. Ibis a cura di Graziella Martina ISBN 88-7164-105-1
Bibliografia
G. Montalenti. Genetica umana ed eugenica, in «La Ricerca Scientifica». nn. 1-2. Milano, CNR, 1949. pp. 1-6.
M. Bulmer. Francis Galton: Pioneer of Heredity and Biometry. Johns Hopkins University Press, 2003.
D.W. Forrest. Francis Galton: the life and work of a Victorian Genius. Londra, 1974.
K. Pearson. The Life, Letters, and Labours of Francis Galton. Londra, 1914-30.
Voci correlate
AFIS (informatica) (Sistema di identificazione automatica delle impronte digitali)
Edward Henry
Giovanni Gasti
Impronte digitali
Razzismo scientifico
Sistema di riconoscimento biometrico
Storia dell'eugenetica
Storia della statistica
Storia della controversia su razza e intelligenza
variabile casuale normale
Altri progetti
Collegamenti esterni
Criminologia
Identificazione personale
Psicologi britannici
Statistici britannici
Studenti del King's College London
Nati a Birmingham
Membri della Royal Society
Antropometria
Esploratori dell'Africa
Uomini universali
Eugenisti
Massoni |
1845 | https://it.wikipedia.org/wiki/Funzione%20generatrice%20dei%20momenti | Funzione generatrice dei momenti | La funzione generatrice dei momenti viene usata nella teoria della probabilità per caratterizzare in modo astratto le variabili casuali permettendo da un lato di estrarne agevolmente alcuni parametri (come il valore atteso e la varianza) dall'altro di confrontare due diverse variabili casuali e vedere il loro comportamento in condizioni limite.
La funzione generatrice dei momenti di una variabile casuale è definita come il valore atteso di , dove esso è finito (e ciò può accadere solo in un intorno dello 0, in cui vale 1 indipendentemente da ). Infatti tale valore atteso potrebbe essere infinito e in tal caso si dice semplicemente che non possiede funzione generatrice dei momenti.
Descrizione
Nel caso di variabili casuali discrete si ottiene:
mentre per la variabili casuali continue:
dove con e denotano le funzioni di massa (densità nel caso continuo) della variabile casuale in questione.
Dalla funzione generatrice dei momenti è possibile ricavare i momenti semplici di ordine centrati in zero derivando volte con Ossia:
dalla seconda espressione sopra si può ad esempio ricavare la varianza.
Teoremi
Se sono variabili aleatorie indipendenti e la loro somma:
allora la funzione generatrice dei momenti di è il prodotto delle funzioni generatrici dei momenti delle singole :
Un secondo teorema importante è il seguente: se due variabili casuali su uno stesso spazio di probabilità hanno stessa funzione generatrice dei momenti, allora le due variabili casuali hanno la stessa distribuzione.
Bibliografia
Giorgio Dall'Aglio, Calcolo delle probabilità, Zanichelli, Bologna, 2003
Voci correlate
Momento (statistica)
Variabile casuale
Valore atteso
Funzione caratteristica (teoria della probabilità)
Collegamenti esterni
Teoria della probabilità |
1846 | https://it.wikipedia.org/wiki/Frank%20Yates | Frank Yates |
Biografia
Nel 1931 divenne l'assistente di Ronald Fisher presso la stazione sperimentale di Rothamsted. Dall 1933 ne diresse la statistica, in quanto Fisher passò all'University College di Londra.
A Rothamsted lavorò sul disegno degli esperimenti, diede contributi all'analisi della varianza e formulò l'algoritmo di Yates.
Durante la seconda guerra mondiale lavorò alla ricerca operativa ante litteram.
Dopo la guerra lavorò al disegno delle indagini campionarie e alle analisi campionarie.
Entusiasta dei computer, nel 1954 ottenne per Rothamsted un Elliott 401 e contribuì agli sviluppi iniziali dell'informatizzazione della statistica.
Nel 1966 ottenne la Royal Medal dalla Royal Society.
Ritiratosi nel 1968 da Rothamsted, divenne Senior Research Fellow all'Imperial College.
Opere
Contingency tables involving small numbers and the χ² test (1934)
The design and analysis of factorial experiments (1937)
Statistical tables for biological, agricultural and medical research (coautore Ronald Fisher, 1938)
Systematic sampling (1948)
Selection without replacement from within strata with probability proportional to size (coautore P.M.Grundy, 1953)
Sampling methods for censuses and surveys (1960)
Programmi per computer: GENFAC, RGSP, Fitquan
Altri progetti
Collegamenti esterni
Medaglia Guy d'oro |
1851 | https://it.wikipedia.org/wiki/Firmware | Firmware | Il firmware (prestito linguistico dalla lingua inglese derivante dall'unione di "firm" e "software", sicché in italiano equivale a componente logico permanente) è un programma, ovvero una sequenza di istruzioni, integrato direttamente in un componente elettronico programmato (es. UEFI su ROM).
Descrizione
Questo software permanente viene installato direttamente dal produttore del dispositivo alla fine del processo produttivo risiedendo stabilmente nell'hardware per cui è stato scritto e fino a pochi anni fa non era modificabile dall'utente finale. I dispositivi più recenti consentono invece l'aggiornamento del firmware; in particolar modo, sono aggiornabili quelli che possono interagire con componenti simili, ma con differenti caratteristiche. In una scheda elettronica (come una scheda di espansione per computer) esso generalmente trova posto all'interno di una memoria ROM o flash; quando invece il firmware è integrato all'interno di un processore (come ad esempio il Pentium 4) in italiano viene detto anche microcodice.
Il tipo più conosciuto è quello della scheda madre di un PC, ovvero l'UEFI (che ha sostituito il BIOS), e responsabile del corretto avvio del computer, ma quasi sempre sono dotati di proprio firmware anche i singoli componenti di un computer, come dischi fissi, lettori o masterizzatori di CD e DVD, schede di espansione in genere. Sono spesso firmware i software di funzionamento dei sistemi embedded, tra cui alcuni tipi di dispositivo mobile (gli smartphone, ad esempio).
Spesso il firmware consiste in più componenti software, che si occupano delle funzioni minimali necessarie a gestire la memoria non volatile e a caricare il bootloader..
Altro componente che presiede l'inizializzazione di un dispositivo hardware è la bootrom.
Funzioni
Il suo scopo è quello di avviare il componente stesso e consentirgli di interagire con altri componenti hardware tramite l'implementazione di protocolli di comunicazione o interfacce di programmazione. Rappresenta di fatto il punto di incontro fra le componenti logiche e fisiche di un dispositivo elettronico, ossia tra software e hardware.
Negli apparati di rete
In alcuni apparati all'interno di reti di calcolatori, come router e molti switch di fascia media e alta, la parola firmware ha un significato più ampio ed indica il vero e proprio sistema operativo dell'apparato, che ne gestisce tutte le funzioni, possiede un'interfaccia utente spesso non banale (accessibile via porta seriale, o via rete con i protocolli SNMP, telnet, SSH, HTTP, TFTP o anche FTP per il trasferimento di file di configurazione o nuove versioni del firmware), permette di monitorare ed intervenire sul funzionamento dell'apparato e di modificarne la configurazione.
Data la complessità delle funzioni realizzate dal firmware in questi casi, gli aggiornamenti per aggiungere altre funzionalità o per correggere bug possono essere frequenti. Anche in questi casi, il firmware è memorizzato su una memoria non volatile ROM o EEPROM.
Note
Voci correlate
UEFI
Bootloader
Computer
Hardware
Microprogrammazione
Shadow RAM
Sistema embedded
Software
Altri progetti
Collegamenti esterni |
1852 | https://it.wikipedia.org/wiki/FAQ | FAQ | FAQ () sono le domande che vengono più frequentemente poste dagli utilizzatori di un certo servizio, soprattutto sui siti web e nelle comunità virtuali, le quali vengono raccolte in una lista con le relative risposte dagli amministratori del servizio, in modo tale da reindirizzare i nuovi utenti alla lista ed evitare di rispondere più volte alle stesse domande.
FAQ su Internet
Nei newsgroup
Dato che con la crescita di un newsgroup ci sono domande che tendono a ripetersi, normalmente le risposte a queste domande vengono raccolte per evitare di dire sempre le stesse cose. Quasi tutti i newsgroup hanno una FAQ, che abitualmente, per i newsgroup it.*, viene pubblicata sul gruppo stesso e su un gruppo apposito (it.faq) con una certa regolarità. È norma di buona educazione leggere le FAQ di un newsgroup prima di porre delle domande; le reazioni a chi non segue questa norma dipendono dal tasso di sopportazione dei partecipanti "anziani" della comunità.
Nei siti web
Le FAQ sono frequentemente utilizzate nei siti web, dove vengono in genere raccolte in una pagina disponibile a tutti e facilmente raggiungibile.
L'esigenza di questo sistema di informazione nasce dal fatto che i gestori dei siti (webmaster), con l'aumentare della complessità dell'argomento
trattato come della complessità stessa della struttura del sito o del semplice numero di utenti, si trovavano spesso sommersi da una mole di email che pongono sempre le stesse domande, tale che risulta impossibile, o poco efficiente, rispondere a tutti singolarmente.
Questo ingegnoso sistema di condivisione dell'informazione non viene sempre sfruttato nelle sue piene potenzialità dagli utenti. Spesso già nella fase di realizzazione del sito vengono previste quelle che saranno presumibilmente le domande ricorrenti e inserite con le risposte nella pagina delle FAQ.
Voci correlate
Manuale
Newbie
RTFM
Altri progetti
Collegamenti esterni
Documentazione informatica |
1853 | https://it.wikipedia.org/wiki/Firewall | Firewall | Nell'informatica, nell'ambito delle reti di computer, un firewall (termine inglese dal significato originario di parete refrattaria, muro tagliafuoco, muro ignifugo; in italiano anche parafuoco o parafiamma) è un componente hardware e/o software di difesa perimetrale di una rete, originariamente passivo, che può anche svolgere funzioni di collegamento tra due o più segmenti di rete, o tra una rete e un computer locale, fornendo dunque una protezione in termini di sicurezza informatica della rete stessa e proteggendo il computer da malware o altri pericoli di internet.
Storia
Il termine "firewall" in origine si riferiva a un muro destinato a confinare un incendio all'interno di un edificio. Gli usi successivi si riferiscono a strutture analoghe, come la lamiera che separa il vano motore di un veicolo o di un aereo dall'abitacolo. Il termine fu applicato alla fine degli anni Ottanta alla tecnologia di rete che emerse quando internet era abbastanza nuovo in termini di uso e connettività globali. I predecessori dei firewall per la sicurezza della rete erano i router utilizzati alla fine degli anni Ottanta. Poiché le reti erano già segregate, i router potevano applicare il filtraggio ai pacchetti che le attraversavano.
Evoluzione
Con l'introduzione delle reti LAN nella seconda metà degli anni 1970 e l'aumentare della connettività tra queste, favorita dalla diffusione dei primi router a partire dai primi anni 1980, cominciarono a emergere i primi problemi di sicurezza riguardanti gli accessi non autorizzati ad una rete. Una delle prime soluzioni adottate consisteva nell'impostare all'interno dei router le liste di controllo degli accessi (ACL) che consentivano di stabilire quali pacchetti accettare e quali scartare sulla base dell'indirizzo IP. Questo approccio diventò sempre meno utilizzabile quanto più aumentavano gli host connessi alla rete Internet. Per cercare di contrastare le intrusioni, alla fine degli anni 1980 vennero introdotti i primi firewall.
La prima generazione fu quella dei packet filter firewall o stateless firewall, il cui primo esemplare venne sviluppato nel 1988 dalla Digital Equipment Corporation. Il loro funzionamento consisteva nel filtrare il traffico secondo un insieme di regole basate su alcune informazioni presenti nell'header dei pacchetti. Questi semplici filtri, usati spesso all'interno dei router e degli switch, potevano essere aggirati utilizzando l'IP spoofing e non riuscivano a rilevare le vulnerabilità nei livelli del modello OSI superiori al terzo.
La seconda generazione di firewall introdusse, rispetto alla prima, la possibilità di salvare e monitorare lo stato di una connessione. Il primo stateful firewall (chiamato anche circuit-level gateway) venne sviluppato tra il 1989 e il 1990 dagli AT&T Bell Laboratories. Un firewall di questo tipo consentiva la formulazione di regole in grado di bloccare pacchetti fasulli, cioè non appartenenti ad alcuna connessione attiva, ma non garantiva la protezione da attacchi che sfruttavano vulnerabilità nei livelli superiori del modello OSI. Inoltre erano sensibili anche ad attacchi di tipo DoS che puntavano a riempire la tabella dello stato delle connessioni.
Firewall di tipo stateful vennero integrati all'interno di piattaforme UTM (Unified Threat Management) che inizialmente, oltre al firewall, prevedevano anche un antivirus e un sistema per la prevenzione delle intrusioni (IPS). Altre funzioni che vennero aggiunte in seguito a questo tipo di soluzioni per la sicurezza sono VPN, reporting, load balancing e il filtraggio del contenuto. All'interno di questo insieme di strumenti, il firewall costituiva il primo elemento di difesa del sistema. Uno dei problemi più importanti delle soluzioni UTM erano le prestazioni.
La crescita di Internet portò alla diffusione degli attacchi inseriti all'interno del traffico web ai quali i stateful firewall non erano in grado di far fronte. Infatti i firewall della seconda generazione, come quelli della prima, non avevano la capacità di individuare le minacce all'interno del traffico in quanto riuscivano a classificarlo semplicemente sulla base della porta e del protocollo. Il problema portò allo sviluppo degli application firewall (anche detti proxy firewall o application gateway), una nuova generazione di firewall in grado di offrire protezione fino al livello applicativo (livello 7) del modello OSI. Tra i firewall di questo tipo DEC SEAL e FWTK furono tra i primi ad essere sviluppati nella prima metà degli anni 1990. Tuttavia questo tipo di firewall poteva supportare un solo protocollo applicativo e influiva negativamente sul traffico di rete.
Nella seconda metà degli anni 2000 vennero realizzati i primi next-generation firewall i quali riunivano vecchie e nuove tecnologie di sicurezza in un'unica soluzione, evitando il degrado delle prestazioni e migliorandone la configurazione e la gestione.
Descrizione
Di norma, la rete viene divisa in due sottoreti: una, detta esterna, è tipicamente una WAN (Wide Area Network) che può comprendere Internet, mentre l'altra interna, detta LAN (Local Area Network), comprende una sezione più o meno grande di un insieme di computer host locali; in alcuni casi può essere utile creare una terza sottorete, detta DMZ (o zona demilitarizzata), adatta a contenere quei sistemi che devono essere isolati dalla rete interna, ma che devono comunque essere protetti dal firewall ed essere raggiungibili dall'esterno (server pubblici).
Caratteristiche
In generale può essere un software oppure un dispositivo hardware oppure una composizione di hardware e software: in particolare si definisce appliance nel caso in cui sia realizzato come un dispositivo hardware provvisto di software integrato in grado di svolgere le funzione di firewall. Si tratta dunque di un componente per la sicurezza informatica avente lo scopo di controllare gli accessi alle risorse di un sistema filtrando tutto il traffico che tale sistema scambia con l'esterno: il sistema, che si suppone sicuro e attendibile, protetto dal firewall, può essere un singolo computer o una rete di computer (detta rete interna o rete locale o rete privata) mentre l'ambiente esterno con cui interagisce è tipicamente una rete che si suppone sconosciuta, insicura e non attendibile (detta rete esterna o rete pubblica). In particolare un firewall filtra il traffico sulla base di un insieme di regole, solitamente dette policy (in italiano si potrebbe rendere con criteri o politiche), che vengono applicate secondo due possibili criteri generali:
criterio default-deny: viene permesso solo ciò che viene dichiarato esplicitamente e il resto viene vietato;
criterio default-allow: viene vietato solo ciò che è esplicitamente proibito e il resto viene permesso.
I firewall utilizzano normalmente il criterio default-deny poiché garantisce una maggiore sicurezza e una maggiore precisione nella definizione delle regole rispetto al criterio default-allow, anche se quest'ultimo consente una configurazione più semplice. L'analisi dei pacchetti che costituiscono il traffico, secondo i criteri di sicurezza formalizzati dalle regole, si traduce in una delle seguenti azioni:
allow: il firewall lascia passare il pacchetto;
deny: il firewall blocca il pacchetto e lo rimanda al mittente;
drop: il firewall blocca il pacchetto e lo scarta senza inviare alcuna segnalazione al mittente.
Di solito i firewall non prevedono il blocco del pacchetto e il rinvio dello stesso al mittente per evitare uno spreco di banda.
I firewall si dividono in host-based e network-based a seconda della natura del sistema che proteggono. Un host-based firewall, chiamato anche personal firewall o firewall software, è un'applicazione software che controlla il traffico uscente ed entrante di un singolo computer. In particolare blocca le applicazioni installate sulla macchina a cui non è concessa la connessione con l'esterno. Un network-based firewall, detto anche network firewall o firewall hardware, è un componente hardware stand-alone che viene posto sul confine di una rete in modo da filtrare tutto il traffico che questa scambia con l'esterno (per questo viene anche detto firewall perimetrale).
I firewall hardware sono macchine che vengono progettate per la particolare funzione che devono svolgere e possono essere realizzate con hardware e software dedicati o con un server opportunamente configurato per eseguire solamente un firewall. Dato che vengono impiegate per separare una rete interna da una rete esterna, sono dotate di due schede di rete e presentano un sistema operativo minimale composto solo da software indispensabile per l'esecuzione del firewall. Per questo motivo i firewall hardware sono più sicuri e allo stesso tempo più difficili da configurare rispetto ai firewall software.
Filtraggio dei pacchetti/contenuti
Una funzione che alcuni firewall prevedono è la possibilità di filtrare ciò che arriva da Internet sulla base di diversi tipi di criteri non relativi alla sicurezza informatica, ma volti a limitare gli utilizzi della rete sulla base di decisioni politiche, in particolare vietando la connessione su determinate porte o, per quanto riguarda il web, a determinate categorie di siti:
contenuti non adatti ai minori (ad esempio in una rete domestica con postazioni libere non protette individualmente);
contenuti ritenuti non pertinenti con l'attività lavorativa (in una rete aziendale);
contenuti esclusi in base alle informazioni veicolate, su base politica, religiosa o per limitare la diffusione della conoscenza (in questi casi il firewall è uno strumento di censura).
Alcune nazioni arrivano a filtrare tutto il traffico internet proveniente dal proprio territorio nazionale nel tentativo di controllare il flusso di informazioni. Spesso l'attivazione di questa funzionalità è demandata a software e/o hardware dedicati al filtraggio in base a URL, appartenenti alla categoria dei proxy. Ai firewall viene però richiesto di impedire che gli utenti aggirino tali limitazioni. Le applicazioni di "controllo della navigazione", in ambito aziendale ovvero per scopi professionali, supportate dai firewall, hanno periodici aggiornamenti per quanto concerne le black list standard (per genere) da utilizzare come base di partenza per la configurazione.
Altre funzionalità associate (NAT e Intrusion prevention system)
Una funzione spesso associata al firewall è quella di NAT (traduzione degli indirizzi di rete), che può contribuire a rendere inaccessibili i calcolatori sulla rete interna mascherandone gli indirizzi IP. Molti firewall possono registrare tutte le operazioni fatte (logging), effettuare registrazioni più o meno selettive (ad esempio, registrare solo i pacchetti che violano una certa regola, non registrare più di N pacchetti al secondo), e tenere statistiche di quali regole sono state più violate.
La registrazione integrale dell'attività di un firewall può facilmente assumere dimensioni ingestibili, per cui spesso si usa il logging solo temporaneamente per diagnosticare problemi, o comunque in modo selettivo (logging dei soli pacchetti rifiutati o solo di alcune regole). Tuttavia, l'analisi dei log di un firewall (o anche dei contatori delle varie regole) può permettere di individuare in tempo reale tentativi di intrusione. Talvolta ad un firewall è associata anche la funzione rilevamento delle intrusioni (IDS), un sistema basato su euristiche che analizza il traffico e tenta di riconoscere possibili attacchi alla sicurezza della rete, e può anche scatenare reazioni automatiche da parte del firewall (Intrusion prevention system).
Vantaggi e svantaggi
Rispetto ad un firewall perimetrale, il personal firewall è eseguito sullo stesso sistema operativo che dovrebbe proteggere, ed è quindi soggetto al rischio di venir disabilitato da un malware che prenda il controllo del calcolatore con diritti sufficienti. Inoltre, la sua configurazione è spesso lasciata a utenti finali poco esperti. A suo favore, il personal firewall ha accesso ad un dato che un firewall perimetrale non può conoscere, ovvero può sapere quale applicazione ha generato un pacchetto o è in ascolto su una determinata porta, e può basare le sue decisioni anche su questo, ad esempio bloccando una connessione SMTP generata da un virus e facendo passare quella generata da un'altra applicazione.
Limiti
Il firewall, pur essendo spesso un componente vitale in una strategia di sicurezza informatica, resta un singolo elemento di tale strategia:
la sua efficacia è legata strettamente all'efficacia delle regole con cui è stato configurato (es. regole permissive possono lasciare falle di sicurezza);
la sua configurazione è un compromesso tra usabilità della rete, sicurezza e risorse disponibili per la manutenzione della configurazione stessa (le esigenze di una rete cambiano rapidamente);
una quota rilevante delle minacce alla sicurezza informatica proviene dalla rete interna (portatili, virus, connessioni abusive alla rete, dipendenti, accessi VPN, reti wireless non adeguatamente protette).
Vulnerabilità
Una delle vulnerabilità più conosciute di un firewall di fascia media è l'HTTP tunneling, che consente di bypassare le restrizioni Internet utilizzando comunicazioni HTTP solitamente concesse dai firewall.
Altra tipica vulnerabilità è la dll injection, ovvero una tecnica utilizzata da molti trojan, che sovrascrive il codice maligno all'interno di librerie di sistema utilizzate da programmi considerati sicuri.
L'informazione riesce ad uscire dal computer in quanto il firewall, che di solito controlla i processi e non le librerie, crede che l'invio ad Internet lo stia eseguendo un programma da esso ritenuto sicuro, ma che di fatto utilizza la libreria contaminata. Alcuni firewall hanno anche il controllo sulla variazione delle librerie in memoria, ma è difficile capire quando le variazioni sono state fatte da virus.
Tipologie
Generalmente classificati come basati su rete o basati su host, i firewall di rete sono posizionati sui computer gateway di LAN, WAN e intranet: si tratta di dispositivi software in esecuzione su hardware generico o dispositivi per computer firewall basati su hardware. Le appliance firewall possono anche offrire funzionalità aggiuntive alla rete interna che proteggono, come ad es. un server DHCP o VPN per quella rete. I firewall basati su host sono invece posizionati sul nodo terminale di rete stesso e controllano il traffico di rete in entrata e in uscita da tali macchine: può essere un daemon o un servizio come parte del sistema operativo o un'applicazione agente come la sicurezza o la protezione degli endpoint. Ognuno possiede vantaggi e svantaggi, tuttavia, ognuno ha un ruolo nella sicurezza a più livelli; anche i firewall variano di tipo a seconda di dove proviene la comunicazione dati, dove viene intercettata e viene tracciato lo stato della comunicazione.
Personal firewall o Firewall software
Oltre al firewall a protezione perimetrale ne esiste un secondo tipo, definito "Personal Firewall", che si installa direttamente sui sistemi da proteggere (per questo motivo è chiamato anche Firewall Software). In tal caso, un buon firewall effettua anche un controllo di tutti i programmi che tentano di accedere ad Internet presenti sul computer nel quale è installato, consentendo all'utente di impostare delle regole che possano concedere o negare l'accesso ad Internet da parte dei programmi stessi, questo per prevenire la possibilità che un programma malevolo possa connettere il computer all'esterno pregiudicandone la sicurezza.
Il principio di funzionamento differisce rispetto a quello del firewall perimetrale in quanto, in quest'ultimo, le regole che definiscono i flussi di traffico permessi vengono impostate in base all'indirizzo IP sorgente, quello di destinazione e la porta attraverso la quale viene erogato il servizio, mentre nel personal firewall all'utente è sufficiente esprimere il consenso affinché una determinata applicazione possa interagire con il mondo esterno attraverso il protocollo IP. Da sottolineare che l'aggiornamento di un firewall è importante ma non è così vitale come invece lo è l'aggiornamento di un antivirus, in quanto le operazioni che il firewall deve compiere sono sostanzialmente sempre le stesse. È invece importante creare delle regole che siano corrette per decidere quali programmi devono poter accedere alla rete esterna e quali invece non devono.
Packet filter firewall o stateless firewall
Un packet filter firewall o stateless firewall analizza ogni pacchetto che lo attraversa singolarmente, senza tenere conto dei pacchetti che lo hanno preceduto. In tale analisi vengono considerate solo alcune informazioni contenute nell'header del pacchetto, in particolare quelle appartenenti ai primi tre livelli del modello OSI più alcune del quarto. Le informazioni in questione sono l'indirizzo IP della sorgente, l'indirizzo IP della destinazione, la porta della sorgente, la porta della destinazione e il protocollo di trasporto. Su questi parametri vengono costruite le regole che formalizzano la policy del firewall e che stabiliscono quali pacchetti lasciar passare e quali bloccare. Questo tipo di filtraggio è semplice e leggero ma non garantisce un'elevata sicurezza. Infatti risulta vulnerabile ad attacchi di tipo IP spoofing in quanto non riesce a distinguere se un pacchetto appartenga o no ad una connessione attiva. Quindi, a causa della mancanza di stato, il firewall lascia passare anche i pacchetti il cui indirizzo IP sorgente originale, non consentito dalla policy del firewall, viene volutamente modificato con un indirizzo consentito. Inoltre il filtraggio, basato solo sulle informazioni dei primi livelli del modello OSI, non permette al firewall di rilevare gli attacchi basati su vulnerabilità dei livelli superiori. Pochi packet filter firewall supportano delle funzionalità di logging e di reporting di base.
Il primo documento pubblicato sulla tecnologia firewall è stato nel 1988, quando gli ingegneri della Digital Equipment Corporation (DEC) hanno sviluppato sistemi di filtraggio noti come firewall per filtri a pacchetto. Questo sistema abbastanza basilare è la prima generazione di quella che in seguito divenne una funzionalità di sicurezza Internet altamente coinvolta e tecnica. Alla AT & T Bell Labs, Bill Cheswick e Steve Bellovin hanno continuato la loro ricerca nel filtraggio dei pacchetti e hanno sviluppato un modello funzionante per la propria azienda basato sulla loro originale architettura di prima generazione.
Stateful firewall o circuit-level gateway
Uno stateful firewall o circuit-level gateway svolge lo stesso tipo di filtraggio dei packet filter firewall e in più tiene traccia delle connessioni e del loro stato. Questa funzionalità, detta stateful inspection, viene implementata utilizzando una tabella dello stato interna al firewall nella quale ogni connessione TCP e UDP viene rappresentata da due coppie formate da indirizzo IP e porta, una per ciascun endpoint della comunicazione. Per tenere traccia dello stato di una connessione TCP vengono memorizzati il sequence number, l'acknowledgement number e i flag che ne indicano l'inizio (SYN), la parte centrale (ACK) e la fine (FIN). Quindi uno stateful firewall bloccherà tutti i pacchetti che non appartengono ad una connessione attiva, a meno che non ne creino una nuova, o che non rispettino l'ordine normale dei flag nella comunicazione. La possibilità di filtrare i pacchetti sulla base dello stato delle connessioni previene gli attacchi di tipo IP spoofing ma comporta una maggiore difficoltà nella formulazione delle regole. Inoltre gli stateful firewall non rilevano gli attacchi nei livelli OSI superiori al quarto e sono sensibili agli attacchi DoS che ne saturano la tabella dello stato. In generale, rispetto ai packet filter firewall, offrono una maggiore sicurezza, un logging migliore e un controllo migliore sui protocolli applicativi che scelgono casualmente la porta di comunicazione (come FTP) ma sono più pesanti dal punto di vista delle performance.
Application firewall o proxy firewall o application gateway
Un application firewall o proxy firewall o application gateway opera fino al livello 7 del modello OSI filtrando tutto il traffico di una singola applicazione sulla base della conoscenza del suo protocollo. Questo tipo di firewall analizza i pacchetti nella sua interezza considerando anche il loro contenuto (payload) ed è quindi in grado di distinguere il traffico di un'applicazione indipendentemente dalla porta di comunicazione che questa utilizza. Un'altra caratteristica che lo distingue da un packet filter firewall e da uno stateful firewall è la capacità di spezzare la connessione tra un host della rete che protegge e un host della rete esterna. Infatti nelle comunicazioni svolge il ruolo di intermediario ed è quindi l'unico punto della rete che comunica con l'esterno, nascondendo così gli altri host che vi appartengono. Questo tipo di firewall è in grado di rilevare i tentativi di intrusione attraverso lo sfruttamento di un protocollo e di realizzare le funzionalità di logging e reporting in modo migliore rispetto ai firewall precedentemente descritti. Sebbene aumenti il livello della sicurezza, un application firewall è specifico per ogni applicazione e costituisce un collo di bottiglia per le performance della rete.
Next-generation firewall
Un next-generation firewall è una piattaforma che riunisce in un unico pacchetto diverse tecnologie per la sicurezza. Fra queste ci sono le tecnologie di filtraggio dei firewall presentati in precedenza ovvero il filtraggio stateless, la stateful inspection, l'analisi dei pacchetti a livello applicativo (deep-packet introspection) e altre funzionalità aggiuntive come il NAT e il supporto alle VPN. Alcune delle altre caratteristiche tipiche di un next-generation firewall sono: il rilevamento e la prevenzione delle intrusioni (sistemi IDS e IPS), la definizione di policy specifiche per ogni applicazione, l'integrazione dell'identità dell'utente, l'acquisizione di dati di supporto per la sicurezza da fonti esterne, la qualità di servizio. L'obiettivo di questa tecnologia di firewall è la semplificazione di configurazione e gestione di un insieme eterogeneo di strumenti di sicurezza e allo stesso tempo il miglioramento del loro impatto sulle performance dell'intero sistema.
WAF
Un web application firewall (WAF) è una specifica forma di firewall software che filtra, monitora e blocca traffico HTTP in entrata e uscita da un servizio web. Ispezionando il traffico HTTP, una soluzione WAF può prevenire attacchi provenienti da minacce veicolate attraverso il web.
Implementazioni
Software
Netfilter/iptables: l'infrastruttura di packet filtering integrata nei kernel Linux versione 2.4 e superiori
Microsoft Internet Security and Acceleration Server
Firestarter, frontend di iptables
shorewall, frontend di iptables
ipchains: l'infrastruttura di packet filtering integrata nei kernel Linux versione 2.2
ipfw: l'infrastruttura di packet filtering integrata nel kernel FreeBSD versione 2
ipfw2: l'infrastruttura di packet filtering integrata nel kernel FreeBSD versione 4
IPFilter (ipf)
pf
Distribuzioni
IpCop progetto Open Source basato su GNU/Linux
PfSense progetto Open Source basato su FreeBSD
Endian Firewall distribuzione e appliance no Freeware. Distribuzione Open Source solo versione Community basata su Linux (Fork IpCop).
m0n0wall progetto basato su FreeBSD
Collax Security Gateway progetto Open Source basato su GNU/Linux
RouterOS prodotto di Mikrotik basato su Linux
SmoothWall progetto Open Source basato su GNU/Linux
Untangle distribuzione basata su Linux non più OpenSource
IPFire progetto Open Source tedesco basato su GNU/Linux (Fork IpCop).
Zeroshell progetto basato su GNU/Linux
Appliance
Sophos XG Firewall con HTTPS e TLS Inspection
Cisco PIX\ASA
Check Point FireWall 1
Cyberoam Identity-based Unified Threat Management.
gateProtect appliance non Open Source basato su linux
Juniper Netscreen
Modulo firewall di livello aziendale per gli switch HP ProCurve
Palo Alto Networks Next Generation Firewall
Stonesoft Stonegate
vantronix progetto basato su OpenBSD
WatchGuard XTM, XCS, NGFW
Personal firewalls
Online Armor
Agnitum Outpost
Comodo Internet Security
Core Force
GhostWall
intelliGuard Antivirus
Jetico
Look 'n' Stop
Norton Personal Firewall
OpenFirewall
PrivateFirewall
Sunbelt Kerio
Sygate Personal Firewall
Windows Firewall
ZoneAlarm
Note
Voci correlate
Application-level gateway
Bastion host
Demilitarized zone
Intrusion detection system
Lista di controllo degli accessi
Mandatory access control
Netfilter
Rete di computer
Reverse proxy
Sicurezza informatica
Windows Firewall
Altri progetti
Collegamenti esterni
Hardware di rete |
1854 | https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrara | Ferrara | Ferrara (Fràra in dialetto ferrarese) è un comune italiano di abitanti, capoluogo dell'omonima provincia in Emilia-Romagna.
Fu capitale del Ducato di Ferrara nel periodo degli Estensi, quando rappresentò un importante centro politico, artistico e culturale. Lo sviluppo urbanistico avvenuto durante il Rinascimento, l'Addizione Erculea, trasformò la città in un modello urbano che le valse il titolo di "prima capitale moderna d'Europa". Nel 1995 ottenne dall'UNESCO il riconoscimento di patrimonio dell'umanità per il centro storico e nel 1999 ne ottenne un secondo per il delta del Po e le sue delizie estensi.
È sede universitaria (Università degli Studi di Ferrara) e arcivescovile (arcidiocesi di Ferrara-Comacchio). L'economia si basa storicamente sulla produzione agricola, ma possiede vari impianti industriali, in particolare nel settore petrolchimico, e un polo per le piccole e medie imprese.
Geografia fisica
Territorio
Secondo i dati confermati dal Consorzio di bonifica pianura di Ferrara, il territorio della provincia è per il 44% sotto il livello del mare, con depressioni che superano i - 4,5 metri in un'area compresa tra il Po, il mare Adriatico, il Reno ed il Panaro. L'origine alluvionale del territorio ed il fatto che per secoli fosse stato soggetto ad inondazioni ricorrenti ha indotto alle prime opere di bonifica realizzate dagli Estensi (con Borso d'Este ed Ercole I d'Este) nelle immediate vicinanze della città (a Casaglia, Diamantina e La Sammartina) e poi all'intervento nel Polesine di Ferrara, voluta da Alfonso II d'Este nel 1580, quando la fase storica del ducato estense stava per concludersi. Tra gli architetti che contribuirono all'opera Giovan Battista Aleotti. In breve tempo, anche a causa dell'abbassamento del suolo dovuto a fenomeni di subsidenza, si perdettero molti dei risultati positivi ottenuti inizialmente e le bonifiche furono necessariamente ripetute (quando ormai Ferrara era tornata sotto dominio papale) con gli interventi voluti da papa Gregorio XIII, da papa Clemente VIII, da papa Innocenzo X e da papa Benedetto XIV. Le bonifiche che ebbero un effetto più duraturo si attuarono tuttavia in seguito, nel corso del XIX secolo, grazie ai nuovi mezzi meccanici a disposizione.
Il territorio, considerata la sua genesi e le vicende storiche, è contraddistinto da numerosi canali artificiali per l'irrigazione ed il drenaggio delle campagne, rese coltivabili e abitabili. Risulta totalmente pianeggiante con un'altitudine compresa tra 2,4 e 9 m s.l.m. ed una superficie di (diciassettesimo comune per estensione in Italia). Confina a nord con la regione Veneto, in particolare con la provincia di Rovigo, e a sud con la città metropolitana di Bologna.
Il fiume Po (che nel corso dei secoli ha più volte cambiato il suo corso) ha influenzato la città sin dalla nascita e ne ha condizionato lo sviluppo. Il territorio comunale e molta parte di quello provinciale costituiscono un paesaggio modificato artificialmente, risultato dell'azione umana concretizzatasi nelle grandi opere di bonifica ricordate. La città è ad un'altitudine inferiore al livello medio delle acque del Po ed il fiume deve essere controllato da argini imponenti. Serve un continuo lavoro delle pompe idrovore per non far sommergere la pianura dall'acqua e permettere così che le acque derivanti dalle precipitazioni vengano avviate verso il mare attraverso i numerosi canali artificiali.
Clima
La situazione climatica di Ferrara, rilevata dalla stazione meteorologica di Ferrara San Luca, evidenzia una primavera naturalmente variabile nella sua prima parte, con colpi di coda invernali, seguita da giornate piacevoli senza picchi nella temperatura, mentre le precipitazioni risultano frequenti.
L'estate è calda ed afosa, spesso interrotta da temporali anche violenti, con grandinate e un temporaneo abbassamento della temperatura. Con l'anticiclone delle Azzorre arrivano giornate soleggiate e calde, con temperature nella media del periodo. Con l'anticiclone subtropicale africano arrivano ondate di calore intenso, con un alto tasso di umidità per diverse settimane: nei giorni più caldi si possono superare i 40 gradi, come è successo per esempio nell'agosto del 2017.
L'autunno è molto fresco, umido e piovoso. Nella sua seconda parte inizia ad essere rigido e con caratteristiche pressoché invernali. Solitamente arriva la nebbia nelle ore mattutine e serali a causa della conformazione del suolo che porta a ristagno d'aria.
L'inverno è decisamente rigido, con piogge e nevicate di media entità e frequente presenza di nebbia. Nel mese di gennaio la temperatura minima si attesta su una media di -0,9 °C e la massima di circa +4 gradi. La temperatura media del mese di gennaio è di +1,6 °C. Con l'alta pressione l'inversione termica notturna può portare la temperatura sensibilmente sotto allo zero, provocando estese ed intense gelate. Di giorno, in presenza di nebbia, la temperatura si mantiene prossima allo zero. Le correnti fredde orientali possono portare il Burian dalle steppe russe, che provoca intense nevicate oppure giornate soleggiate ma gelide.
La classificazione climatica di Ferrara è: zona E (gr-g = 2326)
Dal 2003 Ferrara aderisce alla rete Alleanza per il clima. La provincia ha programmato investimenti per 15 milioni di euro per l'efficienza energetica.
Sismicità
La città in epoca storica ha avuto due eventi sismici importanti e devastanti, il terremoto di Ferrara del 1570 e il più recente terremoto dell'Emilia del 2012.
Quest'ultimo ha raggiunto magnitudo massima 5.9 con epicentro nei comuni confinanti della provincia di Modena. Si sono avute poi molte scosse minori, una di magnitudo 5.1 nel comune di Vigarano Mainarda ed una di magnitudo 4.0 all'interno del territorio comunale. Numerosi edifici pubblici sono stati resi inagibili e seri danni si sono avuti al patrimonio artistico, agli edifici scolastici, all'università, all'ospedale ed alle chiese. Molti danni hanno subito anche migliaia di abitazioni civili con circa 1.135 sfollati.
La classificazione sismica fa rientrare il territorio di Ferrara nella zona sismica
3 (pericolosità sismica bassa, con possibili scuotimenti modesti).
Origini del nome
Non esistono fonti certe sull'etimologia del nome Ferrara anche se appare molto probabile che non nasca in epoca romana e che quindi sia comparso successivamente, nel medioevo. Del resto la città è nata relativamente tardi rispetto ad altri insediamenti vicini come Ravenna, Spina e Voghenza.
È senza fondamento anche la derivazione biblica; nessun Ferrato è mai citato nel testo sacro. Mitico pure il fatto che la città sia stata fondata da un certo Marco che qui sarebbe giunto accompagnato, tra gli altri, da una ragazza troiana di nome Ferrara. Si vorrebbe che l'immagine di tale fanciulla sia quella che compare scolpita sulla porta minore della cattedrale, a destra, e detta anticamente Madonna Frara. Si è pensato al ferro che veniva lavorato nel territorio o che il nome sia venuto dal farro, il cereale molto usato dai romani e abbondante nel ferrarese; Farraria, cioè terra dove si coltiva il farro. Altra supposizione è legata alle importanti fiere che si tenevano in zona due volte l'anno. Il luogo dove queste si svolgevano veniva chiamato Feriarum area (piazza delle fiere). Certo è che la prima sede vescovile sorta dopo il trasferimento forzato da Voghenza veniva chiamata Ferrariola (Forum Alieni) e che poco dopo, nel VII secolo, fu fondato il Castrum Ferrariae, più comunemente noto come Castrum bizantino
Storia
Nascita della città (VII e VIII secolo)
La nascita della città di Ferrara si deve alle continue invasioni barbariche che devastarono Voghenza fra il VII e l'VIII secolo mentre papato ed esarcato continuavano a contendersi il controllo dell'allora sede vescovile (mentre era vescovo san Maurelio, patrono di Ferrara con san Giorgio). Maurelio, che aveva scelto la fedeltà alla chiesa di Roma, venne ucciso e Voghenza non fu più sede vescovile, spostata al borgo San Giorgio, (la Ferrariola), sulla riva destra del fiume Po in corrispondenza del castrum che si trovava sulla riva opposta.
A metà dell'VIII secolo Ferrara, citata con questo nome da Astolfo, rientrò nell'area controllata dal re longobardo.
Questo primo insediamento corrisponde al sito dell'antica basilica di San Giorgio fuori le mura.
Età romanica (dal IX al XII secolo)
Ferrara uscì dalla sfera di influenza bizantina e venne occupata dai Longobardi. Attorno alla metà dell'VIII secolo l'intera regione, che comprendeva anche Ravenna, Bologna ed Adria, venne donata da Pipino il Breve, re dei Franchi, a papa Stefano II.
In Europa intanto la nazione germanica (con Ottone I di Sassonia) espandeva il suo dominio ed arrivò a controllare tutto il nord Italia.
Ferrara rimase tuttavia legata alla Chiesa e papa Giovanni XV, dopo la morte di Ottone e considerando l'emergere di nuove famiglie nobili (tra le quali i Canossa), concesse la città come feudo a Tedaldo di Canossa.
Il primitivo insediamento difensivo del castrum bizantino continuò ad espandersi spostando così il centro politico e religioso dal borgo di San Giorgio all'altra sponda del Po. In queste prime fasi la città si sviluppò seguendo il corso del fiume, fu una città lineare, e solo in seguito l'abitato iniziò ad occupare nuove aree settentrionali. Nel 1135 la sede vescovile venne spostata nella nuova cattedrale di Ferrara, innalzata a nord del primitivo insediamento del castrum.
L'affermarsi di distinti poteri (religioso e politico) unito alla struttura urbana che si stava delineando concluse questa fase di città nascente. Sorse, oltre alla nuova cattedrale, il palazzo del municipio, e vennero realizzate o ampliate nuove strade, a partire da via Ripagrande e via Capo delle Volte, che costeggiavano sin dai primi tempi la riva sinistra del Po.
Presa del potere da parte degli Estensi
Adelardi e Giocoli (guelfi) e Salinguerra e Torelli (ghibellini) si combatterono a lungo sin dal XIII secolo per il controllo cittadino ma il matrimonio di Azzo VI d'Este con l'ultima erede degli Adelardi pose fine alle lotte; gli estensi con il supporto politico ed economico dei Giocoli, presero il potere per la fazione guelfa. Nel 1240 Ferrara fu assediata dai veneziani, alleati con i mantovani.
Agli inizi del XIV secolo gli estensi si scontrarono con Bologna, Mantova e Verona e vennero minacciati nella stessa Ferrara. Azzo VIII d'Este chiese aiuto alla Repubblica di Venezia ottenendo rinforzi, ma alla sua morte il trono passò al nipote Folco II d'Este e non al figlio Fresco d'Este, che venne escluso dalla successione. Fresco, per sostenere il suo diritto e ottenere un'investitura ufficiale come signore della città, offrì il feudo di Ferrara a papa Clemente V.
Le guerre con la Repubblica di Venezia
Il papa inizialmente sostenne il marchese Francesco ma nel 1308 iniziò una nuova guerra per il controllo di ampi territori a nord ed a sud del Po. La Repubblica di Venezia dichiarò guerra allo Stato della Chiesa per mantenere il possesso di Castel Tedaldo, importante roccaforte di Ferrara. Come reazione i legati pontifici ottennero la scomunica del doge di Venezia e di tutti coloro che avessero sostenuto l'occupazione della città. Il conflitto ebbe un esito favorevole per gli estensi ma questi dovettero attendere il 1332 perché il potere tornasse di nuovo e stabilmente nelle loro mani.
Alla fine del XIV secolo scoppiò una nuova guerra quando Girolamo Riario, nipote del papa Sisto IV e signore di Forlì ed Imola tentò di allargare il proprio dominio stringendo un'alleanza con lo stato pontificio e la repubblica di Venezia per impossessarsi di Ferrara. Dopo alterne vicende militari si arrivò alla pace di Bagnolo che lasciò Ferrara alla casa estense ma costrinse Ercole I d'Este a cedere Rovigo ed il Polesine a Venezia, rinunciando così ai territori a nord del Po. Nel XVI secolo Ferrara ritornò in guerra schierandosi contro la Repubblica di Venezia nella Lega di Cambrai.
Il Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze
Ferrara fu sede, tra l'8 gennaio 1438 e l'inizio del 1439, di un importante concilio ecumenico che aveva tra le sue finalità la ricerca di dialogo con la Chiesa ortodossa, la lotta all'eresia degli Hussiti e la riforma della Chiesa. Il Concilio si spostò a Firenze in seguito allo scoppio di una epidemia di peste.
La zecca di Ferrara nel XIII e nel XIV secolo
A Ferrara, quando ormai la struttura amministrativa aveva raggiunto una sua solidità malgrado l'insicurezza politica, divenne molto attiva una zecca che coniò varie monete. Tra queste la prima fu il Ferrarese o Ferrarino, chiamato Denaro Ferrarese, che aveva un valore superiore all'altra moneta coniata in quel periodo dalla stessa zecca, il Bagattino. Entrambe le monete su una faccia riportavano il nome dell'imperatore, Fredericus, con le lettere F.D.R.C. circondate dalla parola IMPERATOR, e sull'altra faccia una croce circondata dal nome FERRARIA.
Il secolo successivo vennero coniate diverse altre monete, tra queste il Quattrino di Ferrara, che su una faccia riportava per la prima volta lo stemma del comune e sull'altra l'effige del vescovo di Voghenza San Maurelio.
Gli Estensi dal XV secolo alla devoluzione
Dal loro insediamento gli Estensi governarono la città per quasi tre secoli rendendola capitale di uno stato piccolo ma culturalmente attivissimo. Ferrara iniziò ad affermarsi nella seconda metà del XV secolo con il marchese Leonello d'Este. L'investitura ducale di Borso d'Este nel 1471 da parte del papa fu un riconoscimento fondamentale ed Ercole I d'Este fece raggiungere alla città il massimo splendore realizzando, nel 1492, l'Addizione Erculea, il progetto urbanistico di Biagio Rossetti che rese Ferrara la prima città moderna d'Europa e che ampliò verso nord la superficie cittadina su uno schema razionale, con vie larghe e rettilinee, incroci studiati anche dal punto di vista scenografico, nuove piazze e grandi palazzi rinascimentali.
Alla corte convennero alcuni tra gli artisti ed i letterati di maggior rilievo del tempo come Piero della Francesca, Pisanello, Leon Battista Alberti, Andrea Mantegna e Rogier van der Weyden. Nacque la scuola ferrarese in pittura, con Cosmè Tura, Ercole de' Roberti e Francesco del Cossa.
Arrivarono Dosso Dossi, Tiziano Vecellio, Giovanni Bellini, Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto e Torquato Tasso.
Fu presente il musicista Luzzasco Luzzaschi e quando Ferrara divenne parte dello Stato della Chiesa il suo allievo Girolamo Frescobaldi fu accolto a Roma come organista in San Pietro.
La presenza dell'università, fondata già nel XIV secolo su autorizzazione del papa Bonifacio IX nel 1391 e su richiesta di Alberto V d'Este, contribuì, in quei secoli, a far arrivare tra le mura cittadine Niccolò Copernico, Giovanni Pico della Mirandola, Paracelso e Gabriele Falloppio.
Il ducato di Ercole II d'Este, nel pieno della potenza estense, merita attenzione per due aspetti particolari. L'amore del duca per le artiglierie lo portò a far diventare Ferrara una potenza militare e una delle capitali europee nella produzione di modernissime artiglierie. Arrivò in città il massimo esperto del tempo, Annibale Borgognoni, artefice, tra le altre, di una colubrina capolavoro chiamata la Regina. L'esercito ducale quindi poteva contare su armi all'avanguardia per i tempi.
La moglie di Ercole II poi era Renata di Francia e ciò rese di fatto la città un centro di diffusione della riforma protestante in Italia. A Ferrara arrivò, seppure non ufficialmente, anche Giovanni Calvino, e questo non fu certo gradito dalla Chiesa cattolica romana.
Presenza ebraica
La comunità ebraica fu determinante sin da prima della presa di potere da parte della famiglia estense e del raggiungimento del rango ducale da parte della signoria ma fu certamente col 1492 che si verificò un mutamento qualitativo importante. Ercole I d'Este, in quell'anno, accolse gli ebrei sefarditi cacciati dalla Spagna dai re cattolici. Da allora la cultura ebraica si integrò sempre di più con quella della città sino a diventarne parte fondamentale e caratterizzante.
Anche dopo la devoluzione e la creazione del ghetto la presenza ebraica non venne meno né la partecipazione alla vita culturale. Isacco Lampronti ne fu la prova, con la sua attività nel corso del XVIII secolo. Quasi due secoli dopo poi la vicenda di Renzo Ravenna ed i rapporti di Italo Balbo con gli ebrei continuarono a testimoniare questo legame indissolubile, e l'opera di Giorgio Bassani ne fu l'espressione letteraria.
La devoluzione allo Stato Pontificio e la lenta decadenza dal XVII al XVIII secolo
Ferrara tornò sotto controllo diretto dello Stato Pontificio nel 1598 quando la mancanza di figli legittimi del duca Alfonso II d'Este permise al papa Clemente VIII di riappropriarsi del feudo.
Con la devoluzione perse il suo status di capitale per divenire semplice città di confine e andò incontro ad un inevitabile declino.
Un primo segno del reintegrato potere pontificio fu la costruzione della fortezza. Questo avvenne distruggendo Castel Tedaldo, la delizia di Belvedere ed interi quartieri. La fortezza sarà poi smantellata durante la campagna d'Italia di Napoleone Bonaparte del 1796, riedificata nell'Ottocento dagli austriaci e definitivamente demolita nel 1859, quando Ferrara divenne parte del Regno di Sardegna. Le cronache del tempo chiarirono il vero motivo della costruzione della cosiddetta cittadella del papa.
Attorno al 1708 l'allora comandante della guarnigione della fortificazione decise l'abbattimento del campanile della chiesa di San Benedetto. La motivazione addotta era che il campanile, anche se lontano, permetteva con la sua altezza di vedere dentro la piazza fortificata e costituiva un potenziale pericolo. L'abate di San Benedetto riuscì a far rientrare la decisione convincendo il legato pontificio, il cardinale Casoni
Una seconda grave conseguenza fu la creazione del ghetto di Ferrara che colpì duramente gli ebrei ferraresi. Intanto gli Estensi trasferendosi a Modena avevano portato con sé parte delle opere d'arte, delle artiglierie e degli archivi ducali e lo stato pontificio, subito dopo, aveva fatto trasferire a Roma ciò che era rimasto e che si poteva spostare con maggior facilità. In generale le condizioni economiche peggiorarono per tutta la popolazione per molti anni.
Periodo napoleonico, restaurazione e Regno d’Italia nel XIX secolo
L'entrata di Ferrara nel nuovo secolo è simboleggiata dalla sostituzione, sulla colonna in piazza Ariostea, della statua di papa Alessandro VII con quella di Napoleone Bonaparte.
Tutto il secolo per la città fu denso di capovolgimenti e di prese di potere successive. Vi fu l'espropriazione dei beni ecclesiastici e vennero introdotte diverse novità a livello amministrativo, si promise maggior giustizia e libertà ma intanto si realizzò l'arricchimento a livello locale di alcune famiglie (i Massari ed i Gulinelli). Nel 1809, sostenuti dagli austriaci, circa 6.000 contadini tentarono l'assalto alla città. Vi furono imprigionamenti, alcuni rivoltosi furono fucilati o ghigliottinati. Nel 1813 in Ferrara rientrarono gli austriaci, Gioacchino Murat la riprese per una sola settimana, poi, nel 1815, gli austriaci rientrarono in modo più stabile e ripristinarono, sotto il loro controllo, il potere dello Stato Pontificio.
Una nuova ribellione a Ferrara ebbe la meglio sulle forze pontificie, attorno al 1831, ma fu domata ancora una volta dagli austriaci. Altri moti insurrezionali di portata limitata, uniti a parziali concessioni, si ebbero a partire dal 1846. Seguì un periodo difficile per altre cause (nove mesi di precipitazioni piovose ininterrotte, alluvioni ed esondazioni del Po ed una epidemia di colera) ma, allo stesso tempo, con novità positive. Venne valorizzata la vocazione agricola del territorio e, a sostegno di questa nuova economia emergente, venne fondata, nel 1838, la Cassa di Risparmio.
Sul piano politico nel 1849 venne dichiarata la fine del controllo pontificio ma le forze austriache controllarono ancora la situazione e procedettero con arresti e fucilazioni. Un mutamento fondamentale si registrò nel biennio compreso tra il 1859 e il 1861 che, a seguito del plebiscito delle provincie dell'Emilia del 1860, portò all'adesione al Regno d'Italia. In quel periodo passò in città anche Giuseppe Garibaldi, diretto in Italia centrale.
Ferrara nel XX secolo
All'inizio del XX secolo pure a Ferrara si visse il clima che precedette lo scoppio della prima guerra mondiale. L'interventismo di alcuni esponenti della borghesia cittadina nel 1914 fece giungere in città anche Cesare Battisti, e in seguito, con lo scoppio della guerra, in diversi partirono volontari anche se Ferrara rimase lontana dal fronte, una città di retrovia, poco coinvolta direttamente nelle operazioni belliche.
Ad Aguscello (dove poi sarebbe sorta la Città del Ragazzo) fu operativo un ospedale militare specializzato nel trattamento delle malattie nervose. Qui, per un certo periodo, furono in servizio o ricoverati diversi artisti come Giorgio de Chirico, il fratello Alberto Savinio e Carlo Carrà. De Chirico a Ferrara incontrò poi Filippo de Pisis ed anche una giovane ferrarese alla quale fu molto legato e che rimase a lungo sconosciuta, Antonia Bolognesi, scoperta nella sua identità solo attorno al 2014.
Con la fine della guerra vennero anni difficili e crebbero le rivendicazioni sindacali. La grande proprietà terriera provinciale, per contenere le richieste dei braccianti appoggiate dal socialismo, sostenne lo squadrismo del nascente fascismo e si ebbero diversi episodi di violenza. In questo clima maturò l'assassinio di Giovanni Minzoni e di questo venne accusato come mandante Italo Balbo (senza che vi facessero seguito conseguenze penali). Il legame tra fascismo e borghesia locale divenne forte e molti appartenenti alla comunità ebraica condivisero inizialmente queste posizioni. Giorgio Bassani invece fu sempre critico con i concittadini per questo ed a conferma della sua opposizione, attorno al 1941, entrò in un gruppo antifascista e venne incarcerato.
Dopo la presa del potere del regime avvenne un mutamento importante. Furono abbandonati squadrismo e violenza scoperta, non più necessari con l'opposizione ormai ridotta al silenzio, e si riscoprirono gli aspetti culturali, utili anche a fini propagandistici. Venne valorizzato il patrimonio storico e artistico cittadino, fu esaltata la peculiarità della Ferrara estense mentre a livello nazionale si celebrava la grandezza di Roma imperiale. Quindi, malgrado le tragedie prodotte dal fascismo (le numerose vittime dello squadrismo e l'annullamento del movimento operaio), per oltre un decennio Ferrara fu di nuovo al centro dell'attenzione nazionale con grandi iniziative ed una riqualificazione urbanistica seconda solo all'Addizione Erculea.
Ancor prima che fossero promulgate le Leggi razziali fasciste si dimise dalla sua carica il podestà Renzo Ravenna perché ebreo e che poi prese le distanze dal regime. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, la morte di Italo Balbo, la successiva caduta del fascismo e l'inizio della guerra di liberazione vi furono attentati e rappresaglie. Il federale Igino Ghisellini cadde in un'imboscata, ne furono accusati gli antifascisti e undici ferraresi vennero fucilati accanto al Castello Estense il 15 novembre del 1943. I bombardamenti alleati portarono morte e danni ai palazzi storici, alle infrastrutture ed alle abitazioni private. Per la città la guerra finì con l'arrivo dalle truppe inglesi il 24 aprile 1945.
Figure emblematiche delle contraddizioni vissute dalla città tra le due guerre furono il gerarca Italo Balbo, prima squadrista e violento e poi grande trasvolatore, amico degli ebrei, uomo di stato e di cultura non sempre gradito a Benito Mussolini, il podestà fascista ed ebreo Renzo Ravenna, amico di Balbo, prima amministratore attento della città e poi perseguitato dallo stesso regime perché ebreo, e Giorgio Bassani, scrittore ebreo, antifascista, in grado di indagare la natura profonda dei suoi concittadini e di celebrare con la sua arte la città alla quale era legato.
La seconda metà del XX secolo iniziò con la ricostruzione e vide un progressivo processo di inurbamento con la costruzione di nuovi quartieri di edilizia popolare ed un lento abbandono delle campagne accelerato dalla modifica delle pratiche agricole che richiedevano minor manodopera. Per il medesimo motivo molti braccianti agricoli emigrarono verso altri paesi. Si ebbe poi la crisi di alcune aziende storiche come la Zenith (calzature) e la Lombardi (conserve). La speculazione edilizia non provocò troppi danni, con l'eccezione di due casi: il grattacielo in zona stazione e l'area di porta Paola, accesso alla città da Bologna.
Alla fine del secolo (nel 1995) la città entrò nella lista del Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO.
Ferrara nel XXI secolo
Il nuovo secolo inizia con varie problematiche, fra cui il progressivo svuotamento del centro cittadino legato ad un piano di decentramento di uffici pubblici, l'aumento delle difficoltà nel settore della distribuzione (in particolare dei piccoli negozi) e, sul piano finanziario, la grave crisi della Cassa di Risparmio di Ferrara che interessa tutta la provincia.
La percezione pessimistica dei cittadini ferraresi riguardo alle condizioni generali della vita in città è un aspetto critico che li accomuna a molti italiani che risiedono in altre realtà locali e appare più o meno amplificata in funzione della qualità della partecipazione alla vita pubblica e delle opinioni politiche. In questo si osservano analogie con realtà come Torino, Brescia, Ancona, per citarne solo alcune. I temi come disoccupazione giovanile, spaccio, sicurezza, integrazione e, in genere, fiducia nelle istituzioni, condizionano i rapporti nella città estense.
Nel maggio 2012 la città è stata colpita dal terremoto dell'Emilia che ha provocato ingenti danni ma nessuna vittima sul territorio comunale.
Simboli
Lo stemma di Ferrara è costituito da uno scudo perale diviso orizzontalmente a metà, con la parte superiore di color nero e la parte inferiore di color argento. Lo scudo è timbrato da una corona ducale, ricordo del periodo ducale della città.
Il drappo del gonfalone riporta colori identici, ha parti metalliche dorate e asta verticale ricoperta di velluto con bordo d'oro avvolto a spirale. La freccia superiore richiama lo stemma della città.
Onorificenze
Ferrara rientra fra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione, ed è stata insignita della Medaglia d'Argento al Valor Militare per i sacrifici sofferti dalla sua popolazione e per il suo ruolo nella lotta partigiana per la liberazione dall'occupazione nazifascista durante la seconda guerra mondiale.
Monumenti e luoghi d'interesse
Ferrara presenta un centro storico ben conservato e ricco di monumenti.
La città è uno dei quattro capoluoghi (con Bergamo, Grosseto e Lucca) ad avere il centro storico circondato da una grande cerchia muraria ancora in larga parte integra e quasi pressoché immutata nel corso dei secoli. Queste mura, che hanno raggiunto in epoca rinascimentale la loro massima estensione, racchiudono un'area di dimensioni molto maggiori rispetto a quella edificata al tempo dell'Addizione Erculea e diversa rispetto al momento della sua fondazione, quando nacque la Ferrariola, collocata a sud dell'antico corso del Po. Lo spazio interno in parte rimase adibito a campi e venne urbanizzato nei secoli successivi all'addizione di Ercole I d'Este. Un momento importante fu quello dell'Addizione Novecentista e poi nuovi interventi furono realizzati nella seconda metà del XX secolo.
L'Addizione Erculea è considerata la più importante e innovativa opera urbanistica del Rinascimento italiano e il suo valore storico e culturale ha influito in modo determinante nell'assegnazione del titolo di patrimonio dell'umanità alla città. L'opera urbanistica fu commissionata all'architetto di corte Biagio Rossetti dal duca Ercole I d'Este, che voleva spazi e dimensioni degni di una capitale. Così venne raddoppiato lo spazio racchiuso dalle mura e si superò il modello urbano romano e medievale, caratterizzato da vie strette e sinuose spesso nate assecondando le disomogeneità del terreno. Rossetti disegnò un nuovo assetto viario intra moenia molto rigoroso e composto da grandi arterie rettilinee che mettevano in comunicazione i punti focali della città e che, incontrandosi, generavano incroci segnalati da edifici monumentali. Il luogo maggiormente identificativo è il Quadrivio degli Angeli, incrocio tra l'asse nord-sud (da Porta degli Angeli al Castello Estense) e l'asse est-ovest (da Porta Mare a Porta Po), su cui affacciano Palazzo dei Diamanti, Palazzo Prosperi-Sacrati e Palazzo Turchi di Bagno.
L'Addizione Novecentista fu un intervento più frammentato, che interessò solo parte della città. Alcune aree vennero modificate secondo il gusto architettonico del tempo noto come razionalismo italiano. Tra gli architetti interessati vi fu Carlo Savonuzzi e le personalità maggiormemte coinvolte in quel periodo furono Renzo Ravenna e Italo Balbo,
Oltre ai punti più visitati, Ferrara conserva spazi e punti caratteristici come Via Coperta, Vicolo dei Duelli e Via delle Vigne.
Architetture religiose
Chiese cattoliche
Cattedrale di San Giorgio, sede dell'Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio e riveste importanza storica ed artistica notevole. Venne edificata sul sito di una delle prime linee difensive delle antiche mura medievali attorno al XII secolo. La data di inizio lavori per la sua erezione non è certa e un'epigrafe del 1135, sopra l'arco del protiro, recita: anno milleno centeno ter quoque deno / quinque superlatis struitur domus haec pietatis. Il verbo struitu, di difficile traduzione, è stato interpretato sia come si costruisce, sia come si continua a costruire. Il progettista che diede inizio anche alla realizzazione del protiro è Nicholaus (già architetto della basilica di San Zeno a Verona e della sacra di San Michele in Val di Susa), chiamato al compito con Guglielmo degli Adelardi. La "firma" di Nicholaus è contenuta in un'iscrizione collocata sopra la cornice della lunetta del portale maggiore. La facciata della cattedrale è romanica e presenta logge, arcate, statue, rosoni e bassorilievi. Alcuni particolari di epoca successiva presentano caratteristiche gotiche (il Giudizio universale posto sul protiro sorretto da due ippogrifi o la statua della Madonna col Bambino nella loggia sopra il portale centrale). Sul lato destro rivolto a piazza Trento e Trieste esisteva una seconda entrata denominata "porta dei Mesi", completamente demolita durante un restauro settecentesco. Sullo stesso lato meridionale è stata ritrovata un'iscrizione (quasi completamente situata sotto l'attuale livello della piazza) che corre lungo tutta la fiancata, recante un decreto del Consiglio dei sapienti del comune, del 13 maggio 1173, testimonianza delle regole e delle consuetudini locali. Un'altra importante iscrizione si trova nella facciata, accanto alla statua di Alberto V d'Este, e riporta la bolla pontificia di papa Bonifacio I che istituiva l'università di Ferrara, datata 4 marzo 1391. L'interno ha tre navate ed è decorato in stile barocco. Nelle cappelle laterali sono presenti numerosi dipinti di Guercino, di Garofalo e di Francesco Francia. L'abside è opera di Biagio Rossetti e nel catino absidale è affrescato il Giudizio Universale. Il campanile in marmo rosa e bianco è stato attribuito a Leon Battista Alberti e nella sua forma attuale risulta incompleto.
Basilica di San Giorgio fuori le mura, fu la prima basilica della città, costruita sulla sponda destra del Po di Volano dove si era creata e sviluppata la Ferrara antica. Chiamata anche "monastero di San Giorgio degli Olivetani", la chiesa fu costruita nell'VIII secolo e quasi completamente trascurata quando la sede vescovile venne spostata, nel 1135, nell'attuale cattedrale. Il campanile fu rimaneggiato da Biagio Rossetti ed oggi ospita la tomba di Cosmè Tura.
Chiesa di San Francesco, opera di Biagio Rossetti, costruita nel 1494, presenta una pianta a croce latina e una facciata rinascimentale. L'interno, a tre navate, presenta otto cappelle per ogni lato.
Chiesa di San Paolo, che è stata interamente ricostruita dopo il terremoto del 1570. Fungeva da luogo di sepoltura per la nobiltà ferrarese. Vi sono conservati dipinti dello Scarsellino e del Bastianino. A fianco della chiesa si conserva l'antico convento con due chiostri.
Chiesa di Santa Maria in Vado, che deve il suo nome ad un guado del Po detto il vado presente nei dintorni dell'edificio. Secondo la tradizione nella chiesetta preesistente a quella edificata in seguito, vi avvenne un miracolo eucaristico nel 1171. Da un'ostia spezzata fuoriuscì un getto di sangue che andò a colpire la volta soprastante e il punto dove si suppone siano ancora presenti le macchioline di sangue può essere raggiunto tramite una piccola scala che parte da una delle cappelle.
Chiesa di San Cristoforo alla Certosa. È l'edificio di culto del cimitero della Certosa di Ferrara, anticamente situata in una zona decentrata, come voleva la tradizione dei certosini, fu in seguito compresa all'interno delle mura cittadine con l'Addizione Erculea. Quando i certosini vennero espropriati della chiesa con l'arrivo dell'esercito napolelonico l'edificio passò, nel 1813, tra le proprietà del comune di Ferrara che riaprì la chiesa al culto e trasformo l'antico convento nel cimitero monumentale. L'interno è costituito da un'unica navata dotata di sei cappelle il cui progetto è attribuito a Biagio Rossetti.
Tombe degli Estensi, ospitate nel monastero del Corpus Domini, sorto tra il 1415 ed il 1431.
Altri edifici religiosi cattolici
Chiesa di San Benedetto
Chiesa di San Carlo
Chiesa di San Domenico
Chiesa del Gesù
Monastero di Sant'Antonio in Polesine
Chiesa e monastero di Santa Teresa Trasverberata
Oratorio dell'Annunziata
chiesa di San Maurelio Vescovo e Martire
Chiesa di Santa Lucia
Chiesa di Santa Maria dei Servi
Chiesa delle Sacre Stimmate
Chiesa di Santo Spirito
Chiesa di Santa Maria della Consolazione
Chiesa di Santa Maria della Pietà dei Teatini
Chiesa dei Santi Pietro e Paolo detta anche chiesa dei Mendicanti
Chiesa di Santa Chiara Vergine
Chiesa di San Gregorio Magno
Chiesa di Sant'Antonio Abate
Chiesa di Santa Francesca Romana
Chiesa di Santa Maria Nuova
Chiesa di Santa Maria del Suffragio
Chiesa di San Giovanni Battista detta anche dei Cavalieri di Malta.
Chiesa di Santa Maria della Visitazione detta anche della Madonnina.
Chiesa di San Giuliano
Chiesa di Santo Stefano
Chiesa di San Girolamo
Chiesa dei Santi Giuseppe, Tecla e Rita
Chiesa di Santa Giustina
Chiesa di Sant'Agnese
Chiesa e convento di Santa Monica
Chiesa di San Giacomo Apostolo
Santuario del Santissimo Crocifisso di San Luca
Chiese non più sede di culto, ancora presenti ma sconsacrate
Cappella Revedin
Chiesa di Sant'Agnesina
Chiesa di Sant'Apollonia
Chiesa di Santa Croce dell'inquisizione o Crocette di San Domenico
Chiesa di San Giacomo
Chiesa di San Cristoforo dei Bastardini
Chiesa di San Bartolomeo, ad Aguscello
Chiesa di Santa Caterina Martire
Chiesa di San Michele
Chiesa di Santa Margherita
Chiesa di San Martino
Chiesa dei Santi Simone e Giuda
Chiesa di San Nicolò
Chiesa e monastero di Santa Maria delle Grazie
Ex chiesa Santa Libera
Ex chiesa di San Pietro
Ex chiesa di San Romano
Ex chiesa di San Matteo del Soccorso
Ex oratorio di San Giovanni Battista
Oratorio di Santa Barbara
Oratorio di San Lodovico
Chiese scomparse, edifici totalmente o parzialmente demoliti
Chiesa del Buon Amore
Chiesa di Santa Maria delle Bocche
Chiesa di Sant'Alessio
Chiesa di San Salvatore
Chiesa di Sant'Agata
Chiesa di Sant'Agostino
Chiesa di San Gabriele
Chiesa di San Giobbe
Chiesa di Santa Croce
Chiesa di Santa Maria degli Angeli
Chiesa e monastero di Sant'Andrea
Chiesa e monastero di San Guglielmo
Chiesa e monastero di San Silvestro
Chiesa di San Vitale
Chiesa di Santa Maria della Rosa
Monastero di San Bernardino
Edifici religiosi di altri culti
Sinagoghe, realizzate nell'area del ghetto sono tre: Scola tedesca, Scola Fanese, Scola italiana.
Chiesa Battista, realizzata in via Carlo Mayr agli inizi del Novecento è composta da una sala di culto e da una sala conferenze intitolata a Martin Luther King.
Centri di cultura islamica, tre nel comune e diversi in provincia.
Cimiteri monumentali
Cimitero monumentale della Certosa di Ferrara, include anche la chiesa di San Cristoforo alla Certosa e venne fondato come monastero certosino nel 1452, per volere di Borso d'Este
Cimitero ebraico di Ferrara-via delle Vigne, all'interno dalle antiche mura, in un'area un tempo denominata Orto degli ebrei.
Architetture civili
Architetture medievali e rinascimentali
Castello Estense (1385). Viene considerato il monumento più rappresentativo della città. Fu concepito come fortezza militare, costruito in mattoni, a pianta quadrata e dotato di quattro torri difensive con altane, circondato da un fossato con acqua che lo rende uno degli ultimi castelli europei con tale caratteristica. Già a partire dal 1476 Ercole I d'Este decise di trasformarlo per fargli assumere la funzione di reggia signorile. La famiglia abbandonò così la precedente residenza del Palazzo Municipale e, a cominciare dal Cinquecento, intraprese i primi interventi di abbellimento del castello, in particolare con la sistemazione della via Coperta, un corridoio sopraelevato che unisce il Castello Estense al Palazzo del Municipio, all'interno della quale Alfonso I d'Este collocò i cosiddetti Camerini d'alabastro, ovvero delle sfarzose stanze contenenti importanti opere appartenute a Dosso Dossi, Tiziano Vecellio e Antonio Lombardo.
Palazzo Municipale. Fu la prima dimora degli Estensi e venne costruito ad iniziare dal 1245. Assunse le dimensioni moderne attorno al 1481. Nel 1927, durante il periodo della addizione Novecentista, la facciata rivolta verso la cattedrale venne interamente ricostruita in stile neogotico e fu riedificata la nuova torre della Vittoria al posto di quella crollata secoli prima. L'edificio ha una pianta rettangolare allungata con le facciate libere rivolte a piazza della cattedrale e corso Martiri della Libertà, piazza Savonarola, piazza castello, via Garibaldi e via Cortevecchia. L'entrata principale del palazzo (il Volto del Cavallo) è posta di fronte al protiro del duomo, a confermare l'importanza del potere politico oltre a quello religioso. Il cortile interno presenta altre due entrate, la Volta del Cavalletto (in via Cortevecchia) e il Volto della Colombina, dove inizia via Garibaldi. Questo cortile un tempo era riservato alla corte, come il giardino delle Duchesse, ed è diventato piazza del Municipio con il monumentale scalone d'onore cinquecentesco che permette l'accesso al piano nobile del palazzo. Altri accessi sono dalla loggia in piazza Savonarola oppure dal Castello Estense attraverso la via Coperta.
Palazzo dei Diamanti. È uno dei palazzi cittadini di maggior rilievo, sede espositiva di numerose mostre temporanee e sede permanente della Pinacoteca Nazionale. La particolarità del monumento risiede negli 8.500 blocchi di marmo a forma di punta di diamante che, oltre a dare il nome al palazzo, rendono la struttura notevolmente articolata grazie alle diverse inclinazioni delle punte dei diamanti che riescono così a creare numerosi effetti di luci ed ombre.
Palazzo Turchi di Bagno. Ospita il museo di paleontologia e preistoria Piero Leonardi, il dipartimento di Risorse Naturali e Culturali della facoltà di Scienze dell'Università degli Studi di Ferrara e, nei suoi giardini, c'è l'Orto botanico dell'Università di Ferrara.
Palazzo Prosperi-Sacrati. È il più antico palazzo dell'Addizione Erculea, famoso per il suo imponente portale rinascimentale in tipico stile ferrarese, costituito da una piccola scalinata e due alte colonne che sorreggono un balconcino.
Palazzo Bevilacqua Costabili. È un'importante dimora storica che ha ospitato la famiglia Bevilacqua trasferita in città da Verona in occasione delle nozze di famiglia. La facciata è ornata da nicchie ritraenti volti di imperatori romani e decorazioni raffiguranti trofei militari. Il lavoro viene attribuito a Giovan Battista Aleotti che lavorò, sempre a Ferrara, anche al palazzo Bentivoglio, caratterizzato da un simile apparato decorativo. Dopo lunghi restauri, nel 2006, vi hanno trovato sede le aule e gli uffici della Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Ferrara.
Palazzo Schifanoia. È l'unica delizia estense rimasta dentro le mura cittadine ed è sede museale. Fu antica dimora di svago della famiglia estense ed il suo nome significa schifare la noia. Fu costruito nel 1385 per poi essere modificato e completato nel 1493 da Biagio Rossetti. Al piano nobile c'è il Salone dei Mesi, una delle massime espressioni di affreschi quattrocenteschi italiani. Al salone, voluto da Borso d'Este, contribuirono alcuni dei più importanti esponenti della scuola ferrarese: Francesco del Cossa ed Ercole de' Roberti.
Palazzo Costabili. Viene chiamato anche palazzo di Ludovico il Moro ed è sede del Museo archeologico nazionale. Si presume che sia stato voluto dell'allora duca di Milano, Ludovico il Moro, che decise di trasferirsi a Ferrara per sfuggire a pericoli che stava correndo in quel periodo. Costruito tra il 1495 e il 1503, fu opera di Biagio Rossetti che rese particolare il palazzo per il cortile d'onore interno caratterizzato da un portico con un doppio ordine di arcate. Nel museo archeologico sono contenuti numerosi manufatti appartenuti all'antica città etrusca di Spina. La stanza più rappresentativa e più importante è la cosiddetta Sala del Tesoro la cui volta fu decorata con la tecnica del trompe l'oeil da Benvenuto Tisi da Garofalo.
Palazzo Bentivoglio. Venne edificato per volontà di Borso d'Este nel 1449 e ristrutturato nel 1585 ad opera di Cornelio I Bentivoglio. L'imponente prospetto, riccamente decorato con bassorilievi marmorei araldici, armature, frecce, lance e bandiere è attribuito ad una collaborazione tra Pirro Ligorio e Giovan Battista Aleotti. All'interno si trovano pregevoli soffitti dipinti nel 500 dalla bottega dei Filippi.
Palazzo Roverella. Fu edificato nel 1508 su commissione di Girolamo Magnanini, cancelliere del Duca Alfonso I d'Este. È una delle ultime opere realizzate da Biagio Rossetti. Ebbe numerosi passaggi di proprietà. Nel XVIII secolo i Magnanini lo vendettero ai conti Roverella, passò poi ai conti Aventi alla fine del XIX secolo ed infine a Giuseppe Zamorani che lo lasciò in eredità al circolo dei Negozianti, che ne è proprietario dal 1932. Palazzo Roverella, a differenza di altri edifici rossettiani, è stato concepito per una visione frontale e non angolare e la facciata è caratterizzata da un assoluto rigore geometrico determinato dagli elementi architettonici e dagli ornamenti in bassorilievo, tipici del rinascimento locale. Di particolare originalità sono le finestre addossate come bifore alle lesene che scandiscono gli spazi verticalmente e la trifora timpanata che si apre al centro della facciata.
Palazzo Contrari. Edificato nel XIII secolo sulla via omonima, all'angolo con via Canonica, in pieno centro cittadino. Aveva una merlatura che crollò durante il terremoto di Ferrara del 1570. Venne in seguito modificato ma conserva un aspetto monumentale, anche grazie al bel portale bugnato in marmo. Nelle ampie stanze i soffitti sono a cassettoni rifiniti con oro e figure di pregevole fattura. Nell'intero edificio vi sono molti fregi risalenti al momento della sua edificazione.
Casa di Ludovico Ariosto. Costruita nel 1526 nella parte nuova della città, quella dall'Addizione Erculea. Fu la casa dove il poeta visse vi morì nel 1533.
Casa Romei, di fronte al palazzo di Renata di Francia.
Palazzina di Marfisa d'Este.
Palazzo Bonacossi.
Palazzo Massari, con vicino l'omonimo parco.
Biblioteca comunale Ariostea, nel palazzo Paradiso.
Palazzo della Ragione, non più esistente, fu abbattuto dopo un incendio avvenuto alla fine della seconda guerra mondiale Un'immagine storica così come appariva nel 1506 è presente in una miniatura del Libro de' giustiziati in Ferrara, conservato nella Biblioteca comunale Ariostea. L'edificio recente è stato oggetto di una ricostruzione poco rispettosa del suo aspetto storico su progetto di Marcello Piacentini e per questo molto criticata, anche se non da tutti gli esperti. Bruno Zevi lo inserì nel cosiddetto stupro di Ferrara e Carlo Bassi nello sventramento di San Romano, che portò ad esempio all'intervento che modificò in modo pesante parte di corso Porta Reno.
Architetture novecentesche
A Ferrara dagli inizi del XX secolo e fino a pochi anni dopo la seconda guerra mondiale vi furono rilevanti interventi urbanistici voluti dal Comune sia per valorizzare un patrimonio urbano quasi in rovina sia per la riqualificazione dell'area prima occupata dalla Fortezza.
Carlo Savonuzzi, in particolare, tra gli anni venti e gli anni trenta, realizzò molte opere architettoniche in stile razionalista, per quella che fu chiamata in seguito addizione Novecentista.
Gli edifici più significativi legati a questo periodo sono la torre della Vittoria, l'Acquedotto, la ex caserma del Littorio, il complesso Boldini, il conservatorio Girolamo Frescobaldi, il museo di storia naturale, il palazzo dell'Aeronautica, il palazzo delle Poste e la scuola elementare Alda Costa.
Teatri
Teatro comunale (XVIII secolo), è il teatro principale della città. Quando se ne decise la costruzione ne esistevano già altri in città, ma si sentì la necessità di una struttura nuova e maggiormente rappresentativa. Furono scelti gli architetti Antonio Foschini e Cosimo Morelli e venne decisa anche la sede ma all'inizio sorsero problemi sul progetto e solo dopo anni di ritardi i lavori ripresero per essere riaffidati ancora a Foschini e Morelli. Nel 2014 il teatro è stato dedicato alla memoria di Claudio Abbado, che ne fu a lungo direttore artistico.
Teatro Nuovo, è il secondo della città per importanza, inaugurato nel 1926. Sino al 2006 la sala veniva usata anche come cinema.
Sala Estense è all'interno del palazzo municipale. All'origine fu la chiesa della casata estense poi, sconsacrata, venne utilizzata per altri scopi. Attorno al 1925 venne riadattata e divenne sala cinematografica e dopo anche teatro o spazio per conferenze, concerti e manifestazioni. Spesso ospita la compagnia teatrale dialettale Straferrara.
Teatro Verdi, è stato attivo sin quasi alla fine del XX secolo, poi venne chiuso definitivamente.
Architetture militari
Mura di Ferrara, sono costituite da una cinta fortificata che è andata espandendosi da quando i bizantini, attorno al VI secolo, ne costruirono il primo nucleo. In seguito assunsero una disposizione allungata sulla riva a nord del Po unendo il Castello dei Curtensi con Castel Tedaldo. Le varie addizioni cittadine successive fecero assumere a queste fortificazioni il loro aspetto definitivo, che raggiunsero con l'Addizione Erculea, durante il governo di Ercole I d'Este.
Bastioni e porte fortificate, posizionate lungo le mura, meritano un'attenzione particolare per le loro caratteristiche architettoniche o l'utilizzo che se ne è fatto nel tempo. Porta degli Angeli che fu a lungo impiegata come spazio espositivo ne è un esempio, oppure il Torrione di S. Giovanni, usato come ambiente per concerti Jazz.
Castello Estense (chiamato anche Castello di San Michele perché la prima pietra fu posata il 29 settembre, giorno di San Michele) venne edificato nel 1385 come fortezza militare su progetto di Bartolino da Novara. Partendo dalla già esistente Torre dei Leoni vennero costruite altre tre torri ed una nuova struttura difensiva ad unirle. Nel 1476 Ercole I d'Este iniziò a trasformare il castello in palazzo adatto alla sua corte facendogli assumere la funzione sino ad allora assolta dal Palazzo Municipale. Divenne così una reggia rinascimentale e, di fatto, l'edificio monumentale più importante di Ferrara.
Completamente scomparsa la fortificazione di Castel Tedaldo, distrutta per edificare la fortezza papale che a sua volta è stata quasi completamente demolita.
Quartiere medievale che ospitava il Castello dei Curtensi. Conserva ancora tracce della primitiva fortificazione nella disposizione delle vie che sembrano seguire le antiche mura.
Siti archeologici
Non sono presenti sul territorio del comune siti archeologici, ma ve ne sono alcuni di grande importanza nel territorio provinciale. Il più vicino si trova a Voghenza, e si tratta della necropoli romana con 67 tombe risalenti al periodo compreso tra il I ed il III secolo. Molti dei reperti del sito sono esposti al Museo civico di Belriguardo.
In Valle Pega (Comacchio) c'è la pieve paleocristiana di Santa Maria in Padovetere (VI secolo) e nel sito, nel 2015, sono stati trovati i resti lignei di una nave di circa 15 metri e ben conservata. Il Museo archeologico nazionale di Ferrara (noto anche come museo di Spina) raccoglie i reperti archeologici venuti alla luce nel 1922 durante gli interventi di bonifica delle valli di Comacchio.
Aree naturali
Parco Massari, che prende il nome dal vicino palazzo Massari ed è il più ampio parco dentro le mura di Ferrara. Nel XIX secolo i conti Massari, acquisendo il palazzo, lo modificarono trasformandolo in un tipico giardino all'inglese.
Orto botanico dell'Università di Ferrara, di fronte al parco Massari, risente della tradizione ottocentesca di dotare ogni grande città universitaria di un orto botanico. L'orto botanico è parte integrante dell'Istituto di botanica che aveva sede nel palazzo Turchi di Bagno, e viene utilizzato per la conservazione, la cura e la ricerca da parte di professori e studenti delle facoltà di Scienze dell'Università degli Studi di Ferrara, oltre ad essere meta di visitatori e turisti.
Parco Pareschi, in corso della Giovecca, è aperto al pubblico dal 2002.
Parco urbano Giorgio Bassani, un tempo riserva di caccia e svago degli Estensi e che costituiva anche un'importante area per la difesa territoriale. Era accessibile dal Castello Estense percorrendo corso Ercole I d'Este ed attraversando la Porta degli Angeli, inaugurata nel 1492 e chiusa ufficialmente nel 1598, quando gli Estensi trasferirono la loro corte a Modena. La porta fu poi aperta in modo irregolare sino al 1700. Recentemente dalla città vi si accede con un varco aperto nella mura, in corrispondenza dei Rampari di Belvedere, attraverso via Azzo Novello. Si estende a nord dalle mura cittadine e nei progetti dovrebbe spingersi sino al Po, occupando di fatto un'area enorme attualmente utilizzata per l'agricoltura e, a Pontelagoscuro, occupata dai resti di uno zuccherificio. È la più grande area verde fuori dalle mura della città dotata di attrezzature, piste ciclabili, un laghetto ed ampie aree a prato. Ospita la manifestazione del Ferrara Balloons Festival e la Vulandra (Festival internazionale degli Aquiloni). Rientrano nei suoi confini il Centro Natatorio Comunale di Via Riccardo Bacchelli, con piscina coperta e scoperta, la sede del CUS Ferrara Golf, gli impianti sportivi della facoltà di Scienze Motorie dell'Università degli Studi di Ferrara ed il campeggio Comunale Estense, tutti in Via Gramicia.
Il polmone verde delle mura cittadine viene utilizzato da praticanti di sport amatoriali o per semplici passeggiate. In alcune zone si amplia notevolmente, e forma veri e propri parchi, come succede ad esempio alla fine di via XX Settembre, in viale Alfonso d'Este, nel cosiddetto Montagnone (che spesso in certi periodi dell'anno ospita luna park itineranti), oppure nella zona di viale 4 novembre, un tempo Fortezza, antica area fortificata di cui sono rimasti due bastioni esterni dopo la sua distruzione. A breve distanza si trova la piazza dell'acquedotto, poi ci sono i Giardini della Stazione, i giardini di Viale Cavour e il verde di Piazza Ariostea. A Ferrara è ancora possibile scoprire, entro le mura cittadine, uno scorcio incredibile di campagna, come se non si fosse dentro la città. Partendo da piazza Ariostea e proseguendo per via Folegno e via delle Vigne si raggiunge un incredibile spazio aperto con campi. Tipici infine i numerosissimi giardini privati che si trovano nascosti tra le mura degli antichi palazzi medievali e rinascimentali.
Società
Evoluzione demografica
Dati aggiornati si trovano in Comuni d'Italia per popolazione. La tendenza sembra essere quella di una progressiva diminuzione di residenti, anche se non costante anno dopo anno.
Etnie e minoranze straniere
Secondo dati ISTAT i cittadini stranieri a Ferrara al 31º dicembre 2019 sono risultati (11,4% tra tutti i residenti), in aumento di 825 unità rispetto all'anno precedente.
Le prime dieci comunità sono risultate quelle provenienti da:
Romania 2575 (17,2%)
Ucraina 2088 (13,9%)
Repubblica Moldova 1218 (8,1%)
Nigeria 1197 (8,0%)
Albania 1000 (6,7%)
Marocco 946 (6,3%)
Repubblica Popolare Cinese 856 (5,7%)
Pakistan 627 (4,2%)
Tunisia 519 (3,5%)
Camerun 501 (3,3%)
In particolare la comunità di origine rumena è quella che ha fatto registrare l'aumento maggiore, passando in un anno da 2279 a 2575 persone.
Secondo le analisi del comune di Ferrara la comunità che ha avuto il maggior incremento a partire dal 2004 è stata quella rumena. Ucraini, moldavi e albanesi sono risultati in crescita rallentata mentre marocchini e soprattutto nigeriani in forte aumento. Dal 1997 al 2007 la percentuale di cittadini stranieri residenti è passata dal 0,9% al 10,3%.
Questi dati percentuali (10,3%) sono leggermente più contenuti della media fatta registrare a livello regionale (12% tra tutti i residenti) ma leggermente più elevati della media nazionale (8,5% tra tutti i residenti).
Lingue e dialetti
Nella città ed in provincia, oltre all'italiano, è parlato il dialetto ferrarese (frarés), simile nella grammatica agli altri dialetti emiliani, ma con accento ed inflessioni del tutto proprie ed influenze semantiche dal vicino Veneto. Il ferrarese è parlato anche in alcune zone limitrofe del basso Polesine e dell'Oltrepò Mantovano. I dialetti di Copparo, Bondeno o Argenta differiscono dal ferrarese cittadino ed al contempo sono leggermente diversi tra loro. A Comacchio e nella zona valliva il dialetto è marcatamente diverso ed è considerato dialetto a sé.
Alcuni termini e regole grammaticali del dialetto ferrarese sono simili a quelle della lingua francese. Ad esempio, l'uso del soggetto è sempre obbligatorio, nella forma riflessiva la particella precede il verbo e nelle forme interrogative si applica l'inversione soggetto/verbo. Tali analogie, comuni peraltro a quasi tutti i dialetti dell'Italia Settentrionale, vengono da molti erroneamente ricondotte alle dominazioni straniere del passato.
Religione
La maggioranza della popolazione si professa cattolica ma non ci sono dati aggiornati sulle percentuali dei fedeli praticanti. Ferrara appartiene all'Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio che comprende in totale 172 parrocchie.
Sono presenti cristiani ortodossi in numero consistente ed evangelici riformati.
Occorre poi ricordare l'UCEBI, le Chiese evangeliche riformate battiste in Italia, le Assemblee di Dio in Italia e la Chiesa Evangelica Cinese in Italia.
Grande importanza ha avuto ed ha la comunità ebraica. Fino al 1859 nel centro storico esisteva il ghetto e dai primi anni del XXI secolo ha aperto il Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah..
Sono presenti i Testimoni di Geova e due diverse comunità di cattolici tradizionalisti non riconosciute dalla Chiesa cattolica (quindi indipendenti dall'Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio): la Fraternità sacerdotale San Pio X, fondata da monsignore Marcel Lefebvre e l'Istituto Mater Boni Consilii, legato alla tesi di Cassiciacum.
Tradizioni e folclore
Palio di Ferrara, che si svolge l'ultima domenica di maggio in Piazza Ariostea, è la manifestazione tradizionale più antica della città. Le cronache ferraresi riportano l'esistenza di festeggiamenti e giochi già a partire dal 1259, quando gli Estensi vinsero una guerra contro Ezzelino III da Romano, comandante delle truppe imperiali. Venne riproposto nel 1933, quando si tenne una memorabile Mostra del Quattrocento ferrarese al Palazzo dei Diamanti voluta da Italo Balbo e Renzo Ravenna e ritornò ininterrottamente dopo la seconda guerra mondiale.
Istituzioni, enti e associazioni
Ferrara ospita la sede del governo provinciale, e la sua sede è nel Castello Estense
Arcispedale Sant'Anna di Ferrara, il principale ospedale provinciale e cittadino che si trova a Cona.
Ex Sant'Anna di corso della Giovecca, diventato Casa della Salute Cittadella San Rocco, conserva attività sanitarie specialistiche ed ambulatoriali ed è il presidio sanitario più importante all'interno delle mura cittadine.
Ospedale San Giorgio (Centro di Riabilitazione San Giorgio) è un centro di eccellenza dell'intera regione Emilia-Romagna dove, in passato, venne seguito anche Federico Fellini.
Ferrariae Decus, fondata nel 1906, è attiva nella tutela del patrimonio storico e artistico della città e della provincia. Ha reso possibili, ad esempio, restauri alla chiesa di Santa Maria in Vado ed alla cattedrale.
Qualità della vita
(Dati aggiornati al 2022)
Cultura
Ferrara è legata a molte personalità che, nel corso dei secoli, hanno lasciato un'eredità importante.
Di Ludovico Ariosto si può visitare la casa, in via Ariosto. e il monumento funebre nella Biblioteca comunale Ariostea. Gli venne dedicata nel 1933 una memorabile mostra per il suo quattrocentesimo
Dosso Dossi fu il pittore più rappresentativo (con Benvenuto Tisi da Garofalo), tra gli artisti della corte estense nella prima metà del XVI secolo. Lavorò ad esempio ai camerini d'alabastro e purtroppo molte sue opere vennero poi disperse con la devoluzione di Ferrara, portate in alcuni casi a Modena (poi conservate alla Galleria Estense), a Roma o in altre città.
Torquato Tasso lavorò alla corte di Alfonso II d'Este e vi trascorse anni importanti, creativi ma anche problematici. Fuggì da Ferrara, vi tornò, venne imprigionato nel Castello Estense per sette anni in una cella (poi divenuta famosa per questa circostanza) dell'allora ospedale Sant'Anna.
Giovanni Boldini fu il massimo pittore ferrarese degli ultimi secoli. Lasciò la città natale abbastanza presto perché giudicata poco stimolante per la sua ricerca artistica. Era sedotto dalla bellezza femminile che poi trasferiva mirabilmente sulla tela: "Boldini sapeva riprodurre la sensazione folgorante che le donne sentivano di suscitare quand’erano viste nei loro momenti migliori" disse di lui Cecil Beaton. Nel 1935 venne istituito il Museo Giovanni Boldini, a Ferrara, e da allora si sono susseguite iniziative anche fuori dalla città estense con mostre ed omaggi all'illustre artista morto a Parigi ma tornato a riposare nella Certosa cittadina.
Riccardo Bacchelli, autore di romanzi storici ed in particolare de Il mulino del Po, narra non solo le vicende dei protagonisti ma anche quelle di molti personaggi di contorno, realmente vissuti e legati alla città ed al suo territorio. Ad esempio nella prima parte del romanzo, in Dio ti salvi, trova spazio il racconto del mago Chiozzino.
Il regista dell'incomunicabilità Michelangelo Antonioni nacque a Ferrara e in seguito si trasferì a Roma. Iniziò da giovanissimo ad interessarsi alla recitazione poi girò un documentario sul Po (fiume al quale era legato) e poco a poco raggiunse fama internazionale. Il Palazzo dei Diamanti nel 2013 gli dedicò una mostra. È sepolto nel cimitero monumentale della Certosa di Ferrara.
Giorgio Bassani, nato da una famiglia ebraica di origini ferraresi, celebrò con le sue opere la gente di Ferrara, con i suoi vizi e le sue virtù. Dal suo romanzo più famoso, Il giardino dei Finzi-Contini è stato tratto un film girato in città da Vittorio De Sica ed i turisti cercano inutilmente il giardino di Micol. A Ferrara si può vedere, passando in via Cisterna del Follo, la sua magnolia , inoltre, nella città estense, la fondazione Giorgio Bassani ha sede nella casa di Ariosto (una seconda sede si trova a Codigoro) ed allo scrittore è stata intitolata una biblioteca comunale. Dal 2000 riposa nel cimitero ebraico di via delle Vigne.
Florestano Vancini ha usato l'arte cinematografica per descrivere Ferrara, spinto dal suo amore per il luogo natale e dall'impegno politico. Suo è il film La lunga notte del '43, tratto dal racconto di Bassani. Ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Bronte ed una laurea honoris causa in filosofia dall'Università degli Studi di Ferrara. Riposa nella Certosa di Ferrara.
Vittore Veneziani fu uno dei più importanti direttori di coro italiani nel periodo a cavallo tra le due guerre, direttore del coro della Scala di Milano fu anche apprezzato autore di musica vocale.
Adriano Franceschini, maestro di scuola elementare, ricercatore ed epigrafista, è stato la massima figura di studioso espressa dalla cultura ferrarese nel XX secolo. Come Paolo Ravenna e Luciano Chiappini ha indagato sulla storia della città a partire dal periodo medievale, ha raccolto il frutto delle ricerche su quaderni che poi gli hanno permesso di pubblicare testi usati da esperti a livello internazionale. Malgrado l'indole riservata ha dovuto accettare riconoscimenti prestigiosi come una laurea honoris causa in lettere dall'Università degli Studi di Ferrara ed una medaglia d'argento dalla Presidenza della Repubblica come benemerito della cultura e dell'arte.
Istruzione
Biblioteche
Biblioteca comunale Ariostea. La sede è in palazzo Paradiso, che fu costruito nel 1391 come delizia estense. È in via delle Scienze 17, all'angolo con via Giuoco del Pallone. Conserva la tomba di Ludovico Ariosto.
Archivio storico comunale e Centro di Documentazione Storica (Centro Etnografico Ferrarese del Comune di Ferrara). Le sedi sono nello stesso edificio in via Giuoco del Pallone, 8.
Biblioteca comunale Dino Tebaldi, San Giorgio. Si trova in via Ferrariola, 12, vicino alla Basilica di San Giorgio fuori le mura.
Biblioteca comunale Gianni Rodari. Si trova in viale Krasnodar, 102.
Biblioteca comunale Giorgio Bassani. La sede è in via Grosoli 42, nel quartiere Barco.
Biblioteca comunale Aldo Luppi. Si trova nella frazione di Porotto.
Biblioteche del Sistema Bibliotecario di Ateneo dell'Università degli Studi di Ferrara, sedi diverse.
Ricerca
Centro Inquinamento Ambienti alta Sterilità (CIAS), istituito nel 2015 presso l'Università degli Studi di Ferrara con la partecipazione di Dipartimento di Architettura e Dipartimento di Scienze Mediche. Si interessa di sanificazione in sicurezza di reparti ospedalieri, di riduzione del rischio di infezioni per l'uomo (all'interno dei nosocomi) e per gli animali nell'allevamento moderno, degli operatori negli ospedali, in particolare nelle sale operatorie, di efficienza energetica e di procedure di sicurezza in casi particolari.
Camera anecoica acustica, laboratorio di ricerca, certificazione e sperimentazione del dipartimento di ingegneria dell'Università degli Studi inaugurata nel 2008. Si presta a esperimenti nel campo del rumore e della potenza sonora, e viene utilizzata per certificazioni industriali.
Scuole
A Ferrara sono presenti scuole di ogni ordine e grado e vari istituti di formazione professionale. Alcune scuole hanno particolari motivi di interesse storico ed artistico, o vi hanno studiato personalità che in seguito hanno raggiunto notorietà o fama anche a livello internazionale. A solo titolo di esempio si ricordano le seguenti:
Scuola elementare Alda Costa, che fu costruita negli anni trenta del Novecento dall'ingegnere Carlo Savonuzzi. L'edificio è in cotto e caratterizzato da un'alta torre con relativo orologio, il tutto decorato da interventi geometrici e dall'uso del cemento a vista.
Scuola elementare Poledrelli, costruita nel 1928 sempre su disegno di Carlo Savonuzzi.
Scuola elementare Ercole Mosti. La sua sede è villa Revedin, fatta erigere nel 1738 da Francesco III d'Este. Successivamente fu acquistata dai conti Revedin ed infine comprata dal Comune nel 1928.
Liceo Ariosto, fondato nel 1860 in via Borgo dei Leoni e poi trasferito dal 1976 in via Arianuova. Dal 2005 il liceo ospita nei suoi spazi aperti il laboratorio didattico di archeologia Nereo Alfieri. Questo antico istituto ha avuto tra i suoi studenti Giorgio Bassani, Michelangelo Antonioni, Vittorio Sgarbi e Daria Bignardi.
Liceo scientifico Antonio Roiti, che prese il nome dal fisico Antonio Roiti e che tra i suoi studenti ha avuto, tra gli altri, Dario Franceschini.
Università
L'università degli Studi di Ferrara, che venne fondata dal marchese Alberto V d'Este nel 1391 su concessione di papa Bonifacio IX, è una delle quattro università presenti in Emilia-Romagna. Conta 12 dipartimenti, a cui si aggiungono la scuola di medicina e la scuola di farmacia e prodotti della salute.
Conservatorio Girolamo Frescobaldi, fondato a Ferrara nel 1870 come Istituto Musicale ed ospitato all'inizio in via Savonarola venne trasferito nell'edificio eretto su progetto di Carlo Savonuzzi nel 1937, il palazzo del Conservatorio G. Frescobaldi in via Previati.
Musei
Museo della cattedrale. Ha sede nella ex chiesa di San Romano a pochi passi dalla Cattedrale. Vi sono esposte opere che coprono l'arco temporale dal Trecento all'Ottocento Accanto al museo è visitabile l'antico chiostro del monastero di San romano che risale al IX secolo.
Museo Giovanni Boldini. Si trova nel palazzo Massari. Le sale espongono, oltre alle opere artistiche, anche materiale appartenuto al pittore come schizzi, bozzetti e strumenti di lavoro donati dalla moglie di Boldini.
Museo d'arte moderna e contemporanea Filippo de Pisis (palazzo Massari). Espone opere del ferrarese Filippo de Pisis assieme ad altre di importanti esponenti dell'arte del XX secolo, sia ferraresi sia di altre città.
Museo dell'Ottocento (palazzo Massari). Espone opere dei più rappresentativi artisti ferraresi del XIX secolo e raccoglie oggetti di interesse religioso, letterario e storico.
Padiglione d'arte contemporanea (nel giardino di palazzo Massari). Costituito da due architetture simmetriche espone opere della galleria in deposito e mostre temporanee dedicate ad artisti nazionali ed internazionali.
Museo del Risorgimento e della Resistenza. Si trovava sino all'estate 2020 in corso Ercole I d'Este, di fianco al palazzo dei Diamanti.
Museo di storia naturale. Espone reperti di zoologia, paleontologia ed etnografia.
Sinagoghe e museo ebraico di Ferrara. Collocato nell'antico ghetto di Ferrara contiene le tre sinagoghe e conservava numerosi oggetti sacri e alcuni documenti che ripercorrono la storia della comunità ebraica ferrarese prima che, all'inizio del XXI secolo, aprisse il Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah e vi fossero spostate temporaneamente le collezioni. Conserva materiale e documentazioni legati alla comunità ebraica nazionale.
Museo di paleontologia e preistoria Piero Leonardi (Palazzo Turchi di Bagno). Viene gestito dall'Università degli Studi di Ferrara ed è chiuso al pubblico a causa degli eventi sismici di maggio 2012. Le aree destinate alle esposizioni sono quattro, dedicate alla geologia, alla paleontologia dei vertebrati e degli invertebrati e alla preistoria.
Centro di documentazione del mondo agricolo ferrarese. Dedicato alla storia della realtà agricola locale fra Ottocento e Novecento.
Museo Riminaldi (Palazzo Bonacossi). Espone le collezioni raccolte dal cardinale Giovanni Maria Riminaldi nella seconda metà del XVIII secolo.
Pinacoteca nazionale
Museo lapidario
Museo Schifanoia
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La Nuova Ferrara
il Resto del Carlino - Edizione di Ferrara
Quotidiani storici a Ferrara sono stati L’Avviso Patriottico (diffuso con pochi numeri nel 1797), Il Giornale del Basso Po (stampato solo nel 1798), Giornale Ferrarese (il primo giornale pensato con impostazione moderna), Gazzetta Ferrarese (diffusa tra il 1848 e il 1929), La Domenica dell'Operaio (a partire dal 1895), Corriere Padano (fondato nel 1925 da Italo Balbo e diretto a lungo da Nello Quilici. Chiuse nel 1945 e vi scrissero, tra gli altri, Giorgio Bassani, Luigi Preti e Michelangelo Antonioni).
Radio
Radio Dolce Vita, FM e streaming con sede in città.
Radio Sound 97.5 FM Ferrara, emittente con sede a Codigoro, ma con studi radiofonici in città. Riporta notizie su Ferrara e sulla sua provincia ed è seguita quotidianamente da 25.000 ascoltatori.
Televisione
Telestense, emittente locale principale. Dal 1976 trasmette notizie sul territorio provinciale e regionale. Si avvale pure dei servizi nazionali di TV2000 e riporta informazioni anche della provincia di Rovigo. Arriva anche alle province di Bologna, Ravenna, Modena, Mantova, Verona, Padova e Venezia.
Telecentro
Telesanterno
Canale Italia
Arte
La scuola ferrarese nacque presso la corte estense durante il rinascimento ferrarese, e copre il periodo compreso tra il XIV ed il XVII secolo. Tra i suoi esponenti più noti: Cosmè Tura, Francesco del Cossa, Ercole de' Roberti, Dosso Dossi, Girolamo da Carpi, Benvenuto Tisi da Garofalo e Sebastiano Filippi.
Alla scuola ferrarese venne dedicata l'esposizione che nel 1933 ebbe un successo notevole per l'epoca, con oltre settantamila visitatori (tra questi i Principi di Piemonte e Vittorio Emanuele III di Savoia).
Teatro
La città di Ferrara non ha un suo teatro stabile. Dal 1931 è attiva la compagnia dialettale Straferrara. Sul territorio sono presenti l'associazione culturale Ferrara Off e il teatro Nucleo.
Dal 1998 era stata in attività la compagnia di teatro Instabile Urga, che si è sciolta nel 2012. Dal 2008 al 2011 questa compagnia aveva organizzato il Barcollanti Festival
Cinema
La città è stata scelta da diversi registi italiani e stranieri per girare le loro pellicole. Luchino Visconti vi ha ambientato Ossessione, Michelangelo Antonioni Cronaca di un amore, Florestano Vancini La lunga notte del '43, Vittorio De Sica Il giardino dei Finzi-Contini, Antonioni con Wim Wenders Al di là delle nuvole ed Ermanno Olmi Il mestiere delle armi. Le vie di Ferrara sono state utilizzate anche per la serie televisiva Nebbie e delitti, con Luca Barbareschi.
Musica
L'orchestra a plettro Gino Neri ha una tradizione musicale che inizia nel 1898, ha ricevuto importanti riconoscimenti ed è convenzionata con il Conservatorio Cesare Pollini di Padova. La banda filarmonica comunale Ludovico Ariosto è attiva dal 2014.
Cucina
La cucina ferrarese vanta un buon numero di specialità locali che vengono da una tradizione risalente all'epoca medioevale e dalla cultura contadina. È stata influenzata dalle province vicine, quindi ha piatti in comune con la cucina emiliana ed anche con quella veneta.
Dal 2015 viene organizzata Mangiafexpo, una grande festa del cibo di Ferrara.
Il pane tipico è la coppia ferrarese, protetto del marchio Indicazione geografica protetta. Ferrara aderisce all'Associazione nazionale città del pane.
Gli insaccati vengono dalla tradizione contadina, e sono il salame all'aglio e la Zia ferrarese. I ciccioli non sono insaccati ma si ottengono da sempre dalla lavorazione della carne di maiale e vengono prodotti e consumati in zona. Molto diffusa era la pancetta arrotolata, affettata come un salume. Ai salumi spesso si abbinano i pinzini, non tipici e meglio conosciuti come gnocco fritto ma molto diffusi.
Tipici sono i cappellacci di zucca, simili a quelli mantovani, solitamente serviti con ragù di carne e solo in tempi più recenti al pomodoro o al burro. Molto consumati sono i cappelletti e i passatelli in brodo. Altri primi tradizionali sono il pasticcio di maccheroni alla ferrarese nelle versioni dolce (ricoperto di pasta frolla) e salata (ricoperto di pasta sfoglia) e le tagliatelle, secondo la tradizione create alla corte estense.
La salama da sugo è forse il piatto più rappresentativo della città, un salume di carni di maiale tipico della zona, cotta e servita calda con purè di patate in inverno oppure affettata fredda d'estate. Era apprezzata anche da chi non avrebbe dovuto mangiare carne di maiale, come il podestà ebreo amico di Italo Balbo che, anche se una sola volta all'anno, la metteva in tavola. Da ricordare anche piatti a base di anguille, tradizione che arriva dalla zona di Comacchio.
Il pampapato è il dolce più noto, consumato nel periodo natalizio, e molto diffusi sono anche la zuppa inglese, la tenerina e la ciambella. Degni di nota sono anche i tamplun, frittelle di castagne, uvetta e pinoli.
I vini i più noti del territorio sono quelli del bosco Eliceo, che hanno origini legate al periodo di Spina e si sono poi ottenuti probabilmente da innesti con vitigni portati da Renata di Francia, consorte del duca Ercole II d'Este.
Altri prodotti tradizionali della provincia sono l'aglio di Voghiera e il riso di Jolanda di Savoia.
Eventi
Il Teatro Comunale "Claudio Abbado" nella stagione propone danza, concerti e prosa.
Il Jazz Club Ferrara (Torrione di San Giovanni Battista) presenta musicisti Jazz di alto livello. Vince il titolo di miglior Jazz Club Italiano del 2010.).
Ferrara Sotto le Stelle fa arrivare in piazza Castello in estate artisti della musica italiana e internazionale.
Il Ferrara Buskers Festival, dal 1987 nell'ultima settimana di agosto, fa arrivare in città artisti di strada da ogni parte del mondo.
Nel parco urbano Giorgio Bassani si svolgono due manifestazioni importanti. In settembre si svolge il Ferrara Balloons Festival, un festival di mongolfiere conosciuto in Italia e in Europa. Tra il 23 (festa patronale) e il 25 aprile (anniversario della liberazione d'Italia) è il momento della Vulandra, un festival degli aquiloni che attira turisti e residenti.
Nel 2007 si è tenuto il primo festival di giornalismo organizzato dalla rivista Internazionale, Internazionale a Ferrara, che in tre giorni ha fatto arrivare oltre 17.000 persone. Rivelatosi un successo, è stato nuovamente riproposto.
Dall'ultimo decennio del XX secolo si tiene il Salone Internazionale del Restauro, dei Musei e delle Imprese Culturali.
Geografia antropica
Urbanistica
La storia di Ferrara iniziò quando la sede vescovile di Voghenza, a causa della migrazione longobarda, venne trasferita nell'allora lingua di terra creatasi tra i due rami del fiume Po (il Po di Volano e il Po di Primaro). Qui il borgo di San Giorgio rappresentò la prima area di urbanizzazione, la Ferrariola, e vi si eresse la basilica di San Giorgio fuori le mura. Quella fu la genesi urbanistica di Ferrara e non la migrazione dalla città etrusca di Spina (decaduta, sostituita da Ravenna e interrata per avanzamento della costa). Lentamente poi parti di popolazione sempre più consistenti si spostarono sulla sponda a nord del Po, dove si estendeva un vasto territorio sul quale sorse la città del medioevo.
L'urbanizzazione avvenne per addizioni. Partendo da due nuclei fortificati si formò una prima città lineare che poi, con ampliamenti successivi, crebbe principalmente verso nord. I principali furono:
Addizione di Nicolò II, del 1385.
Addizione di Borso d'Este, del 1451, con inclusione dell'area di Sant'Antonio in Polesine.
Addizione Erculea, del 1492. Voluta dal duca Ercole I d'Este ed attuata dall'architetto Biagio Rossetti) fu storicamente la più importante opera urbanistica che interessò Ferrara facendola diventare la prima città moderna d'Europa. Il disegno si ispirava al modello romano del cardo e del decumano e prevedeva un asse viario che partiva dal Castello Estense e raggiungeva la porta degli Angeli ed un altro che collegava le due porte principali della città, la porta a Mare e la porta a Po. L'incrocio emblema di questa addizione è il Quadrivio degli Angeli.
Addizione Novecentista, della prima parte del XX secolo. A partire dagli anni venti si ebbe una riqualificazione urbanistica voluta dall'amministrazione comunale per ridare nuova veste a varie aree della città grazie alla costruzione di edifici seguendo lo stile razionalista. Tra i suoi artefici più importanti vi fu l'architetto Carlo Savonuzzi. Non fu propriamente un'addizione ma rientrò in quel periodo storico anche l'attività edilizia portata avanti dall'Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Ferrara, che puntò alla costruzione di numerosi alloggi sia in città sia nell'intera provincia. A Ferrara le zone maggiormente interessate furono quelle di corso Isonzo e del quartiere Barco.
Importanti cambiamenti urbanistici, in particolare nel secondo dopoguerra, portarono alla crescita di molti quartieri fuori dalla cinta muraria, alla modifica della viabilità nella zona di corso Porta Reno, alla costruzione del grattacielo (tanto criticato da Giorgio Bassani e, più tardi, da Vittorio Sgarbi)
Il tessuto urbano della città può essere suddiviso in due parti distinte attraverso il confine segnato dall'asse viario di corso della Giovecca e viale Cavour che taglia nettamente la città. A sud vi è l'antica zona medioevale col Castello Estense, la cattedrale e il borgo San Giorgio, fuori dalla mura. A nord vi è la città rinascimentale, con parte degli insediamenti più recenti all'interno delle mura, in particolare nell'area in direzione del quartiere Barco.
Il corso della Giovecca è stato per secoli un canale a nord della cinta muraria, uno spazio che distingueva il dentro dal fuori, un ostacolo sia fisico sia psicologico. Lo sviluppo della piazza Nuova (poi piazza Ariostea), nel progetto di Rossetti, avrebbe dovuto essere diverso, e quasi certamente il suo destino era quello di avere attorno, su tre lati, un porticato. Avrebbe dovuto diventare un mercato, centro di traffici urbani. Le previsioni non furono rispettate e le nuove aree comprese dall'addizione di Ercole I non furono subito sfruttate per costruirvi abitazioni da parte della popolazione. Ne approfittarono solo le grandi famiglie, che vi trovarono spazi economici le loro dimore ampie e con giardini, mentre gli altri ferraresi preferirono rimanere nella parte storica della città, dove l'abitudine ed il timore del nuovo li tratteneva.
Frazioni
Aguscello, Albarea, Baura, Boara, Bova di Marrara, Casaglia, Cassana, Chiesuol del Fosso, Cocomaro di Cona, Cocomaro di Focomorto, Codrea, Cona, Contrapò, Corlo, Correggio, Denore, Focomorto, Fondo Reno, Fossadalbero, Fossanova San Biagio, Fossanova San Marco, Francolino, Gaibana, Gaibanella, Gorgo, Malborghetto di Boara, Malborghetto di Correggio, Marrara, Monestirolo, Montalbano, Parasacco, Pescara, Pontegradella, Pontelagoscuro, Porotto, Porporana, Quartesana, Ravalle, Sabbioni, San Bartolomeo in Bosco, San Martino, Sant'Egidio, Spinazzino, Torre Fossa, Uccellino, Viconovo, Villanova.
Le circoscrizioni di Ferrara, in seguito all'entrata in vigore della legge n. 42/2010, che soppresse le circoscrizioni nei comuni con meno di 250.000 abitanti, non sono più presenti e al loro posto sono venute le delegazioni che, a differenza delle circoscrizioni, non sono composte da rappresentanti eletti.
Economia
L'economia si è sempre basata sull'agricoltura e nella prima parte del XX secolo la grande proprietà terriera fu una forza importante a livello locale. All'inizio del ventennio fascista sostenne lo squadrismo per contrastare le rivendicazioni sindacali. La nascita delle corporazioni mutò in seguito i rapporti eliminando la lotta di classe e imponendo regole che esaltavano le competenze dei lavoratori con manifestazioni e fiere senza concedere riconoscimenti economici. Si puntò anche sull'industrializzazione senza ottenere il successo sperato e intanto la crisi nel settore della canapa fece lievitare il numero dei disoccupati in agricoltura (oltre 70.000 senza lavoro) mentre la grande depressione peggiorò la situazione.
Nel secondo dopoguerra si ebbe un periodo di espansione economica che tuttavia si esaurì e con la fine del secolo l'intero territorio provinciale entrò nuovamente in difficoltà.
I motivi di criticità nel XXI secolo sono la vicenda Cassa di Risparmio di Ferrara, i problemi industriali, la difficoltà crescente del piccolo commercio e l'invecchiamento della popolazione. Già in precedenza tuttavia non erano mancate le difficoltà.
È interessante ricordare come iniziò e poi si concluse la dismissione dell'intero settore saccarifero, con conseguenze sull'agricoltura e sull'industria, con diminuzione delle aree dedicate alla coltivazione della barbabietola da zucchero e la chiusura di stabilimenti storici nel comune, a Pontelagoscuro, e in provincia, a Codigoro.
Il consorzio di bonifica pianura di Ferrara ha la sua sede in Palazzo Naselli Crispi che si trova in via Borgoleoni e raccoglie i quattro consorzi di bonifica ferraresi presenti, (tra questi le Bonifiche Ferraresi).
Un altro consorzio legato ad iniziative economiche è quello di Ferrara Innovazione,
inoltre in città ha sede l'associazione imprenditori (CNA Ferrara), in via Caldirolo.
Agricoltura
Il settore agricolo interessa l'intero territorio provinciale che, storicamente, è un'area a vocazione agricola da secoli, con parti coltivate da molto tempo ed altre di bonifica più recente.
Tra le coltivazioni più comuni vi sono i cereali (frumento e mais), i prodotti tipici dell'orto, i frutteti e le viti, mentre un tempo erano numerosi i campi con barbabietola da zucchero e canapa. Per ottenere la fibra dalla canapa, poi utilizzata dall'industria tessile, serviva macerare gli steli della pianta uniti a formare enormi zattere in stagni artificiali, i maceri, che hanno caratterizzato per anni la campagna ferrarese. Dai braccianti addetti alla coltivazione della canapa nacquero i primi movimenti sindacali nel ferrarese. Il settore entrò in difficoltà quando crollò il prezzo della fibra in seguito all'introduzione, fuori dall'Italia, di nuove materie prime per la produzione di filati per i tessuti alla fine degli anni venti ma la coltivazione continuò ancora per circa un cinquantennio.
Per diversi anni nel secondo dopoguerra a Ferrara si tennero fiere biennali ortofrutticole internazionali a riprova dell'importanza avuta dal settore per l'economia territoriale. La base occupazionale della provincia raggiunge l'8,3% ovvero il tasso più elevato di tutto il nord-est d'Italia con 8.763 industrie attive nel settore e 180 000 ettari di superficie agraria complessiva.
Una particolare parabola ha interessato il Consorzio Agrario Provinciale, fondato nel 1929 e fallito dopo quasi un secolo, confluito nel Consorzio dell'Emilia.
Alle problematiche legate all'agricoltura si è dedicata a lungo la rete televisiva locale Telestense con la trasmissione Agreste che ha concluso il suo ciclo nel 2016.
Anche la pesca ha un ruolo di rilievo nell'economia locale ed il 55% dei 3.000 addetti nell'Emilia-Romagna è nella provincia, con un totale di 1.135 imprese attive. Il pescato che si ottiene nei comuni di Goro e Comacchio raggiunge circa i 100 000 quintali. Il 53% del totale viene venduto ai mercati all'ingrosso della regione.
Artigianato
La tradizione artigiana risale certamente ai secoli della fondazione della città ma è solo con la signoria estense prima e con la legazione papale dopo che vennero formalizzate con appositi statuti le corporazioni delle arti e mestieri. Queste associazioni avevano varie finalità, tra queste la difesa dei mestieri come erano tramandati tradizionalmente ed una prima forma di mutuo soccorso. A Ferrara furono numerosissime, e quelle con un maggior numero di aderenti furono: barbitonsori (barbieri), callegari (calzolai), carradori (costruttori ed addetti alle carrozze), drappieri (produttori e commercianti di stoffe), e poi ancora fornai, fruttaroli, casaroli, mastellari e così via. Queste corporazioni vennero in gran parte disciolte nel periodo napoleonico. Qualche anno dopo rimanevano in città solo piccoli artigiani indipendenti e poche attività artigianali di una certa dimensione. Queste ultime si limitavano principalmente al mercato interno a causa, tra l'altro, del pessimo stato delle vie di comunicazione. Attorno alla metà del XIX secolo erano presenti, con certezza, una conceria di pelli, qualche pastificio, una piccola fabbrica di cappelli, un saponificio e poco altro.
Durante il ventennio fascista le corporazioni rinacquero, o meglio, nacquero nuove corporazioni, in contrapposizione al movimento sindacale, che ripresero solo in parte l'antico spirito. Nel 1926 vennero fondati infatti il Ministero delle corporazioni e il Consiglio nazionale delle corporazioni.
A Ferrara è presente l'associazione territoriale della CNA, alla quale sono associate oltre 5.000 imprese, tra le quali molte artigiane, inoltre è sede anche di Confartigianato Ferrara, al quale aderiscono circa 2.500 imprese.
Il settore dell'artigianato ferrarese appare in progressiva crescita, addirittura più della media nazionale. Le imprese artigiane ferraresi producono il 13,8% del valore provinciale rivestendo un ruolo fondamentale nell'ambito del sistema produttivo locale caratterizzato da piccole aziende: 26.000 addetti operano nel settore e il 35,5% degli imprenditori ferraresi è rappresentato da artigiani.
Ferrara è presente anche nella produzione artigianale artistica col settore della ceramica, della terracotta, degli strumenti musicali, dei mobili artistici, della lavorazione del ferro battuto, del rame, del peltro e per i laboratori di oreficeria e gioielleria.
Industria
Notevole importanza ricopre l'area del Polo chimico di Ferrara, creato nel 1936 come SAIGS, divenuto poi Montecatini, Monteshell, Montedison sino ad arrivare alla situazione del nuovo millennio con le industrie LyondellBasell, Versalis, Syndial e Yara. Qui Giulio Natta, Premio Nobel per la chimica nel 1963, nel 1957 diede il via alla produzione del Moplen, il polipropilene da lui inventato.
Ferrara è stata meta di importanti ricollocazioni di attività manifatturiere. Il 26,3% del prodotto provinciale deriva dall'industria con un totale di 54 000 persone occupate in tale settore, delle quali 46 000 operanti nella trasformazione industriale e 8.000 nel settore edilizio-costruzioni che rappresentano il 34,8% dell'intera occupazione provinciale. Il territorio ferrarese rimane tuttavia una delle aree meno industrializzate dell'intera regione.
Servizi
Teleriscaldamento
Parte della città utilizza una rete di teleriscaldamento alimentata da energia geotermica.
Istituti di credito e assicurativi
La Cassa di Risparmio di Ferrara (Carife), fondata nel 1838, dal 2015 è stata posta in liquidazione coatta amministrativa. Per quasi due secoli è stata la principale banca della città e della provincia di Ferrara. Divenuta Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara, dal 2017 è BPER Banca.
Dal 1834 è presente una sede delle Assicurazioni Generali, aperta solo tre anni dopo la fondazione della compagnia a Trieste. Dal 1926 la sede è nel Palazzo delle Assicurazioni Generali di Ferrara
Ferrara Fiere Congressi
La Fiera di Ferrara è il principale polo fieristico cittadino e con la Fiera di Modena e quella di Bologna forma il polo fieristico regionale. Ogni anno vengono organizzati circa 15 eventi fieristici.
Turismo
Il turismo vive grazie alle offerte culturali e ambientali che città e provincia riescono a proporre, ed alla rivalutazione del periodo estense. Il livello dei settori museale e artistico della città hanno permesso la crescita dell'interesse da parte di visitatori italiani e stranieri. Nella provincia è forte l'attrattiva esercitata dai lidi di Comacchio e dal parco regionale del Delta del Po dell'Emilia-Romagna.
Il terziario legato al turismo tuttavia produce il 66,9% del valore provinciale contro una media nazionale del 70,9% ed il comparto fa registrare una lieve flessione, unico capoluogo di provincia nell'intera regione con questo risultato. Gli arrivi e le presenze sono stazionari ma calano i pernottamenti (-3,2%). Sono positivi i dati che riguardano i turisti stranieri.
Infrastrutture e trasporti
Trasporti e vie di comunicazione a Ferrara comprendono essenzialmente autostrada ed altre arterie stradali e ferrovie. Importanza secondaria rivestono ancora il trasporto fluviale e aeroportuale.
Strade
Ferrara è collegata alla rete autostradale italiana grazie all'autostrada A13 con due caselli autostradali che servono la città: Ferrara Nord e Ferrara Sud. È importante il Raccordo Autostradale Ferrara-Porto Garibaldi che porta ai Lidi di Comacchio.
La viabilità storica di Ferrara comprende i viali che seguono l'andamento delle mura cittadine. All'interno della cinta muraria sono fondamentali le vie legate all'Addizione Erculea, viale Cavour e corso della Giovecca da un lato e corso Porta Mare, corso Biagio Rossetti e corso Porta Po dall'altro, intersecati da corso Ercole I d'Este.
Le vie extraurbane principali sono quelle di collegamento con le altre città della regione e la riviera di Comacchio, tra queste via Bologna, via Ravenna, via Modena, via Padova e la già ricordata superstrada Ferrara-Mare.
La città è attraversata per intero dalla Strada statale 16 Adriatica, è direttamente collegata a Pistoia dalla Strada statale 64 Porrettana e a San Benedetto Po, in provincia di Mantova, dalla Strada statale 496 Virgiliana.
Odonomastica e storia
Diverse vie cittadine ricordano nel loro nome le antiche corporazioni delle arti e mestieri: via Armari (da corso Ercole I d'Este a viale Cavour), via Spadari (da viale Cavour a via Garibaldi), via Chiodaioli (che arriva in via Carlo Mayr), via Cisterna del Follo (nella zona ad est della città), via Mascheraio (da via Borgo dei Leoni a via Montebello). Altre strade, col tempo, hanno perso l'antico nome, come via degli Orefici (ora parte di via Cortevecchia), via de' Sellai o via del Bocalaro.
Piazze
Piazza Trento e Trieste è la piazza più importante della città, circondata da edifici storici come la Cattedrale, il Palazzo di San Crispino, il teatro Nuovo e il palazzo Municipale. Il marciapiede centrale viene chiamato listone ed ospita in parte il mercato settimanale cittadino e numerose manifestazioni culturali, turistiche, economiche e promozionali in diverse occasioni.
Piazza Ariostea è la piazza nuova voluta da Biagio Rossetti ed Ercole I d'Este nell'ambito dell'Addizione Erculea. Ospita le gare del palio di Ferrara ed altre manifestazioni. Nelle vicinanze si trovano palazzo Massari, Palazzo Rondinelli e Palazzo Strozzi-Bevilacqua.
Piazza del Municipio era un tempo il cortile interno del palazzo Municipale. È nota per lo scalone d'onore in marmo con cupola cinquecentesca. Ha tre accessi: dalla piazza Duomo attraverso il Volto del Cavallo (che ai suoi lati conserva le statue in bronzo di Niccolò III d'Este e di Borso d'Este), da via Garibaldi e da via Cortevecchia, attraverso il Volto del Cavalletto.
Corso Martiri della Libertà, che ha inizio da Piazza Cattedrale e termina nel Largo Castello, in passato era piazza del Commercio e vi si tenevano commerci di derrate e animali. Sulla strada si affaccia il palazzo Municipale, dotato nel 1503, per volontà di Ercole I d'Este, di un loggiato con colonne di marmo, distrutto da un incendio nel 1532. Su questa struttura, vi era una sala in cui si svolgevano le rappresentazioni teatrali, e dove Ludovico Ariosto faceva recitare le sue Commedie. Nel palazzo risiedevano le principesse estensi, vi si riuniva il Consiglio dei Dodici Sapienti (componenti il Magistrato Ducale); viene utilizzato per gli uffici comunali. Di fronte al municipio sorge il palazzo arcivescovile raccordato all'antica sede vescovile edificata già a partire dal XII secolo, della quale rimane il prospetto su via degli Adelardi. Sul corso dominano la torre Marchesana e la torre dei Leoni del Castello Estense. Sul lato opposto al Castello si trova il teatro Comunale, che racchiude la caratteristica rotonda Foschini.
Piazza Savonarola si apre su corso Martiri della Libertà a fianco del Castello Estense, è delimitata dalla Loggia dei Camerini del palazzo Municipale e dalla via Coperta che collega il Palazzo al Castello. Al suo centro c'è la statua di Girolamo Savonarola. Comunica con piazza Castello tramite i fornici della via Coperta.
Piazzetta Sant'Anna è nella zona della città riqualificata negli anni trenta dopo il trasferimento del vecchio ospedale del quale rimane solo il portale di accesso con annesso chiostro e porticato, recuperati dopo i lavori di restauro, e la cella del Tasso.
Piazza Cortevecchia è situata lungo l'omonima via, vicina a piazza Trento e Trieste. È stata oggetto di continui cambiamenti e ricollocamenti di edifici fino a perdere la sua funzione originale e diventare un parcheggio. A breve distanza dalla piazza, dalla vicina via Cortevecchia, è possibile accedere al caratteristico vicolo dei Duelli di origini medievali.
Ferrovie
La stazione ferroviaria principale è la stazione RFI, in piazzale Stazione, 28. È servita da collegamenti nazionali e regionali, compresa la linea ferroviaria Suzzara-Ferrara.
La stazione di Ferrara Via Boschetto, sulla linea Ferrara-Codigoro, è gestita da Ferrovie Emilia-Romagna.
È presente la Stazione di Pontelagoscuro, presso l'omonima frazione, mentre a sette chilometri dal centro c'è la fermata della Città del Ragazzo delle Ferrovie Emilia-Romagna, sulla linea per Codigoro.
La stazione di Ferrara Porta Reno è stata soppressa nel 2011.
Ferrara era servita da altre due linee ferroviarie di interesse regionale, la Modena-Cento-Ferrara e la Ferrara-Copparo, gestite dalla Società Veneta e chiuse nel 1956.
Su rotaia esistevano le linee extraurbane Ferrara-Pontelagoscuro e Ferrara-Codigoro, quest'ultima sostituita dalla ferrovia sopra ricordata.
Porti
L'idrovia Ferrara-Ravenna adegua alle normative europee di navigabilità il tratto del fiume Po (lungo 70 km) che collega Ferrara con il Mare Adriatico. Nel progetto la parte navigabile unisce due scali principali, ancora non esistenti: la nuova conca di Pontelagoscuro e la nuova area dedicata di Porto Garibaldi.
Malgrado Ferrara con la sua provincia occupi una parte notevole della costa adriatica regionale non possiede strutture portuali marittime confrontabili con quelle della vicina Ravenna o della più turistica Rimini, in Romagna. Non esiste neppure una linea ferroviaria che unisca la rete nazionale dalla stazione di Ferrara alla costa. Il porto canale di Porto Garibaldi riveste importanza esclusivamente per la pesca e come piccolo scalo per nautica da diporto. Le linee turistiche che non vanno più a nord della zona del delta del Po né si spingono oltre un certo limite dalla costa.
Aeroporti
L'aeroporto di Ferrara è dedicato a Michele Allasia (pilota ferrarese durante la prima guerra mondiale) ed è il principale aeroporto civile della provincia di Ferrara. Ospita l'aeroclub di Ferrara. Non troppo lontani ci sono la base aerea di Poggio Renatico e l'aeroporto di Prati Vecchi d'Aguscello.
Durante la grande guerra fu un aeroscalo per dirigibili. Nel primo dopoguerra il ferrarese Italo Balbo venne nominato sottosegretario di Stato all'aviazione e il 12 settembre 1929, a soli trentatré anni, ministro dell'aeronautica. In quel periodo l'aeroporto di Ferrara fu al centro dell'attenzione nazionale. Nel 1931, nel corso di una cerimonia alla presenza dello stesso Balbo e di Vittorio Emanuele III di Savoia, le autorità passarono in rivista i numerosi aerei schierati sulla pista e assistettero anche al decollo di diversi velivoli.
Nel 2013 si è proposto di dedicare l'aeroporto a Italo Balbo, poi questo non ha avuto seguito.
Mobilità urbana
Ferrara è servita dal trasporto pubblico locale comprendente 12 linee urbane e più di 20 linee extraurbane. I collegamenti sono garantiti su buona parte del territorio cittadino, mentre nelle frazioni vicine il servizio è svolto dalle linee extraurbane e da linee "Taxibus" a chiamata. Il servizio è gestito da TPER.
In passato in città esisteva una rete tranviaria urbana poi sostituita da una rete filoviaria, entrambe soppresse.
Ferrara città delle biciclette
Ferrara è la città italiana al primo posto per l'uso della bicicletta. La bicicletta è il mezzo di trasporto più utilizzato dai ferraresi di ogni età per gli spostamenti veloci e per le attività ricreative o sportive. Risulta il mezzo migliore per muoversi nei vicoli del centro storico e nella zona pedonale, e sono presenti anche servizi di noleggio per turisti. Una nota dolente è il problema quasi senza soluzione dei furti di biciclette, anche se si cercano modi per contrastare il fenomeno, che non è certamente recente.
Impianto geotermico
La Centrale geotermica di Ferrara si trova a Casaglia, a circa 4 km dalla città ed è il principale impianto italiano per lo sfruttamento dell'energia geotermica per il riscaldamento urbano, collegato alla rete del teleriscaldamento che serve oltre 22.000 appartamenti. La rete ferrarese è un caso di eccellenza a livello europeo, oltre ad farne l'infrastruttura per il riscaldamento urbano più ecosostenibile d'Italia.
Poiché oltre il 50% dell'energia necessaria al teleriscaldamento è prodotta da fonti rinnovabili o di recupero e gli utenti beneficiano di uno sconto fiscale che ha consentito nel tempo un risparmio sulle tariffe..
Amministrazione
Gemellaggi
Ferrara è gemellata con le seguenti città:
Nel 1998 ha siglato un patto di amicizia con alcune cittadine di paesi in via d'adesione all'Unione europea, come Fiume, Brno, Tartu, Žilina, Daugavpils, Baranavičy, Sebastopoli, Soroca, Craiova, Dobrič, Bitola, Novi Sad e Scutari.
Nel febbraio 2004 ha siglato un patto di amicizia con la Daira di Smara, in segno di solidarietà con il popolo Sahrawi, "volto all'incontro e allo sviluppo culturale e sociale dei due paesi".
Nel maggio 2004 ha siglato un patto di amicizia con Lula.
Nel 2016 ha siglato un patto di amicizia e reciprocità con Rio nell'Elba.
Sport
Calcio
La principale squadra di calcio della città è la SPAL. Fondata nel 1907, ha militato in Serie A per sedici stagioni tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta, per poi essere rifondata due volte a seguito di altrettanti fallimenti societari. Vincendo il campionato 2016-2017 di Serie B è tornata in Serie A sino alla stagione 2019-2020 per retrocedere poi nuovamente in Serie B.
Football americano
Aquile Ferrara è una squadra di football americano fondata nel 1979, tra le prime in Italia.
Hockey
La Ferrara Hockey è la principale squadra di Hockey in-line della città, gioca nel campionato di Serie A.
Maratona
La città ospita la Ferrara Marathon, maratona e mezza maratona internazionali, organizzate dall'Atletica Corriferrara in collaborazione con il Comune. La gara è stata disputata per la prima volta nel 1909.
Nuoto
Sono presenti società che seguono le varie specialità a livello amatoriale, agonistico e master come il Nuoto Club Ferrara e la sezione nuoto del Cus Ferrara
Pallacanestro
La prima società presente in città è stata la Pallacanestro Ferrara, fondata nel 1982. La più importante tuttavia è stato il Basket Club Ferrara nato nel 1999 che, dopo aver militato in Serie A dal 2008 al 2010, ha cessato la sua attività nel 2011, venendo sostituito dal Kleb Basket Ferrara che disputa il campionato di Serie A2. La Bonfiglioli Ferrara Basket, squadra femminile, milita anch'essa in Serie A2.
Pallavolo
La squadra principale è la 4Torri Ferrara Volley fondata nel 1947, che milita in Serie B. Ha disputato il torneo maschile di Serie A1 dal 1997 al 2004.
Pallamano Hanno sede nel Comune le società Handball Estense e G.S. Ariosto Pallamano Ferrara. La sede è il Palaboschetto.
Rugby
Il CUS Ferrara Rugby, fondato nel 1969, partecipa alla Serie B. La squadra femminile milita in serie A.
Scherma
Società storica è l'Accademia di scherma Giancarlo Bernardi, che ha avuto come presidente onorario anche Giuseppe Garibaldi. Fondata nel 1854 come "accademia di sciabola, spada e bastone", ne fece parte Carlo Gandini, vincitore della medaglia d'argento nella spada ai Giochi olimpici intermedi di Atene del 1906. In tempi recenti Riccardo Schiavina si è laureato campione europeo under-20 nel 2008 nella spada individuale, e con i compagni di nazionale, campione del mondo nella spada a squadre nel 2009.
Tchoukball
Nel Comune sono presenti il Ferrara Tchoukball nato nel 2007 e il Ferrara Allnuts, vincitore di un campionato italiano. Nel 2011, la città ha ospitato i campionati mondiali maschili e femminili.
Impianti sportivi
I principali impianti sportivi in funzione sono: stadio Paolo Mazza, stadio Giacomo Matteotti, palasport, Palapalestre, ippodromo comunale, motovelodromo comunale, campo sportivo scolastico comunale, Palaboschetto e piscina di via Beethoven.
É stato chiuso il PalaSilver, il palazzetto del ghiaccio di Ferrara.
Note
Annotazioni
Fonti
Bibliografia
Voci correlate
Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio
Coppia ferrarese
Dialetto ferrarese
Miracolo eucaristico di Ferrara
Mura di Ferrara
Palio di Ferrara
Provincia di Ferrara
Storia di Ferrara
Terremoto dell'Emilia del 2012
Terremoto di Ferrara del 1570
Università degli Studi di Ferrara
Urbanistica di Ferrara
Palazzi di Ferrara
Altri progetti
Collegamenti esterni
Provincia di Ferrara
Patrimoni dell'umanità d'Italia |
1855 | https://it.wikipedia.org/wiki/File%20sharing | File sharing | File sharing (in italiano condivisione di file) indica l'attività informatica della condivisione di file all'interno di una rete di calcolatori.
Storia
I primi file furono scambiati su supporti rimovibili. I computer erano in grado di accedere a file remoti usando il sistema di montaggio del file system, i sistemi di bacheca elettronica (1978), Usenet (1979) e i server FTP (1985). Internet Relay Chat (1988) e Hotline (1997) hanno permesso agli utenti di comunicare da remoto tramite chat e di scambiare file. La codifica mp3, che è stata standardizzata nel 1991 e che ha sostanzialmente ridotto le dimensioni dei file audio, è cresciuta fino a diffondersi alla fine degli anni '90. Nel 1998 sono stati creati MP3.com e Audiogalaxy. Il Digital Millennium Copyright Act è stato approvato all'unanimità e sono stati lanciati i primi dispositivi per lettori mp3.
Nel giugno 1999 è nato Napster negli Stati Uniti per opera dell'appena diciannovenne Shawn Fanning, studente alla Northeastern University di Boston, con l'aiuto dell'amico Sean Parker. In genere viene accreditato come il primo sistema di condivisione di file peer-to-peer. Gnutella, eDonkey2000 e Freenet sono stati rilasciati nel 2000, poiché MP3.com e Napster si trovavano di fronte a un contenzioso. Gnutella, uscito a marzo, è stata la prima rete di condivisione file decentralizzata. Nella rete gnutella, tutti i software di connessione erano considerati uguali e quindi la rete non aveva un punto centrale di errore. A luglio, è stato rilasciato Freenet che divenne la prima rete di anonimato. A settembre è stato rilasciato il software client e server eDonkey2000.
Nel 2001 sono stati rilasciati Kazaa e Poisoned per il Mac. La sua rete FastTrack è stata distribuita, ma a differenza di gnutella, ha aggiunto più traffico ai "supernodi" per aumentare l'efficienza del routing. La rete era proprietaria e crittografata e il team di Kazaa ha compiuto notevoli sforzi per impedire ad altri client come Morpheus di uscire dalla rete FastTrack. Nel luglio 2001, Napster è stato citato in giudizio da diverse case discografiche.
Poco dopo la sua perdita in tribunale, Napster fu chiuso per ordine del tribunale. Questo ha spinto gli utenti ad altre applicazioni P2P: la condivisione di file ha continuato la sua crescita. Il client Audiogalaxy Satellite è cresciuto in popolarità e sono stati rilasciati il client LimeWire e il protocollo BitTorrent. Fino al suo declino nel 2004, Kazaa era il programma di file sharing più popolare. Nel 2002, una sentenza del tribunale distrettuale di Tokyo chiuse File Rogue, e la Recording Industry Association of America (RIAA) intentò una causa che bloccò l'Audiogalaxy.
Dal 2002 al 2003 sono stati istituiti numerosi servizi BitTorrent, tra cui Suprnova.org, isoHunt, TorrentSpy e The Pirate Bay. Nel 2002, la RIAA ha intentato causa contro gli utenti di Kazaa. A seguito di tali azioni legali, molte università hanno aggiunto regolamenti di condivisione dei file nei loro codici amministrativi scolastici (sebbene alcuni studenti siano riusciti a eluderli durante le ore scolastiche). Con l'arresto di eDonkey nel 2005, eMule è diventato il cliente dominante della rete eDonkey. Nel 2006, i raid della polizia hanno abbattuto il server Razorback2 ed eDonkey e temporaneamente hanno abbattuto The Pirate Bay.
Nel 2009 è stato lanciato "Il File Sharing Act": questo atto proibiva l'uso di applicazioni che permettevano alle persone di condividere informazioni federali l'una con l'altra. Sempre nel 2009, il processo Pirate Bay si è concluso con un verdetto di colpevolezza per i fondatori principali del tracker. La decisione è stata impugnata, portando a un secondo verdetto di colpevolezza nel novembre 2010. Nell'ottobre 2010, Limewire è stato costretto a chiudere in seguito ad un'ingiunzione del tribunale ma la rete gnutella rimane attiva attraverso clienti open source come Frostwire e gtk-gnutella. Inoltre, software di condivisione di file multiprotocollo come MLDonkey e Shareaza sono stati adattati per supportare tutti i principali protocolli di condivisione file, così gli utenti non hanno più dovuto installare e configurare più programmi di condivisione file.
Il 19 gennaio 2012, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha chiuso il popolare dominio di Megaupload (istituito nel 2005). Il sito di condivisione di file ha affermato di avere oltre 50.000.000 di persone al giorno. Kim Dotcom (ex Kim Schmitz) è stato arrestato con tre soci in Nuova Zelanda il 20 gennaio 2012 ed è in attesa di estradizione. Il caso che ha coinvolto la caduta del sito di condivisione di file più grande e popolare al mondo non è stato accolto favorevolmente: un gruppo di hacker Anonymous ha abbattuto diversi siti associati al sistema di rimozione. Nei giorni seguenti, altri siti di condivisione file iniziarono a cessare i servizi; Filesonic ha bloccato i download pubblici il 22 gennaio, con Fileserve che seguiva l'incarico il 23 gennaio.
Descrizione
Architetture e protocolli di rete
Allo scopo possono essere utilizzate varie architettura di rete, le principali sono quelle di tipo client-server o peer-to-peer, le seconde sono quelle maggiormente diffuse ed utilizzate.
Queste reti possono permettere di ricercare un file in particolare per mezzo di un URI (Universal Resource Identifier), di individuare più copie dello stesso file nella rete per mezzo di impronte (hash), di eseguire lo scaricamento da più fonti contemporaneamente, di riprendere lo scaricamento del file dopo un'interruzione. Non vanno confuse con reti che costituiscono un filesystem distribuito, come Freenet.
Programmi
Sono disponibili diversi programmi di file sharing su reti differenti. La disponibilità dipende parzialmente dal sistema operativo, da differenti reti di comunicazioni aventi differenti caratteristiche (per esempio download a sorgente multipla, differenti tipi di ordinamento, differenti limiti nella ricerca, eccetera).
Dinamica
Questi programmi di condivisione file possono portare sia vantaggi che svantaggi alla Privacy / Anonimato attraverso una centralizzazione o una decentralizzazione della rete su cui si basano. Com'è naturale, data la natura stessa di una rete di condivisione, non si è esenti da minacce malware et similia, seppur differenti a seconda dell'OS e della rete. Indipendentemente dal sistema in uso, il Firewall è uno strumento indispensabile per una navigazione privata, ma non priva di falle.
Se un navigatore di Internet crede di avere un guadagno grazie all'accumulo di file, cercherà di collegarsi con altri per condividere sempre più file. Questo può causare dei problemi quando il nodo collettore non è in grado di sostenere il traffico di dati. La decentralizzazione è un sistema per mitigare questo problema, specialmente nel caso in cui sia possibile assicurare che copie multiple di una canzone o di un programma popolare siano disponibili da risorse multiple (persino simultaneamente, mediante downloads multi source). Concetti come accaparramento (in inglese hoarding) sono emersi quando ci si è resi conto che non si riusciva a distribuire in rete ciò che si aveva caricato sul proprio computer. I sistemi Barter e ratio ridussero l'impatto dell'accaparramento. Grazie a questi sistemi le persone avrebbero condiviso solo ciò che loro si aspettavano di ottenere.
Nel sistema operativo Windows è possibile la creazione di directory personali, invisibili ai computer collegati in rete, semplicemente dandogli un nome che termina col simbolo $. Software di scansione di rete o sistemi operativi differenti come Linux sono in grado di reperire queste risorse collegandosi a nodi remoti. Windows, con il tasto destro del mouse, dal menu Proprietà/Condivisione, permette di rendere disponibile una cartella in lettura (o anche in modifica) ad un network di contatti, oppure a qualunque utente in rete.
Le reti decentralizzate, come Emule ed Edonkey, avevano due aspetti che hanno favorito la loro diffusione:
l'assenza di un server centrale nel quale erano presenti i file scaricati. In presenza di contenuti protetti da diritto d'autore, il sito poteva essere oscurato e la rete divenire inoperativa;
il fatto che la velocità del download cresce con il numero degli utenti connessi. Si tratta della differenza sostanziale fra una rete centralizzata e una distribuita.
Una rete centralizzata possiede una capacità finita che prima o dopo viene saturata, generando code e attese.
Rispetto a venti anni fa, le dimensioni dei file da scaricare sono sempre dell'ordine di alcuni megabyte, almeno per testi e musica MP3, cui si sono aggiunti i film. È invece sceso drasticamente il costo del gigabyte: abbiamo molta più banda e molta più memoria, a costi più bassi. Da queste considerazioni è facile calcolare che:
un server è capace di connettere molti più utenti, senza generare code;
in presenza di code, le reti sono più scalabili. Grazie al basso costo delle memorie e a collegamenti veloci fra server, i server possono essere ridondati, lasciando terabyte di memoria inutilizzati per gestire le situazioni di maggiore traffico. In presenza di code, il server principale crea in tempi brevi molti mirror dello stesso file occupando le aree di server secondari, cui può connettersi parte degli utenti in coda.
I PC hanno una potenza di calcolo sufficiente a configurarli come server, in commercio sono reperibili memoria di terabyte a poche centinaia di euro, e una connessione da 20 a 100 megabit. Sono tutte premesse per una moltiplicazione dei server disponibili. Negli ultimi tempi, stanno diffondendosi nuovamente i download di contenuti tramite reti centralizzate Internet Relay Chat, grazie a XDCC, un'estensione del protocollo DCC che permette lo scambio di file. Più utenti si collegano a un server centrale, attivando tanti download indipendenti.
Modelli più recenti
Napster è un servizio centralizzato, ed è stato uno dei primi e più popolari programmi di file sharing di massa. Napster consentiva la condivisione, gratuita, unicamente di file MP3. Tale condivisione fu successivamente abolita a causa degli attacchi legali condotti dalla RIAA e dalle major discografiche. Negli USA fu apertamente attaccato da alcuni artisti (particolarmente dal rapper Dr. Dre e dai membri della rock band Metallica) . Napster consentiva la ricerca di file MP3 condivisi da altri utenti collegati al sistema. Comprendeva un sistema tipo chat IRC e un sistema di messaggistica istantanea. I programmi successivi hanno seguito il suo esempio.
Successivamente apparve Gnutella, una rete decentralizzata. Questo servizio era completamente open-source e permetteva agli utenti ricerche verso qualsiasi tipo di file, non solo MP3. Questo servizio fu creato per evitare gli stessi rischi legali corsi da Napster. L'aspetto fondamentale che ha decretato il successo di questi programmi di condivisione, e che sta dietro la decentralizzazione, è dovuto al fatto che se anche una persona interrompe il collegamento non causa l'interruzione di tutti gli altri. Gnutella ha fatto tesoro delle difficoltà iniziali e grazie a questo il suo uso si è incrementato in modo esponenziale.
Con Napster e Gnutella si scontrano due modi diversi di condividere i file in rete. Gnutella è un servizio a protocollo aperto, decentralizzato e libero senza specifiche direttive, ma con una difficile scalabilità. Napster, è un servizio a protocollo centralizzato nonostante la sua velocità e i grossi investimenti, non è stato comunque in grado di convincere l'industria discografica della sua importanza. Molti sistemi di file-sharing hanno comunque scelto una via di mezzo tra i due estremi; esempio tipo è la rete eDonkey, la più utilizzata, nonché la kademlia anch'essa decentralizzata. Ma prima che sorgessero i problemi legali, le diverse comunità di internauti avevano già sviluppato con OpenNap una valida alternativa. Una versione reverse-engineered fu pubblicata come server open source. Questa rete continua a funzionare e, anche dopo il collasso di Napster, molti client utilizzano questo protocollo che sembra essere molto utile al server Napigator nello sforzo di centralizzare tutti i differenti server.
Lista di utility e client file sharing
FTP (File Transfer Protocol)
Kermit
Protocollo di condivisione file del sistema operativo
Network File System (NFS)
Samba or Server message block (SMB)
Appleshare
Server di condivisione file del sistema operativo
Windows 2000 Server
GNU/Linux
Novell
macOS Server
HTTP
Server
Apache HTTP Server
Microsoft Internet Information Services
User agent
Mozilla, IE, Konqueror, ecc.
User agent
Mozilla Suite
CuteFTP
IRC
Depot channels
Hotline
OpenNap protocol
Directory server
OpenNap Server
User agent
Napster
Gnapster
WinMX
Gnutella
BearShare
Gnucleus
LimeWire
FrostWire
Morpheus
Shareaza
XoloX
Bit Torrent (rete dinamica decentralizzata di utenti)
Azureus
BitComet
μTorrent
Freenet protocol
Espra
Audiogalaxy
iMesh
Iphant primo programma P2P multiprotocollo lato server
Direct Connect
NeoModus Direct Connect
DC++
BCDC++
CZDC++
FastTrack protocol
KaZaA
Grokster
OpenFT protocol
giFT
eDonkey protocol
eDonkey2000
eMule
mlDonkey
Overnet
RShare protocollo per rete anonima omonima
StealthNet
SoulSeek
Programmi di condivisione universale
DoubleTwist
SmartRM
Filenger file sharing privato che utilizza i protocolli POP3/SMTP
Categorie di client
Client centralizzati: OpenNap
Pregi: Maggior velocità nella ricerca e nel downloading.
Difetti: Più vulnerabile agli attacchi legali e DoS.
Client decentralizzati: Gnutella
Pregi: Di solito più affidabile, raramente si interrompe.
Difetti: Generalmente più lento di un sistema centralizzato.
Client decentralizzati Tracker-Based: BitTorrent
Pregi: Molto veloci grazie alla concentrazione di un singolo file sulle reti BitTorrent, viene utilizzato soprattutto per lo scambio di file di grosse dimensioni.
Difetti: ricerca non centralizzata, ricerca dei siti spesso chiusi o non funzionanti, non completamente anonimo.
Client multirete:
Pregi: permette la connessione a una o più reti, quasi sempre dal punto di vista client.
Difetti: spesso costringono a rapidi aggiornamenti del software.
Private File-Sharing Networks
Configurazione dei programmi
Le cause di un rallentamento e instabilità delle connessioni durante il file sharing possono principalmente dipendere da un basso credito, da limitazioni dell'Internet Service Provider o da un'errata configurazione del programma. I problemi di crediti possono dipendere dai file messi in condivisione (troppo pochi, tra i meno scaricati) e da restrizioni eccessive al caricamento in termini di banda massima e numero massimo di collegamenti ammessi.
Alcuni provider riducono la velocità della connessione quando viene rilevato l'uso programmi o protocolli P2P. Ciò avviene per motivi legali, per non collaborare ed essere accusati di favorire uno scambio illegale di file, e perché l'impegno per ore di molta banda risulterebbe penalizzante per gli altri utenti del servizio. A proposito, diversi client mettono a disposizione un'opzione di offuscamento del protocollo P2P.
Problemi di configurazioni possono verificarsi soprattutto nella sincronizzazione delle porte fra router ADSL e PC, risolvendosi con il port forwarding. Con tali accorgimenti è possibile velocizzare la condivisione e la diffusione di file propri o del materiale posto sotto licenza come le creative commons.
Riconnessione automatica
Windows permette di impostare una riconnessione automatica dopo pochi secondi ogni volta che cade la linea. Scegliendo questa opzione dalle proprietà della connessione di rete attiva, bisogna ricordarsi di disattivare l'indicatore della connessione.
La riconnessione è utile, in particolare, se si intende usare i programmi file-sharing anche quando non si è presenti davanti al computer, se la connessione è instabile per un cattivo segnale o perché l'Internet Service Provider penalizza con la disconnessione gli utenti dei programmi P2P. Occorre impostare le opzioni del programma P2P in modo che si connetta alle reti all'avvio della connessione Internet e mantenga la connessione attiva.
Stand by del monitor
I produttori di PC, notebook e molti dispositivi elettronici sono tenuti a rispettare normative internazionali per il risparmio energetico. Il monitor dopo alcuni minuti di attività si oscura e il computer entra in stand-by; i notebook entrano in stand-by anche quando lo schermo è inclinato rispetto alla tastiera di un'angolatura di poco inferiore ai 90°.
Entrando in stand-by, normalmente vengono interrotte tutte le connessioni attive. Se persistono, sono comunque limitate le funzionalità dei programmi aperti. Nei sistemi Windows, è possibile disabilitare lo stand-by e le opzioni di risparmio energetico, dal menu Pannello di controllo/Schermo.
Problemi della privacy
I concetti di tracciabilità e di classificabilità sono ormai una realtà quotidiana. Informazioni che identificano ogni persona sono legalmente associate a ciò che fanno al fine di verificarne l'identità; per esempio le carte di credito: queste devono essere associate con l'acquirente, altrimenti non si è in grado di inviare le corrette informazioni necessarie per effettuare gli acquisti. Questo concetto si è esteso grazie ad Internet a molti aspetti dei personal computer. Mentre i pubblicitari dichiarano che queste informazioni pubblicitarie sono distribuibili solo a chi è veramente interessato a riceverle, molti affermano che avviene esattamente il contrario.
Le reti di file sharing sono una risorsa di informazioni sulle preferenze degli utenti e le tendenze del mercato. Il problema della privacy era maggiore con le prime reti P2P non distribuite, come Napster, in cui tutti dovevano connettersi a un server centrale contenente i file. Chiaramente il server poteva conservare informazioni sugli indirizzi IP e sul materiale scambiato da un elevato numero di utenti. Concetti come decentralizzazione e credito sono stati utilizzati per giustificare l'occultamento dell'identità degli utenti.
Nel 2006 ha provocato animate reazioni il cosiddetto Caso Peppermint: l'etichetta discografica tedesca Peppermint Jam Records GmbH accusò più di 3.600 utenti di aver violato la legge, condividendo illegalmente file di cui la società deteneva il diritto d'autore. Peppermint, in pratica, sorvegliò i consumatori nel loro uso personale di internet con la complicità dei loro provider, e riuscì ad ottenere i dati relativi ai movimenti effettuati dagli utenti, all'oscuro di questi ultimi.
Un altro caso italiano d’esempio è il processo Fapav-Telecom esploso nel 2010: la Federazione anti-pirateria audiovisiva chiese al Tribunale Civile di Roma di imporre a Telecom Italia di individuare e denunciare gli utenti che scaricassero illegalmente film e musica da internet e di bloccare l’accesso ai siti collegati al peer-to-peer. Questa richiesta derivò dal fatto che la Fapav, in un’indagine condotta dal 2008 al 2010, aveva scoperto casi di scarico illegale: tenne sotto controllo i siti e le pagine web visitate dagli utenti, i loro acquisti online, e monitorò il traffico peer-to-peer, il tutto senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, violandone quindi la privacy.
Tecniche di tutela della privacy
Il desiderio di anonimato ha spinto alcuni client di file sharing a codificare i dati, a nascondere diverse funzionalità al fine di proteggere i propri utenti. Le misure possono essere: cifratura dell'ID utente nella rete P2P, offuscamento del protocollo, supporto a proxy server e Tor per nascondere l'indirizzo IP, supporto con crittografia SSL dell'intera connessione.
Per lo scambio della chiave di sessione (fase di handshake) i programmi non utilizzano le chiavi pubbliche e private delle certification authority, poiché renderebbero identificabile l'IP e la persona dell'utente. Per lo scambio, adottano chiavi pubbliche e private generate con altre fonti, come nei programmi OpenPGP o OpenSSL. Questi programmi gestiscono tutta la cifratura, sia il protocollo che la fase di avvio e generazione delle chiavi.
Le reti senza server come Gnutella offrono maggiori garanzie a tutela della privacy, non essendovi server spia che registrano gli IP degli utenti e dei file che cercano, e che spesso contengono delle fake.
Diritto d'autore
La condivisione di file anonima è cresciuta in popolarità e si è diffusa rapidamente grazie alle connessioni a Internet sempre più veloci e al formato, relativamente piccolo ma di alta qualità, dei file audio MP3. Il nuovo modello di condivisione peer to peer si è rivelato, però, destabilizzante per il sistema del copyright, proprio perché ha provocato una massiccia diffusione di materiale coperto da copyright, spingendo le major discografiche e mediali ad attacchi legali per tutelare i propri diritti. La condivisione di materiali coperti da copyright è ritenuta in genere illegale ma ha acceso diverse discussioni anche a causa delle diverse legislazioni in vigore nei vari paesi.
I problemi di fondo che gli ordinamenti giuridici hanno incontrato nel tentativo di regolamentare questo fenomeno si possono riassumere nelle seguenti quattro categorie:
Il conflitto con le libertà fondamentali: La libertà personale, che comprende anche l'attuazione del File Sharing, rientra nella sfera dei diritti fondamentali assoluti previsti dalle convenzioni internazionali e dalle carte costituzionali di tutti gli Stati democratici. Inoltre, l'articolo 27, comma I, della Dichiarazione universale dei diritti umani enuncia “Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici”, sancendo quindi il diritto dell'uomo ad avere accesso alle opere e a goderne, senza escludere alcun mezzo per il raggiungimento di tale scopo. In Italia, l'articolo 21 della Costituzione italiana sostiene la libertà di espressione e accesso alla cultura e all'informazione, mentre l'articolo 15 sancisce l'inviolabilità della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione tra privati. Questi diritti fondamentali, essendo in posizione preminente rispetto a tutti gli altri, possono essere limitati solo se vi è pericolo di violazione di diritti di pari rilevanza, tra i quali non possono essere annoverati i diritti d'autore.
La non percezione di illiceità: Lo scambio di file è oggi molto semplice da effettuare e molto vantaggioso economicamente. Insieme alle moderne tecnologie informatiche, che hanno portato gli individui a non potersi più privare di oggetti e servizi fino a poco tempo fa sconosciuti, ha rivoluzionato le consuete abitudini di vita e risulta essere in costante ampliamento, nonostante sia una pratica riconosciuta come illecita e quindi sanzionabile. Ciò succede perché, a causa della sua capillare diffusione, si registra nel tessuto sociale una mancata percezione dell'illiceità di questo comportamento.
L'inesistenza di sistemi centralizzati da colpire: Il modello peer-to-peer rende difficile sanzionare la violazione del diritto poiché la rete è composta da un'infinità di soggetti, difficilmente individuabili e con diverse gradazioni di responsabilità: la posizione dell'utente che si connette saltuariamente e scambia qualche file è diversa da quella di chi viola il diritto di autore condividendo e scambiando migliaia di file, criptando dati e rendendosi non immediatamente identificabile. Il fenomeno ebbe inizio con Napster, uno dei primi software di file-sharing presto bloccato dalla giustizia americana a causa della sua natura: non si trattava ancora di un vero e proprio peer to peer, in quanto gli utenti caricavano i file su una piattaforma comune alla quale si appoggiava il software. Per questo motivo le autorità giudiziarie non ebbero alcuna difficoltà nel trovare un capro espiatorio, ingiungendo ai responsabili del server di cessare la loro attività.
Difficoltà organizzative: I titolari dei diritti infatti trovano difficile organizzarsi spontaneamente per creare agli utenti che usufruiscono del file-sharing una licenza globale. Si trovano in una condizione definita come "dilemma del prigioniero": non riescono ad accordarsi per inventare una licenza globale e quindi rinunciano ai ricavi del mercato file sharing, oltre a porre gli utenti in una condizione subottimale.
La decentralizzazione è stata una risposta rapida agli attacchi delle major verso le reti centralizzate, al fine di evitare dispute legali ma anche utenti ostili. Questo implica che le reti decentralizzate non possono essere attaccate legalmente, in quanto non fanno riferimento ad un singolo individuo. Anche se il protocollo fondamentale di Internet TCP/IP era stato progettato per essere resistente ad attacchi concertati, i sistemi di file-sharing e di peer-to-peer hanno dimostrato una maggiore resistenza. Per tutto il 2001 e il 2002 tutta la comunità di file-sharing fu in agitazione a causa dell'azione di contrasto delle major discografiche e della RIAA. Il server di Napster fu chiuso con l'accusa di violazione del copyright, ma la comunità reagì unita e compatta, producendo nuovi e differenti client. Da quel momento in poi si sono diffusi programmi di file-sharing grazie ai quali gli utenti possono condividere file senza necessariamente interfacciarsi con una piattaforma centrale, il che ha reso difficile agli ordinamenti giuridici risalire ad un unico responsabile per regolamentare il fenomeno; di conseguenza anche le azioni legali delle major discografiche sono state inefficaci.
Ad esempio, la seconda generazione di protocolli P2P, come Freenet, non è dipendente da un server centrale, come nel caso di Napster. Inoltre, sono stati usati altri espedienti, come quello utilizzato dai gestori di KaZaA, consistente nel modificare la ragione sociale dell'azienda allo scopo di rendere impossibile o inutile qualsiasi attacco legale. Questa evoluzione ha prodotto una serie di client aventi una funzionalità ben definita che rendono la condivisione un fatto effettivo e definito in tutti i sensi consentendo l'upload e il download libero e immune da qualsiasi attacco legale, soprattutto grazie all'anonimato e alla decentralizzazione. Da un altro lato invece, una più diplomatica analisi della questione, ha visto nascere movimenti di protesta e di tutela degli utenti ben organizzato: strenuo baluardo nella battaglia ai brevetti musicali, il Partito Pirata Svedese.
In Italia il 28 maggio 2009 si è insediata presso il Ministero per i Beni e le Attività culturali, Direzione Generale per i beni librari, gli istituti culturali e il diritto d'autore, Servizio IV, la Commissione speciale, costituita dal Prof. Alberto Maria Gambino presidente del Comitato consultivo permanente per il diritto d'autore, che dovrà rideterminare i compensi spettanti ai titolari dei diritti, in vista dell'elaborazione del decreto relativo alla quota spettante ai titolari di diritti d'autore sugli apparecchi di registrazione, analogici e digitali. La Commissione ha il delicato compito di rivedere la norma transitoria costituita dall'art. 39 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 68 che aveva stabilito fino al 31 dicembre 2005, e comunque fino all'emanazione del nuovo decreto, il compenso per la riproduzione per uso privato, individuando le tipologie di supporti per i quali il compenso è dovuto. Successivamente il D.M. 30 dicembre 2009 del Ministro dei beni e delle attività culturali di rideterminazione del contributo per la copia privata ha previsto il prelievo di una somma forfettaria su ogni apparecchio di memoria venduto, commisurata all'estensione della memoria stessa, da attribuire alla Siae che poi la ripartirà tra i titolari dei diritti di privativa, con ciò consacrando una sorta di riparazione preventiva e presuntiva per l'eventualità che con tali dispositivi si copino opere coperte da privative.
La legge che disciplina la distribuzione di opere è la Legge 21 maggio 2004, n. 128, detta anche Decreto Urbani, che ha subito delle modificazioni nel 2005. Per quanto riguarda l'aspetto più prettamente penale, è in vigore la legge del 22 aprile 1941 n. 633 sulla protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, che all'articolo 171 comma I, a-bis, e al 171-ter, comma II, a-bis, sancisce delle sanzioni amministrative e, nei casi più gravi, anche penali, per la violazione del copyright in materia di File Sharing, con l'aggravante dello sfruttamento a fine di lucro.
Art. 171: “ [...]è punito con la multa da euro 51 a euro 2.065 chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma: a-bis) mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta, o parte di essa [...] ”
Art. 171-ter: “ [...] è prevista la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 2.582 a euro 15.493 per chiunque: a-bis) in violazione dell’art. 16, a fini di lucro, comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, o parte di essa [...] "
In Europa si tentò di regolare il file sharing tramite la direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, volta ad omogeneizzare il quadro sanzionatorio, disciplinava l’adeguamento del diritto d’autore europeo al TRIPS Agreement. La direttiva prevedeva le misure che gli stati dovevano adottare per proteggere il diritto d’autore e gli altri diritti di proprietà intellettuale. Durante il processo di elaborazione della direttiva furono previste sanzioni penali per chi faceva file sharing anche senza fine di lucro; tutto ciò portò una forte reazione da parte dell’opinione pubblica e per questo motivo la direttiva non entrò in vigore. Si riprovò con la proposta di Direttiva Europea sulle misure penali in merito all'applicazione dei diritti di proprietà intellettuale (COM/2006/0168 final), che prevedeva sanzioni penali per la violazione intenzionale su scala commerciale (si intende ogni violazione di un diritto di proprietà intellettuale effettuata per ottenere vantaggi commerciali, con esclusione degli atti effettuati dagli utenti privati per finalità personali e non lucrative ), applicabile quindi anche alle attività di file sharing di contenuti tutelati dal diritto d'autore. Ma anche questa proposta venne ritirata; il tema delle sanzioni penali in Europa è stato quindi superato.
Nell'estate del 2004 si è sviluppato in rete un movimento di pensiero col nome di ScambioEtico; nel suo proclama, si afferma che ScambioEtico è la condivisione senza scopo di lucro di opere protette da diritto d'autore, che si auto-limita evitando di condividere suddette opere a meno di 12 mesi di distanza dalla prima commercializzazione. Questo movimento nasce spontaneamente come mediazione del problema della criminalizzazione generalizzata del peer to peer, e si concretizza nel 2005 con la nascita del sito di TNT Village. Nello statuto del sito è riportato che lo scopo principale della comunità è di porre in evidenza l'arretratezza dell'attuale normativa sul diritto d'autore, la cui lunghezza risulta essere un freno alla cultura e alla diffusione della conoscenza.
Proposte di regolamentazione
Alcuni paesi europei hanno provato singolarmente a regolamentare il file sharing, tra tutti i casi si ricorda:
Francia: nel dicembre del 2005 il Parlamento francese ha approvato un emendamento che regolamentasse il file sharing senza scopo di lucro. L'emendamento stabilisce una sorta di canone mensile(di circa 6,5 euro), da corrispondere ai proprietari dei diritti d'autore attraverso la SACEM(corrispettivo della SIAE in Francia). Nel 2009 il governo Sarkozy ha proposto la Legge HADOPI, la quale prevedeva la disconnessione dal web alla terza ammonizione per aver scaricato materiale illecito dal web. La proposta non fu approvata in quanto sembrava scontrarsi con la costituzione.
Italia: si è provato nell'agosto del 2007 a far entrare in vigore la tecnica della licenza collettiva estesa, ma il tentativo fallì miseramente.
Svizzera: la Svizzera è l'unico Stato in cui è legale il file sharing, grazie all'articolo 19 che permette l'utilizzo e la condivisione di contenuti multimediali su sistemi che li mettono in contatto tra amici e conoscenti, senza scopi di lucro.
Successivamente sono state proposte nuove iniziative per regolamentare il file sharing. Da un punto di vista giuridico le attività coinvolte nel file sharing sono la riproduzione e la messa a disposizione del pubblico. In Europa la Direttiva 2001/29/CE ha disposto in materia di armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione. L’art. 2 della Direttiva prevede il diritto di riproduzione, mentre l’art. 3 prevede diritto di comunicazione di opere al pubblico. L’art. 5 prevede le eccezioni e limitazioni e, tra l’altro, stabilisce che "gli Stati membri hanno la facoltà di disporre eccezioni o limitazioni al diritto di riproduzione di cui all'articolo 2 per quanto riguarda: [...] le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali a condizione che i titolari dei diritti ricevano un equo compenso"; non viene però prevista alcuna eccezione all’art. 3 che riguarda il diritto dell’autore di comunicazione al pubblico.
Sulla stessa linea sono le Convenzioni internazionali:
La Convenzione di Berna prevede all’art. 9 per gli autori il diritto esclusivo di riproduzione, ma è riservata agli Stati dell’Unione di permettere una riproduzione che non rechi danno allo sfruttamento normale.
L'accordo TRIPs richiama la Convenzione di Berna dagli art. 1 a 21 e quindi anche qui c’è un’implicita apertura al diritto di riproduzione.
Per legittimare un’eccezione anche al diritto dell’autore di messa a disposizione sarebbe necessario modificare la direttiva 2001/29/CE e per questo fine si trovano alcuni argomenti validi nei vari trattati internazionali:
L'accordo TRIPs all’art. 9 richiama la convenzione di Berna agli art. 11 e 11 bis, i quali prevedono la possibilità di legiferare in ambito nazionale per stabilire delle eccezioni alle varie manifestazioni del diritto d’autore Articolo 11: “1) Gli autori di opere drammatiche, drammatico-musicali e musicali hanno il diritto esclusivo di autorizzare: 1° la rappresentazione e l'esecuzione pubbliche delle loro opere, comprese la rappresentazione e l'esecuzione pubbliche con qualsiasi mezzo o procedimento; 2° la trasmissione pubblica, con qualsiasi mezzo, della rappresentazione e dell'esecuzione delle loro opere. 2) Gli stessi diritti sono conferiti agli autori di opere drammatiche o drammatico-musicali per tutta la durata dei loro diritti sull'opera originale, per quanto concerne la traduzione delle loro opere.” Articolo 11-bis: “1) Gli autori di opere letterarie ed artistiche hanno il diritto esclusivo di autorizzare: 1° la radiodiffusione delle loro opere o la comunicazione al pubblico di esse mediante qualsiasi altro mezzo atto a diffondere senza filo segni, suoni od immagini; 2° ogni comunicazione al pubblico, con o senza filo, dell'opera radiodiffusa, quando tale comunicazione sia eseguita da un ente diverso da quello originario; 3° la comunicazione al pubblico, mediante altoparlante o qualsiasi altro analogo strumento trasmettitore di segni, suoni od immagini, dell'opera radiodiffusa. 2) Spetta alle legislazioni dei Paesi dell'Unione di determinare le condizioni per l'esercizio dei diritti previsti nel precedente alinea 1), ma tali condizioni avranno effetto strettamente limitato al Paese che le abbia stabilite. In nessun caso esse possono ledere il diritto morale dell'autore, né il diritto spettante all'autore stesso di ottenere un equo compenso, che, in mancanza di amichevole accordo, sarà fissato dall'autorità competente. 3) Salvo patto contrario, l'autorizzazione rilasciata in conformità dell'alinea 1) del presente articolo non implica quella di registrare, mediante strumenti riproduttori di suoni od immagini, l'opera radiodiffusa. È tuttavia riservata alle legislazioni dei Paesi dell'Unione la disciplina delle registrazioni effimere effettuate da un ente di radiodiffusione coi propri mezzi e per le sue emissioni. Dette legislazioni possono autorizzare la conservazione di siffatte registrazioni in archivi ufficiali, in considerazione del loro eccezionale carattere documentario.”
Il trattato dell'OMPI sul diritto d'autoreper adeguare il diritto d’autore alle nuove tecnologie: all’art. 8 richiama la Convenzione di Berna, mentre l’art. 10 prevede che gli Stati possano stabilire delle eccezioni appropriate al contesto delle reti digitali.
Non sussistono quindi ostacoli a livello internazionale ad una liberalizzazione del file sharing. Qualunque nuova soluzione venga adottata deve rispettare alcuni punti fermi, il Three Step Test, previsto sia dalla convenzione di Berna, che dall'accordo TRIPs:
l’eccezione deve riguardare solo casi speciali
l’eccezione non deve confliggere con il normale sfruttamento dell’opera; per evitare danni agli autori sarebbe opportuno prevedere un equo compenso agli stessi
non ci deve essere irragionevole pregiudizio del legittimo interesse dell’autore
Nel 2019 l’Unione Europea ha adottato la Direttiva sul diritto d'autore nel mercato unico digitale, o Direttiva 2019/790, con l'obiettivo di armonizzare il quadro normativo comunitario del diritto d'autore nell'ambito delle tecnologie digitali e in particolare di Internet. All'art.17 prevede che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online ottengano licenze per divulgare materiali tutelati dal copyright. Rimane fuori dalla previsione normativa la condivisione di file attraverso reti peer to peer.
Nel 2020 un’Iniziativa dei Cittadini Europei dal titolo "Libertà di condividere" è stata portata avanti dall’associazione GOIPE, costituita da cittadini europei residenti in 8 paesi dell’Unione. L’obiettivo dell’iniziativa è la richiesta di legalizzare il file sharing. L’ "iniziativa dei cittadini europei", ai sensi del Regolamento (EU) 211/2011 e del Regolamento (EU) 2019/788, permette di promuovere un’azione presso la Commissione europea, per l’adozione di nuovi atti normativi in specifiche materie.
Il 15 maggio 2020 la Commissione UE ha approvato la registrazione dell’iniziativa dei cittadini europei ECI "Libertà di condividere". I promotori, che hanno il sostegno di Wikimedia Italia e di Partiti pirata in differenti Stati, devono raccogliere un milione di firme tra i Paesi europei coinvolti nell’iniziativa. Nel caso in cui l’obiettivo venga realizzato nei , la Commissione l’UE deve organizzare un’audizione pubblica per prendere in considerazione la proposta e la richiesta di modifica della normativa attuale.
Note
Voci correlate
Autoriduttori
Peer to peer
TorrentFreak
Partito Pirata
BitTorrent
The Pirate Bay
KickassTorrents
Tribler
Emule
PeerBlock
USB dead drop
Seedbox
Library Genesis
Collegamenti esterni
Glasnost test per il traffic shaping su reti P2P (Max Planck Institute) |
1856 | https://it.wikipedia.org/wiki/Formignana | Formignana | Formignana (Furmgnàna in dialetto ferrarese) è una località di 2.680 abitanti del comune di Tresignana nella provincia di Ferrara, in Emilia-Romagna. Fino al 31 dicembre 2018 è stato comune autonomo, prima di fondersi, dal giorno successivo, con il comune di Tresigallo per dare vita al nuovo comune di Tresignana. Il comune di Formignana faceva parte dell'Unione Terre e Fiumi e confinava con i comuni di Copparo, Ferrara, Jolanda di Savoia e Tresigallo.
Storia
Si hanno notizie certe dell'esistenza di Formignana già da un documento di Papa Adriano II dell'870 con il quale riconosceva ai fratelli Firmignanus i possedimenti terrieri della Corte Forminiana, da cui presumibilmente deriva l'attuale nome del paese. La Corte, i cui confini risultavano essere molto più ampi rispetto a quanto sono oggi, fu spesso oggetto di diatribe fra la chiesa di Ferrara e quella di Ravenna fino al definitivo passaggio al ducato degli Este nel 1251.
Dall'Unità d'Italia sino al 1908 Formignana fece parte del comune di Copparo dal quale si staccò divenendo un comune autonomo assieme alla costituzione dei paesi di Ro, Berra e Jolanda di Savoia. Nel 1961 Tresigallo, fino ad allora frazione di Formignana, divenne un comune autonomo.
Simboli
Lo stemma comunale era stato concesso con regio decreto del 23 luglio 1937.
Monumenti e luoghi d'interesse
Architetture religiose
Chiesa di Santo Stefano Papa e Martire (XII-XIX secolo).
Architetture civili
Palazzina municipale.
Piazza Unità.
Teatro di Formignana e vecchia stazione radio.
Altri monumenti
Monumento ai soldati di Formignana che sono caduti durante la 1 guerra mondiale e la seconda guerra mondiale
Società
Evoluzione demografica
Amministrazione
Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune.
Note
Altri progetti
Collegamenti esterni
Comuni dell'Emilia-Romagna soppressi
Tresignana |
1857 | https://it.wikipedia.org/wiki/Free%20Software%20Foundation | Free Software Foundation | La Free Software Foundation (FSF) è un'organizzazione non a scopo di lucro, fondata da Richard Stallman il 4 ottobre 1985, che si occupa di eliminare le restrizioni sulla copia, redistribuzione, comprensione e modifica dei programmi per computer.
Storia
La Free Software Foundation è stata fondata il 4 ottobre 1985 da Richard Stallman, come organizzazione non-profit a sostegno dello sviluppo del software libero.
La FSF si concentra sugli aspetti legali e politici dei software liberi a supporto del Progetto GNU, avviato dallo stesso Stallman nel 1983. La FSF è inoltre lo “steward” di diversi software liberi, ovvero si occupa della loro pubblicazione e ha la possibilità di farne delle revisioni, qualora fosse necessario.
La FSF è intervenuta in difesa del software libero anche nella causa legale tra SCO e IBM, nella quale SCO Group accusava IBM di aver utilizzato per il sistema operativo GNU/Linux parti di codice di proprietà intellettuale di SCO. Con un comunicato del 25 giugno 2003, criticando duramente le dichiarazioni di SCO, la Free Software Foundation si è posta in difesa del software libero, invitando SCO a separare i disaccordi con IBM dalle proprie responsabilità nei confronti della comunità del software libero.
Il 5 novembre 2003 venne citata in giudizio anche la FSF che nei mesi seguenti si impegnò, oltre che nella difesa dalle accuse subite, anche nell'attenuare eventuali impatti negativi sul software libero che la causa poteva provocare. La causa, conclusasi nel marzo 2010 ha visto respinte tutte le richieste di SCO da parte della corte distrettuale dello stato dello Utah.
Il 19 novembre 2007 la Free Software Foundation ha pubblicato l'ultima versione ad oggi disponibile della licenza GPL: la GPLv3.
Descrizione
Scopo
La FSF nacque per fornirne una chiara Definizione di Software Libero e per sponsorizzare lo sviluppo di GNU, un sistema operativo unix-like composto esclusivamente da software che non intacchi le libertà degli utenti. La tutela del progetto GNU da potenziali "contaminazioni" proprietarie è prevenuta da una licenza copyleft redatta dall'organizzazione, la GNU General Public License.
Licenze GNU
La Free Software Foundation è l'autore della licenza GNU General Public License, comunemente indicata con l'acronimo GNU GPL o solamente GPL.
La GPL è una licenza ampiamente usata per progetti di software libero e può essere distribuita e copiata liberamente, ma non modificata. La FSF detiene il diritto d'autore della GPL, ma non dei software coperti da tale licenza. La FSF ha però l'autorità di far rispettare i requisiti della licenza, quando si verifica una violazione del copyright sul software che essa copre.
L'ultima versione della GNU General Public License è la GPLv3, pubblicata dalla FSF il 19 novembre 2007. La FSF ha pubblicato anche la GNU Lesser General Public License (LGPL), la GNU Free Documentation License (GFDL) e la GNU Affero General Public License (AGPL).
Altre attività della FSF
Il progetto GNU Lo scopo originale della FSF è la promozione degli ideali del software libero e lo sviluppo di un sistema operativo completamente libero, chiamato Sistema GNU.
GNU Press l'ufficio pubblicazioni della FSF, responsabile della "pubblicazione con licenze libere di libri di informatica a prezzi convenienti".
La Free Software Directory È una lista di pacchetti software certificati, ovvero che sono stati verificati essere software libero. Ogni pacchetto contiene 47 informazioni (homepage del progetto, sviluppatori, linguaggio di programmazione, ecc.). Gli obiettivi sono quelli di fornire un motore di ricerca per il software libero, e fornire un riferimento incrociato a disposizione degli utenti per verificare se un pacchetto è stato verificato come software libero. Per questo progetto la FSF ha ricevuto una piccola quantità di finanziamenti dall'UNESCO.
Il mantenimento della Free Software Definition FSF mantiene molti dei documenti che definiscono il movimento del software libero.
Hosting di progetti FSF ospita progetti di sviluppo software sul proprio sito web Savannah.
Campagne politiche FSF promuove una serie di campagne di sensibilizzazione contro quelli che considera come pericoli per la libertà del software. Le campagne della FSF tendono a mostrare le grandi opportunità che offrono l'adozione e lo sviluppo del software libero, e puntano ad aumentare la consapevolezza delle persone contro le minacce rivolte alle loro libertà, compresi i brevetti sul software, la gestione dei diritti digitali (che la FSF ha rinominato Digital Restrictions Management, per sottolineare che tali tecnologie hanno "lo scopo di togliere e limitare i tuoi diritti") e il copyright sulle interfaccia utente. Defective by Design è una campagna contro il Digital rights management(DRM). FSF promuove anche una campagna per sostenere Ogg + Vorbis, un'alternativa libera a formati proprietari come MP3 e AAC. BadVista è una campagna per opporsi all'adozione di Windows Vista e promuovere le alternative offerte dal software libero. Windows 7 sins è una campagna per opporsi all'adozione di Windows 7 e promuovere le alternative offerte dal software libero.
Premi annuali "Award for the Advancement of Free Software" (Premio per la promozione del Software Libero) e "Free Software Award for Projects of Social Benefit" "Premio software libero per progetti di utilità sociale".
Progetti ad alta priorità
La FSF ha stilato una lista di "progetti ad alta priorità" sulla quale la Fondazione dichiara che "c'è bisogno vitale dell'attenzione della comunità del software libero". La FSF ritiene che questi progetti siano "importanti perché gli utenti vengono continuamente sedotti all'uso di software proprietario, a causa della mancanza di adeguate alternative libere".
La lista dei principali progetti da sviluppare comprende Coreboot, il BIOS libero, un programma libero di telefonia VOIP simile a Skype come ad esempio Ekiga o QuteCom, un programma libero simile a Google Earth, implementazioni libere di Java: GNU Classpath e GNU Compiler per Java, che assicurano la compatibilità per la componente Java di OpenOffice.org e del desktop environment GNOME e Gnash, il flash player libero.
Un sistema operativo libero per smartphone
Tra i progetti ad alta priorità c'è anche lo sviluppo di Replicant, una distribuzione Android completamente libera, supportata dal FSF attraverso il suo fondo "Working Together for Free Software Fund". È stato il primo sistema operativo mobile a funzionare senza codice di sistema proprietario.
Distribuzioni libere GNU/Linux approvate
La Free Software Foundation raccomanda e sostiene alcune distribuzioni GNU/Linux completamente libere.
Distribuzioni GNU/Linux per PC
Le distribuzioni che seguono sono installabili sul disco rigido di un computer e/o possono essere eseguite in modalità "live":
Dragora GNU/Linux-Libre;
Dyne:bolic;
gNewSense;
Guix System;
Hyperbola GNU/Linux-libre;
Parabola GNU/Linux-libre;
PureOS;
Trisquel;
Ututo S;
Piccole distribuzioni GNU/Linux
Queste distribuzioni sono destinate a dispositivi con risorse limitate, come ad esempio un router wireless.
libreCMC;
ProteanOS;
Critiche
Il 2 maggio 2010, Ed Bott, autore di 25 libri su Microsoft Windows e Office, ha accusato la FSF di creare deliberatamente disinformazione nella loro campagna PlayOgg. In particolare Ed Bott faceva riferimento a ciò che la FSF aveva scritto sulla causa tra Microsoft e Alcatel-Lucent, riguardo al brevetto del formato MP3, ovvero che Microsoft era stata condannata a pagare 1,5 miliardi di dollari per aver violato il brevetto. Bott sosteneva che fosse una falsità in quanto il verdetto era stato annullato. In realtà il testo redatto dalla FSF in occasione della campagna PlayOgg era stato scritto prima dell'annullamento del verdetto.
Linus Torvalds ha criticato la FSF per aver utilizzato la GPLv3 come arma nella lotta contro il DRM, sostenendo che le due questioni vadano trattate distintamente.
Il 16 giugno 2010, il giornalista di Linux Magazine, Joe Brokmeier ha criticato alcune campagne della FSF, come ad esempio Defective by Design, etichettandole come “negative” e “immature” e accusando la FSF di non essere in grado di fornire agli utenti “alternative credibili” ai software proprietari.
Note
Voci correlate
Free Software Foundation Europe
Free Software Foundation Latin America
Free Software Foundation of India
Richard Stallman
Free Software Directory
Associazione per il software libero (Assoli)
Electronic Frontier Foundation
gNewSense – distribuzione GNU/Linux sponsorizzata da FSF che include al proprio interno solamente software libero
:Categoria:Progetti di software libero ad alta priorità secondo la FSF
Altri progetti
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1858 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fumetto | Fumetto | Il fumetto è un tipo di medium, solitamente cartaceo, con un proprio linguaggio formato da più codici, costituiti principalmente da immagini e testo, presente all'interno di nuvolette o in didascalie, che insieme generano la narrazione. Un testo pubblicato secondo tali modalità è detto anche giornaletto, albo, storia a fumetti o romanzo a fumetti.
Celebri autori di fumetti hanno proposto altre definizioni, come "letteratura disegnata" (Hugo Pratt) o "arte sequenziale" (Will Eisner). Il critico francese Claude Beylie ha definito il fumetto "la nona arte", riprendendo e ampliando la definizione delle "sette arti" di Ricciotto Canudo.
Il fumetto occupa una parte importante della letteratura per ragazzi, ma è lungi dall'essere limitato a tale ambito. In realtà il medium spazia tra tutti i generi letterari, ed è indirizzato tanto ai ragazzi quanto agli adulti. Tale mezzo di comunicazione è estremamente versatile e può essere usato, oltre che per scopi narrativi, come forma di saggistica, o anche per fornire istruzioni in maniera dettagliata ed esemplificativa, come per esempio una ricetta di cucina o un libretto d'istruzioni d'uso.
Il fumetto è stato oggetto di studi e ricerche; il volume Capire il fumetto. L'arte invisibile è un saggio realizzato interamente a fumetti da Scott McCloud, in cui lo definisce come «immagini e altre figure giustapposte in una deliberata sequenza, con lo scopo di comunicare informazioni e/o produrre una reazione estetica nel lettore».
Terminologia
Il termine "fumetto" si riferisce più precisamente alla "nuvoletta", simile a uno sbuffo di fumo, utilizzata, all'interno nelle immagini, per riportare il dialogo tra i personaggi. Nonostante il termine "fumetto" abbia dato il nome, in Italia, al mezzo di comunicazione stesso, in questo non solo le nuvolette sono deputate al contenimento del testo, ma vi possiamo trovare anche onomatopee, didascalie interne o esterne alla vignetta, solitamente denominata cartiglio. Nonostante il termine definisca in Italia il mezzo, nei primi anni in cui qui si diffuse - ad esempio sul Corriere dei Piccoli - esso non aveva affatto le nuvolette o fumetti, utilizzando per riportare il dialogo un cartiglio illustrativo in rima posto sotto la vignetta; le rime erano solitamente ottonari o novenari in rima baciata. Questo causò nelle tavole a fumetti importate dall'estero a volte pesanti reinterpretazioni spesso assolutamente non fedeli all'originale. Solo successivamente, nell'immediato dopoguerra, si incominciarono a pubblicare le storie con le nuvolette. Negli USA e nei paesi anglofoni i fumetti sono indicati come comics o comic books, mentre in Giappone vengono chiamati manga ("immagini in movimento"); in Francia si usa l'espressione bande dessinée ("striscia disegnata") e in lingua spagnola historieta o tebeo.
Storia
Antichità
Il fumetto si è diffuso nel corso del Novecento con origini nel secolo precedente, ma in diverse epoche più indietro nel tempo si trovano esempi legati alla necessità di dare rappresentazioni grafiche o di associare testi a immagini. Durante la preistoria le pitture rupestri sfruttavano delle immagini per raccontare resoconti di caccia e di vita quotidiana o raffigurare determinate idee e desideri. Nella necropoli di Saqqara in Egitto si trova la cappella funeraria dedicata all'architetto Ankhmahor, dove le raffigurazioni sono inframmezzate da iscrizioni che descrivono i soggetti raffigurati e riportano anche i dialoghi fra questi ultimi.
Le prime lingue si basavano su immagini disegnate, i cosiddetti pittogrammi, come i geroglifici. Questo perché l'immagine, contrariamente alla parola scritta mediante un alfabeto, conserva in sé un immediato carattere di iconicità che permette al fruitore di comprendere discorsi semplici nell'immediato, senza bisogno di un linguaggio complesso come può essere un linguaggio astratto sottoposto alle norme grammaticali. Essa tuttavia diventa oscura in un numerosi casi, quasi ogni qualvolta si implichi una comprensione di fatti complessi, non lineari o astratti.
Nell'antichità classica le decorazioni dei bottegai dell'Impero romano rappresentavano la merce accostandovi frasi di invito; la Colonna Traiana (113 d.C.) narra con una sequenza a spirale le fasi della conquista della Tracia; anche l'arazzo di Bayeux ritrae con una tecnica vicina al moderno fumetto la storia della conquista normanna dell'Inghilterra. Tipica del periodo medievale è poi l'illustrazione con funzione religiosa di scene sequenziali della vita di Gesù e del calvario. Nelle bibbie dei poveri — libretti di quaranta o cinquanta pagine — a immagini della storia sacra erano abbinati versetti biblici o didascalie in latino, mentre le vetrate delle cattedrali gotiche hanno rappresentazioni di santi e angeli dalla cui bocca escono parole in forma di nastri (un'idea forse ispirata dai filatteri ebraici). Altri due esempi antesignani del fumetto si trovano nella trecentesca Annunciazione tra i santi Ansano e Margherita di Simone Martini, in cui dalla bocca dell'angelo escono parole dorate, e nellAnnunciazione di Cortona del Beato Angelico. A questi si aggiunga l'Iscrizione di san Clemente e Sisinnio a Roma (XI secolo).
Epoca moderna
Stati Uniti d'America
Convenzionalmente si faceva risalire la nascita del fumetto all'ideazione del personaggio di Yellow Kid da parte di Richard Felton Outcault, che diede il via all'industria del fumetto statunitense come fenomeno di massa. Esso esordì sul New York World del 7 luglio 1895 ed era caratterizzato da un camicione giallo su cui venivano scritte le battute che pronunciava. Il personaggio è tanto famoso che dà nome a un importante premio italiano del fumetto. Ricerche successive fanno risalire la nascita del fumetto moderno a molto prima, per esempio ai personaggi del ginevrino Rodolphe Töpffer, autore di volumi a fumetti quali Histoire de Mr. Vieux-Bois (1827) e Dr. Festus (1829).
Le prime serie a fumetti vennero pubblicate su quotidiani su cui, giornalmente, erano presentate strisce orizzontali di tre o quattro vignette contenenti un episodio autoconclusivo o una parte di una storia a puntate e, settimanalmente (nello specifico nell'inserto domenicale), venivano allegate intere tavole (3, 4 o 5 strisce per un totale di 9, 12 o 16 vignette). Il mercato dei fumetti sindacati — così detti perché distribuiti dalle corporazioni sindacate, come la United Features Syndicate — si divise sostanzialmente in due filoni: quello delle comic strips, strisce di genere comico solitamente autoconclusive, e quello delle story strips, storie a trama di vario genere, solitamente a puntate. Molti fumetti ebbero una serializzazione giornaliera apparendo sei giorni la settimana con tre o quattro vignette al giorno, altri settimanale e solitamente a colori. Altri ancora furono pubblicati sia in striscia sia in tavola, anche se di solito, per esigenze creative e grafiche e per differenza di pubblico (chi comprava il giornale tutti i giorni spesso non lo comprava la domenica e viceversa), si cercava di mantenere due filoni narrativi differenti. Uno, quello delle strisce, era feriale e l'altro, quello delle tavole, era festivo. Si avevano così due storie parallele dello stesso personaggio, che si svolgevano una sei giorni la settimana e l'altra solo di domenica. Tra i primi e più citati, oltre a Outcault, vi sono Winsor McCay e Lyonel Feininger.
Fra le due guerre mondiali nacque il comic book, che acquisì subito un grande successo e sul quale apparvero storie a puntate di diversi personaggi. Alcuni dei più longevi personaggi nati in questo periodo, come Superman e Batman, sono comparsi per la prima volta su riviste contenitore come Action Comics e Detective Comics e non su albi singoli dedicati, editorialmente rischiosi. Mentre il fumetto sindacato, diffuso su licenza su vari quotidiani, mantenne grandi vendite arrivando facilmente ai milioni di copie vendute grazie alla diffusione e al prezzo dei giornali, il comic book affrontò problemi editoriali e sociali — era il periodo della "corruzione degli innocenti" e del "Comics Code Authority" — ma ne uscì costituendo, almeno in America, un mercato florido.
Europa
Dopo aver esordito su periodici dedicati come il Corriere dei Piccoli i fumetti crebbero notevolmente e si diffusero — specie dopo la disfatta di Caporetto — nelle trincee, attraverso la massiccia pubblicazione di giornali rivolti ai soldati. Oltre al Corriere, nacquero altre riviste contenitore che proposero materiale americano tradotto approssimativamente eliminando le nuvolette in favore di didascalie in rima, ritenute più adatte ai bambini. Negli anni trenta vennero pubblicate anche opere di autori italiani come Kit Carson di Rino Albertarelli, pioniere del genere western, Dick Fulmine o le imprese fantascientifiche di Saturno contro la Terra. Nel secondo dopoguerra comparvero gli albi a strisce e poi gli albi odierni, nel formato Bonelli per il genere avventuroso o tascabile per il genere giallo/nero, generando una delle più fervide e interessanti letterature fumettistiche del Novecento, con personaggi entrati nell'immaginario collettivo come Tex, Zagor, Diabolik.
In Francia e in Belgio, ma anche in Giappone, il fumetto è concepito più alla stregua di romanzo a puntate e le uscite, solitamente irregolari, di un albo di una serie sono concepite come nuovi romanzi di un ciclo avente gli stessi protagonisti, piuttosto che come un'abitudine ricorrente. Questi formati, inoltre, determinano grandi vendite anche grazie alla grande quantità di pubblico medio, che in Italia non legge fumetti o perché li ritiene di poco valore artistico o perché non legge in generale.
Sviluppi moderni
Dagli anni ottanta in poi, e specialmente negli ultimi due decenni, il mercato si è aperto a un nuovo genere stilistico, quello dei graphic novel, ossia romanzi a fumetti autoconclusivi e non legati a una serie, o comunque concepiti come episodici e non seriali.
Dagli anni duemila e soprattutto dagli anni 2010, con lo sviluppo di Internet, il mercato ha registrato una notevole diminuzione delle vendite, probabilmente perché in questo periodo sono nati i webcomic, caratterizzati da un contatto più diretto tra autore e pubblico in quanto sono autoprodotti senza nessun intermediario. Grazie ad essi, tuttavia, alcuni autori di livello amatoriale riescono a diventare abbastanza famosi da passare al cartaceo, come nel caso di One-Punch Man. In Corea del Sud è stato fondato un sito web specializzato nella pubblicazione di fumetti online chiamato Webtoon che, da distributore di nicchia, con il successo di alcune pubblicazioni come Noblesse e Tower of God è riuscito a sfondare a livello internazionale. Pubblicando fumetti soprattutto in lingua inglese e realizzati da autori provenienti da tutto il mondo è diventato, di fatto, uno dei maggiori distributori mondiali di fumetti. Secondo i dati forniti al Chicago Comics & Entertainment Expo il fumetto di supereroi più letto negli Stati Uniti è unOrdinary, distribuito proprio sulla piattaforma online di Webtoon.
Realizzazione
Il primo passo è creare la storia, una trama che leghi i disegni presenti nelle pagine. Nella stesura della sceneggiatura si descrivono in modo particolareggiato le vignette, scegliendo il tipo di inquadratura, la grandezza e ogni dettaglio che risulti fondamentale alla narrazione.
Terminata la parte scritta si deve passare alla organizzazione delle pagine. Si procede abbozzando su un foglio le nostre pagine. All'interno si disegnano a grandi linee le vignette e il loro contenuto. Una volta che lo schizzo della pagina ci soddisfa (questo può richiedere numerosi tentativi) si ingrandisce la bozza, a mano o con un fotocopiatore e si disegnano tutti i particolari. L'ultimo passo da compiere è l'inchiostrazione e, eventualmente, la colorazione. Se si vuole si possono aggiungere delle ombre e/o degli altri particolari.
La realizzazione di un fumetto comprende diversi passaggi, che partono dall'idea fino ad arrivare alla stampa:
soggetto, la trama sintetizzata della storia. Formalmente identico a quello usato per qualsiasi mezzo narrativo, dal romanzo al cinema;
sceneggiatura, la descrizione dettagliata di tutta la storia. La sceneggiatura comprende la descrizione di luogo e tempo dell'azione, dell'azione stessa, dei dialoghi, delle didascalie e delle onomatopee. Sovente include indicazioni sulle inquadrature e sul numero di vignette in cui suddividere la tavola. Ogni sceneggiatore usa indicazioni e metodi di scrittura diversi;
documentazione, tutto il materiale, sia visivo che testuale, necessario alla realizzazione dell'opera. Vengono spesso usati riferimenti fotografici, nel caso di fumetti con ambientazioni realistiche, documenti storici, iconografici, ecc.;
studi, tutti i disegni preparatori, che comprendono la visualizzazione di ambienti e personaggi. Particolarmente importanti quelli relativi ai Personaggi Principali, che devono essere perfettamente definiti, per risultare riconoscibili da vignetta a vignetta. Fondamentali gli studi di costumi e ambientazione nel caso di fumetti storici.
storyboard, la prima visualizzazione della storia. Ogni tavola viene disegnata, vignetta per vignetta, in maniera approssimativa, per scegliere le migliori inquadrature e valutare l'ingombro visivo del testo (nuvolette, didascalie, onomatopee). In questa fase vi possono essere modifiche anche sostanziali alla sceneggiatura, come cambi di inquadratura, accorpamenti di sequenze o scomposizione di vignette;
matite, si procede quindi ad un ulteriore definizione. Lavorando su un formato uguale o più grande di quello di stampa, la tavola viene disegnata in ogni dettaglio;
inchiostrazione, le matite vengono ripassate a china. Gli strumenti più usati sono il pennello di martora, pennini, pennarelli. La quantità di neri pieni, e lo spessore del tratto varia molto, in base allo stile di disegno;
colorazione, al disegno in bianco e nero vengono aggiunti i colori. Quasi tutti i fumetti oggi vengono colorati con l'uso di software. Gli strumenti più usati oltre al computer sono acquerelli ed ecoline;
lettering i testi vengono apposti nelle nuvolette e nelle didascalie in buona grafìa, operazione eseguita a mano fino alla fine del secolo scorso, oggi il lettering è realizzato al computer, tranne in alcuni casi particolari;
A queste fasi si aggiungono tutte quelle relative alla produzione di una rivista o di un libro: la correzione delle bozze, l'impaginazione grafica, la produzione di testata e copertina. Il tutto coordinato da un supervisore, che può essere un curatore editoriale (supervisore del progetto), o l'editore stesso.
Le diverse fasi della produzione possono essere svolte dalla stessa persona o da diverse figure che collaborano alla realizzazione del prodotto finito. Nelle grandi case editrici che producono periodici (riviste o albi di serie) a cadenza fissa, il processo è suddiviso piuttosto rigidamente in diverse figure professionali. La suddivisione più comune è quella tra sceneggiatore (soggetto, sceneggiatura), disegnatore (storyboard, matite), inchiostratore (chine), colorista (colorazione) e letterista (lettering).
Al di fuori delle logiche produttive vincolate a scadenze fisse e grandi apparati redazionali, tutti i ruoli possono essere suddivisi più liberamente, e spesso i diversi gradi di definizione di sceneggiatura e storyboard variano molto, in base al tipo di rapporto che esiste tra sceneggiatore e disegnatore e la loro possibilità di comunicare direttamente.
Nel caso che tutto il lavoro sia compiuto da una sola persona, detto solitamente autore, alcune fasi possono essere abbreviate o saltate completamente. Nel caso delle autoproduzioni non è raro che l'autore si occupi di ogni fase, compresa la distribuzione e la vendita.
Fumettisti
Il fumettista è l'ideatore/disegnatore di storie a fumetti. Il termine cartoonist divenne di pubblico dominio dopo l'intervento dello sceneggiatore Carlo Chendi, curatore della Mostra Internazionale dei Cartoonists di Rapallo - con il quale si indica un generico lavoratore nel campo del fumetto.
Il termine "fumettaro" è un neologismo con il quale si indica sia l'autore di fumetti che il lettore appassionato al genere. L'editore e autore di fumetti Sergio Bonelli, riferendosi al padre Gianluigi, lo definiva fumettaro.
L'incertezza nella nomenclatura implica lo storico disinteresse da parte dei grandi mezzi di comunicazione, che non hanno mai avuto alcun interesse ad elevare la cultura dei consumatori di carta. Un termine largamente usato in passato, ora invece specializzatosi per indicare "disegnatore di vignette satiriche, solitamente per quotidiani, spesso di tema politico", è vignettista.
Fiere
Il successo del medium ha portato alla nascita di fiere in cui gli appassionati si riuniscono per incontrare fumettisti, esperti e venditori. In genere è un evento che dura qualche giorno, ospitato in centro congressi o altro. In alcune di esse si incominciarono ad assegnare premi, come ad esempio lo Eisner Awards alla San Diego Comic-Con International dal 1988 o anche lo Yellow Kid assegnato dal Salone Internazionale dei Comics.
Note
Bibliografia
Roberto Bianchi, La mobilitazione del fumetto, 1914-1918, in La società italiana e la Grande Guerra, a cura di Giovanna Procacci e Corrado Scibilia, Milano, Unicopli, 2017, pp. 281–299, ISBN 978-88-400-1966-6.
Massimo Bonura, Il fumetto come Arte e altri saggi, pref. di A. Fici, postf. di A. Arena, con un contributo di F. F. Montalbano e un fumetto futurista di C. S. Gnoffo, Palermo, Edizioni Ex Libris, 2018.
Ediz. it.
David Hajdu, Maledetti fumetti! Come la grande paura per i «giornaletti» cambiò la società, Tunué, 2010, ISBN 978-8889613887
Marco Milone, Fumetti, Unicopli, 2005, ISBN 8840010963.
Marco Pellitteri, Sense of Comics. La grafica dei cinque sensi nel fumetto, Castelvecchi, 1998, ISBN 8882100898.
Voci correlate
Fumetteria
Fumetti gialli
Fumetti western
Fumetto alternativo
Glossario dei fumetti
Ideofono
Manga
Manhua
Manhwa
Storia del fumetto
Supereroe
Altri progetti
Collegamenti esterni
Nuvole parlanti: voci e storie dei fumetti Puntata della trasmissione La storia siamo noi - RAI Educational |
1860 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fanano | Fanano | Fanano (Fanân in dialetto frignanese) è un comune italiano di abitanti della provincia di Modena in Emilia-Romagna, situato a sud del capoluogo. È il comune più vasto dell'Alto Frignano e gran parte del suo territorio è inserito all'interno del parco regionale dell'Alto Appennino Modenese. L'altitudine del suo territorio varia dai 600 ai 2165 m s.l.m. Fa parte dell'Unione dei comuni del Frignano, che ha il proprio capoluogo a Pavullo nel Frignano.
Storia
Situato nel territorio dei Liguri Friniates e con attestazioni di frequentazione da parte di genti etrusche, il toponimo viene fatto risalire ad una deformazione di Fannianus, possibile prediale di un Fannius, attestato da una stele funeraria modenese di età romana.
Il nome di Fanano è documentato dall'VIII secolo. In epoca longobarda, all'inizio del VII secolo, San Colombano avrebbe fondato un monastero, in seguito divenuto benedettino per opera di Sant'Anselmo di Nonantola. Nel centro del paese una chiesa è tuttora dedicata al Santo irlandese.
Nel territorio di Fanano già durante il tardo Medioevo vi furono molte famiglie contrapposte in due diverse fazioni. Alcune di esse furono gli Ottonelli, i Rinaldi, i Magnanini, i Fogliani, i Fuoli, i Ciardi di Lotta, i Corsini di Fellicarolo, i Lardi di Ferrara, i Ballocchi della Valle di Ospitale, i Neruzzi, i Sabbatini, ed altre fino all'anno 1532, quando il duca di Ferrara fece abbattere il castello della cittadina a causa dei continui disordini.
Nel XIII secolo venne fondato un convento di Francescani, mentre tra la fine del XVI e gli inizi del XVII vennero eretti il monastero di clausura della Santissima Annunziata per le suore Clarisse ed il convento dei Padri Scolopi con relativa scuola per volere del capitano Ottonello Ottonelli.
Agli inizi del XVIII secolo don Giovanni Battista Lolli eresse in Ospitale, poi trasferito a Fanano, un monastero di Cappuccine. Alla fine del Settecento venne soppresso il convento dei francescani e i frati si trasferirono in quello di Fiumalbo. Oggi è ancora esistente e funzionante il monastero di clausura della Santissima Annunziata, mentre quello delle cappuccine è confluito nelle Suore Francescane Missionarie di Cristo.
La fontana e l'acquedotto
Di notevole importanza sono la fontana principale del paese e l'acquedotto costruito in concomitanza con essa. La prima, situata in piazza Corsini nel centro storico del paese, venne costruita nell'arco di un anno circa, dal 1912 al 1913, su progetto di Lapo Farinati degli Uberti, un giovane proveniente dal vicino comune di Cutigliano. L'acquedotto, che doveva sostituire il vecchio sistema ormai insufficiente a fornire acqua a tutti gli abitanti, fu progettato dallo stesso architetto che progettò la fontana. Le sorgenti che forniscono l'acqua al sistema si trovano in località Rovina Rasa (Fellicarolo) e furono donate dal dottor Camillo Monari. Tutti i progetti sono conservati nell'Archivio Comunale di Fanano.
Storia economica
Il borgo di Fanano è posto alla confluenza delle antiche strade che conducono alle frazioni. Tra queste Trentino, Trignano e Serrazzone vivevano anticamente dell'economia della media montagna, essenzialmente agricola; Ospitale, Canevare e Fellicarolo vivevano della tipica economia della castagna e della pastorizia. La castagna essiccata e macinata nei mulini posti lungo il Leo e il Fellicarolo costituiva l'alimento essenziale della popolazione, che integrava la dieta con prodotti della pastorizia, che tuttavia erano in gran parte venduti per il denaro liquido necessario agli acquisti di generi che non erano prodotti sul luogo, come strumenti di ferro e cotone per i telai familiari. Ha studiato l'economia della castagna sussistente ancora, nella valle di Ospitale, nel 1950, uno storico dell'economia agraria, Antonio Saltini, che ha misurato, sugli antichi catasti, la superficie coperta dai castagneti, quella a seminativo, quella a pascolo, quella a bosco, ricavando le quantità di castagne, di frumento, di fieno, di formaggi, il numero degli agnelli e dei vitelli di cui la popolazione disponeva ogni anno, la superficie a ceduo ogni anno sottoposta a taglio e la quantità di carbone ricavata, ricostruendo la dieta e gli scambi di derrate che la valle effettuava con il mercato.
Geografia antropica
Frazioni
Trentino è la frazione più popolata, con più di 500 abitanti. Altre tre frazioni, che sono Ospitale, Fellicarolo e Canevare sono situate su tre valli parallele e le prime due danno il nome a due torrenti che confluiscono a formare il Leo. La frazione più vicina al centro del paese è Lotta, situata a 1,5 km circa dal centro storico. Infine Trignano e Serrazzone si situano lungo il percorso per arrivare al lago Pratignano.
Società
Evoluzione demografica
Etnie e minoranze straniere
Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre 2010 la popolazione straniera residente era di 357 persone. Le nazionalità maggiormente rappresentate in base alla loro percentuale sul totale della popolazione residente erano:
Romania 130 4,17%
Marocco 50 1,60%
India 41 1,31%
Polonia 33 1,06%.
Infrastrutture e trasporti
Fanano è collegata ad ovest con Sestola e ad est con l'Appennino bolognese tramite l'ex strada statale 324 del Passo delle Radici. La Pianura Padana è invece raggiungibile grazie alla strada provinciale 4 Fondovalle Panaro, che conduce a Vignola.
Amministrazione
Gemellaggi
Nella cultura di massa
Fanano è stato utilizzato come set cinematografico in tre film: nel 1983, al Lago Scaffaiolo, è stato girato Una gita scolastica di Pupi Avati; Tutto quello che vuoi di Francesco Bruni, uscito nel 2015, ha alcune scene girate a Ospitale e comparse di Fanano; nel 2018 Zen sul ghiaccio sottile di Margherita Ferri.
Manifestazioni ricorrenti
'Ste Sroden
Si tiene verso la metà di ottobre e il nome vuole dire "quest'Autunno" in dialetto locale. L'evento principale che caratterizza questa manifestazione è l'allestimento della piazza principale, piazza Corsini, con colori e prodotti autunnali e bancarelle per la vendita di cibi e bevande locali.
Venerdì Santo
La Triennale del Venerdì Santo è una manifestazione religiosa che si tiene ogni tre anni per le vie del centro del paese. Tramite decorazioni, cordoni e statue di bosso autoctono Buxus sempervirens vengono ricreate le tappe della Via Crucis. La manifestazione è organizzata dalle confraternite locali e dai membri del clero del paese.
Festa del Mirtillo
È una manifestazione che si tiene ogni anno ad agosto che celebra uno dei prodotti tipici di Fanano, il mirtillo nero dell'Appennino Vaccinium myrtillus. Durante il corso di alcune giornate, produttori locali e non espongono e vendono prodotti principalmente a base di mirtillo per le strade del paese.
Presepe Vivente
Ogni due anni,nel periodo che va da Natale all'Epifania, il paese viene decorato in stile tardo ottocentesco,con capanne, essiccatoi e strutture tipiche montane del XIX secolo e,nelle giornate del 25 dicembre e del 6 gennaio viene rappresentato l'arrivo dei Magi a Betlemme, evento chiave della festività natalizia Cristiana.
Monumenti e luoghi d'interesse
Architetture religiose
Chiesa di San Giuseppe, costruita nel 1619 da Ottonello Ottonelli assieme all’attiguo convento dei Padri Scolopi (attuale palazzo municipale) è considerata una delle chiese secentesche più belle, ricche ed armoniose di tutto l’Appennino. La chiesa è a un’unica navata con sei cappelle laterali ed ampio presbiterio sopraelevato, limitato da un bell’arco sostenuto da eleganti colonne scanalate. I sette altari sono dotati di sontuose ancone secentesche in legno intagliato e dorato, in gran parte opera dei fananesi Giovanni e Giuseppe Gherardini. Fra le undici tele conservate nella chiesa vanno segnalate in particolare: la pala dell’altare maggiore (“Ritrovamento di Gesù al Tempio”), iniziata da Giulio Secchiari nel 1623 e terminata da Pellegrino da Fanano nel 1644, e quindi, nelle cappelle laterali, il “ Martirio di Santa Caterina d’Alessandria” di scuola guercinesca, il “San Giuseppe Calasanzio presenta alla Madonna gli scolari delle Scuole Pie”, di Girolamo Vanulli (1749) e, soprattutto, l’elegantissima, luminosa “Madonna della Ghiara”, di Lodovico Lana.
Chiesa di San Silvestro Papa. Il tempio, eretto molto probabilmente alla fine del XII secolo sopra i resti della chiesa abbaziale che Sant’Anselmo aveva fondato nel 749, era considerato uno dei più significativi esempi di architettura tardo-romanica dell'Appennino. La sua struttura, che riprendeva quella basilicale del duomo di Modena, con tre navate, cripta e presbiterio sopraelevato, fu poi modificata nel 1612 con l’inversione della pianta e con l’aggiunta del transetto e della cupola. L’aspetto originario è riconoscibile soprattutto nella navata centrale e, in particolare, nelle possenti colonne sormontate da notevoli capitelli di scuola campionesse (o antelamica): nel terzo a destra, uno dei più ricchi, si legge 1206 In conversione Sancti Pauli (cioè 25 gennaio 1206, probabile data di consacrazione della chiesa), mentre sul quarto un pittore modenese del ‘300 ha affrescato una delicata “Madonna con Bambino”. Lungo le navate laterali e nel transetto si aprono tredici cappelle, edificate nei secoli XVI e XVII: tutte incorniciate da eleganti archi in pietra arenaria, sono opera di scalpellini locali e toscani (come la prima, con il Battistero, di Giovanni Battista da Firenze, del 1534).
Chiesa di San Giacomo Maggiore Apostolo, nella frazione di Ospitale
Architetture civili
Borgo delle Caselle. Questo borgo, situato oltre il ponte dell'acquedotto situato verso Ospitale, subì un movimento franoso nel 1953 che costrinse gli abitanti a abbandonare le case; ora costituisce un punto d'interesse, avendo preservato in parte strutture risalenti all'epoca.
Luoghi d'interesse naturalistico
Lago Scaffaiolo. Il lago è uno specchio d'acqua di circa 0,05 km² di superficie che si trova nel comune di Fanano, poco dopo il Passo della Croce Arcana. La sua origine è peculiare rispetto ad altri laghi della zona dell'Emilia-romagna, poiché non è glaciale ma dovuta a una frattura della tettonica del crinale.
Lago Pratignano. Rappresenta un punto di interesse naturalistico perché è l'unico esempio di torbiera nel nord'Italia ed è l'habitat naturale della Drosera rotundifolia, una pianta carnivora.
Passo della Croce Arcana, è un valico alpino posto a 1669 m s.l.m., al confine tra il comune di Fanano, nel territorio della frazione di Ospitale, e il comune di Cutigliano.
Sport
La squadra più importante e rappresentativa del paese è Fanano Miners: formazione della Italian Hockey League - Division I. Infatti nel 1986 fu costruito uno stadio del ghiaccio, che ospita atleti professionisti e dilettanti impegnati nelle varie competizioni.
Note
Bibliografia
P. Foschi, Il culto di San Colombano fra Bologna e Modena, in Atti e Memoria della Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna, 60, 2009, pp. 95–162
Eleonora Destefanis Il Monastero Di Bobbio in Eta Altomedievale – Hardcover, All'insegna del giglio, ISBN 88-7814-207-7 (88-7814-207-7)
Valeria Polonio Felloni Il monastero di San Colombano di Bobbio dalla fondazione all'epoca carolingia, Genova 1962, pp. 136 (Fonti e studi di storia ecclesiastica, II)
Valeria Polonio Felloni Il monachesimo nel Medioevo italico, in G. M. Cantarella – V. Polonio – R. Rusconi, Chiesa, chiese, movimenti religiosi, Roma-Bari 2001 (Manuali Laterza 149), pp. 81–187.
Valeria Polonio Felloni Colombano europeo?, in San Colombano e l'Europa, a cura di L. Valle – P. Pulina, Como – Pavia 2001 (Ibis, Minimalia), pp. 137 – 148.
R. Zanussi San Colombano d'Irlanda Abate d'Europa – Ed. Pontegobbo
Archivum Bobiense Rivista annuale degli Archivi storici Bobiensi (1979-2008). Bobbio
Francesco Prandini "La fontana di Fanano" , Edizioni Artestampa, 2016
Pedrocchi Niccolò Storia di Fanano,1927 (Ristampa anastatica,1988)
Rossi Ercolani Raimondo San Giuseppe di Fanano, la "chiesa dei Padri"- Livorno,2013
Voci correlate
Unione dei comuni del Frignano
Lago Scaffaiolo
Valle di Ospitale
Trionfo (gioco di carte)
Italo Bortolotti
Altri progetti
Collegamenti esterni |
1861 | https://it.wikipedia.org/wiki/Funzione | Funzione | Funzione – in matematica, corrispondenza che associa ad ogni elemento di un primo insieme uno e un solo elemento di un secondo insieme
Funzione – in ingegneria, proprietà necessaria al raggiungimento di un obiettivo all'interno di un sistema o di un procedimento
Funzione – in informatica, porzione di programma destinato ad una determinata elaborazione
Funzione – in diritto, attività svolta da un soggetto non nel proprio interesse ma in quello altrui
Funzione – in linguistica, ruolo di un elemento all'interno del sistema lingua
Altro
Funzione amministrativa
Funzione nomofilattica
Funzione pubblica
Funzione religiosa
Funzione sociale
Funzione aziendale
Pagine correlate
Funzionalismo
Altri progetti |
1862 | https://it.wikipedia.org/wiki/Funzione%20%28matematica%29 | Funzione (matematica) | In matematica, una funzione è una relazione tra due insiemi, chiamati dominio e codominio della funzione, che associa a ogni elemento del dominio uno e un solo elemento del codominio.
Se il dominio e il codominio della funzione sono rispettivamente indicati con e , la relazione si indica con e l’elemento che associa a si indica con (si pronuncia "effe di x").
Descrizione
La parola "funzione" non si riferisce alla sola associazione di elementi, ma alla terna: associazione di elementi, dominio e codominio. Specificare un'associazione non definisce una funzione: occorre specificare anche dominio e codominio. Infatti, due funzioni che hanno una "stessa" associazione di elementi ma diverso dominio o diverso codominio sono funzioni diverse. Per esempio, la funzione che associa a ogni numero naturale il suo quadrato () è diversa dalla funzione che associa a un numero intero il quadrato di quel numero (); infatti la prima è iniettiva la seconda no. In molti casi, quando il dominio e il codominio sono chiari dal contesto, una funzione viene espressa indicando solamente la relazione e sottintendendo dominio e codominio.
Si dice che è l'argomento della funzione, oppure un valore della variabile indipendente, mentre è un valore della variabile dipendente della funzione.
Sinonimi del termine "funzione" sono applicazione e mappa. Il termine trasformazione viene utilizzato spesso in ambito geometrico per indicare una funzione invertibile e che conserva le proprietà geometriche di , mentre operatore è talvolta utilizzato nella trattazione di funzioni lineari tra spazi vettoriali.
Le funzioni hanno un ruolo molto importante in tutte le scienze esatte. Il concetto di dipendenza funzionale tra due grandezze sostituisce infatti, all'interno delle teorie fisiche e matematiche, quello di causa-effetto, che, al contrario del precedente, non riguarda enti teorici ma direttamente gli elementi della realtà concreta. Se si afferma, ad esempio, che la pressione di una certa quantità di gas perfetto è funzione della sua temperatura e del suo volume si sta facendo un'affermazione interna a un modello termodinamico, mentre il rapporto di causa-effetto che viene individuato fra le tre grandezze dipende in modo sostanziale dalle possibilità di intervento concreto su di esse. Rimanendo a questo esempio, il valore della pressione viene visto più spesso come conseguenza del valore degli altri due parametri, poiché è generalmente molto più facile intervenire sul volume e sulla temperatura che direttamente sulla pressione.
Esempi
Gli esempi più semplici di funzione sono quelli per cui sia il dominio che il codominio sono insiemi numerici. Per esempio, se a ogni numero naturale si associa il doppio di tale numero, si ha una funzione, il cui dominio è l'insieme dei numeri naturali e il cui codominio è l'insieme dei numeri naturali pari.
Tuttavia si parla di funzione anche quando il dominio o il codominio, o entrambi, non sono insiemi numerici. Se, per esempio, a ogni triangolo del piano si associa il cerchio in esso inscritto, si ha ugualmente una funzione, in quanto per ogni triangolo esiste uno e un solo cerchio in esso inscritto.
Inoltre spesso si parla di funzioni con più argomenti, o con più valori: per esempio la funzione che alle coordinate di un punto nello spazio fa corrispondere temperatura e pressione dell'aria. In tal caso, la funzione ha in realtà sempre un solo argomento, che è la terna e ha sempre un solo valore, che è la coppia
Definizione
Dati due insiemi non vuoti e , si chiama funzione da in una relazione tale che per ogni esiste uno ed un solo elemento tale che . Tale elemento tradizionalmente si denota con : in altre parole, invece di scrivere si può usare la scrittura più tradizionale:
Il fatto che sia una funzione da in che associa a l’elemento si può esprimere con la scrittura:
L’insieme (da cui la funzione “prende” i valori) è il dominio della funzione , mentre l’insieme (in cui si trovano i valori “restituiti” dalla funzione ) è il codominio della funzione .
Le espressioni “prendere un valore” e “restituire un valore” fanno riferimento a un modello meccanico delle funzioni, rappresentate come meccanismi che, fornito loro un elemento del dominio, lo “trasformano” nel corrispondente elemento del codominio.
Immagine e controimmagine
Data una funzione di dominio e codominio comunque scelto un elemento del dominio, si chiama immagine di il corrispondente elemento del codominio, indicato con Analogamente, se è un elemento del codominio che sia immagine di un elemento del dominio, cioè se , si dice che è una controimmagine di Mentre a ogni elemento del dominio di è assegnata una e una sola immagine, è possibile che un elemento nel codominio possegga diverse controimmagini, o che non ne possieda affatto. Si definisce quindi “controimmagine” dell’elemento l’insieme
Se per ogni si dice che è suriettiva, mentre se contiene al più un elemento per ogni si dice che è iniettiva. Se valgono entrambe le condizioni, è detta biiettiva o biunivoca.
L’insieme
degli elementi del codominio per i quali esiste almeno un nel dominio che ha come immagine è detto immagine di e si denota con o con .
Altre notazioni per le funzioni
Per il valore di una funzione corrispondente a un elemento , denotabile con la notazione tradizionale , vengono usate anche altre due scritture.
Per quella che chiamiamo notazione a funzione prefissa si pone
Per quella che chiamiamo notazione a funzione suffissale si pone
A volte al posto delle parentesi tonde si usano parentesi quadrate:
In questo modo si evitano confusioni con le parentesi che indicano l’ordine delle operazioni. Questa notazione è usata da alcuni programmi di calcolo simbolico.
Nelle funzioni di due variabili si usa talvolta la notazione infissa, ossia
ad esempio, nelle usuali operazioni di addizione e sottrazione si usa scrivere e invece di e
Estensione e restrizione di una funzione
Data una funzione e un insieme tale che , si dice che la funzione è un’estensione di all’insieme se
dove è l’inclusione di in , data da . Si dice viceversa che è la restrizione di all’insieme .
La restrizione di una funzione a un insieme contenuto nel suo dominio è abitualmente indicata con .
Funzioni di due o più variabili
Quando il dominio di una funzione è il prodotto cartesiano di due o più insiemi, e dunque la funzione agisce su -uple di elementi di insiemi, allora l'immagine del vettore di questi elementi viene indicata con la notazione
In questo caso la funzione viene anche chiamata funzione di vettore. A tal proposito in fisica si parla di campo.
Per esempio, si consideri la funzione di moltiplicazione che associa un vettore di due numeri naturali e al loro prodotto: . Questa funzione può essere definita formalmente come avente per dominio , l'insieme di tutte le coppie di numeri naturali; si noti inoltre che in questo caso la funzione è simmetrica rispetto alle componenti del vettore: e quindi si tratta di una funzione di un insieme in cui non importa cioè l'ordine degli elementi. Sono inoltre possibili anche altri raggruppamenti delle variabili: per esempio risulta estremamente importante nello studio dei sistemi di equazioni differenziali la teoria della funzione di matrice:
Operazioni binarie
Molte operazioni binarie dell'aritmetica, come l'addizione e la moltiplicazione, sono funzioni dal prodotto cartesiano a valori in , e vengono descritte tramite la notazione infissa: si scrive cioè (e non ) per descrivere l'immagine della coppia tramite l'operazione .
Questa notazione è stata generalizzata dall'algebra moderna, per definire strutture algebriche come ad esempio quella di gruppo, come un insieme dotato di alcune operazioni binarie aventi determinate proprietà.
Funzioni a più valori
Se il codominio di una funzione è il prodotto cartesiano di due o più insiemi, questa può essere indicata come funzione vettoriale. Tali variabili spesso vengono aggregate in un vettore; a tal proposito in fisica si parla di campo vettoriale.
Un esempio tipico è dato da una trasformazione lineare del piano, ad esempio:
Una funzione è invece detta polidroma nel caso in cui esista almeno un elemento del dominio cui corrisponde più di un elemento del codominio. In effetti tali funzioni non rientrano nella definizione data inizialmente, ma in alcuni campi (ad esempio in analisi complessa) essa viene estesa proprio in questo senso. Un esempio di funzione polidroma è la radice quadrata di un numero reale positivo, che può essere descritta come una funzione
che associa a ogni numero reale positivo l'insieme delle sue due radici quadrate. Un esempio analogo è il logaritmo definito sull'insieme dei numeri complessi.
Tipologia
Nella matematica e sostanzialmente in tutte le sue applicazioni si incontrano numerosi tipi di funzioni, che si presentano anche con caratteristiche molto diverse, e che vengono classificate seguendo diversi criteri.
Classificazione puramente insiemistica
Funzione iniettiva
Funzione suriettiva
Funzione biunivoca
Endofunzione
Permutazione
Involuzione
Classificazione delle funzioni nell'ambito della teoria della calcolabilità
Funzione ricorsiva primitiva
Funzione calcolabile
Funzione ricorsiva (secondo la Tesi di Church-Turing, funzioni ricorsive e funzioni calcolabili sono la stessa cosa)
Funzione ricorsiva totale
Funzione enumerativa
Classificazione delle funzioni nell'ambito dell'analisi matematica
Funzione algebrica e funzione trascendente
Funzione analitica
Funzione antiolomorfa
Funzione armonica
Funzione cilindrica
Funzione concava
Funzione continua
Funzione convessa
Funzione crescente, funzione decrescente e funzione monotona
Funzione differenziabile
Funzione integrabile
Funzione integrale
Funzione lipschitziana
Funzione liscia
Funzione meromorfa
Funzione olomorfa
Funzione pari e funzione dispari
Funzione polinomiale
Funzione razionale fratta
Alcune funzioni notevoli
Funzione Beta, funzione Gamma, funzione zeta di Riemann
Funzioni trigonometriche: seno, coseno, tangente, cotangente, secante, cosecante
Funzione identità
Funzione esponenziale, logaritmo
Funzioni di interesse probabilistico e statistico
Funzione di ripartizione
Funzione di probabilità
Funzione di densità
Funzione generatrice dei momenti
Funzione caratteristica
Operazioni elementari su funzioni di variabile reale a valori reali
Data una funzione di variabile reale a valori reali e una costante , su di essa sono applicabili le operazioni aritmetiche elementari ovvero somma, sottrazione, moltiplicazione, divisione, elevamento a potenza, radice n-esima ovvero:
se si ha anche
se si ha anche
e se intero maggiore di 1, e se pari si deve avere anche , si ha anche
Date due funzioni e di variabile reale a valori reali sono applicabili le operazioni aritmetiche elementari di cui sopra ossia:
se si ha anche
se (o nel caso in cui ) si ha anche
Composizione
Date due funzioni e si può definire la loro composizione: questa è definita applicando prima ad e quindi applicando al risultato .
Questa nuova funzione viene denotata con (si legge: "g composta f" oppure "g composto f"). Riconducendoci alla notazione tradizionale con le due notazioni il risultato della precedente composizione applicato all'elemento del dominio si può scrivere
Traslazione
Data una funzione di variabile reale a valori reali e una costante :
la sua traslata rispetto all'asse verso destra è
la sua traslata rispetto all'asse verso sinistra è
la sua traslata rispetto all'asse verso l'alto è
la sua traslata rispetto all'asse verso il basso è
Simmetria
Data una funzione di variabile reale a valori reali:
la simmetrica di rispetto all'asse è
la simmetrica di rispetto all'asse è
Note
Bibliografia
Nicola Fusco, Paolo Marcellini, Carlo Sbordone, Lezioni di Analisi Matematica Due, Zanichelli, 2020, ISBN 9788808520203
Paolo Marcellini, Carlo Sbordone, Analisi Matematica Uno, Liguori Editore, 1998, ISBN 9788820728199
Enrico Giusti, Analisi Matematica 1, Boringhieri, 2002, ISBN 9788833956848
Voci correlate
Dominio e codominio
Immagine (matematica)
Grafico di una funzione
Funzione di variabile reale
Funzione definita a tratti
Parte positiva e parte negativa di una funzione
Studio di funzione
Storia della nozione di funzione matematica
Analisi matematica, integrale, derivata
Funzione speciale
Funzione periodica
Funzionale
Funzione parziale
Applicazione parziale
Serie di funzioni
Serie formale di potenze
Equazione differenziale
Equazione funzionale
Teoria delle categorie
Altri progetti
Collegamenti esterni
Matematica di base
Teoria degli insiemi |
1863 | https://it.wikipedia.org/wiki/Funzione%20beta%20di%20Eulero | Funzione beta di Eulero | La funzione beta di Eulero, detta anche integrale di Eulero del primo tipo, è data dall'integrale definito:
dove sia che hanno parte reale positiva e non nulla (in caso contrario, l'integrale divergerebbe). Questa funzione fu studiata per primo da Eulero e da Legendre, ma fu Jacques Binet a battezzarla con il suo nome attuale.
Caratteristiche
È una funzione simmetrica, cioè il suo valore non cambia scambiando e :
Inoltre valgono anche le due seguenti identità:
La funzione beta si può scrivere in molti modi, di cui i più comuni sono i seguenti:
dove è la funzione Gamma e è il fattoriale discendente, cioè . In particolare, combinando la prima e la seconda forma si dimostra che .
Così come la funzione gamma descrive i fattoriali dei numeri interi, cioè se l'argomento è un numero intero il suo risultato è il fattoriale di , la funzione beta (con un piccolo aggiustamento degli indici) descrive i coefficienti binomiali; più precisamente è
La funzione beta è stato il primo modello di matrice S nella teoria delle stringhe, congetturato per la prima volta da Gabriele Veneziano.
Relazioni fra la funzione gamma e la funzione beta
Per ricavare la forma integrale della funzione beta, si può scrivere il prodotto di due fattoriali come:
Ora poniamo , in modo che:
Trasformiamo in coordinate polari con , :
e quindi riscriviamo gli argomenti nella forma solita della funzione beta:
Derivata
La derivata della funzione beta può essere scritta sfruttando, di nuovo, la funzione gamma:
dove è la funzione digamma.
Integrali
L'integrale di Nörlund-Rice è un integrale di circuitazione che coinvolge la funzione beta.
Funzione beta incompleta
La funzione beta incompleta è una generalizzazione della funzione beta che sostituisce l'integrale definito della funzione beta con un integrale indefinito. È una generalizzazione del tutto analoga a quella della funzione gamma (la funzione gamma incompleta).
La funzione beta incompleta è definita come:
Per , la funzione beta incompleta ridiventa la normale funzione beta.
La funzione beta incompleta regolarizzata (o più brevemente funzione beta regolarizzata) è definita in termini di entrambe le due:
Calcolando l'integrale per valori interi di e , si ottiene:
Valgono le seguenti identità:
Bibliografia
(funzione beta) p. 263 (funzione beta incompleta)
Voci correlate
Eulero
Integrale
Funzione gamma
Tavola degli integrali definiti
Teoria delle stringhe
Variabile casuale beta
Variabile casuale binomiale
Distribuzione continua uniforme
Altri progetti
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Funzioni speciali |
1864 | https://it.wikipedia.org/wiki/Funzione%20Gamma | Funzione Gamma | In matematica, la funzione Gamma, nota anche come funzione gamma di Eulero è una funzione meromorfa, continua sui numeri reali positivi, che estende il concetto di fattoriale ai numeri complessi, nel senso che per ogni numero intero non negativo si ha:
,
dove denota il fattoriale di cioè il prodotto dei numeri interi da a : .
Definizione
La notazione è dovuta a Legendre. Se la parte reale del numero complesso è positiva, allora l'integrale
converge assolutamente. Comunque, usando la continuazione analitica, si può estendere la definizione della a tutti i numeri complessi , anche con parte reale non positiva, ad eccezione degli interi minori o uguali a zero. Usando l'integrazione per parti, in effetti, si può dimostrare che:
per cui si ha:
.
In questo modo, la definizione della può essere estesa dal semipiano a quello (ad eccezione del polo in ), e successivamente a tutto il piano complesso (con poli in ).
Siccome , la relazione riportata sopra implica, per tutti i numeri naturali , che:
In statistica si incontra di frequente (per esempio nella variabile casuale normale) l'integrale:
che si ottiene ponendo , e quindi , ottenendo quindi
Espressioni alternative
Le seguenti espressioni alternative per la funzione Gamma, sono valide su tutto il piano complesso (ad eccezione dei poli):
dovuta a Gauss,
dove è la costante di Eulero-Mascheroni, dovuta a Schlömilch e ottenibile applicando il teorema di fattorizzazione di Weierstrass alla funzione
Un'ulteriore espressione alternativa è la seguente:
In questa formula sono espliciti i poli di ordine e residuo che la funzione Gamma ha in , per ogni intero non negativo.
La singolarità nell'origine può essere anche dedotta dalla relazione di ricorrenza. Infatti
dove è stato fatto uso della relazione .
Proprietà
Altre importanti proprietà della funzione Gamma sono la formula di riflessione di Eulero:
e quella di duplicazione:
che a sua volta è un caso particolare della formula di moltiplicazione:
la quale per diventa:
Quest'ultima identità è ottenibile anche dalla formula di riflessione e dall'identità trigonometrica .
Le derivate della funzione Gamma:
possono essere espresse in funzione della stessa funzione Gamma e di altre funzioni, per esempio:
dove è la funzione poligamma di ordine zero. In particolare,
dove è la costante di Eulero-Mascheroni.
Si ha, inoltre:
che per intero positivo si riduce ad una somma finita
dove è l'(m-1)-esimo numero armonico.
Derivando membro a membro rispetto a si ha, ancora,
che per diverge, mentre per diviene la serie armonica generalizzata di ordine 2
Lukacs studiò altre proprietà nell'opera A Characterization of the Gamma Distribution negli Annals of Mathematical Statistics del 1955.
Ricordiamo anche che, a partire dalla funzione Gamma, la funzione poligamma di ordine è definita nel modo seguente:
.
Valori notevoli
Probabilmente, il più noto valore che la funzione Gamma assume su numeri non interi è:
che si può trovare ponendo nella formula di riflessione.
Oltre a questo e al già citato valore assunto sui numeri naturali, sono interessanti anche le seguenti proprietà, che interessano i multipli dispari di
dove denota il semifattoriale e la parentesi tonda a due livelli il coefficiente binomiale.
Teorema di unicità
Il teorema di Bohr-Mollerup afferma che, tra tutte le funzioni che estendono la funzione fattoriale, solo la funzione Gamma è tale che il suo logaritmo è una funzione convessa.
Bibliografia
Voci correlate
Funzione gamma incompleta
Funzione digamma
Funzione poligamma
Teorema di Bohr-Mollerup
Funzione beta di Eulero
Distribuzione chi quadrato
Variabile casuale Gamma
Approssimazione di Stirling
Funzione (matematica) - Integrale
Teorema di Hölder
Altri progetti
Collegamenti esterni
Capitolo dedicato alla Gamma Function nella Digital Library of Mathematical Functions
Funzioni speciali |
1866 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fotografia | Fotografia | La fotografia è quell'arte tecnologica resa possibile dallo strumento denominato macchina fotografica o fotocamera, con cui si ottiene un'immagine statica tramite un processo di registrazione permanente delle interazioni tra luce e materia, selezionate e proiettate attraverso un sistema ottico su una superficie fotosensibile.
Con il termine "fotografia" si indicano tanto la tecnica per riprendere le fotografie, quanto le immagini riprese («fotografie», o «foto»), nonché, per estensione, il prodotto stampato.
L'estrema versatilità di questa tecnologia ha consentito alla fotografia di svilupparsi nei campi più diversi delle attività umane come la ricerca scientifica, l’astronomia, la medicina, il giornalismo, ecc., fino a consacrarla in alcuni casi come autentica forma d'arte, nonostante il fatto che generalmente le fotografie non siano direttamente frutto della nostra immaginazione e del nostro operato, come usualmente lo sono un dipinto o un'illustrazione, ma sono sempre e comunque il prodotto diretto di una macchina e hanno come referente, per necessità, il mondo fisico.
Etimologia
Il termine "fotografia" deriva ovvero "scrittura con la luce"
Storia
Il termine fotografia deriva quindi dalla congiunzione di due parole di origine greca: luce (φçῶς, phṑs) e grafia (γραφή, graphḕ), per cui fotografia significa "scrittura di luce". La fotografia è opera della luce e nasce infatti da un principio fisico chiamato diffrazione, che è una sua proprietà caratteristica. La camera oscura e l'obiettivo stenopeico formano il sistema più semplice ed elementare della macchina fotografica che racchiude in sé tutti i principi fisici coinvolti in questa tecnologia. Naturalmente sono stati necessari i risultati ottenuti sia nel campo dell'ottica, sia in quello della chimica e lo studio delle sostanze fotosensibili. La prima camera oscura fu realizzata molto prima che si trovassero dei mezzi chimici per fissare l'immagine ottica in essa proiettata; il primo ad applicarla in ambito fotografico fu il francese Joseph Nicéphore Niépce, cui convenzionalmente viene attribuita l'invenzione della fotografia, anche se studi recenti rivelano tentativi precedenti, come quello di Thomas Wedgwood.
Nel 1813 Niépce iniziò a studiare i possibili perfezionamenti alle tecniche litografiche, interessandosi poi anche alla registrazione diretta di immagini sulla lastra litografica senza l'intervento dell'incisore. In collaborazione con il fratello Claude, Niépce cominciò a studiare la sensibilità alla luce del cloruro d'argento e nel 1816 ottenne la sua prima immagine fotografica (che ritraeva un angolo della sua stanza di lavoro) utilizzando un foglio di carta sensibilizzato, forse, con cloruro d'argento.
L'immagine non poté essere fissata completamente e Niépce fu indotto a studiare la sensibilità alla luce di altre sostanze, come il bitume di Giudea, che diventa insolubile in olio di lavanda dopo l'esposizione alla luce.
La prima produzione con la nuova sostanza fotosensibile risale al 1822. Si tratta di un'incisione su vetro raffigurante papa Pio VII. La riproduzione andò distrutta poco dopo e la più antica immagine oggi esistente fu ottenuta da Niépce nel 1826, utilizzando una camera oscura il cui obiettivo era una lente biconvessa, dotata di diaframma e di un basilare sistema di messa a fuoco. Niépce chiamò queste immagini eliografie.
Nel 1829 fondò con Louis Daguerre, già noto per il suo diorama, una società per lo sviluppo delle tecniche fotografiche. Nel 1839 il fisico François Arago presentò all'Accademia delle scienze francese il brevetto di Daguerre, chiamato dagherrotipo; la notizia suscitò l'interesse di William Fox Talbot, che dal 1835 testava un procedimento fotografico, la calotipia, e di John Herschel, che lavorava, invece, su carta trattata con sali d'argento, utilizzando un fissaggio a base di tiosolfato sodico.
Nello stesso periodo, a Parigi, Hippolyte Bayard ideò una tecnica usando un negativo su carta sensibilizzata con ioduro d'argento, dal quale si otteneva poi una copia positiva. Bayard fu però invitato a terminare gli esperimenti per evitare una concorrenza con Daguerre.
Lo sviluppo del dagherrotipo fu favorito anche dalla costruzione di apparecchi speciali dotati di un obiettivo a menisco acromatico ideato nel 1829 da Charles Chevalier.
Tra il 1840 e il 1870 i processi e i materiali fotografici vengono perfezionati:
nel 1841 François Antoine Claudet rinnova la ritrattistica introducendo lastre per dagherrotipia a base di cloruro e ioduro d'argento, che consentono pose di pochi secondi;
nel 1851 Frederick Schott Archer propone il procedimento al collodio che sostituisce la dagherrotipia e la calotipia.
Tra il 1851 e il 1852 vengono introdotte l'ambrotipia e la ferrotipia, per ottenere positivi apparenti incollando un negativo su lastra di vetro a un supporto di carta o panno neri, o di metallo brunito;
nel 1852 viene istituita a Firenze la più antica azienda al mondo nel campo della fotografia: la Fratelli Alinari.
Nel 1857 compare il primo ingranditore a luce solare a opera di J. J. Woodward;
nel 1859 R. Bunsen e H. E. Roscoe realizzano le prime istantanee con lampo al magnesio. Le prime immagini a colori per sintesi additiva si devono a J. C. Maxwell (1861), mentre quelle per sintesi sottrattiva sono state introdotte da Louis Ducos du Hauron (1869). R. L. Maddox porta una novità: le lastre con gelatina animale come legante.
Infine, nel 1873 H. Vogel scopre il principio della sensibilizzazione cromatica e realizza le prime lastre ortocromatiche.
Tecnica
Perfezionamento di tecnologie e materiali
Gli sforzi furono anche indirizzati al perfezionamento dei materiali sensibili, dei procedimenti di sviluppo e degli strumenti ottici. Tra le innovazioni più importanti si ricordano: l'introduzione degli apparecchi fotografici portatili (1880); l'introduzione delle pellicole in rullo, realizzate per la prima volta da G. Eastman inizialmente con supporto in carta (1888) e successivamente con supporto in celluloide (1891).
Nel 1890 F. Hurter e V. C. Driffield iniziarono lo studio sistematico della sensibilità alla luce delle emulsioni, dando origine alla sensitometria. Un considerevole miglioramento delle prestazioni degli obiettivi si ebbe nel 1893, quando H. D. Taylor introdusse un obiettivo anastigmatico (tripletto di Cooke) con sole tre lenti non collate; tale obiettivo fu perfezionato da P. Rudolph nel 1902 con l'introduzione di un elemento posteriore collato e venne prodotto l'anno dopo dalla Zeiss, con il nome di Tessar.
Altri progressi si ebbero con l'introduzione del sistema reflex (1928) e degli strati antiriflesso sulle superfici esterne delle lenti (che migliorarono enormemente la trasmissione tra aria e vetro e il contrasto degli obiettivi) e con il processo Polaroid in bianco e nero (che permetteva di ottenere in pochi secondi una copia positiva, utilizzando un apparecchio e una pellicola speciali), introdotto nel 1948 da E. H. Land e successivamente esteso al colore.
Negli anni sessanta con gli esposimetri incorporati nelle macchine fotografiche ebbe inizio l'epoca degli automatismi: l'evoluzione tecnologica in tale campo fu tale che alla fine degli anni ottanta, con la miniaturizzazione dei circuiti elettronici, la messa a fuoco e l'esposizione diventano completamente automatiche; inoltre micromotori provvedono al caricamento della pellicola, al suo avanzamento dopo ogni scatto e al riavvolgimento nel caricatore al termine dell'uso.
Negli iconici anni ottanta entrarono in produzione macchine per la fotografia digitale che al posto della pellicola avevano un CCD (Charge Coupled Device), lo stesso elemento sensibile delle videocamere.
Questo componente era in grado di analizzare l'intensità luminosa e il colore dei vari punti che costituiscono l'immagine e di trasformarli in segnali elettrici che venivano poi registrati su un supporto magnetico (nastro o disco) che poteva contenere alcune decine di immagini. L'immagine registrata poteva essere immediatamente rivista su un monitor, stampata da un'apposita stampante, o spedita via cavo o via rete, a qualsiasi distanza.
Macchine di questo tipo venivano usate soprattutto dai fotoreporter, perché permettevano l'immediata trasmissione delle foto ai giornali, che non hanno bisogno di immagini ad alta definizione.
L'inconveniente principale della fotografia elettronica era infatti la scarsa definizione delle immagini, in confronto a quella della fotografia tradizionale. Notevole diffusione ha avuto l'elaborazione elettronica delle immagini fotografiche, che, digitalizzate da uno scanner ad alta definizione, possono essere corrette ed elaborate a piacere (eliminazione di dominanti cromatiche, modifica dei colori, cancellazione e aggiunta di parti di immagine, fino a ottenere fotomontaggi quasi perfetti). L'immagine elaborata viene poi stampata su pellicola, con la stessa definizione dell'originale.
Negli ultimi anni lo sviluppo della fotografia digitale ha avuto implicazioni incredibili sia nella fase di ripresa delle immagini che in quella di riproduzione. Da un lato i sofisticati sistemi di esposizione, messa a fuoco, inquadratura e disponibilità immediata delle immagini in fase di ripresa e dall'altro la loro elaborazione sul computer hanno ridimensionato il lavoro di camera oscura per lo sviluppo del negativo e/o della diapositiva e per la loro stampa. Essa richiedeva lunghe ore al buio, pazienza e risorse economiche, al punto che grandi fotografi utilizzavano spesso laboratori professionali per le loro immagini. Oggi il processo è alla portata di tutti grazie alle immagini digitali che possono essere ritoccate, modificate e trasferite con il computer di casa propria, avvalendosi di programmi di editing e/o fotoritocco e modalità di archiviazione di file anziché di voluminosa carta che hanno in gran parte ridotto la domanda di pellicole e di stampa tradizionale delle foto.
Riproduzione dei colori
J. T. Seebeck (1810) e J. F. Herschel (1840), H. Becquerel (1848), L. L. Hill (1850) e Joseph Nicéphore Niépce erano riusciti a ottenere delle registrazioni instabili di oggetti colorati, probabilmente per un fenomeno di interferenza all'interno dello strato sensibile. Tale fenomeno venne utilizzato da Gabriel Lippmann, in un procedimento messo a punto nel 1891, esponendo, attraverso il supporto di vetro, una lastra fotografica con l'emulsione a contatto con mercurio.
L'interferenza tra la radiazione incidente e quella riflessa dal mercurio, che fungeva da specchio, faceva sì che l'emulsione rimanesse impressionata a diversi livelli di profondità, la distanza fra i quali era funzione della lunghezza d'onda della radiazione. La lastra, sviluppata e osservata per riflessione, restituiva un'immagine con i colori naturali. Il procedimento di Lippmann, sfruttato commercialmente per qualche anno, fu abbandonato per la difficoltà nella preparazione dei materiali e del loro trattamento.
Nel frattempo James Clerk Maxwell aveva teorizzato i principi della sintesi additiva dei colori e nel 1855 aveva ottenuto i primi risultati incoraggianti, che rese pubblici nel 1861. Nel suo procedimento l'oggetto colorato veniva ripreso su tre diverse lastre attraverso tre filtri di colore blu, verde e rosso; venivano poi ricavate tre diapositive che, proiettate a registro su uno schermo mediante tre proiettori muniti degli stessi filtri usati per la ripresa, riproducevano a colori il soggetto.
Un procedimento simile, che utilizzava i colori blu, giallo e rosso, venne ideato indipendentemente, nel 1862, da Louis Ducos du Hauron, al quale si devono anticipazioni per tutti i procedimenti utilizzati fino a oggi. Nel 1868 egli osservò che un foglio di carta ricoperto di sottili linee adiacenti di colore blu, verde e giallo, appariva bianco se osservato per trasparenza e grigio se osservato per riflessione e brevettò un procedimento di fotografia a colori basato su questo fenomeno.
Il procedimento venne ripreso in considerazione negli ultimi anni del XIX secolo quando furono disponibili materiali sensibili pancromatici con i quali era possibile effettuare la ripresa attraverso un reticolo di linee o di granuli di colore blu, verde e rosso; in seguito all'inversione dell'immagine in bianco e nero, il complesso immagine-reticolo osservato per trasparenza restituiva i colori originali.
Sfruttando questo principio i fratelli Lumière realizzarono le lastre Autochrome, la cui produzione iniziò nel 1907. Materiali simili vennero prodotti in Germania (Agfacolor) e in Gran Bretagna. Nel 1908 A. K. Dorian propose di sostituire i reticoli colorati con un insieme di minuscole lenti ottenute per goffratura sul lato del supporto opposto a quello su cui era stesa l'emulsione.
Ponendo davanti all'obiettivo un filtro costituito da tre bande colorate, ciascuna lente proiettava tre immagini, che venivano sovrapposte utilizzando un proiettore che montava sull'obiettivo lo stesso filtro usato in ripresa. Su questo principio si basavano i primi materiali Kodacolor, prodotti fino al 1935.
Tutti questi procedimenti non consentivano la produzione di stampe a colori, se non con mezzi tipografici. L'unico a ottenere copie fotografiche su carta fu E. Vallot che nel 1895 aveva ripreso un'idea di Louis Ducos du Hauron, introducendo un procedimento che però, a causa della bassa sensibilità e della scarsa stabilità dei colori, non ebbe successo commerciale. L'era della fotografia a colori moderna iniziò nel 1935 con la pellicola per diapositive Kodachrome, seguita nel 1936 dalla Agfacolor.
La prima richiedeva un trattamento speciale, perché i colori venivano aggiunti nel corso dello sviluppo. Nella seconda, invece, che è stata la capostipite delle moderne pellicole per fotografie a colori su carta, tre strati, sensibili rispettivamente al blu, al verde e al rosso, contenevano anche i coloranti, che davano origine, durante lo sviluppo, a immagini con i colori complementari (giallo, magenta e ciano).
L'immagine riacquistava i colori naturali durante lo sviluppo della copia, stampata su carta il cui strato sensibile aveva una struttura simile. Infine la Ciba, riprendendo il vecchio procedimento di sbianca dei coloranti contenuti nei vari strati dell'emulsione, realizzò il sistema Cibachrome, per la stampa di diapositive.
Chimica
Processi con l'alogenuro d'argento
Quando si sottopone un alogenuro d'argento all'azione della luce, la radiazione assorbita gli cede l'energia necessaria per scindere il legame tra l'alogeno e il metallo. Il deposito di argento così formato è tanto più denso quanto maggiore è l'intensità dell'illuminazione ed è quindi possibile ottenere con una camera oscura un'immagine negativa del soggetto inquadrato. Tale annerimento diretto dell'alogenuro, detto effetto print-out, è stato il primo metodo utilizzato per ottenere delle immagini agli albori della fotografia, ma aveva l'inconveniente di richiedere tempi di posa lunghissimi.
Fin dai primi tempi della fotografia, però, si scoprì casualmente che non era necessario attendere la formazione di un'immagine visibile sul materiale sensibile: anche dopo una breve esposizione era possibile, con un opportuno trattamento chimico, ottenere un'immagine perfettamente formata. In effetti anche nel corso di un'esposizione molto breve si verifica la fotolisi del bromuro di argento in misura tale da formare un'immagine debolissima, non visibile a occhio nudo (immagine latente), ma sufficiente per provocare un'alterazione delle caratteristiche chimico-fisiche dell'emulsione.
Trattando questa con particolari sostanze (rivelatore) si ottenne la formazione dell'immagine visibile, che risultava costituita da un insieme di granuli d'argento originati dalla riduzione dei singoli cristalli di alogenuro. Sono questi che conferiscono all'immagine la caratteristica struttura granulosa.
Nell'effetto print-out, l'energia necessaria per la riduzione dell'alogenuro ad argento metallico è fornita interamente dalla radiazione assorbita dall'emulsione, mentre nel secondo caso, la radiazione cede solo la piccola quantità di energia necessaria alla formazione dell'immagine latente.
Il rivelatore fornisce in un secondo tempo la quantità di energia necessaria per portare a termine il processo, con un effetto di amplificazione di circa un milione di volte. Dopo la formazione dell'immagine occorre allontanare l'alogenuro d'argento rimasto inutilizzato (fissaggio), oppure renderlo insensibile alla luce (stabilizzazione).
Il trattamento di un moderno materiale fotografico in bianco e nero richiede quindi un bagno di sviluppo e uno di fissaggio, cui si interpone un lavaggio o un bagno di arresto, e un lavaggio finale prima dell'asciugatura. Il lavaggio finale, estremamente importante per la conservazione dell'immagine, asporta ogni traccia dei prodotti chimici impiegati nel corso del trattamento.
Nei materiali a colori (a eccezione della Kodachrome), la formazione dei coloranti avviene utilizzando uno sviluppo cromogeno che, contemporaneamente alla riduzione del bromuro impressionato, provoca la formazione del colore all'interno di ognuno dei tre strati sensibili sovrapposti. Con i procedimenti accennati si ottiene sempre un'immagine negativa rispetto all'originale usato per la ripresa o la stampa.
È possibile ottenere direttamente delle immagini positive mediante un procedimento di inversione nel corso del quale si distrugge l'immagine negativa e se ne forma una positiva utilizzando l'alogenuro d'argento non impressionato nel corso dell'esposizione. La distruzione della negativa avviene per mezzo di un bagno di sbianca che, nel colore, ha anche la funzione di liberare i coloranti dal deposito opaco d'argento che li maschera.
Il sempre crescente aumento del costo dell'argento ha portato, da un lato, una notevole diffusione dei procedimenti di recupero di questo dai bagni di fissaggio, che possono contenere diversi grammi d'argento per litro, e, dall'altro lato, ha favorito lo sviluppo di procedimenti nuovi o non tradizionali. Poiché i materiali a sviluppo cromogeno consentono il recupero totale dell'argento, sono state introdotte pellicole a sviluppo cromogeno anche in bianco e nero.
Processi senza argento
Fin dai primi tempi della fotografia si tentò di impiegare delle sostanze fotosensibili senza argento, per esempio la carta al ferroprussiato, usata per la riproduzione di disegni tecnici (cianografia), ma senza grandi successi. Altri procedimenti di stampa, introdotti nel 1850, furono quelli alla gomma bicromata e al pigmento, applicati specialmente nel rotocalco.
Tra gli altri procedimenti un tempo applicati o di più recente applicazione si ricordano:
la termografia, che si basa sulla proprietà di svariate sostanze di annerire, fondere o subire altre trasformazioni se sottoposte a riscaldamento;
l'elettrografia, il cui principio fu indicato nel 1935 da P. Selenyi e che ha avuto uno sviluppo eccezionale nel campo della fotoriproduzione di documenti (in particolare la xerografia);
la fotopolimerizzazione, che sfrutta la proprietà della luce di provocare la polimerizzazione di molte sostanze; a questo procedimento appartiene la resinotipia inventata negli anni venti del Novecento da Rodolfo Namias;
il procedimento Kalvar, usato per la produzione di microfilm e di positivi cinematografici, nel quale l'esposizione alla luce provoca la decomposizione di una sostanza fotosensibile incorporata in uno strato plastico con liberazione di bollicine di gas, che rendono opaco lo strato;
la fotocromia, che si basa sulla proprietà di alcune sostanze di cambiare colore sotto l'azione della luce.
Una delle maggiori difficoltà connesse con l'introduzione di nuovi sistemi fotosensibili era costituita dalla scarsa efficienza con cui, in generale, veniva registrata l'immagine. L'unico sistema che presenta un fattore di amplificazione paragonabile a quello basato sugli alogenuri d'argento è la fotopolimerizzazione, mentre gli altri possiedono una capacità di amplificazione molte migliaia di volte inferiore. Nei sistemi fotografici tradizionali, gli alogenuri d'argento non impressionati vengono asportati nel bagno di fissaggio oppure, nel processo di inversione, vengono utilizzati per formare un'immagine positiva sul medesimo supporto.
Processi per le istantanee
Diversi sono i processi diffusivi nei quali l'alogenuro non impressionato viene trasformato in un sale solubile che diffonde dal negativo verso un supporto sul quale viene ridotto ad argento metallico dando luogo alla formazione dell'immagine positiva. Questo procedimento, descritto per la prima volta nel 1939 e utilizzato inizialmente per materiali da fotoduplicazione, consente la cosiddetta fotografia istantanea. Le prime applicazioni pratiche si ebbero nel 1948 con il sistema Polaroid in bianco e nero che permetteva di ottenere una positiva in soli 15 secondi; in seguito fu messo a punto un analogo sistema per le positive a colori ottenibili in circa un minuto.
Nel procedimento a colori il negativo è costituito da tre strati di emulsione sensibili alla luce blu, verde e rossa, ai quali sono intercalati altrettanti strati contenenti tre diversi rivelatori di colore rispettivamente giallo, magenta e blu-verde.
Dopo l'esposizione il negativo viene portato a contatto con il supporto destinato a ricevere l'immagine positiva; tra i due si trova un sottile velo di attivatore alcalino. In presenza dell'attivatore i rivelatori colorati, contenuti nello strato sviluppatore, riducono il bromuro esposto e rimangono così immobilizzati nello strato sensibile.
I rivelatori che non hanno reagito, invece, diffondono attraverso il negativo e lo strato di attivatore fino a raggiungere il supporto, dove si fissano.
Nel 1976 la Kodak lanciò un suo sistema di fotografia istantanea, Kodak Instant. Le pellicole di questa fotocamera ricalcavano il percorso tracciato dalla Polaroid, anch'esse autosviluppanti. A differenza delle Polaroid però erano rettangolari e l'immagine sulla superficie misurava 9 x 6,8 cm. Dopo aver perso una battaglia di brevetti con la Polaroid Corporation, Kodak ha lasciato il business Instant Camera il 9 gennaio 1986.
Quest'ultima, nel 1985 presentò una pellicola per diapositive, sia in bianco/nero che a colori, a sviluppo istantaneo; essa non richiedeva macchine speciali, ma poteva essere esposta con qualsiasi macchina che utilizzasse le normali pellicole 135 (formato 24 x 36 mm).
La pellicola a colori, chiamata Polachrome, è in realtà una pellicola in bianco/nero, filtrata, sia in ripresa che in proiezione, da un fitto reticolo di linee blu, verde e rosso (secondo il principio già sfruttato dai fratelli Lumière con le lastre Autochrome). Lo sviluppo viene effettuato sull'intera pellicola, in un apparecchietto che stende su di essa i prodotti chimici racchiusi in un contenitore venduto insieme alla pellicola.
Anche la pellicola per stampe a colori immediate è stata notevolmente perfezionata dalla Polaroid: è stato eliminato il negativo (che doveva essere gettato, insieme ai residui dei prodotti chimici di sviluppo), e la sensibilità è stata aumentata a 600 ASA. Lo sviluppo avviene in piena luce, in circa 90 secondi. Alcune pellicole a sviluppo immediato (in bianco e nero e a colori) possono essere utilizzate, per mezzo di un apposito accessorio, anche su molti apparecchi professionali e su apparecchiature scientifiche: esse danno copie formato 8,3 x 10,8 cm, spesso usate per controllare la distribuzione delle luci e delle ombre prima dello scatto definitivo su pellicola tradizionale.
Applicazioni scientifiche
Generalità
La natura essenziale della fotografia è proprio quella della documentazione, in quanto di base la fotografia riprende sempre la realtà dello stato fisico della materia, attraverso la radiazione fotonica. Questo processo comporta una netta differenziazione tra una rappresentazione immaginifica e creativa, sviluppata in un disegno fatto a mano libera (un'opera d'arte dell'uomo) e la rappresentazione del reale quale immagine fotografica "creata" dalla luce e ripresa dalla fotocamera. Pensiamo ad esempio se la fotografia del nostro volto ritratto, che accompagna tutti i nostri documenti personali (Patente di Guida, Passaporto, Carta d'Identità), fosse creato a mano libera come un disegno o una pittura. Non avrebbe alcuna validità legale. Per questo la fotografia si è rivelata uno strumento di sempre maggiore utilità nell'indagine scientifica, documentaristica e legale. Non solo, essa offre infatti la possibilità di registrare fenomeni che non possono essere osservati direttamente ad occhio nudo, come per esempio quelli che si verificano in tempi brevissimi (fotografia ultrarapida), quelli che avvengono su scala microscopica, quelli che interessano regioni molto vaste della Terra o dello spazio dell'Universo (fotografia aerea, orbitale, astronomica) e quelli legati alle radiazioni elettromagnetiche invisibili all'uomo.
Tra le più importanti applicazioni della fotografia in campo scientifico, si ricordano la fotografia ultrarapida e stroboscopica, la fotografia stereoscopica, la fotografia nell'infrarosso e nell'ultravioletto, la fotografia aerea e orbitale, la fotografia astronomica.
Anche la fotografia a raggi X è una tipologia di fotografia documentaristica utilizzata in vari campi della ricerca, come la fotografia forense, ecc.
Fotografia ultrarapida e stroboscopica
Già nel 1851 W. H. F. Talbot, utilizzando come fonte di luce la scintilla provocata dalla scarica di una serie di bottiglie di Leida, riuscì a realizzare delle immagini con un tempo di posa dell'ordine del milionesimo di secondo. Questa tecnica venne dapprima applicata alla balistica e le prime immagini di un proiettile in volo risalgono al 1885 e sono dovute a Ernst Mach; nel 1896 si osservò per la prima volta l'onda d'urto che si propaga insieme a un proiettile che si muove a elevata velocità.
Nel 1930 H. Edgerton iniziò uno studio sistematico delle possibilità della fotografia ultrarapida, dedicandosi particolarmente al perfezionamento delle sorgenti di luce e utilizzando in modo particolare il flash elettronico. In effetti gli otturatori meccanici non consentono tempi di posa inferiori a qualche frazione di millesimo di secondo, che permettono la ripresa solamente di oggetti in movimento relativamente lento.
Le riprese ultrarapide richiedono quindi l'impiego di sorgenti che emettono lampi di luce particolarmente brevi e intensi senza l'impiego di otturatori, oppure utilizzando otturatori speciali. Con questi sistemi si ottengono normalmente tempi di posa dell'ordine del decimilionesimo di secondo e si possono raggiungere i 5 nanosecondi. Utilizzando per l'illuminazione una serie di lampi di luce in rapida successione si ottiene sul negativo una serie di immagini in posizione diversa. È questo il principio su cui si basa la fotografia stroboscopica, utilizzata per l'analisi dei movimenti.
Fotografia stereoscopica
La fotografia riproduce gli oggetti su una superficie piana e l'illusione della profondità è data esclusivamente dalla prospettiva e dal chiaroscuro. È però possibile riprodurre l'effetto della visione binoculare osservando separatamente con i due occhi due immagini riprese da punti posti a distanza pupillare attraverso l'utilizzo della fotocamera stereoscopica.
La fotografia stereoscopica nasce per interessamento di sir Charles Wheatstone che nel 1832 realizza il primo stereoscopio a specchi e che, in seguito alla nascita della fotografia, entra in contatto con William Fox Talbot, commissionandogli i primi esperimenti di "stereofotografia". Le prime immagini stereoscopiche vengono realizzate nel 1842 e sono dei dagherrotipi. In seguito gli stereogrammi verranno confezionati come positivi su cartoncino, illuminati per riflessioni, su carta sottile e lastre di vetro, illuminati per trasparenza, e infine, nel XX secolo su diapositiva, trovando ampia diffusione commerciale.
La fotografia stereoscopica trova svariate applicazioni che vanno dal puro intrattenimento, alla ricerca scientifica (ad esempio l'osservazione astronomica), al rilievo fotogrammetrico.
Fotografia nell'infrarosso e ultravioletto
Gli alogenuri d'argento possiedono una sensibilità naturale che si estende nelle zone dell'ultravioletto e del blu ed è limitata solo dall'assorbimento dell'obiettivo, della gelatina e dell'aria. I comuni obiettivi fotografici trasmettono l'ultravioletto fino a circa 320 nm, limite oltre il quale occorre usare obiettivi con lenti in quarzo o fluorite, che trasmettono fino a circa 120 nm. Peraltro, al di sotto dei 200 nm diviene sensibile l'assorbimento dell'aria, per cui occorre operare in atmosfera d'azoto o, meglio, nel vuoto.
Per evitare la perdita di sensibilità dovuta all'assorbimento della gelatina, si usano emulsioni con concentrazione di bromuro d'argento molto elevata. Oltre che per la ripresa diretta di immagini, la radiazione ultravioletta viene spesso impiegata per eccitare la fluorescenza degli oggetti da fotografare nel campo del visibile. In questo caso si antepone all'obiettivo un filtro che blocchi la radiazione ultravioletta riflessa dal soggetto trasmettendo invece la fluorescenza visibile.
La ripresa viene effettuata con un comune materiale in bianco e nero o, più spesso, a colori, a causa della vivacità dei colori di fluorescenza. All'altra estremità dello spettro visibile, la radiazione infrarossa non viene assorbita dagli alogenuri d'argento e non è quindi in grado di impressionare le emulsioni fotografiche.
Particolari sensibilizzatori cromatici possono però rendere sensibili i materiali fotografici anche alla radiazione infrarossa fino a circa 850 nm. L'impiego di filtri particolari consente di limitare la trasmissione della radiazione visibile, cui il bromuro d'argento è sensibile, fino a eliminarla completamente con l'impiego di filtri neri. Esistono anche materiali a colori con uno strato sensibile all'infrarosso, registrato con un colore convenzionale.
Le riprese nell'infrarosso e nell'ultravioletto interessano principalmente i campi dell'astrofisica, spettroscopia, mineralogia, criminologia, storia dell'arte, biologia, medicina, prospezione aerea del suolo, grafoscopia.
Fotografia aerea e orbitale
L'aerofotogrammetria è la tecnica di indagine del terreno che si serve di macchine fotografiche installate a bordo di aeromobili. Trova applicazioni nel campo della ricognizione archeologica, delle ricerche geologiche, in agricoltura per ricavare informazioni sulla natura dei terreni e sull'estensione delle colture, in campo militare per ottenere informazioni su obiettivi strategici.
La fotografia orbitale permette la ripresa di immagini da altezze molto superiori a quelle proprie della fotografia aerea, della quale costituisce un'estensione, mediante apparecchi posti su veicoli spaziali in orbita intorno alla Terra. Tra le sue varie applicazioni si ricordano le indagini meteorologiche, le ricerche sull'inquinamento dei mari, sulle risorse della Terra. Queste applicazioni sono sempre più raffinate anche grazie allo sviluppo e all'incrocio di diverse tecniche di ripresa fotografica digitale incrociate con altri sistemi di rilevazione come il radar.
Esempio di ciò è il satellite Envisat, messo in orbita dall'ESA (Agenzia Spaziale Europea) che grazie all'incrocio dei dati prodotti dai suoi undici strumenti permette la realizzazione di immagini satellitari utili per lo studio di fenomeni come la desertificazione, l'eutrofizzazione dei mari e i cambiamenti climatici.
Fotografia astronomica
Consiste nella registrazione fotografica delle immagini dei corpi celesti. Tale tecnica presenta diversi vantaggi rispetto all'osservazione diretta perché l'emulsione fotografica, esposta per un tempo sufficientemente lungo, viene impressionata anche da radiazioni visibili di intensità troppo debole per poter essere percepite dall'occhio umano anche con l'aiuto di potenti telescopi. Il metodo prevede appositi sistemi di inseguimento che compensano la rotazione della terra e la conseguente rotazione apparente della volta celeste. In assenza di questi si ottengono effetti artistici con conseguente strisciata, centrata a nord, degli astri, o ci si limita a brevi esposizioni a basso ingrandimento.
Inoltre l'uso di emulsioni particolarmente sensibilizzate permette lo studio di corpi celesti che emettono radiazioni comprese in zone dello spettro luminoso in corrispondenza delle quali l'occhio umano non è sensibile. In tempi più recenti sono stati usati anche sistemi digitali, basati su CCD o CMOS, delle volte raffreddati a basse temperature per diminuire il rumore termico. Tramite l'uso di filtri interferenziali, è anche possibile ottenere fotografie solo alla luce di alcune righe spettrali, ottenendo quindi informazioni sulla composizione della sorgente. Tuttavia, è possibile ottenere ottime fotografie astronomiche anche con fotocamere reflex commerciali (in quest'ultimo caso, è consigliato rimuovere il filtro che copre il sensore in quanto ha una bassa trasmissività per i fotoni h-alpha, una riga importantissima in astronomia in quanto tutte le regioni HII emettono in tale banda).
Fotomicrografia
Consiste nella registrazione fotografica delle immagini di soggetti piccolissimi, nel caso di microscopia ottica nell'ordine dei micron. Anche qui tale tecnica presenta diversi vantaggi rispetto all'osservazione diretta perché l'emulsione fotografica o il sensore digitale, esposti per un tempo sufficientemente lungo, registrano anche radiazioni di intensità troppo debole per poter essere percepite dall'occhio umano e, specialmente in caso di tecniche in fluorescenza, permettono l'arresto tramite tempi di esposizione brevi di soggetti molto rapidi come protozoi in vivo, o la visualizzazione in porzioni dello spettro non percepibili dall'occhio eccetera.
Arte
La fotografia cominciò ad acquistare autonomia agli inizi del XX secolo, mentre le polemiche sui rapporti con l'arte, in seguito indagati con acutezza da Walter Benjamin, erano vivacissime. In merito alla diatriba, sempre attuale, una distinzione si può fare tra la fotografia come strumento e la fotografia come linguaggio. Nel primo caso si sfruttano in quanto tali le possibilità di riproduzione meccanica delle immagini, nel secondo queste stesse possibilità vengono utilizzate a fini documentaristici ed espressivi.
Quindi da un lato si possono annoverare i processi di fotoriproduzione, utilizzati nei settori più diversi, dalla fotomeccanica alla spettroscopia, dall'altro tutte le utilizzazioni della fotografia per una descrizione, a diversi livelli di obiettività, di fenomeni scientifici, di avvenimenti, di realtà sociali o di altri valori umani, figurativi e astratti.
In opposizione ai concetti della foto d'arte, con tutto il corollario dei trucchi di mestiere, operò agli inizi del XX secolo Alfred Stieglitz, capo del gruppo statunitense Photo-Secession, esaltando le riprese immediate con piccoli apparecchi portatili alla ricerca dell'illusione di realtà, cercando il cubismo nella natura (soggetti disumanizzati, riproduzione del ritmo nella ripetizione di elementi base, sovrapposizioni, ecc.).
Dal canto suo il tedesco Albert Renger-Patzsch, in polemica con le tesi della Photo-Secession sostenne, parafrasando Spinoza, che la bellezza del mondo dipendeva dall'immaginazione dell'uomo e quindi anche dalla scelta che l'obiettivo faceva del particolare.
Una terza tesi veniva proposta da A. G. Bragaglia, teorizzata nel volume Fotodinamismo futurista (1911), da fotografi come l'americano Alvin Langdon Coburn, lo svizzero Christian Schad, l'ungherese László Moholy-Nagy (del Bauhaus), lo statunitense Man Ray, l'italiano Luigi Veronesi che, proclamando l'importanza essenziale della "ricerca" riaffermavano o giungevano all'astrattismo.
Fu questo il punto di partenza di ogni avventura e sperimentazione fotografica successiva, testimoniate dall'attività di gruppi come Fotoform (1949), dalle foto di movimento di Gjon Mili, dalla scuola della candid photography e da tutti gli sperimentatori fluttuanti dalla ricerca del vero alla sensazione, dal documento alla realizzazione d'arte. In Italia la fotografia d'arte è chiamata anche fotografia di ricerca e raggiunge il suo apice negli anni '70-'80. Tra gli autori più significativi di questo genere fotografico vanno ricordati: Luigi Ghirri, Franco Fontana, Paolo Gioli. Un cenno va fatto anche per le fotografie di moda e di pubblicità, che adattano alle specifiche funzioni il patrimonio finora acquisito, trasfondendo nell'immagine, con la suggestione creativa, il potere o la ricerca della persuasione.
Oggi la fotografia è accettata come una vera e propria forma d'arte. Indicatori di questo sono il numero crescente di musei, collezioni e strutture di ricerca per la fotografia, l'aumento di cattedre per la fotografia e, ultimo ma non meno importante, l'aumento del valore delle fotografie nelle aste d'arte e i circoli collezionistici. Molte aree tematiche sono state istituite: il paesaggio, nudo, industriale, fotografia teatrale, e altre ancora.
Un'evoluzione ulteriore della fotografia, limitrofa al cinema, è la multivisione, basata sulla proiezione di diapositive in dissolvenza incrociata, spesso con un accompagnamento musicale. Questa tecnica è utilizzata spesso a scopi didattici o pubblicitari, ma la forte componente creativa e poetica del mezzo fotografico ha ispirato la creazione in multivisione di autentiche opere d'arte. La fotografia digitale ha poi ulteriormente variato il contesto mettendo alla portata di tutti la tecnica delle presentazioni, anch'esse destinate principalmente a scopi illustrativi, commerciali, didattici, ma passibile di utilizzo in campo artistico
Fotografia digitale e quella analogica
Diritto
Il diritto d'autore considera fotografie ai fini della tutela relativa alle «immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo» (dalla Legge 22 aprile 1941, n. 633, CAPO V art. 87).
Viene stabilito che «Spetta al fotografo il diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio della fotografia, salve le disposizioni stabilite dalla Sezione II del CAPO VI di questo titolo, per ciò che riguarda il ritratto e senza pregiudizio, riguardo alle fotografie riproducenti opere dell'arte figurativa, dei diritti di autore sull'opera riprodotta.
Tuttavia se l'opera è stata ottenuta nel corso e nell'adempimento di un contratto di impiego o di lavoro, entro i limiti dell'oggetto e delle finalità del contratto, il diritto esclusivo compete al datore di lavoro. La stessa norma si applica, salvo patto contrario a favore del committente quando si tratti di fotografia di cose in possesso del committente medesimo e salvo pagamento a favore del fotografo, da parte di chi utilizza commercialmente la riproduzione, di un equo corrispettivo. Il Ministro per i beni e le attività culturali con le norme stabilite dal regolamento, può fissare apposite tariffe per determinare il compenso dovuto da chi utilizza la fotografia» (dalla Legge 22 aprile 1941, n. 633, CAPO V art. 88).
La durata del diritto del detentore di questo sulla fotografia è di anni venti (Legge 22 aprile 1941, n. 633, CAPO V art. 92).
Il diritto tutela anche la privacy del soggetto fotografato. Infatti, è permessa la diffusione di fotografie senza il permesso del soggetto solo nel caso di personaggio pubblico, inteso come persona che, per lavoro o carica istituzionale, è noto al pubblico, o nel caso la persona sia ritratta nel corso di eventi aperti al pubblico (ad esempio se una persona partecipa ad una manifestazione sportiva). Negli altri casi, il fotografo titolare dell'opera deve ottenere il permesso (chiamato liberatoria) alla pubblicazione (intesa anche come esposizione a una mostra) da parte del soggetto.
Note
Bibliografia
Susan Sontag, Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società (On Photography, 1977), trad. di Ettore Capriolo, Collana Nuovo Politecnico n.107, Einaudi, Torino, I ed. 1978.
Luc Boltanski, Pierre Bourdieu, Castel (Robert), La fotografia. Usi e funzioni sociali di un'arte media, Rimini, Guaraldi, 1976 (II ed: 2004).
Voci correlate
Fotografia digitale
Foto
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Bracketing
Camera oscura (sviluppo fotografico)
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1869 | https://it.wikipedia.org/wiki/Logica%20fuzzy | Logica fuzzy | La logica fuzzy (o logica sfumata o logica sfocata) è una logica in cui si può attribuire a ciascuna proposizione un grado di verità diverso da 0 e 1 e compreso tra di loro. È una logica polivalente, ossia un'estensione della logica booleana. È legata alla teoria degli insiemi sfocati. Già intuita da Cartesio, Bertrand Russell, Albert Einstein, Werner Karl Heisenberg, Jan Łukasiewicz e Max Black, fu concretizzata da Lotfi Zadeh.
Con grado di verità o valore di appartenenza si intende quanto è vera una proprietà, che può essere, oltre che vera (= a valore 1) o falsa (= a valore 0) come nella logica classica, anche parzialmente vera e parzialmente falsa.
Si può ad esempio dire che:
un neonato è "giovane" di valore 1
un diciottenne è "giovane" di valore 0,8
un sessantacinquenne è "giovane" di valore 0,15
Formalmente, questo grado di appartenenza è determinato da un'opportuna funzione di appartenenza μF(x)= μ. La x rappresenta dei predicati da valutare e appartenenti a un insieme di predicati X. La μ rappresenta il grado di appartenenza del predicato all'insieme fuzzy considerato e consiste in un numero reale compreso tra 0 e 1. Alla luce di quanto affermato, considerato l'esempio precedente e un'opportuna funzione di appartenenza monotona decrescente quello che si ottiene è:
μF(neonato) = 1
μF(diciottenne) = 0,8
μF(sessantacinquenne) = 0,15
Storia
Nei primi anni sessanta, Lotfi A. Zadeh, professore all'Università della California di Berkeley, noto per i suoi contributi alla teoria dei sistemi, cominciò a capire che le tecniche tradizionali di analisi dei sistemi erano eccessivamente e inutilmente accurate per molti problemi tipici del mondo reale. L'idea di grado d'appartenenza, concetto divenuto poi la spina dorsale della teoria degli insiemi sfumati, fu da lui introdotta nel 1964, e ciò portò in seguito, nel 1965, alla pubblicazione di un primo articolo e alla nascita della logica sfumata. Il concetto di insieme sfumato (o insieme sfocato), e di logica sfumata, attirò le aspre critiche della comunità accademica; nonostante ciò studiosi e scienziati di tutto il mondo - dei campi più diversi, dalla psicologia alla sociologia, dalla filosofia all'economia, dalle scienze naturali all'ingegneria - divennero seguaci di Zadeh.
In Giappone la ricerca sulla logica sfumata cominciò con due piccoli gruppi universitari fondati sul finire degli anni settanta: il primo era guidato, a Tokyo, da T. Terano e H. Shibata, l'altro si stabilì a Kanasai sotto la guida di K. Tanaka e Kiyoji Asai. Al pari dei ricercatori americani questi studiosi si scontrarono, nei primi tempi, con un'atmosfera avversa alla logica fuzzy. E tuttavia la loro tenacia e il duro lavoro si sarebbero dimostrati estremamente fruttuosi già dopo un decennio: i ricercatori giapponesi, i loro studenti e gli studenti di questi ultimi produssero importanti contributi sia alla teoria sia alle applicazioni della logica fuzzy.
Nel 1974, Seto Assilian ed Ebrahim H. Mamdani svilupparono, in Gran Bretagna, il primo sistema di controllo di un generatore di vapore basato sulla logica fuzzy. Nel 1976, la Blue Circle Cement e il SIRA idearono la prima applicazione industriale della logica fuzzy, per il controllo di una fornace per la produzione di cemento. Il sistema divenne operativo nel 1982.
Nel corso degli anni ottanta, diverse importanti applicazioni industriali della logica fuzzy furono lanciate con pieno successo in Giappone. Dopo otto anni di costante ricerca, sviluppo e sforzi di messa a punto, nel 1987 Seiji Yasunobu e i suoi colleghi della Hitachi realizzarono un sistema automatizzato per il controllo operativo dei treni metropolitani della città di Sendai. Un'altra delle prime applicazioni di successo della logica fuzzy è un sistema per il trattamento delle acque di scarico sviluppato dalla Fuji Electric. Queste e altre applicazioni motivarono molti ingegneri giapponesi ad approfondire un ampio spettro di applicazioni inedite: ciò ha poi condotto a un vero boom della logica fuzzy, peraltro il risultato di una stretta collaborazione, e del trasferimento tecnologico tra Università e Industria. Due progetti di ricerca nazionali su larga scala furono decisi da agenzie governative giapponesi nel 1987, il più noto dei quali sarebbe stato il Laboratory for International Fuzzy Engineering Research (LIFE). Alla fine di gennaio del 1990, la Matsushita Electric Industrial Co. diede il nome di "Asai-go (moglie adorata) Day Fuzzy" a una nuova lavatrice a controllo automatico, e lanciò una campagna pubblicitaria in grande stile per il prodotto "fuzzy". Tale campagna si è rivelata un successo commerciale non solo per il prodotto, ma anche per la tecnologia stessa. Il termine d'origine estera "fuzzy" fu introdotto nella lingua giapponese con un nuovo e diverso significato: intelligente. Molte altre aziende elettroniche seguirono le orme della Panasonic e lanciarono sul mercato aspirapolvere, fornelletti per la cottura del riso, frigoriferi, videocamere (per stabilizzare l'inquadratura sottoposta ai bruschi movimenti della mano) e macchine fotografiche (con un autofocus più efficace). Ciò ebbe come risultato una vera mania per tutto quanto era etichettato come fuzzy: i consumatori giapponesi impararono a conoscere la parola "fuzzy", che vinse il premio per il neologismo dell'anno nel 1990. I successi giapponesi stimolarono un vasto e serio interesse per questa tecnologia in Corea, in Europa e, in misura minore, negli Stati Uniti, dove pure la logica fuzzy era nata.
La logica fuzzy ha trovato applicazione anche in campo finanziario. Il primo sistema per le compravendite azionarie a logica sfumata è stato lo Yamaichi Fuzzy Fund, usato in sessantacinque aziende, e tratta la maggioranza dei titoli quotati dell'indice Nikkei Dow, e consiste approssimativamente in ottocento regole, determinate con cadenza mensile da un gruppo di esperti e, se necessario, modificate da esperti analisti finanziari. Il sistema è stato testato per due anni e il suo rendimento ha superato l'indice Nikkei Average di oltre il 20%. Durante il periodo di prova il sistema consigliò "sell", ossia "vendere", ben diciotto giorni prima del Lunedì Nero (19 ottobre 1987): nel corso di quel solo giorno l'indice Dow Jones Industrial Average diminuì del 23%. Il sistema divenne operativo nel 1988.
Il primo chip VLSI (Very Large Scale Integration) dedicato alla computazione d'inferenze fuzzy fu sviluppato da Masaki Togai e H. Watanabe nel 1986: chip di tal genere sono in grado di migliorare le prestazioni dei sistemi fuzzy per tutte le applicazioni in tempo reale. Diverse imprese (per esempio, Togai Infralogic, Aptronix, Inform GmbH) sono state costituite allo scopo di commercializzare strumenti hardware e software per lo sviluppo di sistemi a logica sfumata. Allo stesso tempo, anche i produttori di software, nel campo della teoria convenzionale del controllo, cominciarono a introdurre pacchetti supplementari di progettazione dei sistemi fuzzy. Il Fuzzy Logic Toolbox per MATLAB, ad esempio, è stato presentato quale componente integrativo nel 1994.
Concetti fondamentali
Nel 1994 Zadeh scriveva:
La teoria degli insiemi fuzzy è un'estensione della teoria classica degli insiemi poiché per essa non valgono i principi aristotelici di non-contraddizione e del terzo escluso ("tertium non datur"). Si ricorda che, dati due insiemi e (non-A), il principio di non-contraddizione stabilisce che ogni elemento appartenente all'insieme non può contemporaneamente appartenere anche a ; secondo il principio del terzo escluso, d'altro canto, l'unione di un insieme e del suo complemento costituisce l'universo del discorso. In altri termini, se un qualunque elemento non appartiene all'insieme , esso necessariamente deve appartenere al suo complemento .
Tali principi logici conferiscono un carattere di rigida bivalenza all'intera costruzione aristotelica, carattere che ritroviamo immutato e indiscusso sino alla prima metà del XX secolo, quando l'opera di alcuni precursori di Zadeh (in primis Max Black e Jan Łukasiewicz) permise di dissolvere la lunga serie di paradossi cui la bivalenza della logica classica aveva dato luogo e che non era in grado di chiarire.
Il più antico e forse celebre di tali paradossi è quello attribuito a Eubulide di Mileto (IV secolo a.C.), noto anche come paradosso del mentitore, il quale, nella sua forma più semplice, recita:
"Il cretese Epimenide afferma che tutti i cretesi sono bugiardi".
In tale forma, suggerita dalla logica proposizionale, ogni affermazione esprime una descrizione di tipo dicotomico. Al contrario, nella logica predicativa ogni proposizione esprime un insieme di descrizioni simili o di fatti atomici, come nella frase tutti i cretesi sono bugiardi. Si noti che, a rigor di logica (bivalente), una formulazione del paradosso contenente tale frase è falsa, in quanto è vera la sua negazione: la negazione di tutti non è nessuno, ma non tutti, quindi non tutti i cretesi sono bugiardi, Epimenide è un bugiardo, ed essendo vera la sua negazione, l'affermazione di Epimenide risulterebbe falsa.
Ad ogni modo, il paradosso del mentitore nella sua forma proposizionale appartiene alla classe dei paradossi di autoriferimento. Ogni membro di questa classe presenta una struttura del tipo:
"La frase seguente è veraLa frase precedente è falsa"
o in maniera più sintetica:
"Questa frase è falsa"
Orbene, la logica aristotelica si dimostra incapace di stabilire se queste proposizioni siano vere o false. Essa è strutturalmente incapace di dare una risposta proprio in quanto bivalente, cioè proprio perché ammette due soli valori di verità: vero o falso, bianco o nero, tutto o niente; ma giacché il paradosso contiene un riferimento a sé stesso, non può assumere un valore che sia ben definito (o vero o falso) senza autocontraddirsi: ciò implica che ogni tentativo di risolvere la questione posta si traduce in un'oscillazione senza fine tra due estremi opposti. Il vero implica il falso, e viceversa.
Secondo Bart Kosko, uno dei più brillanti allievi di Zadeh, infatti, se quanto afferma Epimenide è vero, allora il cretese mente: pertanto, poiché Epimenide è cretese, quindi mente, dobbiamo concludere che egli dice il vero. Viceversa, se l'affermazione di Epimenide è falsa, allora il cretese Epimenide non mente, e pertanto si deduce che egli mente. In termini simbolici, indicato con V l'enunciato del paradosso di Eubulide, e con v = 0/1 il suo valore di verità binario, si ha, analizzando separatamente i due casi possibili:
e tenendo presente che, come mostrato in precedenza, il valore di verità di V coincide con quello della sua negazione !V, vale a dire: v=!v, si perviene all'equazione logica che esprime tale contraddizione:
la cui soluzione è banalmente data da:
Da ciò si deduce finalmente che l'enunciato del paradosso non è né vero né falso, ma è semplicemente una mezza verità o, in maniera equivalente, una mezza falsità. Le due possibili conclusioni del paradosso si presentano nella forma contraddittoria A e non-A, e questa sola contraddizione è sufficiente a inficiare la logica bivalente. Ciò al contrario non pone alcun problema alla logica fuzzy, poiché, quando il cretese mente e non mente allo stesso tempo, lo fa solo al 50%. Quanto esposto conferma la sua validità in tutti i paradossi di autoriferimento.
È interessante notare come, ammettendo esplicitamente l'esistenza di una contraddizione, la condizione che la traduce venga poi impiegata per determinare l'unica soluzione contraddittoria tra le infinite possibili (sfumate, cioè a valori di verità frazionari) per la questione posta: ciò conferma l'insussistenza dei principi di non contraddizione e del terzo escluso nella logica anche se ovviamente rimangono validi parlando di Razionalità Interne Oggettive.
Infatti, nella logica fuzzy l'esistenza di circostanze paradossali, vale a dire di situazioni in cui un certo enunciato è contemporaneamente vero e falso allo stesso grado, è evidenziata da ciascuno dei punti d'intersezione tra una generica funzione d'appartenenza e il suo complemento, avendo necessariamente tali punti ordinata pari a ½.
Ciò in quanto il valore di verità della proposizione in questione coincide con il valore di verità della sua negazione.
Gli operatori logici AND, OR e NOT della logica booleana sono definiti di solito, nell'ambito della logica fuzzy, come operatori di minimo, massimo e complemento; in questo caso, sono anche detti operatori di Zadeh, in quanto introdotti per la prima volta nei lavori originali dello stesso Zadeh. Pertanto, per le variabili fuzzy x e y si ha, ad esempio:
Si è detto che la teoria degli insiemi sfumati generalizza la teoria convenzionale degli insiemi; pertanto anche le sue basi assiomatiche sono inevitabilmente diverse. A causa del fatto che il principio del terzo escluso non costituisce un assioma della teoria degli insiemi fuzzy, non tutte le espressioni e le identità, logicamente equivalenti, dell'algebra booleana mantengono la loro validità anche nell'ambito della logica fuzzy.
Recentemente si sono sviluppati rigorosi studi della logica fuzzy "in senso stretto", studi che si inseriscono nell'antico filone delle logiche a più valori inaugurato da Jan Łukasiewicz (si veda ad esempio il libro di Petr Hájek). Tuttavia la logica sfumata, oltre ad avere ereditato le motivazioni filosofiche all'origine delle logiche a più valori, si inquadra nel contesto più ampio delle metodologie che hanno consentito un marcato rinnovamento dell'intelligenza artificiale classica, dando vita al cosiddetto soft computing che ha tra i suoi costituenti principali le reti neurali artificiali, gli algoritmi genetici e il controllo fuzzy.
Applicazione a situazioni reali
Una semplice applicazione potrebbe essere la categorizzazione in sotto ranghi di una variabile continua.
Per esempio, la misura di una temperatura per un sistema anti-blocco di un impianto frenante potrebbe avere diverse funzionalità a seconda di particolari range di temperature per controllare i freni nella maniera corretta. Ogni funzione mappa un certo range di temperatura, come valori booleani 0 o 1 a seconda che la temperatura sia o meno nel range specifico. Questi valori booleani possono essere utilizzati per determinare la maniera in cui i freni devono essere controllati.
In questa immagine le tre funzioni, freddo (in blu), tiepido (in arancione), e caldo (in rosso) sono rappresentate nel diagramma riferite alla comune variabile, la temperatura. Una particolare temperatura assunta dal sistema anti-blocco (linea verticale in grigio) ha tre valori logici, uno per ciascuna delle tre funzioni. Finché la freccia rossa punta a zero, la funzione caldo non è vera (temperatura non calda, con operatori matematici: "NOT hot"). La freccia arancione (che punta a 0,2) indica che la funzione tiepido è vera solo in piccola parte (si può descrivere a parole come "un po' tiepido"); al contrario la freccia blu (che punta a 0,8) indica che la funzione freddo è abbastanza vera ("abbastanza freddo"). La logica fuzzy è stata applicata in molti campi ingegneristici. Applicazioni della logica fuzzy si sono avute soprattutto nello sviluppo tecnologico degli elettrodomestici intelligenti da parte delle industrie giapponesi. Un'altra applicazione reale della logica fuzzy è da pochi anni la logica della diagnosi clinica. In questo campo si è avuto un confronto molto interessante fra logica fuzzy e calcolo delle probabilità.
Intelligenza artificiale
L'intelligenza artificiale e la logica fuzzy, se analizzate, sono la stessa cosa: la logica sottostante alle reti neurali è fuzzy. Una rete neurale prende una serie di input valutati, attribuisce loro pesi diversi in relazione agli altri e giunge a una decisione che normalmente ha anche un valore. In questo processo non c'è nulla di simile alle sequenze di decisioni o-o che caratterizzano la matematica non fuzzy, quasi tutta la programmazione dei computer e l'elettronica digitale. Negli anni '80, i ricercatori erano divisi sull'approccio più efficace all'apprendimento automatico: modelli di "buon senso" o reti neurali. Il primo approccio richiede alberi decisionali di grandi dimensioni e utilizza la logica binaria, adattandosi all'hardware su cui viene eseguito. I dispositivi fisici possono essere limitati alla logica binaria, ma l'intelligenza artificiale può utilizzare il software per i suoi calcoli. Le reti neurali adottano questo approccio, che si traduce in modelli più accurati di situazioni complesse. Le reti neurali hanno presto trovato posto in una moltitudine di dispositivi elettronici.
Fuzzy Databases
Una volta definite le relazioni fuzzy, è possibile sviluppare database relazionali fuzzy. Il primo database relazionale fuzzy, FRDB, è apparso nella tesi di laurea di Maria Zemankova (1983). In seguito sono nati altri modelli come il modello Buckles-Petry, il modello Prade-Testemale, il modello Umano-Fukami o il modello GEFRED di J. M. Medina, M. A. Vila et al.
Sono stati definiti linguaggi di interrogazione fuzzy, come SQLf di P. Bosc et al. e FSQL di J. Galindo et al. Questi linguaggi definiscono alcune strutture per includere aspetti fuzzy nelle istruzioni SQL, come condizioni fuzzy, comparatori fuzzy, costanti fuzzy, vincoli fuzzy, soglie fuzzy, etichette linguistiche ecc.
Sistemi di protezione perimetrale
Un’importante applicazione della logica fuzzy nella vita reale è legata alla nostra sicurezza; difatti, il concetto è stato analizzato, sviluppato e applicato a sistemi di allarme utilizzati per proteggere perimetri di abitazioni private, aeroporti, carceri, centrali elettriche e molto altro.
L’inserimento della logica fuzzy all’interno di barriere a microonda ha permesso di compiere un grande salto di qualità, a discapito di quelli che sono i sistemi di protezione che basano la loro prontezza sul concetto di ricevere un allarme basato sulla vecchia valutazione binaria analogica (due soglie fisse di sensibilità e tempo di integrazione). Per la logica bivalente un elemento appartiene O non appartiene all’insieme considerato, mentre per la logica fuzzy un elemento appartiene E non appartiene all’insieme.
Una barriera a microonda utilizzata per la protezione di campi o edifici, prima di dare un vero e proprio allarme, confronta il segnale di intrusione ricevuto dal rivelatore con 256 modelli di comportamento e assegna automaticamente il valore adeguato del tempo di integrazione.
La logica Fuzzy applicata a questo settore permette, perciò, di diminuire il tasso di falsi allarmi, aumentando la probabilità di rilevamento.
Fuzzy e probabilità
Per capire la differenza tra logica fuzzy e teoria della probabilità, facciamo questo esempio:
Consideriamo un lotto di 100 bottiglie d'acqua che ne contiene 5 di veleno. Per la teoria delle probabilità, se prendo una bottiglia dal lotto ho la probabilità pari a 0,95 di pescare una bottiglia contenente acqua. Il risultato dell'evento è bivalente: esito positivo 1, oppure negativo 0. In questo caso la logica bivalente esprime in maniera completa il caso e non avrebbe senso utilizzare la logica “sfumata”, in quanto l'universo dei casi possibili si riduce a solo due casi distinti. Adesso svuotiamo in un serbatoio tutte le 100 bottiglie del lotto, avremo una miscela composta per il 95% d'acqua e il 5% di veleno. Ora estraiamo dal serbatoio una quantità di miscela pari a una bottiglia. Possiamo ancora parlare di probabilità? Ovviamente no, il risultato sarà deterministico. Possiamo affermare che il liquido che abbiamo estratto sia acqua o veleno? No, sarà una miscela, dunque il risultato non potrà essere bivalente 0 o 1, ma dovrà assumere un valore “sfumato” tra 0 e 1. Alla domanda: “La miscela che ho estratto è acqua o veleno?” Con la logica fuzzy risponderemmo: posso dire che è acqua per un valore pari a 0,95 ed è veleno per un valore pari a 0,05. In effetti non creo una netta separazione tra i due insiemi “acqua” e “veleno”, ma esprimo un valore che mi dice in che misura il mio risultato appartiene all'insieme acqua e all'insieme veleno.
I valori fuzzy possono variare da 0 a 1 (come le probabilità) ma, diversamente da queste, descrivono eventi che si verificano in una certa misura mentre non si applicano a eventi casuali bivalenti (che si verificano oppure no, senza valori intermedi).
I rapporti tra logica sfumata e teoria della probabilità sono estremamente controversi . Da una parte, infatti, i probabilisti, forti di una tradizione secolare e di una posizione consolidata, hanno tentato di difendere il monopolio storicamente detenuto in materia di casualità e incertezza, asserendo che la logica sfumata è null'altro che una probabilità sotto mentite spoglie, sostenuti in tale convinzione dalla circostanza, da ritenersi puramente accidentale, che le misure di probabilità, al pari dei gradi d'appartenenza agli insiemi fuzzy, sono espresse da valori numerici inclusi nell'intervallo reale [0, 1].
Gli studiosi di parte fuzzy, al contrario, hanno mostrato che anche la teoria probabilistica, nelle sue varie formulazioni (basate, secondo i casi, sugli assiomi di Kolmogorov, su osservazioni concernenti la frequenza relativa d'accadimento di determinati eventi, oppure sulla concezione bayesiana soggettivista, secondo cui la probabilità è la traduzione, in forma numerica, di uno stato di conoscenza contingente), è in definitiva una teoria del caso ancora saldamente ancorata a una weltanschauung dicotomica e bivalente.
A questo proposito, Bart Kosko si è spinto fino a ridiscutere il concetto di probabilità così come emerso finora nel corso dell'evoluzione storica, sottolineando la mancanza di solidità di tutti i tentativi intesi a fondare la teoria della probabilità su basi diverse da quelle puramente assiomatiche, empiriche o soggettive, e ritenendola un puro stato mentale, una raffigurazione artificiosa destinata a compensare l'ignoranza delle cause reali di un evento: la probabilità sarebbe in realtà mero istinto di probabilità.
Al contrario, secondo l'interpretazione dello stesso Kosko, la probabilità è l'intero nella parte, ossia la misura di quanto la parte contiene l'intero.
La parte può, in effetti, contenere l'intero nella misura in cui la sua estensione può sovrapporsi a quella dell'insieme universale. Questa concezione comporta un'affermazione apparentemente singolare, quella per cui la parte può contenere l'intero, non soltanto nel caso banale in cui la parte coincide con l'intero; infatti, l'operatore di contenimento non è più bivalente, ma è esso stesso fuzzy e può pertanto assumere un qualunque valore reale compreso tra 0 (non contenimento) e 1 (contenimento completo o, al limite, coincidenza).
Su questa base, egli può finalmente concludere che la teoria degli insiemi sfumati contiene e comprende quella della probabilità come suo caso particolare; la realtà sarebbe pertanto deterministica, ma sfumata: la teoria del caos ne ha evidenziato la componente determinista, mentre la teoria fuzzy ha mostrato l'importanza del principio dell'homo mensura già espresso da Protagora.
Note
Bibliografia
Testi divulgativi
Testi in lingua inglese
Testi di valore storico
Voci correlate
Informazione parziale linearizzata
Insieme sfocato
Logica
Matematica
Rete neurale artificiale
Altri progetti
Collegamenti esterni
Logica nell'informatica
Teoria del controllo
Logica non classica |
1870 | https://it.wikipedia.org/wiki/Formula%20di%20de%20Moivre | Formula di de Moivre | La formula di de Moivre è una delle basi dell'analisi dei numeri complessi, ed è legata al piano complesso, ovverosia alla rappresentazione dei numeri complessi su un piano, considerando l'asse x l'asse dei reali e l'asse l'asse degli immaginari. Essa permette di esprimere la potenza di un numero complesso nella sua forma trigonometrica.
valida per ogni numero reale , con intero e unità immaginaria, è un importante contributo alla matematica in quanto collega i numeri complessi alla trigonometria. Applicando al membro sinistro lo sviluppo del binomio e uguagliando le parti reali e le parti immaginarie dell'identità nella nuova forma, si ottengono espressioni utili per e in termini di e . Inoltre si può usare la formula per trovare le espressioni esplicite per le radici -esime dell'unità, cioè i valori per i numeri complessi tali che .
Abraham de Moivre era un buon amico di Newton. Nel 1698 scrisse che la formula era nota a Newton perlomeno già nel 1676. La formula di de Moivre può essere derivata dalla formula di Eulero, anche se la precede storicamente, tramite lo sviluppo in serie di Taylor
e dalla legge esponenziale
Dimostrazione per induzione
Distinguiamo i tre casi relativi a , e .
Per si procede per induzione. Per la formula è una semplice uguaglianza di un'espressione con se stessa. Come ipotesi induttiva assumiamo che sia valida per qualche intero positivo , cioè assumiamo
Consideriamo poi il caso :
(per l'ipotesi induttiva)
(per le formule di addizione di seno e coseno)
L'ultima identità dice che la formula, se vale per allora è valida per e per il Principio di induzione matematica si conclude che la formula vale per tutti gli interi positivi.
Per la formula si riduce alla semplice identità , e .
Per , si considera l'intero positivo . Di conseguenza
, per quanto vale per ; razionalizzando il denominatore
e, per le proprietà trigonometriche di seno e coseno,
Dunque la formula è vera per tutti i valori interi di . QED
Generalizzazione
La formula di de Moivre viene generalizzata nel modo seguente.
Se e sono numeri complessi, allora
assume più di un valore, mentre
ha un solo valore. Comunque sia, è uno dei valori di
Bibliografia
Voci correlate
Abraham de Moivre
Isaac Newton
Eulero
Numeri complessi
Trigonometria
Polinomi di Chebyshev
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Analisi complessa
Numeri complessi
Trigonometria |
1871 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fucecchio | Fucecchio | Fucecchio (pronuncia ; Ficeclum in latino) è un comune italiano di abitanti della città metropolitana di Firenze in Toscana, nel Valdarno inferiore. Fa parte dell'Unione dei Comuni del Circondario Empolese Valdelsa e del Comprensorio del Cuoio.
Geografia fisica
Il comune si trova sulla riva destra del fiume Arno, al confine tra la città metropolitana di Firenze e le province di Pisa, Lucca e Pistoia e vicino all'area umida del Padule di Fucecchio.
Il suo territorio ricopre una superficie di 65 km², mediamente sui 25 m s.l.m. Il paese si estende in parte adagiato su di un colle, che fin dall'antichità ha preso il nome di "Poggio Salamartano", ed è caratterizzato da una porzione pianeggiante, posta all'estremità meridionale e settentrionale, una porzione collinare, caratterizzata dall'ambito delle Cerbaie e di Montellori, ed infine da una porzione di area depressa, che afferisce al Padule di Fucecchio.
Distante circa 45 chilometri da Firenze e 38 da Pisa, inserito nel Comprensorio del Cuoio, confina a nord con i comuni di Chiesina Uzzanese e di Ponte Buggianese, a est con i comuni di Larciano e Cerreto Guidi, a sud con il Comune di San Miniato e a ovest con i comuni di Santa Croce sull'Arno, di Castelfranco di Sotto e di Altopascio.
Classificazione sismica: zona 3S (sismicità medio-bassa), Ordinanza PCM 3519 del 28/04/2006
Classificazione climatica: zona D, 1728 GG
Diffusività atmosferica: media, Ibimet CNR 2002
Origini del nome
Il toponimo deriva dal latino ficus, ovvero da *ficetulum, nome collettivo che segnala la presenza di molte piante di fico. Il toponimo è ben attestato in epoca medievale come Ficcicclo (1027), Ficecli (1034), ficecchio (1260) e da qui il nome attuale.
Storia
Le origini di Fucecchio s'intrecciano con la storia di una delle famiglie comitali toscane più potenti del medioevo, i Conti Cadolingi, potente casata di origine longobarda che fondò in questo luogo sia il castello di Salamarzana sia l'abbazia di San Salvatore. L'età comunale fu un periodo di intensa crescita in cui Fucecchio ebbe importanza strategica in quanto territorio di frontiera nelle dispute fra Lucca e Firenze, vide le gesta e talvolta ne decise le sorti di Castruccio Castracani. Il 14 dicembre 1330, a seguito di propria istanza, il comune di Fucecchio entrò sotto la potestà della Repubblica Fiorentina e da quella data ne seguì le sorti e i voleri, accettando tra le altre cose anche il Podestà che sarebbe stato designato dalla Signoria. Intorno alla metà del 1300 la crescita demografica fu frenata da una grave pestilenza e la popolazione fu decimata. La ripresa fu lenta e coincise con il ripopolamento delle campagne a partire dal 1500, diventando ancora più rapida dalla seconda metà del 1700. Così, nel 1800, Fucecchio era di nuovo un paese popoloso con le attività principali legate alla manifattura, all'artigianato e al piccolo commercio; ma sarà nel secondo dopoguerra che incontrerà la sua vera “rivoluzione industriale” grazie allo sviluppo dei settori conciario e calzaturiero. Nel XIX secolo la comunità seguì e partecipò alle vicende storiche risorgimentali esprimendosi con una delle figure più importanti dell'epoca, Giuseppe Montanelli. Il 23 agosto 1944 le frazioni di Querce e Massarella furono tra le località colpite dall'eccidio del Padule di Fucecchio nel quale la 26ª divisione corazzata dell'esercito tedesco nazista uccise un totale di 175 civili (di cui uno solo partigiano). Fucecchio fu liberata il 1º settembre 1944 dalla VI Divisione corazzata sudafricana e dalla I Divisione corazzata americana.
Simboli
Lo stemma e il gonfalone di Fucecchio sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 2 ottobre 1988.
La figura nello scudo si trova descritta fin dal 1293.
Il gonfalone è un drappo troncato di nero e di bianco.
Onorificenze
Fucecchio è tra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione, insignite della croce di guerra al valor militare e, cumulativamente assieme ai Comuni di Monsummano Terme, Ponte Buggianese e Cerreto Guidi, della Medaglia d'argento al merito civile, per i sacrifici delle sue popolazioni e per l'attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale:
Monumenti e luoghi d'interesse
Architetture religiose
Collegiata di San Giovanni Battista (Piazza Vittorio Veneto), documentata fin dall'XI secolo, fu demolita alla fine del Settecento per far posto ad una nuova e più ampia costruzione. L’ingresso principale è raggiungibile sia dal Poggio Salamartano che da Piazza Vittorio Veneto mediante un’ampia scalinata in pietra. Il vasto interno, a croce latina con cappelle laterali, è in stile neoclassico.
Abbazia di San Salvatore (Poggio Salamartano), eretta nel 1001 presso l'oratorio di San Salvatore, fondato dal conte Cadolo presso l'Arno nel 986. All’esterno sono visibili elementi risalenti al periodo alto medievale, così come all’età medievale è riferibile la robusta torre campanaria che si eleva sul lato posteriore. L’interno della chiesa è ad unica ampia navata secondo il tipico schema francescano. L'oratorio ospita dipinti di Giorgio Vasari.
Oratorio della Madonna della Ferruzza (Via della Ferruzza 24), piccola chiesa situata a metà costa della pendice occidentale del colle su cui sorge la parte medievale del paese. Conserva all'interno un affresco di Filippino Lippi. L'entrata principale è sormontata da un portico romanico a tre arcate, a cui si accede mediante una scalinata in pietra, a fianco della quale si può osservare un antico lavatoio pubblico.
Chiesa di Santa Maria delle Vedute (Via Dante Alighieri 1), edificata nella prima metà del 1700 per ampliamento dell’oratorio di San Rocco fuori le mura, la chiesa prende il nome dall’immagine della Madonna che vi fu trasferita nel 1730 dalla località “Le Vedute”, nei boschi delle Cerbaie.
Convento della Vergine (Piazza La Vergine), la chiesa e il convento furono edificati agli inizi del Seicento nel luogo detto ''alle Cinque Vie'', all'incrocio di importanti strade di comunicazione. Al suo interno vi si conservano le spoglie di San Teofilo da Corte.
Santuario di Santa Maria alla Querce (Via della Cellina 14), situato al limite settentrionale del comune ha origini poco conosciute. Già nel Medioevo esisteva una chiesa ubicata più in basso rispetto all’attuale, ma è soltanto all’inizio del XVII secolo che questo luogo vive una nuova stagione, diventando un luogo di culto mariano.
Chiesa di San Pietro (Piazza della Chiesa, San Pierino)
Chiesa di San Bartolomeo (Via San Bartolomeo, Ponte a Cappiano)
Chiesa di San Gregorio Magno (Via San Gregorio, Torre)
Chiesa di Santa Maria (Piazza Sette Martiri, Massarella)
Architetture civili
Palazzo Montanelli della Volta (Via G. di San Giorgio 2), è probabile che il palazzo sia sorto nel Cinquecento per unione delle antiche abitazioni preesistenti. Attualmente è sede della Fondazione Montanelli Bassi.
Palazzo Corsini (Piazza Vittorio Veneto), situato nell'area dell'antica Rocca fiorentina, presso la quale venne ritrovato un pezzo degli scacchi, probabilmente una regina, databile tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento], forse appartenente ad una serie in uso ai soldati che per tutto il XIV secolo sorvegliarono la Rocca. Oggi, ospita il Museo Civico e Diocesano, la Biblioteca Comunale e l'Archivio Storico.
Palazzo del Podestà o Palazzo Pretorio (Piazza Vittorio Veneto), la sua costruzione iniziò nel 1304 e alla fine del Seicento l'area fu ulteriormente allargata. Oltre che residenza dei podestà, è stato sede del Vicariato regio e, nel XVIII secolo, ha ospitato al suo interno il Teatro della locale Accademia dei Fecondi. Ha subito poi la trasformazione in carcere mandamentale, in sede di Pretura e, infine, prima dell'ultima guerra, dell'Arma dei Carabinieri.
Palazzo Montanelli Ducci (Via Lamarmora 34), esempio di architettura barocca toscana oggi è sede del Comune di Fucecchio.
Palazzo Nelli (Via Machiavelli 28), altro esempio minore, seppur raffinato, di architettura barocca toscana.
Palazzo Landini Marchiani (Via Landini Marchiani 43), progettato poco prima della metà del Settecento dall’ingegner Angelo Mascagni oggi è sede dell'Arma dei Carabinieri.
Villa Bassi (Via Pesciatina 3), oggi di proprietà privata fu il luogo in cui Indro Montanelli da ragazzo trascorse molto tempo ospite della famiglia del Sindaco Emilio Bass
Altro
Poggio Salamartano, costituisce il polo religioso del paese da cui si accede alla Collegiata di San Giovanni Battista e all'Abbazia di San Salvatore.
Ponte Mediceo, ponte fortificato situato a Cappiano con annessi una pescaia ed un mulino, utilizzato nel 1400 come chiusa per regolare il deflusso delle acque del Padule. Nel 1550 Cosimo I fece ricostruire dandogli la forma attuale. A causa dei danni subiti durante la guerra, il ponte è rimasto per molto tempo nascosto da impalcature fino a quando, in occasione del Giubileo del 2000, è ritornato al suo antico splendore grazie ai finanziamenti ottenuti dal Comune. Oggi è adibito ad ostello.
Monumento a Giuseppe Montanelli, posto nella centralissima piazza Montanelli, di Raffaello Romanelli (inaugurato il 17 luglio 1892); il patriota è rappresentato in piedi, con il braccio destro al collo, in ricordo della battaglia di Curtatone e Montanara, con un plico nell'altra mano, appoggiato su una pila di libri, immagine che ha dato origine al soprannome "Ca'a 'libri".
Monumento ai Caduti, di Augusto Miniati (1922)
La Libertà in un nastro, monumento a Indro Montanelli (2017)
Società
Evoluzione demografica
La popolazione residente al 31 dicembre 2018 è di 23.080 abitanti, di cui il 73% residente nel capoluogo. La frazione con il maggior numero di residenti è S.Pierino con il 10% della popolazione. In ottica generale, si è assistito a due ondate di rapida crescita demografica, la prima dal 1965 al 1979 ha consentito alla popolazione residente di raggiungere quota 20.000 abitanti. La seconda, a partire dal 1994, dopo un luogo periodo di stabilità, è rappresentata dal fenomeno immigratorio da altri paesi. Dal 2014 al 2018 la popolazione è però diminuita di 651 unità.
Etnie e minoranze straniere
La popolazione straniera residente a Fucecchio è di 4.020 persone (il 17,42% della popolazione). Le nazionalità presenti sono 65, di cui quella maggiormente rappresentata è quella cinese, seguita da quella albanese (1.794), marocchina (776), senegalese (252) e rumena (230).
Cultura
Musei
Museo Civico e Diocesano di Fucecchio (Piazza Vittorio Veneto 27), fondato nel 1969 è stato riaperto nel 2004 nella cornice di Palazzo Corsini. Articolato in tre sezioni (archeologica, storico-artistica, naturalistica) fa parte della Rete Museale del Valdarno di Sotto e del Museo Diffuso Empolese Valdelsa.
Fondazione Montanelli Bassi (Via G. di San Giorgio 2), istituita nel 1987 per volontà di Indro Montanelli conserva e valorizza il patrimonio storico di cui è dotata, promuove studi e pubblicazioni sulla storia, le tradizioni e la cultura del territorio comunale, organizza borse di studio e premi di scrittura, intraprende iniziative per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, culturale ed ambientale di Fucecchio. Sono inoltre visitabili, al suo interno, le "Stanze" con numerosi arredi e testimonianze relative a Indro Montanelli.
Biblioteche
Biblioteca comunale "Indro Montanelli" (Piazza di Vittorio 26/a), composta da una sezione generale aperta a consultazione o prestito, una riservata a riviste e quotidiani; una dedicata alla documentazione locale e uno scaffale multilingue. Presente, inoltre, uno dei più ricchi archivi storici comunali (archivio Egisto Lotti).
Ludoteca "Albero fatato" (Piazza di Vittorio 26/a), sezione dedicata ai ragazzi all'interno della biblioteca comunale con testi per ricerche scolastiche, libri di narrativa per ragazzi ed uno spazio riservato ai più piccoli.
Stampa
A Fucecchio hanno sede la rivista trimestrale Erba d'Arno, dedicata a temi letterari e culturali, con testi inediti di autori contemporanei, e il magazine trimestrale Reality, che tratta argomenti legati al territorio.
Geografia antropica
Suddivisioni storiche
A partire dal 1980, per la disputa del Palio di Fucecchio, il territorio del comune è stato suddiviso in 14 contrade:
Contrada Borgonovo
Contrada Botteghe
Contrada Cappiano
Contrada Ferruzza
Contrada Massarella
Contrada Porta Bernarda
Contrada Porta Raimonda
Contrada Querciola
Contrada Samo
Contrada San Pierino
Contrada Sant'Andrea
Contrada Torre
Contrada Galleno
contrada le Vedute
Frazioni
Il territorio comunale è diviso in varie frazioni Botteghe, Galleno, Le Vedute, Massarella, Le Pinete, Ponte a Cappiano, Querce, San Pierino e Torre.
Galleno
Il centro della frazione sorge sulla Via Francigena, e proprio ad essa deve il suo sviluppo in età antica, infatti durante il Medioevo i mercanti che la percorrevano erano soliti sostare nel borgo.
I primi documenti risalenti all'XI secolo, indicano Galleno come un piccolo borgo, nel 1113 passò sotto la signoria del Vescovo di Lucca. A partire dal 1284 si sottomise al comune di Fucecchio.
A Galleno si trova un tratto di circa 800 metri dell'antico selciato in ottimo stato di conservazione.
Nel 1993 è stato fondato il comitato civico Pro Via Francigena, ingranditosi anno dopo anno, grazie ad alcuni volontari, oggi l'associazione si occupa della manutenzione del tratto, e dell'accoglienza dei pellegrini.
Parte della frazione ricade nel territorio comunale di Castelfranco di Sotto, in provincia di Pisa.
Le Botteghe
Si tratta di una frazione che si è sviluppata dalla metà del XX secolo sotto la spinta del miracolo economico intorno ad un minuscolo agglomerato di case e una pieve, pertanto, costituita da un'ampia zona artigianale e una piccola zona residenziale pedecollinare.
Le Vedute
Si erge sopra l'abitato di Ponte a Cappiano, fin dal Medioevo fu luogo di venerazione, per la presenza di un'immagine della Vergine, trasferita nel 1730 nel capoluogo.
Massarella
Anticamente chiamata “Massa Piscatoria”, è citata per la prima volta nel 998 per la presenza della Pieve di S.Maria. Dopo essere passata, intorno al mille, sotto il potere dei Conti Cadolingi, fu in parte venduta nel 1113 al Vescovo di Lucca, dopo l'estinzione della dinastia cadolingia.
Intorno al 1200 si dotò di un proprio statuto e di mura fortificate, per garantirsi autonomia e protezione, tuttavia nel 1309, con il consenso del comune di Lucca, chiese e ottenne di unirsi sotto Fucecchio. Tra il 1320 e il 1328, come tutto il territorio fucecchiese, divenuto rifugio di famiglie guelfe scappate da Lucca, fu distrutta da Castruccio Castracani, che cancellò anche tutti gli atti amministrativi esistenti. Dopo la furia di Castruccio, Massarella fu colpita da peste e carestia, tantoché fu completamente abbandonata. Intorno al 1523 la frazione iniziò a ripopolarsi, dopoché il comune cedette in affitto l'ex castello.
Le Pinete
Centro abitato di circa 300 abitanti, Pinete si trova nel cuore delle Colline delle Cerbaie. Presenti attività produttive legate al legname e una scuola per l'infanzia. Da notare la chiesa di San Rocco (patrono di Pinete), portata a termine nel 1950 e oggi facente parte della parrocchia di Galleno. Nel centro abitato si trovava fino al 1990 circa una sorgente d'acqua nota come "Fonte della Salute" la quale era riconosciuta avere effetti benefici e disintossicanti.
Ponte a Cappiano
Ospita il maggiore polo industriale del comune, ma vanta anche una storia antica quanto quella del capoluogo nonostante l'assenza di architetture o resti che lo ricordino. Della prima metà del XVI secolo, invece, è possibile ammirare la versione medicea del ponte sul canale Usciana e l'impianto originale della Villa La Palagina, poi ampliata e modificata nei secoli successivi. Nella piazza principale della frazione si ergeva la ferriera granducale e il palazzo dei granai (fine XV inizio XVI sec.) dove è ancora possibile leggere il riferimento a Ferdinando I De' Medici e più esattamente al di lui settimo figlio, Lorenzo.
Querce
Situata ai confini con le province di Lucca e Pistoia, la frazione ospita il Santuario della Madonna della Querce, eretto nel 1639 sulle fondamenta di una chiesa costruita nel IX secolo in seguito alle testimonianze di alcune visioni della Vergine. Nel luogo delle apparizioni si trova oggi una piccola cappella chiamata "la Cellina". Presenti diverse attività produttive, un ufficio postale e la scuola elementare Carlo Lorenzini.
San Pierino
La frazione occupa totalmente l'unica parte del territorio comunale situata sulla riva sinistra del fiume Arno. Proprio il fiume è stato per anni la risorsa principale della frazione, i suoi abitanti erano perlopiù pescatori, renaioli e navicellai. Attualmente San Pierino si è notevolmente popolato, frutto dell'espansione edilizia che ha interessato le zone campagnole.
Torre
I primi documenti esistenti, databili intorno al 1018, indicano la presenza di un piccolo agglomerato di case, chiamato "Villa San Gregorio". Nel XII secolo prese il nome di "Ultrario", “oltre il rio”, in riferimento al rio Ramone che la separa da Ponte a Cappiano. Intorno al 1200 si fortificò con mura e una grande torre, da cui deriva il nome attuale. Nel 1309 si sottomise a Fucecchio, a causa delle povere condizioni in cui gravava. Tra il XVI e il XVIII secolo, il borgo era sotto il controllo della famiglia Orlandi di Pescia.
Altre località del territorio
Padule di Fucecchio, 1.800 ettari di estensione per una delle più importanti aree umide della Toscana. Si estende tra le Province di Firenze e Pistoia e il principale apporto idrico deriva da corsi d'acqua provenienti dalle pendici preappenniniche, mentre l'unico emissario è il canale Usciana, che sfocia nei pressi di Montecalvoli. Circa 230 ettari sono protetti da Riserve Naturali mentre le parti restanti rientrano nelle relative Aree Contigue. L'associazione Il Padule si occupa di preservare il territorio e allo stesso tempo promuovere visite guidate ed eventi all'interno della natura. Oltre alle ricchezze naturalistiche il Padule è legato anche alla storia locale, in particolare alle vicende delle famiglie dei Medici e dei Lorena, ma anche alle tragedie della seconda guerra mondiale: il 23 agosto 1944, infatti, è la data dell'eccidio perpetrato ad opera dei nazifascisti, in cui persero la vita 175 civili.
Boschi delle Cerbaie, sito di interesse comunitario (SIC) che si estende tra le frazioni di Pinete, Torre e Vedute. Un'immersione nella natura incontaminata, rimasta ancora intatta nonostante la vicinanza con il paese, e in cui non a caso è possibile trovare ancora piante rarissime e anche animali come scoiattoli, tassi o istrici. In anni recenti una parte di quest'area è stata interessata da un progetto di valorizzazione realizzato dal Comune, in cui si sono andati a costituire 7,5 km di sentieri escursionistici. L'Ecoistituto delle Cerbaie e il Consorzio Forestale delle Cerbaie provvedono alla valorizzazione e promozione di quest'area e degli eventi ad essa collegati.
Via Francigena e Romea Strata, il territorio di Fucecchio si trova nell'itinerario della Via Francigena e della Romea Strata e rientra, nello specifico, della tappa nº29 dell'itinerario ufficiale che il vescovo di Canterbury seguì per arrivare alla Città Eterna. Fucecchio è inoltre il Comune capofila dell'Aggregazione Centro Sud della Via Francigena Toscana, di cui fa parte insieme a Santa Croce sull'Arno, Castelfranco di Sotto, San Miniato, Castelfiorentino, Montaione e Gambassi Terme.
Economia
Fucecchio è un centro caratterizzato principalmente da aziende del settore industriale (conciario e calzaturiero) e del settore terziario (elevata presenza di piccole imprese). In particolare nei comuni del Distretto del Cuoio si concentra la quasi totalità dell'industria conciaria toscana (il 28,% di quella nazionale). L'economia del territorio si basa in particolare sulla lavorazione della pelle per scarpe, borse e abbigliamento, rinomata a livello sia nazionale che internazionale.
Per quanto riguarda il settore agricolo la produzione riguarda principalmente prodotti tipici di qualità come olio, vino e spumante.
Eventi
Palio delle contrade di Fucecchio, promosso dal Comune di Fucecchio e dall'associazione Palio delle Contrade, rappresenta indubbiamente la principale manifestazione cittadina e si svolge la penultima domenica del mese di maggio. Durante la mattina si tiene il corteo storico lungo le vie del paese, con oltre 1200 figuranti in costumi d'epoca, mentre il pomeriggio è riservato alla competizione vera e propria nella "Buca", la corsa dei cavalli montati a pelo dai fantini. Il Palio, però, non si esaurisce nell'ultima domenica di maggio: il Palio è passione tutto l'anno. Tanti, infatti, gli eventi organizzati dalle 12 contrade nel corso degli altri mesi, eventi che trovano il loro clou nelle settimane che precedono la fatidica domenica, quando si tengono la Corse di Primavera, il Gran Galà dei Musici e degli Sbandieratori, il Palio in Gioco dei bambini, e poi la presentazione del Cencio, la tratta dei cavalli e le attesissime prove in buca, preludio alla competizione che assegnerà il Cencio alla contrada vincitrice.
Run 10K Fucecchio, gara podistica promossa da Atletica Fucecchio e Gs Pieve a Ripoli con il patrocinio del Comune, che si svolge nel mese di marzo. Andata a raccogliere l'eredità della storica Mezza Maratona di Fucecchio, propone sia una gara competitiva sia una corsa ludico motoria, con un percorso interamente su strada asfaltata nella cornice del centro storico cittadino.
Fiera del Gusto, mostra mercato dei prodotti di norcineria promossa dal Comune in collaborazione con la Pro Loco e che si tiene nel mese di aprile.
Infiorata del Corpus Domini, promossa dal Comune e dalla locale Pro Loco si tiene la domenica del Corpus Domini. Un'antica tradizione locale che affonda le radici nella storia del Comune e che, grazie al paziente lavoro del Gruppo Infioratori, ricopre di splendidi manti floreali le vie cittadine.
Salamarzana, festa medievale promossa dal Comune in collaborazione con l'associazione Amici del Centro Storico che si svolge per un intero weekend all'inizio di settembre. Vie, piazze, corti, giardini e vicoli diventano lo scenario di un suggestivo salto indietro nel tempo tra giochi, intrattenimenti per bambini ed adulti, spettacoli e degustazione di piatti tipici del Medioevo.
Fiera di Novembre, tradizionale fiera che si svolge all'inizio del mese di novembre e che, per dieci giorni, affianca le bancarelle per le vie del centro con le aperture straordinarie dei negozi e il luna park in piazza Aldo Moro.
Natalia il magico paese della Parata di Babbo Natale, la principale manifestazione natalizia del paese promossa dall'associazione Madonna delle Cinque Vie. Durante tutti i weekend del mese di dicembre apre le sue porte il paese di Babbo Natale con laboratori per bambini, la merenda con Babbo Natale, presepi artistici, parate e ancora animazioni, giochi e intrattenimento per grandi e piccini. Il tutto si unisce ai mercatini natalizi e alle aperture straordinarie dei negozi promossi dal Centro Commerciale Naturale e dalla Pro Loco.
Amministrazione
Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune.
Gemellaggi
Nel 2010 il Comune di Fucecchio ha avviato un rapporto di scambio culturale con il Comune francese di Nogent Sur Oise che ha portato alla firma, nello stesso anno, di un "Patto di amicizia". Il 19 aprile 2015 è stato sottoscritto ufficialmente il gemellaggio tra Fucecchio e Nogent Sur Oise. Il patto si pone come obiettivo quello di perseguire lo sviluppo e il benessere di entrambi i popoli, rafforzando le proprie relazioni sociali, economiche, turistiche e culturali attraverso incontri e scambi.
Sport
Calcio
Il gioco del calcio ha una lunga tradizione: nel 1903 venne fondata la prima squadra di calcio, che con il nome di "Saffa Fucecchio" arrivò alla serie C negli anni trenta, e di nuovo, con il nome di "Vigor Fucecchio" negli anni quaranta. A più riprese fino agli anni duemila giocò nel Campionato Interregionale, cessando l’attività nel 2004. Nello stesso anno è nata l'A.C. Fucecchio A.S.D., ripartita dalla Terza Categoria che attualmente milita nel Campionato di Eccellenza
Il campo di gioco è lo stadio "Filippo Corsini" inaugurato nel 1927 e dedicato al Principe deceduto l’anno precedente, proprietario dei terreni su cui fu costruito per volontà del figlio Tommaso.
Nella frazione di Ponte a Cappiano è presente la società calcistica Ponte a Cappiano F.C., rinata nel 2009 dalle ceneri del Cappiano Romaiano che partecipò a 6 campionati professionistici di quarto livello nazionale dopo aver vinto il campionato di Serie D.
Ciclismo
Nella frazione di Torre la società Unione Ciclistica La Torre 1949 ASD organizza ogni anno il Gran Premio La Torre, classica per ciclisti della categoria dilettanti Elite/Under-23 inserita nel calendario della Federciclismo come prova regionale (classe 1.19). La prima edizione del Gran Premio risale al 1949; nell'albo d'oro della prova rientrano i nomi di Alessandro Pozzi, Michele Bartoli, Luca Scinto, Rinaldo Nocentini, Pierpaolo De Negri, Davide Martinelli, Alessandro Covi e Samuele Battistella, tutti poi vittoriosi anche nel professionismo.
Pallacanestro
La società G.S. Folgore Fucecchio attualmente milita nel campionato di Serie C Silver.
Pallavolo
La società Volley Fucecchio svolge attività senior maschile e partecipa ai campionati di Serie C e UISP Amatori.
La prima squadra senior della società A.S.D. Pallavolo Fucecchio attualmente milita in Serie C.
Sepolture illustri
Nel cimitero è sepolto il giornalista Indro Montanelli, che qui nacque nel 1909.
Note
Bibliografia
M.A.Magrini,Con i piedi nell'acqua. Storia di una famiglia e del Padule,Carmignani editrice,2021
G.P.Balli,M.Innocenti,Arrivonno e ci misero contro il muro. Voci e testimonianze di un massacro,ed C.R.T, 2014
Voci correlate
Padule di Fucecchio
Comprensorio del cuoio
Palio di Fucecchio
Stazione di San Miniato-Fucecchio
Erba d'Arno
Altri progetti
Collegamenti esterni |
1872 | https://it.wikipedia.org/wiki/Famiglia%20%28disambigua%29 | Famiglia (disambigua) | Famiglia – in biologia è un livello della classificazione degli esseri viventi (la tassonomia) che si colloca al di sotto dell'ordine e al di sopra del genere.
Famiglia – nelle scienze sociali è un gruppo di persone.
Famiglia – in matematica si intende un insieme i cui elementi sono individuati da un indice.
Famiglie – in linguistica sono raggruppamenti di linguaggi.
Famiglia o Famiglie – nome di un gioco di carte per bambini.
Famiglia – intesa come cosca mafiosa.
Famiglia – in astronomia si intende un gruppo di asteroidi con parametri orbitali e composizione chimica simili.
Famiglie (Family) – episodio della quarta stagione di Star Trek: The Next Generation.
Altri progetti |
1886 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fotografia%20digitale | Fotografia digitale | La fotografia digitale è un procedimento per l'acquisizione di immagini statiche, proiettate attraverso un sistema ottico, su un dispositivo elettronico (sensore) sensibile alla luce, con successiva conversione in formato digitale e immagazzinamento su supporto di memoria.
I metodi più comuni per ottenere fotografie digitali consistono nell'effettuare la scansione di un'immagine precedentemente stampata, oppure sotto forma di negativo o diapositiva, con uno scanner d'immagini oppure di effettuare uno scatto con una fotocamera digitale.
Sensori
Per ottenere un'immagine digitale, in ogni caso, occorrono un certo numero di dispositivi in grado di trasformare l'intensità di luce riflessa proveniente da diverse parti di una scena o di un'immagine cartacea. Dunque, sia in uno scanner, sia in una fotocamera, l'elemento in grado di svolgere questa funzione è il sensore, il quale ha forma diversa a seconda si tratti di scanner o fotocamera digitale.
La funzione che svolge il sensore all'interno di una fotocamera digitale è analogo a quello che svolge la pellicola nella fotografia tradizionale. Da questo si comprende agevolmente come la parte ottica di focalizzazione dell'immagine sulla superficie del sensore mantenga, nella fotografia digitale, un ruolo centrale, essendo responsabile della risoluzione delle immagini che si ottengono e contribuendo alla loro qualità. La tecnologia con la quale i sensori possono essere realizzati è riconducibile, sia nelle fotocamere, sia negli scanner, a due tipologie diverse:
CCD (Charge Coupled Device)
CMOS (Complementary Metal Oxide Semiconductor).
Va tuttavia notato che negli scanner è largamente diffusa l'adozione della tecnologia CCD.
Altro fattore di distinzione delle tecnologie è la metodologia di lettura dei segnali elettrici in uscita dai sensori:
Area array, permette una capacità nella cattura dell'immagine identica alla foto analogica, soluzione che può essere utilizzata con i sensori CCD
Linear array, dovendo riprendere la scena riga per riga si ha il difetto dell'effetto "distortion shutter", soluzione che può essere utilizzata con i sensori CCD o CMOS
Pixel array, dovendo riprendere la scena pixel per pixel e riga per riga si ha il difetto dell'effetto "distortion shutter" in modo ampliato, soluzione che può essere utilizzata con i sensori CMOS
In estrema sintesi, un sensore area array legge l'intera immagine, mentre un sensore linear array lavora con modalità simile a quella di uno scanner.
Funzionalità e connettività
Fatta eccezione per alcuni modelli del tipo linear array (in fascia alta) e per le webcam (in fascia bassa), viene utilizzata una memoria digitale (di solito una scheda di memoria; i floppy disk e i CD-RW sono molto meno comuni) per memorizzare le immagini, che possono essere trasferite su PC in seguito.
La maggior parte delle macchine fotografiche digitali permettono di realizzare filmati, talvolta con sonoro. Alcune possono essere utilizzate anche come webcam, altre supportano il sistema PictBridge per connettersi direttamente alle stampanti, altre ancora possono visualizzare le fotografie direttamente sul televisore. Quasi tutte includono una porta USB o FireWire port e uno slot per schede di memoria.
Praticamente tutte le macchine fotografiche digitali permettono di registrare video, ovviamente limitate alla memoria disponibile. Una scheda di memoria da 1 GB può memorizzare approssimativamente un'ora di video in formato MPEG-4 in bassa risoluzione, a 640x480 pixel. I modelli più recenti possono catturare fotogrammi ad una frequenza di 60 immagini/secondo con una risoluzione pari al Full HD, cioè di 1920x1080 pixel o addirittura superiore. Un filmato di 1 ora in Full HD e audio stereo può arrivare ad occupare oltre 16 GB di memoria (variabile a seconda della compressione effettuata dalla fotocamera). La maggior parte possono registrare l'audio, spesso anche in stereo, ed essere comandate in remoto dal PC, e ovviamente, memorizzare i video sull'hard disk o su DVD tramite il masterizzatore.
Nei paragrafi che seguono la discussione verterà primariamente sulla fotografia digitale come prodotto di riprese con fotocamera digitale.
Prestazioni
La qualità di una foto digitale prodotta da una fotocamera digitale è la somma di svariati fattori, alcuni riconducibili alle macchine fotografiche reflex. Il numero di pixel (di solito indicato in megapixel, milioni di pixel) è solo uno dei fattori da considerare, sebbene sia di solito quello più marcato dalle case di produzione.
Il fattore più critico è comunque il sistema che trasforma i dati grezzi (raw data) in un'immagine fotografica. Da considerare vi sono anche, ad esempio:
la qualità delle ottiche: distorsione (aberrazione sferica), luminosità, aberrazione cromatica... (vedi Lente o Obiettivo fotografico);
il sensore utilizzato: CMOS, CCD, che fra l'altro gioca un ruolo centrale nella ampiezza della gamma dinamica delle immagini catturate, sul modo in cui viene catturata l'immagine (acquisizione simultanea o acquisizione a scansione progressiva)...
il formato di cattura: numero di pixel, formato di memorizzazione (Raw, TIFF, JPEG, ...):
il sistema di elaborazione interno: memoria di buffer, algoritmi di elaborazione immagine.
Numero di pixel e qualità delle immagini
L'analisi del rapporto fra numero di pixel e qualità delle immagini è uno dei temi centrali per capire quali sono gli elementi che danno valore ad una fotocamera digitale ed alle fotografie da essa prodotte. Si cercherà dunque di dare quelle informazioni che permettono di condurre un'analisi dei fattori di qualità di un'immagine digitale.
Il numero dei pixel è un parametro che sta ad indicare la risoluzione (cioè è un indicatore del più piccolo dettaglio della scena fotografata e registrato dalla fotocamera digitale). Questo è uno dei fattori che determina la nitidezza dell'immagine.
Per valutare la qualità complessiva dell'immagine, oltre alla dimensione del dettaglio fotografabile (tanto più piccolo, quanto più grande è la risoluzione), occorre invocare numerosi altri fattori, come la fedeltà cromatica di ogni pixel (infatti il pixel contiene il valore che esprime il preciso colore del particolare elementare dell'immagine che esso rappresenta – vedi il paragrafo sulla "fedeltà cromatica-profondità colore") e la qualità delle ottiche e dei sensori.
In un'immagine digitale il numero di pixel viene calcolato semplicemente moltiplicando il numero di pixel della base dell'immagine per il numero di pixel dell'altezza. Ad esempio un'immagine di 1,92 Megapixel (equivalenti a 1.920.000 pixel) sono il risultato di un'immagine di 1600x1200 pixel. Il megapixel, letteralmente "milioni di pixel" è un multiplo del pixel (mega=1 milione), unità di misura adeguata ed utile a comprendere la quantità totale di pixel presenti nel sensore. Il valore indicato è comunque approssimativo in quanto una parte dei pixel (in genere quelli periferici del sensore) servono al processore d'immagine per avere informazioni sul tipo di esposizione (ad esempio sulla luminosità della scena) e ricoprono in pratica il ruolo di "pixel di servizio". Dunque un sensore può essere dotato di 9,20 megapixel, ma registrare immagini di 9,10 megapixel (senza approssimazione i valori potrebbero essere 9.106.944 pixel, che corrispondono ad un'immagine di 3.488 x 2.616 pixel). La maggior parte delle macchine fotografiche digitali compatte è in formato 4:3 (1600x1200, 800x600, ...). Mentre nelle reflex digitali (DSLR=Digital Single Lens Reflex) e in alcune fotocamere compatte (con obiettivo non intercambiabile) di fascia alta ("SLR-like" o anche chiamate "prosumer") si può impostare sia il formato 4:3, sia il rapporto classico 3:2 delle fotocamere a pellicola. Alcuni modelli recenti, anche di fascia media, permettono di fotografare in formato widescreen, cioè in 16:9.
Per quanto riguarda i sensori va detto che gli indici di qualità sono almeno i seguenti:
capacità di produrre immagini di alta qualità
velocità di cattura delle immagini
Un approfondimento delle caratteristiche che attribuiscono qualità ai sensori si trova nel paragrafo "Il sensore" della voce correlata fotocamera digitale. Sulla questione, inoltre, della velocità di cattura delle immagini, un ruolo strettamente collegato a questa prestazione lo svolge il processore d'immagine, un microcalcolatore dedicato alla elaborazione dei dati provenienti dal sensore che permette la formazione dell'immagine fruibile per la visione nei vari formati che la fotocamera può realizzare. A questa funzione necessaria alla realizzazione dell'immagine, si affianca anche quella di governo degli automatismi di funzionamento della fotocamera. Quest'ultima funzione può essere integrata nello stesso processore o, separatamente, in un altro processore.
Photosite e pixel / Sensore e immagine
Come anticipato sopra, occorre fare delle distinzioni concettuali fra alcuni elementi che costituiscono il sensore per analizzare alcuni fattori di qualità della fotografia digitale ed anche per capire il sistema fotografico digitale. Pertanto le descrizioni che seguono relative a photosite, elemento unitario fotosensibile (o photodetector) e pixel si ritengono necessarie per chiarire, sia la modalità di funzionamento dei vari tipi di sensori usati in fotografia digitale, sia per evitare confusione e quindi fraintendimenti sulla reale risoluzione delle immagini prodotte con i vari sensori. La risoluzione è infatti uno dei fattori più evidenziati nelle caratteristiche delle fotocamere digitali, ma dalla analisi delle caratteristiche tecniche, sia di fotocamere, sia specificamente di sensori, questa distinzione non è sempre chiaramente ed univocamente dichiarata.
Nelle specifiche tecniche, probabilmente per ragioni di marketing, non distinguere pixel da photodetector consente di indicare valori numerici maggiori, fatto, questo, che forse si ritiene abbia più efficacia in termini di comunicazione commerciale.
Infatti viene nascosto al cliente la dimensione del sensore, pubblicizzando il numero di pixel che sono così fitti da essere più piccoli di un'onda di luce, ciò causa una perdita di qualità in presenza di luce scarsa nei sensori più piccoli e più finemente suddivisi. Ciò spiega la notevole differenza di prezzo e qualità d'immagine specie con luce scarsa fra le fotocamere compatte dal sensore più piccolo e reflex di sensore più grande di pari pixel.
Il photosite
Per comprendere i fattori che determinano la qualità delle immagini dal punto di vista del sensore occorre considerare specifici elementi tecnologici dei sensori che impongono la introduzione del concetto di "photosite" che può essere definito come "luogo di cattura del più piccolo dettaglio dell'immagine".
Distinzione fra pixel e photosite
Il pixel è un concetto informatico, che appartiene quindi alla categoria del software e il suo contenuto informativo è un gruppo di dati che descrive le caratteristiche cromatiche del più piccolo dettaglio dell'immagine.
Il "photosite", invece, è un luogo fisico, appartenente quindi alla categoria dell'hardware. Si tratta dunque di uno spazio con uno o più elementi fotosensibili a semiconduttore che sono in grado di trasformare un flusso luminoso in una determinata quantità di cariche elettriche. Nel photosite inoltre è presente generalmente un microscopico sistema ottico che sovrasta il photodetector formato da un piccolo cristallo con forma a calotta quasi-sferica avente la funzione di catturare la maggior parte di luce possibile di quella incidente sulla superficie del sensore. Talvolta questo cristallo (o resina trasparente) è un elemento unitario colorato "R" o "G" o "B" del filtro Bayer, il cosiddetto C.F.A. (Color Filter Array).
Il photosite è inoltre la parte unitaria di un luogo più ampio che è chiamato generalmente sensore. Le caratteristiche del photosite permettono di capire, sia dal punto di vista elettrico, sia da quello ottico, il modo con cui vengono catturati i singoli elementi che formano le immagini.
L'elemento unitario fotosensibile (fotorivelatore)
La funzione dell'elemento fotosensibile (chiamato anche fotorivelatore) è quella di trasformare un flusso luminoso in un segnale elettrico di intensità proporzionale alla intensità del flusso luminoso in quel punto. In entrambe le tecnologie (CCD e CMOS) l'elemento unitario fotosensibile riesce dunque a registrare solamente livelli di intensità di luce monocromatica.
Poiché ogni colore può essere riprodotto dalla mescolanza di tre componenti primarie della luce (rosso, verde, blu – RGB), dall'elemento unitario fotosensibile occorre ottenere un segnale elettrico relativo alla componente R o alla componente G o a quella B. Questo lo si ottiene filtrando la luce che investe l'elemento fotosensibile con filtri ottici in modo che su di esso giunga solamente la componente desiderata. Questo principio vale per tutte le tecnologie costruttive e per tutte le tipologie di sensori.
Nelle fotocamere digitali possiamo trovare sensori aventi photosite che hanno un solo fotorivelatore, due o tre fotorivelatore. Poiché ogni pixel, come si può comprendere nel paragrafo successivo, deve contenere informazioni, dati, su ognuna delle tre componenti primarie della luce, è evidente che se in un photosite si trova un solo fotorivelatore, occorrerà calcolare per interpolazione cromatica i dati relativi alle due componenti mancanti; se nel photosite vi sono tre fotorivelatori ogni componente monocromatica primaria sarà rilevata e nulla andrà calcolato.
Vi è al momento un particolare tipo di sensore il Super CCD SR a marchio Fuji che ha due fotorivelatori specializzati in ogni photosite. Questi però non catturano due componenti cromatiche diverse, ma due intensità diverse di flusso luminoso della stessa componente cromatica. In questi sensori – dotati di Color Filter Array (C.F.A.) – l'effetto che si ottiene con una tale struttura dei photosite è quello di avere una gamma dinamica maggiore nelle immagini catturate.
Il pixel
I dati dell'immagine finale sono composti dai dati elementari dei singoli pixel. Per comprendere come viene formata l'immagine finale, occorre innanzitutto spiegare per quale ragione, riconducibile a fenomeni fisici, i pixel possono descrivere le caratteristiche cromatiche (il colore) di quel dettaglio dell'immagine.
Va premesso che un modo per riprodurre qualunque colore nello spettro della luce visibile (dal rosso cupo al violetto) è quello di proiettare tre raggi di luce relativi alle tre componenti monocromatiche ROSSE (R), VERDI (G) E BLU (B) dosandoli adeguatamente in intensità per ottenere il colore voluto (una bassa intensità di ogni componente primaria tende al nero, un'alta intensità tende al rispettivo colore saturo R, G o B). Questo metodo di sintetizzare i colori (ogni colore) con la luce si chiama mescolanza o sintesi additiva e si attua con i tre colori primari della sintesi additiva (RGB: Rosso-R Verde-G Blu-B). Quando invece si ha a che fare con mescolanza di pigmenti (inchiostri, quindi, non luce) si parla di sintesi o mescolanza sottrattiva ed i tre colori base sono CMYK, ovvero Ciano (C), Magenta (M) e Giallo (Y), che sono i tre colori complementari del Rosso Verde e Blu. La sintesi sottrattiva è quella usata in stampa (anche domestica) dove si aggiunge inoltre un inchiostro con un colore chiave (K=key), il nero, per compensare le inevitabili impurità di colore dei tre pigmenti CMY al fine di migliorare la fedeltà cromatica delle tonalità scure delle immagini. Un file di immagini destinato alla fruizione su monitor (pubblicazione su internet) o su dispositivi di proiezione avrà dunque uno spazio dei colori diverso da un file di immagini destinato ad una tipografia che stampa in quadricromia. Nel primo caso lo spazio colore sarà RGB, nel secondo sarà CMYK.
Lo spazio colore è un modello matematico che descrive le possibilità di riprodurre in modo percepibile dall'occhio umano tutte le tonalità della luce visibile, vi sono dunque spazi colore diversi per diversi dispositivi che possono riprodurre i colori. Per quanto riguarda l'RGB si ha la variante sRGB e la variante AdobeRGB che differisce dalla prima per la sua capacità di rappresentare una gamma cromatica più ampia.
Le fotocamere digitali producono normalmente immagini con una delle varianti RGB. I sistemi professionali di elaborazione delle immagini hanno tuttavia la possibilità di convertire fedelmente dei file di immagini digitali da uno spazio colore ad un altro. Per consentire la formazione di un'immagine fotografica digitale fedele, ogni pixel deve contenere quindi informazioni (dati) su ognuna delle tre componenti RGB.
Quella che segue è la rappresentazione della struttura dei dati binari all'interno di un pixel RGB per un'immagine avente profondità colore 24 bit:
Per valori numerici elevati di ogni canale cromatico, tendenti cioè al valore decimale 255, si ha la massima intensità del rispettivo colore saturo, mentre valori decimali su ogni canale tendenti a zero corrispondono a colori di ogni canale tendenti al nero. Valori numerici del singolo pixel "0 R, 0 G, 0 B" corrispondono ad un pixel rappresentante il nero; valori "255 R, 255 G, 255 B" corrispondono ad un pixel rappresentante il bianco.
I dati binari del pixel RGB nel caso sopra riportato sono composti da tre byte in totale (=24 bit, il dato della profondità colore ha qui la sua origine). Questo corrisponde ad un byte per ogni canale colore. Nel caso il pixel appartenga ad un file di tipo CMYK esso sarà composto in totale da quattro byte (=32 bit, pari a un byte per ogni canale colore).
Nel caso di immagini campionate a 16 bit, invece che a 8 bit, come nel caso esposto, la struttura dei dati binari del pixel prevederà la presenza di due byte (=16 bit) per ogni canale colore, così che il pixel di un file RGB sarà composto da 48 bit in totale. In altri termini si può parlare, in questo caso, di pixel per formare un'immagine con profondità colore di 48 bit.
Il pixel nelle periferiche di input e di output
Le caratteristiche del pixel permettono quindi, acquisendo molti pixel, di comporre i dati necessari a formare l'intera immagine per mezzo di periferiche di output come monitor, stampanti, ecc.
Come si è visto nelle periferiche di input (come le fotocamere e gli scanner) l'elemento hardware elementare di acquisizione dei dati del pixel è il photosite, mentre nelle periferiche grafiche di output, l'elemento hardware elementare, complementare al photosite, che riproduce i dati del pixel, è chiamato dot ("punto" in inglese). I dots che vanno a formare l'immagine saranno costituiti fisicamente in modo diverso a seconda che si tratti di un monitor CRT o LCD, così come sarà ancora diverso se si tratta di una stampante laser o inkjet o di qualunque altra periferica, così come diversi saranno i procedimenti di formazione del pixel e dell'immagine finale usati nei vari tipi di periferiche di output.
Sistemi di acquisizione
Nelle fotocamere digitali sono sostanzialmente tre i metodi con cui si forma l'immagine:
quello dei sistemi basati sul color filter array – CFA
quello dei sistemi basati sui sensori a marchio Foveon
quello dei sistemi basati sui sensori Fujifilm "Super CCD SR" con CFA
Sistemi con CFA
Nei sistemi con color filter array (con Filtro Bayer RGB o RGB-E) - che possono essere costruiti sia in tecnologia CCD o C-MOS – ogni photosite ha un solo elemento fotosensibile e cattura una sola delle tre componenti (o R, o G, o B), in questo modo le altre componenti di ogni pixel devono essere calcolate dal processore d'immagine attraverso una procedura di interpolazione. Così il prodotto finale di una fotocamera per es. da 3,4 megapixel è un file con 3,4 megapixel dove ogni pixel ha le tre componenti RGB, ma una è realmente catturata dall'elemento fotosensibile e due calcolate. Un approfondimento sul funzionamento di questi sensori si trova alla voce correlata Raw. Per chiarire invece le diverse modalità di interpolazione adottate in fotografia digitale si rimanda al paragrafo interpolazione della voce correlata Fotocamera digitale.
Sistemi basati su Foveon
I sistemi sono basati su un sensore a cattura d'immagine diretta. Questo è costruito con tecnologia CMOS dalla FOVEON e denominato X3. Questo è il suo funzionamento: ogni photosite, formato da tre fotorilevatori, fornirà successivamente i tre dati cromatici che daranno origine al pixel. In questo modo il photosite fornisce le tre componenti del modello di colore RGB. Questo è possibile, grazie alla costruzione dei fotorivelatori su tre layer (strati) per ogni photosite il quale fornirà i dati per ogni pixel che comporrà l'immagine finale. Quindi, si tratta di un sensore da 4,64 Mpixel, con una risoluzione d'immagine di 2640 x 1760 pixel), prodotta però da un sensore con 14,1 milioni di fotorivelatori collocati in 4,64 milioni di photosite (4,64 M X 3 = 14,1 milioni di fotorivelatori. Il sensore X3 non è fornito di filtro infrarossi come invece succede negli altri sensori che ne implementano uno direttamente sulla superficie dello stesso sensore. La componente infrarossa della scena viene dunque filtrata collocando un filtro IR rimovibile dietro la lente. Questo quindi può essere rimosso per fare fotografie ad infrarossi.
Sistemi basati su sensori Fujifilm "Super CCD SR" con CFA
I sensori FUJI "Super CCD SR" sono dotati di color filter array, quindi ogni photosite cattura un'immagine monocromatica, ma all'interno vi sono ugualmente due elementi fotosensibili:
uno di forma ottagonale, più grande rispetto al secondo, per catturare tutta la luce possibile incidente sull'elemento fotosensibile. Per questi fattori costruttivi questo fotorivelatore è molto sensibile e quindi cattura con ridotto rumore di fondo le luci di bassa intensità. Questo significa poter distinguere gradazioni diverse di intensità luminosa anche per luci molto basse, distinguendole così anche dai disturbi causati dal rumore elettronico del fotorivelatore;
ed un altro di dimensioni più ridotte rispetto al primo per garantire una buona risposta anche in presenza di luci molto alte, il che significa poter distinguere gradazioni diverse di intensità anche per luci molto intense.
Questo accorgimento è stato studiato per consentire di ottenere immagini con una dinamica molto più elevata rispetto ad altri sensori, il che significa avere immagini con sfumature distinguibili su una maggiore estensione di luminosità rispetto ad altri sensori. L'effetto finale è che in una stessa scena si possono distinguere così contemporaneamente, sia le sfumature delle zone scure della scena ripresa, sia quelle più luminose. Con questi sensori le immagini catturate con 12 milioni di elementi fotosensibili producono immagini con una risoluzione di 6 megapixel. La Fujifilm nelle specifiche tecniche del sensore parla di 12 milioni di pixel (per una risoluzione finale delle immagini di 6 megapixel), ma nelle descrizioni introduce il concetto di photosite.
Fedeltà cromatica – profondità colore
La percezione della qualità cromatica delle immagini dipende da più elementi:
La fedeltà con la quale vengono catturati e registrati i dati di colore delle immagini. Questi sono compresi nel cosiddetto "spazio colore" adottato (sRGB o AdobeRGB) ed anche la diversa ampiezza dei due spazi colore può condizionare la fedeltà cromatica dell'immagine registrata.
La fedeltà dei colori dipende comunque in modo rilevante anche dalla profondità colore con cui è registrato un file. Questo è un parametro che indica il dettaglio cromatico cioè l'intervallo minimo possibile fra due gradazioni di colore. Maggiore è la profondità colore (che si indica in bit), minore è l'intervallo fra due gradazioni di colore contigue. La trattazione più dettagliata relativa alla profondità colore si trova nella voce correlata Raw.
La fedeltà dei colori registrati è sempre percepita attraverso il lavoro di una periferica (monitor, stampanti, ecc). Finora infatti s'è parlato solamente della fedeltà con la quale le immagini vengono catturate, elaborate e registrate, ben sapendo tuttavia che la fedeltà della visualizzazione – e di conseguenza della percezione – deriva anche da altri fattori che dipendono dalla fedeltà con la quale le periferiche di output forniscono immagini visibili. Queste presentano problematiche diverse relativamente alla fedeltà cromatica come il gamut di visualizzazione inteso come area dello spazio colore riproducibile da quella periferica, e come la profilazione della periferica stessa attraverso l'uso dei profili colore ICC e ICM che in ultima analisi sono file di dati che permettono la correzione nella periferica del colore visualizzato. Ad esempio, se con determinati dati di colore presenti in un'immagine, la periferica non riesce a riprodurli fedelmente secondo l'originale fotografato, o secondo tabelle di riferimento cromatico oggettivo, il profilo colore apporterà le necessarie correzioni alla periferica perché con i dati cromatici di quel file si ottengano le giuste corrispondenze cromatiche nell'immagine da visualizzare.
Fotografia computazionale
La fotografia computazionale si riferisce alle tecniche di acquisizione ed elaborazione di immagini digitali che utilizzano il calcolo digitale anziché i processi ottici. La fotografia computazionale può migliorare le capacità di una fotocamera o introdurre funzionalità che non erano affatto possibili con la fotografia basata su pellicola o ridurre il costo o le dimensioni degli elementi della fotocamera.
Note
Bibliografia
Scott Kelby, Il libro della fotografia digitale. Le apparecchiature, le tecniche, le impostazioni, i trucchi per scattare foto da professionisti, Edizioni Bruno Paravia, Torino 2007, ISBN 978-88-7192-359-8
Scott Kelby, Il libro della fotografia digitale. Vol.2: 200 nuove tecniche e impostazioni per scattare foto da professionisti, Edizioni Pearson Education, Torino 2008, ISBN 978-88-7192-487-8
Scott Kelby, Il libro della fotografia digitale. Vol.3: Tutti i segreti spiegati passo passo per ottenere foto da professionisti, Edizioni Pearson Education, Torino 2010, ISBN 978-88-7192-622-3
Scott Kelby, Il libro della fotografia digitale. Vol. 4: Tutti i segreti spiegati passo passo per ottenere foto da professionisti, Edizioni Pearson Education, Milano - Torino 2012, ISBN 978-88-7192-651-3
Paolo Villa - FOTOGRAFIA Corso Manuale - base principianti - Verona 2013.pdf
Marco Fodde, L'arte della fotografia digitale in bianconero, Editrice Apogeo, Milano 2009, ISBN 978-88-503-2885-7
Marco Fodde, L'arte della fotografia digitale in bianconero, Editrice Apogeo, Milano 2015 ISBN 9788850333561'''
Marco Fodde, Fotografia digitale. Fine art, Editrice Apogeo, Milano 2012, ISBN 978-88-503-3115-4
Marco Fodde, L'arte della fotoelaborazione digitale a colori'', Editrice Apogeo, Milano 2013, ISBN 978-88-503-3276-2
Voci correlate
Fotografia
Digitale (informatica)
Aberrazione ottica
Astrofotografia
Bracketing
Diapositiva
Mirrorless
Exif
Lomografia
Fotocamera digitale
Fotografi
Fotografia d'arte
Fotografia (cinema)
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Raw (fotografia)
Raw (formato di file)
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Collegamenti esterni
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1887 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fondazione%20di%20Roma | Fondazione di Roma | La fondazione di Roma, altrimenti detta Natale di Roma, è stata fissata al 21 aprile dell'anno 753 a.C., 1 AUC, dal letterato latino Varrone, sulla base dei calcoli effettuati dall'astrologo Lucio Taruzio. Altre leggende, basate su altri calcoli, indicano date diverse. In realtà Varrone conosceva bene la Grecia, era stato legato per alcuni anni nella Illiria greca, e come tutti i Romani del primo secolo a.C. aveva numerose date che erano proposte per fissare l'anno della fondazione di Roma, tutte riducibili ad alcuni decenni della fine dell'VIII secolo a.C. Scelsero il 753 a.C. poiché si collegava alla nascita della democrazia ateniese, che avvenne appunto con l'inizio della nomina degli arconti decennali e poi annuali ad Atene.
Gli antichi Romani hanno elaborato un complesso racconto mitologico sulle origini della città e dello stato; il racconto ci è giunto con le opere storiche di Tito Livio, Dionigi di Alicarnasso, Plutarco e le opere poetiche di Virgilio e Ovidio, quasi tutti vissuti nell'età augustea. In quest'epoca le leggende, riprese da testi più antichi, vengono rimaneggiate e fuse in un racconto unitario, nel quale il passato viene interpretato in funzione delle vicende del presente. I moderni studi archeologici, che si basano su queste e su altre fonti scritte, nonché sugli oggetti e sui resti di costruzioni rinvenuti in vari momenti negli scavi, tentano di ricostruire la realtà storica che sta dietro il racconto mitico, nel quale man mano si sono andati riconoscendo elementi di verità. Secondo la storiografia moderna, Roma non fu fondata con un atto volontario ma, come altri centri coevi dell'Italia centrale, dalla progressiva riunione di villaggi.
La leggenda
Il mito racconta di una fondazione avvenuta a opera di Romolo, discendente dalla stirpe reale di Alba Longa, che a sua volta discendeva da Ascanio, figlio di Creusa e di Enea, l'eroe troiano giunto nel Lazio dopo la caduta di Troia. Plutarco racconta che:
Il viaggio di Enea: da Troia al Latium vetus
Come si racconta nellEneide, Enea, figlio della dea Venere, fugge da Troia, presa dagli Achei, con il padre Anchise e il figlioletto Ascanio. Il viaggio che Enea percorre prima di raggiungere le coste del Latium vetus (antico Lazio) è lungo e pericoloso. Egli, infatti, per volere di Giunone, che si era adirata con lui, è costretto ad approdare a Cartagine dove, accolto dalla regina della città, Didone, se ne innamora e rimane per un anno a regnare al suo fianco. Ma per ordine del Fato e di Giove, Enea è costretto a ripartire, prendendo la via dell'antico Lazio. La disperazione di Didone nel vedere l'amato allontanarsi la porta al suicidio.
Dopo varie peregrinazioni nel mar Mediterraneo, Enea approdò nel Lazio nel territorio di Laurento. Qui, secondo alcuni, venne accolto da Latino, re degli Aborigeni, secondo altri, fu costretto a battersi. Il destino vuole che il re italico fosse vinto in battaglia e costretto a fare pace con l'eroe troiano. Si narra, inoltre, che una volta conosciuta la figlia del re, Lavinia, i due giovani si innamorarono perdutamente l'uno dell'altra, sebbene Lavinia fosse stata già promessa in sposa a Turno, re dei Rutuli. Latino si convinse ad assecondare i desideri della giovane figlia ed a permetterle dunque di sposare l'eroe giunto da Troia, pur sapendo che prima o poi avrebbe dovuto affrontare Turno, il quale non aveva accettato che lo straniero venuto da lontano gli fosse preferito. Una volta sposati, Enea decise di fondare una città, dandole il nome di Lavinio (l'odierna Pratica di Mare), in onore della moglie.
La guerra che ne seguì non portò nessuna delle due parti a rallegrarsi. I Rutuli furono vinti e Latino, re alleato di Enea, fu ucciso.
Virgilio invece narra che la guerra tra Italici e troiani ebbe inizio dopo che Giunone provocò tra le popolazioni rivali una rissa nella quale morì il giovane Almone, cortigiano del re Latino. Il conflitto vide il tiranno etrusco Mezenzio e la maggior parte delle popolazioni italiche correre in appoggio a Turno, mentre Enea ottenne l'alleanza dei Liguri, di alcune popolazioni greche provenienti da Argo e stanziate nella città di Pallante sul Palatino, regno dell'arcade Evandro e di suo figlio Pallante, nonché degli Etruschi ostili a Mezenzio. Qui si inserisce l'episodio dei ragazzi troiani Eurialo e Niso che, uscendo nottetempo dal campo per andare incontro ad Enea, fecero irruzione in quello dei nemici, che giacevano addormentati, e vi fecero una strage di giovani guerrieri, culminata con la decapitazione del condottiero Remo (a opera di Niso):
Eurialo e Niso vennero scoperti e uccisi. La guerra riprese anche più cruenta: Pallante cadde nel duello contro Turno, che riuscì a spogliarlo della cintura. Ma Enea capovolse le sorti del conflitto uccidendo Mezenzio. In seguito per evitare altre vittime Turno si decise a sfidare Enea, che alla fine ebbe la meglio. Ferito Turno, Enea fu tentato di risparmiarlo, ma alla vista della cintura di Pallante non esitò ad ucciderlo, mettendo così fine alla guerra. Enea poté finalmente sposare Lavinia e fondare la città di Lavinio.
Da Ascanio a Romolo e Remo
Trent'anni dopo la fondazione di Lavinio, il figlio di Enea, Ascanio, fonda una nuova città: Alba Longa, sulla quale regnarono i suoi discendenti per numerose generazioni (dal XII all'VIII secolo a.C.) come ci racconta Tito Livio. Molto tempo dopo il figlio e legittimo erede del re Proca di Alba Longa, Numitore, viene spodestato dal fratello Amulio, che costringe sua nipote Rea Silvia, figlia di Numitore, a diventare vestale e a fare quindi voto di castità per impedirle di generare un possibile pretendente al trono. Il dio Marte però s'innamora della fanciulla e la rende madre di due gemelli, Romolo e Remo, quest'ultimo chiamato come il condottiero rutulo decapitato nel sonno da Niso durante la guerra troiano-italica.
Il re Amulio, saputo della nascita, ordina l'assassinio dei gemelli per annegamento, ma il servo incaricato non trova il coraggio di compiere tale misfatto e li abbandona sulla riva del fiume Tevere. Rea Silvia viene poi fatta uccidere da Amulio, o secondo versioni meno accreditate, muore di stenti dopo essere stata imprigionata: c'è anche chi afferma che viene messa in prigione su richiesta della figlia di Amulio salvo poi essere liberata.
La cesta nella quale i gemelli erano stati adagiati si arenerà presso la palude del Velabro, tra Palatino e Campidoglio, nei pressi di quello che sarà poi il foro romano, alle pendici di una cresta del Palatino, il Germalus, sotto un fico, il fico ruminale o romulare, nei pressi di una grotta detta Lupercale.
Lì i due vengono trovati e allattati da una lupa che aveva perso i cuccioli ed era stata d'altra parte attirata dal pianto dei gemelli (secondo alcuni la lupa era forse una prostituta, all'epoca le prostitute erano chiamate anche lupae, donde l'italiano lupanare), e da un picchio (animale sacro per i Latini) che li protegge, entrambi animali sacri a Marte. In quei pressi portava al pascolo il gregge il pastore Faustolo (porcaro di Amulio) che trova i gemelli e insieme con la moglie Acca Larenzia (secondo alcuni detta lupa dagli altri pastori, forse in quanto dedita alla prostituzione) li cresce come suoi figli.
Una volta adulti e conosciuta la propria origine, Romolo e Remo fanno ritorno ad Alba Longa, uccidono Amulio e rimettono sul trono il nonno Numitore. Romolo e Remo, non volendo abitare ad Alba Longa senza potervi regnare finché era in vita il nonno materno, ottengono il permesso di andare a fondare una nuova città, nel luogo dove erano cresciuti. Lo stesso Tito Livio aggiunge che del resto la popolazione di Albani e Latini era in eccesso, mentre Plutarco aggiunge:
Morte di Remo e fondazione di Roma
Romolo vuole chiamarla Roma ed edificarla sul Palatino (con il suo nome mischiato con quello di suo fratello), mentre Remo la vuole chiamare Remora e fondarla sull'Aventino. È lo stesso Tito Livio che riferisce le due più accreditate versioni dei fatti:
La versione di Plutarco è simile alla prima di quelle riportate di Livio, con l'eccezione che Romolo potrebbe non aver avvistato alcun avvoltoio. La sua vittoria sarebbe pertanto stata per alcuni frutto dell'inganno. Questo il motivo per cui Remo si adirò e ne nacque la rissa che portò alla sua morte.
Anche Ennio riporta la versione degli auspici tratti dal volo degli uccelli, con un uccello avvistato mentre vola da sinistra (quindi favorevole a Remo), e un successivo avvistamento di dodici uccelli che si posano su loghi belli e di buon auspicio, che Romolo interpreta come segno a lui favorevole.
La città, di forma quadrata, fu quindi fondata sul Palatino, nella sesta Olimpiade, 24 anni dopo che fu celebrata la prima, e Romolo divenne il primo Re di Roma.
Le figure di Enea e Romolo nelle fonti greche
NellIliade, Enea durante il duello con Achille viene salvato dal dio Poseidone, che ne profetizza il futuro regale. Questo vaticinio e il fatto che non ne sia narrata la morte nelle vicende della caduta della città di Troia, permise la creazione di leggende sulla sorte successiva dell'eroe.
NellIliou persis di Arctino di Mileto, della metà dell'VIII secolo a.C., si racconta la sua partenza verso il monte Ida, mentre nell'Inno omerico ad Afrodite, della fine del VII secolo a.C., Enea viene visto regnare sulla nuova Troia ricostruita, al posto della stirpe di Priamo. Anche la città di Ainea nella penisola calcidica si riteneva fondata da Enea e una moneta cittadina della fine del VI secolo a.C. rappresenta la fuga dell'eroe da Troia. Con Stesicoro, nel VI secolo a.C., viene introdotto il viaggio di Enea verso l'Occidente. Il testo letterario non ci è giunto, ma ne rimane testimonianza nelle raffigurazioni con "didascalie" della Tabula Iliaca (rilievo proveniente da Boville nei Musei Capitolini di Roma, databile al I secolo d.C.).
Nel V secolo a.C. i Greci crearono quindi probabilmente la leggenda della fondazione di Roma da parte di Enea: Dionigi di Alicarnasso ci riporta il racconto di Ellanico di Lesbo e di Damaste di Sigeo che avevano preso a modello le altre fondazioni di città greche attribuite agli eroi omerici. Viene anche inventata un'eroina troiana che avrebbe dato il suo nome alla nuova città ("Rome").
La presenza di raffigurazioni del mito di Enea su oggetti rinvenuti in centri etruschi tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. ha fatto ipotizzare che il mito si sia sviluppato in realtà in quest'epoca in Etruria.
La relazione di Enea con Lavinia viene introdotta, alla fine del IV secolo a.C., da Timeo di Tauromenio, che, come testimoniato nuovamente da Dionigi di Alicarnasso, racconta di avervi visto i Penati troiani. Il legame con Lavinio è testimoniato anche dal poeta Licofrone. Si tratta forse di un mito di fondazione di origine latina o romana, attestato archeologicamente: un tumulo funerario, databile in origine al VII secolo a.C., mostra un adeguamento a funzioni di culto proprio alla fine del IV secolo a.C. e corrisponde a una descrizione di Dionigi di Alicarnasso del cenotafio dell'eroe, costruito nel luogo in cui era scomparso (rapito in cielo) nel corso di una battaglia.
A cavallo tra il VI e il V secolo a.C. lo storico siceliota Alcimo descrive per primo il mito della fondazione della città, con la lupa che salva e alleva i due gemelli discendenti di Enea.
Tra il IV e il III secolo a.C. infatti, dopo una lunga elaborazione di materiali tradizionali, tra cui ebbe forse particolare peso quello di origine gentilizia (le "storie di famiglia" del patriziato), viene a delinearsi il racconto della fondazione della città da parte di Romolo e Remo. Questa "gestazione" della leggenda e la selezione dei materiali della tradizione, fino a quel momento probabilmente trasmessi per via orale, dipende fortemente dal contesto contemporaneo: Roma deve poter essere accolta nel mondo culturale greco minimizzando l'apporto etrusco. La storia arcaica di Roma, a partire dalla fondazione viene quindi riferita da Fabio Pittore (che scrive in greco) e sarà ripetuta nelle Origines di Catone, negli scritti di Calpurnio Pisone e negli Annales di Ennio.
A Eratostene di Cirene si devono l'invenzione della dinastia regale di Alba Longa, l'eliminazione dello scarto cronologico tra la data della caduta di Troia, agli inizi del XII secolo a.C., e la data di fondazione della città, alla metà dell'VIII secolo a.C. Secondo Ennio, Romolo e Remo sono invece figli della figlia di Enea, di nome Ilia. Saranno infine Catone il Censore, Tito Livio, Dionigi di Alicarnasso, Appiano e Cassio Dione a narrare la leggenda come è conosciuta dellEneide di Virgilio. Questi aggiunge tuttavia alle peregrinazioni dell'eroe la sosta presso la regina Didone, che rappresenta la spiegazione mitica dell'ostilità tra Roma e Cartagine.
Altre leggende sulla nascita della città
C'è un'altra tradizione, raccontata da autori antichi come Strabone o Tito Livio, secondo la quale Roma fu una colonia greca arcade, fondata da Evandro. A Pallante, la città sul Palatino sorta nel luogo in cui sarà fondata Roma, si colloca anche il regno di Evandro, citato nellEneide virgiliana. Evandro avrebbe dato ospitalità a Eracle che conduceva le mandrie sottratte a Gerione. Evandro, che aveva saputo dalla madre Nicostrata, esperta di divinazione, il destino dell'eroe greco, comprese le fatiche che avrebbe dovuto superare, gli dedicò un altare, facendovi un sacrificio secondo il rito greco, ancora presente ai tempi di Strabone. Si racconta, inoltre, che durante il suo soggiorno, le mandrie gli furono rubate da Caco, figlio di Tifone, che egli schiantò con un colpo di clava mentre cercava di impedirgli di entrare per riprendersi la mandria.
Ma il personaggio e la sua città rivestono anche un'importanza che probabilmente esula da quella esclusivamente mitologica. Dal nome di Pallante (secondo alcune versioni, Pallanteo) potrebbe infatti essere derivato lo stesso toponimo di Palatino. La coincidenza poi che le feste "Palilie" si celebrassero nella data della fondazione di Roma può far pensare a un'ipotesi di accordo e di spartizione del territorio tra la gente di Romolo, stanziata sul Germalo, altura settentrionale del Palatino, e quella di Evandro, stabilitasi sul Palatino vero e proprio, più a sud, riservando alla Velia, l'altura intermedia, il ruolo forse di area cimiteriale, come i reperti archeologici lasciano supporre. Non va neanche sottovalutato il rilievo che assume la figura di Ercole e l'ospitalità offertagli dallo stesso Evandro: Ercole, ladro e assassino (avendo ucciso Gerione per rubargli le mandrie), che cerca rifugio in una regione infestata da ladri (Caco aveva il suo rifugio nel vicino bosco della dea Laverna – vedi anche Porta Lavernalis) è molto simile ai proto-romani, pastori e personaggi comunque poco raccomandabili, riuniti sul Germalo in una comunità rozza e violenta che però è disposta a riconoscere il diritto d'asilo.
Altre varianti riguardano gli stessi Romolo e Remo, figli di Enea e Dessitea, nati già a Troia, oppure di Latino, figlio di Telemaco e di Rhome, o ancora di una Emilia, figlia di Enea, e del dio Marte.
Una leggenda racconta infine una diversa versione: sul focolare della casa di Tarchezio, tirannico re di Alba Longa, era apparso un fallo, che un oracolo impose di far unire con una fanciulla vergine. La figlia del re si fece tuttavia sostituire da una schiava, ma venne scoperta dal padre: le due donne furono imprigionate e i gemelli nati da quell'unione furono esposti in una cesta lasciata nel Tevere.
Anche la figura di Acca Larenzia compare in un diverso racconto che ci ha tramandato Plutarco: il guardiano del tempio di Ercole aveva perso una partita a dadi che aveva giocato contro il dio stesso e la cui posta era una donna. Il guardiano invitò dunque Acca Larenzia nel tempio e ve la richiuse. Dopo aver passato la notte con lei Ercole favorì le sue nozze con il ricco Tarunzio, che alla sua morte la lasciò erede delle sue ricchezze: Acca Larenzia le donò al popolo romano. L'episodio spiega in tal modo il culto che le veniva dedicato (festa dei Larentalia), che forse è dovuto all'antico carattere divino di questa figura.
Secondo Plinio il Vecchio e Aulo Gellio i dodici figli di Acca Larenzia e di Faustolo sarebbero stati all'origine del collegio sacerdotale dei fratres Arvales, caratterizzato dall'uso di rituali e formulari arcaici.
Origine del nome nella letteratura antica
L'origine del nome della città era incerta anche in età arcaica. Servio, grammatico a cavallo tra il IV e il V secolo d.C., riteneva che il nome derivasse da un'antica denominazione del fiume Tevere, Rumon, dalla radice ruo (a sua volta proveniente dal greco ρεω), scorro, così da assumere il significato di Città del Fiume. Ma si tratta di un'ipotesi che non ha riscosso successo.
Gli autori di origine greca, primo fra tutti Plutarco, tendevano naturalmente a celebrarsi come i civilizzatori e i colonizzatori del bacino del Mediterraneo e quindi insistevano sulla lontana origine ellenica della città. Una prima versione fornita da Plutarco vede la fondazione di Roma dovuta al popolo dei Pelasgi, i quali una volta giunti sulle coste del Lazio, avrebbero fondato una città il cui nome ricordasse la loro prestanza nelle armi (rhome). Secondo una seconda ricostruzione dello stesso autore, i profughi troiani guidati da Enea arrivarono sulle coste del Lazio, dove fondarono una città presso il colle Pallantion a cui diedero il nome di una delle loro donne, Rhome. Una terza versione, sempre di Plutarco, offre ipotesi alternative, secondo le quali Rome poteva essere un mitico personaggio eponimo, figlia di Italo, re degli Enotri o di Telefo, figlio di Eracle, sposò Enea o il figlio, Ascanio.
Una quarta versione vede Roma fondata da Romano, figlio di Odisseo e di Circe; una quinta da Romo, figlio di Emazione, giunto da Troia per volontà dell'eroe greco Diomede; una sesta da Romide, tiranno dei Latini, che era riuscito a respingere gli Etruschi, giunti in Italia dalla Lidia e in Lidia dalla Tessaglia. Un'altra versione fa della stessa Rome la figlia di Ascanio, e quindi nipote di Enea. Ancora una Rome profuga troiana giunge nel Lazio e sposa il re Latino, sovrano del popolo lì stanziato e figlio di Telemaco, da cui ebbe un figlio di nome Romolo che fondò una città chiamata col nome della madre. In tutte le versioni si ritrova l'eponima chiamata Rome, la cui etimologia è la parola greca rhome con il significato di "forza". Le fonti citano altri possibili eroi eponimi come Romo, figlio del troiano Emasione, o Rhomis, signore dei Latini e vincitore degli Etruschi.
Secondo altre interpretazioni di un certo interesse, il nome ruma sarebbe di origine etrusca, in quanto non è stato trovato l'etimo indoeuropeo e l'unica lingua non-indoeuropea della zona era l'etrusco. Il termine sarebbe entrato come prestito nel latino arcaico e avrebbe dato origine al toponimo Ruma (più tardi Roma) e a un prenome Rume (in latino divenuto Romus), dal quale sarebbe derivato il gentilizio etrusco Rumel(e)na, divenuto in latino Romilius. Il nome Romolo sarebbe quindi derivato dal nome della città e non viceversa.
In ogni caso la tradizione linguistica assegna al termine "ruma", in etrusco e in latino arcaico, il significato di mammella, come è confermato da Plutarco il quale, nella Vita di Romolo racconta che:
Questa interpretazione del termine ruma è quindi strettamente collegata con i motivi che hanno portato alla scelta, come simbolo della città di Roma, di una lupa con le mammelle gonfie che allatta i gemelli fondatori.
Anche sulla lupa sono da fare delle considerazioni: posto che alcuni ritengono che ad accudire i gemelli sia stata effettivamente una lupa (in quanto mammifero in grado di avere gravidanze plurigemellari) la quale, avendo perso i propri cuccioli a causa di un predatore, aveva vagato fino a quando, trovati i due neonati, li aveva allevati, impedendone così la morte certa, occorre rilevare che il termine "lupa" in latino assume anche il significato di prostituta (da cui, "lupanare", luogo dove si svolge la prostituzione), ed è quindi abbastanza probabile che la "lupa" in questione sia stata una prostituta.
I tre nomi di Roma
Secondo una tradizione diffusa nell'antichità, una città aveva tre nomi: uno sacrale, uno pubblico e uno segreto. Posto che al nome pubblico di Roma era unito il nome religioso di Flora o Florens, usato in occasione di determinate cerimonie sacre, quello segreto è rimasto sconosciuto. Il motivo e la necessità di questa segretezza riporta a un'altra tradizione diffusa presso gli antichi (ma anche in alcune culture contemporanee non occidentali) e che si ritrova anche nella storia dell'origine della scrittura: il nome di un oggetto o di una entità esprimeva l'essenza e l'energia dell'oggetto o entità che definiva. Nominare qualcosa equivaleva a renderlo vivo ed esistente e la conoscenza del nome significava, in pratica, avere il potere di influire, in bene o in male, sull'oggetto di cui si possedeva la conoscenza.
Nel caso di una città il nome segreto corrispondeva, di fatto, al nome segreto del Nume tutelare e infatti i Pontefici romani, nelle invocazioni, si rivolgevano a "Giove Ottimo Massimo o con qualunque altro nome tu voglia essere chiamato". In base a questo principio negli assedi veniva evocato il dio protettore della città assediata, promettendogli riti e sacrifici migliori, affinché abbandonasse la tutela della città nemica, e per questo motivo i romani conservarono con estrema cura il nome segreto della loro città. Quinto Valerio Sorano fu giustiziato per avere divulgato il nome.
Secondo il poeta e latinista Giovanni Pascoli, che ne parla nell'ode Inno a Roma, il nome segreto di Roma era il palindromo della stessa, Amor, cioè amore, il che significava la dedica segreta della città a Venere, dea dell'amore e della bellezza, ricollegandosi quindi al culto di Venere genitrice, madre di Enea e della stirpe romana. hanno concordato con questa ipotesi.
Secondo altri studiosi, il nome segreto sarebbe Maia, la Pleiade madre di Mercurio, e il poeta Ovidio sarebbe stato esiliato per averlo rivelato o pronunciato. Le principali Pleiadi sono sette e Maia è la più grande; esse simboleggerebbero i Sette Colli di Roma.
Il contesto geografico e orografico
La natura del luogo dove sorse il nucleo iniziale di Roma era adatta allo scambio di merci, tra cui il sale, di fondamentale importanza, e il bestiame, tra differenti culture. Una zona temperata dell'Italia centrale, poco distante dal mare, lungo la sponda sinistra del fiume Tevere dotata di insenature per l'attracco delle barche (il futuro portus Tiberinus), ai piedi di numerosi colli (in particolare Aventino, Palatino e Campidoglio) che costituivano un valido sistema di difesa da attacchi nemici e sulle cui sommità sorsero i primi abitati proto-urbani, nei pressi del guado dell'isola Tiberina dove confluivano i percorsi per l'approvvigionamento del sale che percorrevano la valle del fiume (la via Salaria dalla Sabina e la via Campana dal Tirreno), quelli costieri tra Etruria (con la vicina Veio) e Campania (con le colonie greche) e i tratturi per la transumanza delle greggi dall'Appennino.
Per il carattere "emporico" del luogo, che aveva nell'area del Foro Boario il centro sacro e commerciale, questo fu frequentato da Fenici fin dai decenni finali dell'VIII secolo a.C. e da Greci (probabilmente gli Eubei di Cuma) dal secondo quarto sempre dell'VIII secolo, oltre agli Etruschi e alle popolazioni italiche. Vi sorgeva un antichissimo santuario, l'Ara massima di Ercole, dedicato ad una divinità locale forse di origine sabina, assimilata al Melqart fenicio e più tardi all'Ercole greco-romano.
In particolare, il sistema collinare è costituito da tre lunghe "dita di una mano" che si riuniscono a est nel pianoro dove attualmente sorge la stazione Termini (a sud Aventino e Celio; al centro Palatino, Velia ed Esquilino; più a nord Campidoglio e Quirinale), oltre alle "dita" più corte del Viminale e del Cispius, tra cui si interponevano alcune valli come la Vallis Murcia (tra Aventino e Palatino, occupata più tardi dal Circo Massimo), l'area del Foro romano (tra Palatino, Velia e Campidoglio) e la Subura (tra Quirinale, Viminale ed Esquilino). Nel centro proto-urbano di Roma, alcune di queste alture componevano il Septimontium, che con l'espansione della città fu poi allargato ai tradizionali "sette colli".
Il Tevere, inoltre, costituiva il confine naturale tra due differenti culture che, fin dalla fine dell'età del bronzo (dopo il 1000 a.C.), andavano ormai contrapponendosi anche etnicamente: la cultura laziale a sud (il Latium vetus dei Latini-Falisci) e quella villanoviana a nord (l'Etruria degli Etruschi).
Documentazione archeologica e storica
Media-tarda età del bronzo: XIV - XI secolo a.C.
Accanto alle fonti letterarie tramandateci, i moderni ritrovamenti archeologici hanno dimostrato la rilevanza delle attività commerciali per il centro protostorico di Roma, trattandosi di un'area racchiusa da un lato dalla sponda sinistra del fiume Tevere e dall'altro dai tre vicini colli dell'Aventino, Palatino e Campidoglio, identificabile con il cosiddetto Foro Boario.
I reperti più antichi, che appartengono alla media età del Bronzo, sono quelli trovati nei pressi della chiesa di Sant'Omobono, sotto al colle del Campidoglio, a ridosso dell'ansa del fiume Tevere nella zona del Foro Boario (all'incrocio tra l'odierna via L. Petroselli e il Vico Jugario). Si tratta di frammenti di ceramica appenninica, databili intorno al XIV-XIII secolo a.C. e di ossa di animali. A partire da questo momento nuove tracce di vita andranno a estendersi prima nell'area del foro romano, dove sono stati trovati resti di insediamenti risalenti all'XI secolo a.C. e corredi funerari risalenti al X secolo a.C. Qui si formò, infatti, progressivamente nei pressi del guado del Tevere una struttura emporica (orrea) di scambio e approvvigionamento, sotto la protezione dell'Ercole italico, protettore del bestiame transumante.
Più recenti indagini archeologiche nel Giardino Romano del Palazzo dei Conservatori sul Campidoglio hanno permesso di rilevare lavori di sistemazione del suolo risalenti alla tarda età del bronzo, oltre alla scoperta di sepolture e di una zona destinata alla lavorazione di metalli, in uso sin dal IX secolo a.C., avvalorando così l'ipotesi della compresenza in epoca protostorica di insediamenti in diverse zone della futura città.
La fase protolaziale e le comunità albensi: X-IX secolo a.C.
Successivamente le testimonianze archeologiche si diffusero al vicino colle Palatino, dove sono stati rinvenuti i resti di una necropoli (risalenti sempre al X secolo a.C.), nella sella compresa tra le due cime del colle, il Germalus e il Palatium. E ancora sul Palatino sono stati trovati resti di insediamenti che si riferiscono al IX secolo a.C.. Riguardo agli usi funerari dell'epoca, sono stati rilevati il rito dell'inumazione e quello dell'incinerazione. Questo testimonia che la popolazione non era indifferenziata, ma esisteva già una primitiva differenza di classi. L'incinerazione era praticata dalla classe più ricca, i patrizi. La forma a capanna delle urne testimonierebbe la forma a capanne delle abitazioni primitive.
Verso la nascita della città: VIII secolo a.C.
Un elemento di particolare rilievo nei ritrovamenti dell'area di S. Omobono è dato dal fatto che insieme ai reperti del XIV secolo sono stati ritrovati anche resti, di indubbia provenienza greca, risalenti all'VIII secolo, quindi esattamente coincidenti con l'epoca della fondazione di Roma secondo la tradizione letteraria latina. Tale circostanza è pertanto una conferma archeologica della realtà storica degli indizi che hanno poi contribuito a generare la tradizione mitologica sulle origini leggendarie della città.
Diverse teorie e studi cercano di collegare questi reperti; si tratta di ritrovamenti in un'area molto ristretta e che attestano la presenza di abitati nella zona del Campidoglio, Foro, Palatino in un'età anche antecedente a quella che la tradizione tramanda come data di fondazione della città.
La tradizione che racconta che Roma fu fondata con un atto di volontà di Romolo, sembra avere un fondamento di verità soprattutto in seguito alla scoperta, a opera dell'archeologo italiano Andrea Carandini, di un'antica cinta muraria (che potrebbe essere l'antico "muro di Romolo") costituita da un muro a scaglie di tufo, con alla sommità incastri e tracce di una palizzata e vallo risalente al 730 a.C., eretto sul Palatino nel versante volto verso la Velia dietro la basilica di Massenzio alla base nord-orientale del colle Palatino.
Tale cinta muraria potrebbe essere la conferma del tradizionale racconto sulla fondazione di Roma ed è quasi contemporanea a una fibula di bronzo dell'VIII secolo, raffigurante un picchio che acceca Anchise, il padre di Enea, punendolo per essersi unito a Venere. Secondo lo storico Tacito, infatti, il "solco primigenio" tracciato da Romolo sul Palatino, primo nucleo urbano della futura città di Roma, avrebbe incluso l'Ara massima di Ercole invitto, monumento non solo già esistente attorno alla metà dell'VIII secolo a.C., ma costituente uno dei quattro angoli della città quadrata. E sempre Tacito aggiunge che il Campidoglio e la sottostante piana del Foro romano furono aggiunti alla Roma quadrata da Tito Tazio.
Quest'ipotesi è stata ulteriormente confermata dalla scoperta nel 2005 di un grande palazzo ad architettura a capanna nell'area del tempio di Vesta che potrebbe essere il palazzo dei primi re di Roma. Muro, antico palazzo reale e primo tempio di Vesta fanno parte di un complesso architettonico risalente alla seconda metà dell'VIII secolo a.C. che sembra confermare l'esistenza di un progetto architettonico ben preciso già nella seconda metà dell'VIII secolo, data tradizionale della fondazione di Roma in questo periodo.
Un altro gruppo di studiosi non ritiene che Roma sia nata da un atto di fondazione, sul modello delle polis greche nel sud Italia e in Sicilia, ma piuttosto che la fondazione della città storicamente debba attribuirsi a un diffuso fenomeno di formazione dei centri urbani, presente in gran parte dell'Italia centrale, e che nella fattispecie comprenda un periodo di diversi secoli: dal XIV secolo al VII secolo a.C. La città si venne quindi formando attraverso un fenomeno di sinecismo durato vari secoli, che vide, in analogia a quanto accadeva in tutta l'Italia centrale, la progressiva riunione in un vero e proprio centro urbano degli insediamenti dispersi sui vari colli. In quest'epoca infatti i sepolcreti collocati negli spazi vuoti tra i primitivi villaggi furono abbandonati a favore di nuove necropoli poste all'esterno dell'area cittadina, in quanto tali spazi sono ora considerati parte integrante dello spazio urbano.
Ed è anche quello che verosimilmente può essere accaduto sul Palatino, che inizialmente era composto da vari nuclei abitativi indipendenti (Palatium e Cermalus) e che si concluse attorno alla metà dell'VIII secolo, corrispondente alla tradizionale data di fondazione del 753 a.C. Il Romolo della leggenda può essere stato, pertanto, il realizzatore della prima unificazione di questi nuclei in un'entità unica. Nei due secoli successivi, tale processo di unificazione fu probabilmente accelerato dall'occupazione etrusca della città andando a includere ora i famosi "sette colli".
Note
Bibliografia
Fonti primarie
Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane. QUI versione in internet
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Livio, Ab Urbe condita libri. QUI versione latina in internet
Plutarco, Vita di Romolo. QUI versione in internet
Strabone, Geografia, V.
Varrone, De lingua latina, V.
Publio Virgilio Marone, Eneide.
Fonti storiografiche
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Filippo Coarelli, I santuari, il fiume, gli empori, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, vol.13, Milano 2008.
Pietro De Francisci, Sintesi storica del diritto romano, Roma 1968.
Renato Peroni, Comunità e insediamento in Italia fra età del bronzo e prima età del ferro, in Storia dei Greci e dei Romani, vol. 13, Einaudi 2008.
M. Quercioli, Le mura e le porte di Roma, Newton Compton, Roma, 1982.
Voci correlate
Ab Urbe condita
Natale di Roma
Gentes originarie
Origo gentis Romanae
Diritto romano
Età regia di Roma
Storia di Roma
Eneide |
1891 | https://it.wikipedia.org/wiki/Federico%20I | Federico I | Federico I di Wettin (960 circa – 1017) – conte di Eilenburg
Federico I (997/999-1070/1075) – conte palatino di Svevia dal 1053 al 1069 e conte in Riesgau dal 1030
Federico I di Svevia (Staufer o Hohenstaufen) – duca di Svevia (1050? – 1105)
Federico I – marchese di Ancona (?-1139)
Federico I Barbarossa – imperatore del Sacro Romano Impero (?1125-1190)
Federico I di Babenberg – margravio d'Austria (?-1198)
Federico I – margravio di Meißen e langravio di Turingia (1247-1323)
Federico I d'Asburgo il Bello – duca d'Austria e di Stiria (?1286-1333)
Federico I – marchese di Saluzzo (1287-1336)
Federico I il Bellicoso (der Streitbare) – principe elettore di Sassonia (1370-1428)
Federico I di Hohenzollern – principe elettore di Brandeburgo (1372-1440)
Federico I il Vittorioso (der Siegreiche) – principe elettore del Palatinato (1425-1476)
Federico I – re di Napoli (1452-1504)
Federico I – re di Danimarca e di Norvegia (1471-1533)
Federico I – re di Boemia dal 1619 al 1620, ossia Federico V Elettore Palatino (1596-1632)
Federico I – re di Prussia (1657-1713), ossia Federico III principe elettore di Brandeburgo
Federico I – re di Svezia (1676-1751)
Federico I – duca di Württemberg dal 1593 al 1608
Federico I – re di Württemberg dal 1806 al 1816, già duca di Württemberg dal 1797 al 1806 con il nome di Federico II
Federico I di Baden-Baden, margravio di Baden-Baden dal 1250 al 1268
Federico I – granduca di Baden (1826-1907) |
1893 | https://it.wikipedia.org/wiki/Ticino%20%28fiume%29 | Ticino (fiume) | Il Ticino (Tessin in tedesco e in francese, Ticìn, Tisín, Tesìn, Tsei o Tzìch in lombardo e in piemontese) è un importante fiume della Svizzera meridionale e dell'Italia settentrionale, il principale affluente del Po per volume d'acqua e in assoluto il secondo fiume italiano per portata d'acqua. Il Ticino misura complessivamente 248 km di lunghezza ed è uno dei fiumi più sani in Italia.
Corso del fiume
Il corso del Ticino è convenzionalmente diviso in tre parti: la parte montana (Ticino superiore), che scorre in territorio svizzero; la parte lacuale, che riguarda il Lago Maggiore (diviso territorialmente tra Svizzera e Italia) e la parte pianeggiante (Ticino inferiore), che vede il Ticino scorrere in Italia a sud del Lago Maggiore, quindi dal territorio compreso tra i comuni di Castelletto sopra Ticino in Piemonte e Sesto Calende in Lombardia, e la confluenza nel Po, situata nel territorio comunale di Linarolo in provincia di Pavia, al confine con la regione Emilia-Romagna. La lunghezza complessiva del fiume è di 248 km, dei quali 91 km percorsi a monte del Lago Maggiore, 47 km percorsi nel Verbano e 110 km percorsi da questo al Po, mentre la lunghezza effettiva è quindi di 201 km, escludendo i km lacustri del Verbano.
Il Ticino superiore
Nasce in territorio svizzero, nel Cantone Ticino e scaturisce da due sorgenti. La principale si trova sul Passo della Novena non lontano dal confine tra il Canton Ticino (al quale il Ticino dona il nome), l'estrema punta settentrionale della provincia del Verbano Cusio Ossola (Formazza) e il Canton Vallese. L'altra sorgente, di portata più modesta, si trova, invece, nei pressi dell'Ospizio del Passo del San Gottardo, ad Airolo.
Il ramo di Ticino proveniente dal Passo della Novena, solca la Val Bedretto e ad Airolo si unisce con il ramo proveniente dal Passo del San Gottardo. Qui il fiume comincia a percorrere la Valle Leventina, dove scorre spesso incassato tra le rocce (gole di Stalvedro e del Monte Piottino). In questo tratto è, inoltre, ingrossato da un notevole numero di piccoli affluenti.
A Biasca il Ticino riceve da sinistra il fiume Brenno e comincia a scorrere in Valle Riviera. Successivamente lambisce Bellinzona, nei pressi di cui riceve da sinistra il Moesa e il Morobbia. Il Moesa, che percorre la Val Mesolcina, nel Cantone dei Grigioni, rappresenta il maggior tributario del Ticino Superiore. In seguito il fiume sbocca nel Piano di Magadino, dove scorre incanalato fin quasi al piccolo delta con cui sfocia nel Lago Maggiore. Poco prima di immettersi nel lago, il Ticino riceve le acque di un buon numero di affluenti minori. Il Ticino Superiore misura 91 km, percorsi totalmente in territorio svizzero e la sua portata media allo sbocco nel Lago Maggiore è di 69 m³/s.
Il Lago Maggiore
Nel tratto lacuale riceve il contributo di svariati affluenti direttamente sfocianti nel lago, alcuni importanti come la Maggia, la Toce (suo principale tributario), la Verzasca, la Tresa (che drena tutta la zona del lago di Lugano) e il Bardello, emissario del lago di Varese. Il percorso del Ticino nel Lago Maggiore è di 47 km.
Il Ticino inferiore
Il Ticino inferiore costituisce l'unico emissario del Lago Maggiore. Il suo percorso comincia circa un chilometro a monte del ponte tra Sesto Calende (VA) e Castelletto sopra Ticino (NO), in corrispondenza delle località Cicognola a Castelletto sopra Ticino e Parco Europa a Sesto Calende (VA). Da qui il fiume si dirige in direzione sud est, segnando il confine tra il Piemonte e la Lombardia.
A livello di Castelletto sopra Ticino e Golasecca, il Ticino incontra lo sbarramento artificiale della Miorina, che ne regola il deflusso dal Lago Maggiore. Poco più a valle si trova la Diga di Porto della Torre, dove il Ticino cede parte della sua portata al Canale Regina Elena, che irriga le campagne del Novarese. Immediatamente dopo, nel territorio di Somma Lombardo, si trova lo sbarramento del Panperduto. Qui gran parte delle acque del Ticino vengono incanalate e vanno ad alimentare il Canale Villoresi e il Canale Industriale.
Il fiume, privato di buona parte delle sue acque, scorre in un vasto alveo, alimentando alcune rogge molinare, sia in Piemonte, sia in Lombardia, le quali un tempo muovevano le pale dei mulini, oggi dismessi.
Al Ponte di Oleggio si trova la Diga Paladella, oggi dismessa, che un tempo era l'incile del Naviglio Grande. Oggi questo primo tratto di naviglio non è più utilizzato e resta tutto l'anno in secca, come alveo storico. La portata del Naviglio Grande viene immessa a Turbigo, e proviene dal Canale Industriale, che prima di cedere buona parte delle sue acque al Naviglio Grande, aziona le centrali idroelettriche di Vizzola (a Vizzola Ticino), di Tornavento (a Lonate Pozzolo) e Castelli (a Turbigo). La portata residua del Canale Industriale che non viene immessa nel Naviglio Grande, torna al Ticino, alimentando, però, un'altra centrale idroelettrica: la centrale di Turbigo Inferiore.
Poco prima di ricevere la portata residua del Canale Industriale, il Ticino alimenta il Naviglio Langosco, che scorre dal Piemonte alla Lombardia. Proseguendo di qualche chilometro, sempre in sponda piemontese, il Ticino alimenta il Naviglio Sforzesco. Esso, dopo avere azionato la centrale idroelettrica di Vigevano, si divide in due rami, uno va a portare acqua alle campagne, mentre l'altro torna al fiume.
Presso Abbiategrasso il Ticino entra interamente in Lombardia, non segnando più il confine con il Piemonte. A destra del Ticino si trova ora la Lomellina, un vasto territorio della Lombardia compreso nella provincia di Pavia, di cui il Ticino lambisce la città più importante della Lomellina: Vigevano.
Più a valle, presso Motta Visconti, il fiume torna a scorrere a corso unico, dopo che dal ponte di Oleggio fino a qui, le sue acque si erano divise, naturalmente, in una moltitudine di rami secondari e meandri, creando anche le cosiddette lanche: antichi rami del Ticino, che con il passare del tempo il fiume non ha più percorso. Questi ambienti si sono così trasformati in zone umide in cui la fauna e la flora sono lussureggianti.
Tornato a corso unico il fiume prosegue verso sud est. A Bereguardo il fiume è scavalcato da un ponte di barche, l'unico presente sull'intero corso del Ticino. Poco più a sud il Ticino sfiora Torre d'Isola e poi attraversa Pavia, separando il quartiere di Borgo Ticino, sulla riva destra, dal resto della città (entrambi uniti dal ponte Coperto). Il fiume confluisce infine, da sinistra, nel Po nel territorio comunale di Travacò Siccomario, precisamente in corrispondenza del Ponte della Becca.
Gli affluenti del Ticino Inferiore sono pochi e in genere di scarsa portata. Essi sono: il torrente Lenza, a Sesto Calende; il torrente Strona a Somma Lombardo; il torrente Arno a Castano Primo; il Canale del Latte a Turbigo; il Canale Cavour a Galliate; la Roggia Cerana a Cerano; il Canale Scolmatore di Nord Ovest (che raccoglie le acque in eccesso dei fiumi Olona e Seveso) ad Abbiategrasso; il Naviglio di Bereguardo a Bereguardo; il Naviglio Pavese, il Canale Gravellone e la Roggia Vernavola a Pavia.
Il Ticino Inferiore misura 110 km e la sua portata media alla confluenza con il Po è di 350 m³/s; conta dieci affluenti e interessa il territorio di quattro province: Varese, Novara, Milano e Pavia. Si tratta di un ambiente di straordinaria biodiversità: nelle acque del fiume sono presenti quasi quaranta specie ittiche, alcune delle quali, come trota marmorata e temolo, sono in stato di pericoloso declino. Le specie autoctone sono: alborella, anguilla, barbo canino, barbo comune, bottatrice, carpa, cavedano, cobite comune, cobite mascherato, ghiozzo padano, gobione, lampreda padana, lasca, luccio, panzarolo, persico reale, pigo, sanguinerola, savetta, scardola, scazzone, spinarello, storione cobice, temolo, tinca, triotto, trota marmorata, vairone.
Le specie alloctone sono invece: abramide, aspio, barbo europeo, carassio, cobite di stagno orientale, gambusia, lucioperca, persico sole, persico trota, pseudorasbora, rodeo, rutilo, siluro, trota iridea.
Regime idrologico ed economia
Il Ticino, grazie alla copiosità delle sue acque, ha grande importanza per l'irrigazione ed è un'importante fonte di energia elettrica.
Se infatti, fra gli affluenti del Po, occupa solo il 4º posto per lunghezza dopo Adda, Oglio e Tanaro, e il 3º per superficie di bacino dopo Tanaro e Adda, è però di gran lunga quello più ricco d'acqua in ogni stagione, sia come portata media alla foce (ben 350 m³/s), sia come portata minima (54 m³/s), sia come portata massima (5 000 m³/s), al punto che il suo contributo idrico e il suo regime sono assolutamente determinanti per il Po, rappresentandone dal 20% al 50% della portata.
In territorio italiano alimenta vari canali artificiali, tra cui il Naviglio Grande, che fin dall'epoca medioevale ha avuto grande importanza per i trasporti e oggi è usato solo per la produzione elettrica in quanto, con il Canale Industriale a cui è collegato, permette il funzionamento di varie centrali elettriche garantendo circa il 30% del fabbisogno energetico lombardo.
Per gli usi irrigui il Ticino alimenta, tra gli altri, il Canale Regina Elena nella parte piemontese e il Canale Villoresi nella parte lombarda.
Altro canale del Ticino che a dispetto delle ridotte dimensioni ha avuto rilevanza economica per l'Alto Milanese è la Gora Molinara, che come dice il nome azionava diversi mulini lungo il suo corso.
Ambiente
Il percorso italiano del fiume è interamente protetto da due parchi regionali, che formano nell'insieme il più grande parco fluviale d'Europa:
il Parco Lombardo della Valle del Ticino, creato nel 1974, copre 91 140 ettari, di cui 21 740 urbanizzati dove l'azione del parco è limitata;
il Parco Naturale della Valle del Ticino, creato nel 1978, copre 6 250 ettari formanti una banda stretta lungo la riva destra del fiume.
In Svizzera, invece, all'immissione nel Lago Maggiore il fiume forma le Bolle di Magadino, area naturalistica protetta ricca di flora e di fauna tipiche della zona.
Il problema Arno
Nonostante il Ticino sia uno dei fiumi più puliti della Lombardia e del Piemonte, dal 2000 le sue acque risentono di un serio problema, noto come problema Arno. La questione ruota tutta attorno al torrente Arno, modesto corso d'acqua del Varesotto e dell'Alto Milanese, le cui acque sono tra le più sporche di Lombardia e non solo. Il torrente anticamente sfociava nel Ticino presso Turbigo, dove ora si trova la cosiddetta Roggia Arno, a causa, però, dell'alta permeabilità del suo alveo a valle di Gallarate, il torrente perdeva le sue acque, spagliando nella campagna tra Lonate Pozzolo, Castano Primo, Nosate e Vanzaghello. Nel Novecento, a causa dei liquami riversati nell'Arno, l'alveo del torrente si è impermeabilizzato, causando sempre più sovente allagamenti che determinavano anche una situazione di degrado ambientale alle campagne circostanti. Nel 2000 si è così proceduto a bonificare l'area di spagliamento e a realizzare dei vasconi per lo spagliamento controllato tra Castano, Nosate e Lonate Pozzolo. I lavori prevedevano che a causa di portate elevatissime del torrente l'acqua in eccesso andasse nel Canale Marinone e quindi nel Ticino. I lavori non vennero però svolti nella maniera più opportuna e questo causò l'impermeabilizzazione dei vasconi, determinando l'afflusso dell'Arno nel Ticino molto spesso. Questa situazione influisce molto negativamente sulla qualità delle acque del fiume, che pur restando di grado buono manifestano un notevole peggioramento a valle di Lonate Pozzolo, soprattutto in tempo di pioggia.
Il problema dello Scolmatore di Nord Ovest
Altro serio problema di cui soffrono le acque del fiume Ticino, è rappresentato dal Canale Scolmatore di Nord Ovest, realizzato tra gli anni sessanta e ottanta, per ovviare ai frequenti allagamenti di cui soffre l'area milanese. Il canale venne realizzato per impedire gli allagamenti causati dal fiume Seveso a Milano. Questo piccolo fiume, è però uno dei più inquinati della Lombardia, e nei tempi di pioggia, riversa nello scolmatore una notevole quantità di liquami, che finiscono poi nel Ticino presso Abbiategrasso. Nei momenti di forti e prolungate piogge il canale accoglie anche la portata in eccesso del fiume Olona, altro fiume le cui acque sono di qualità scadente.
Il fatto è che oltre a scaricare nel Ticino le luride acque del Seveso, il canale si è pure sovente rivelato insufficiente a evitare le inondazioni. Per esempio nel novembre 2002, le forti e continue piogge causarono lo straripamento del Ticino, dell'Olona, del Seveso e anche dello Scolmatore di Nord Ovest, che inondò le campagne di Abbiategrasso. Queste situazioni hanno da sempre causato le proteste degli ambientalisti, che hanno contestato il canale fin dalla sua costruzione.
Storia
A partire dall'età del bronzo la Valle del Ticino fu culla di un'importante civiltà nota come cultura di Golasecca. Secondo Tito Livio, nel VI secolo a.C. i Galli sconfissero presso il Ticino gli Etruschi nella battaglia del Ticino. Inoltre il Ticino fu il teatro di una vittoria di Annibale nella seconda guerra punica (218 a.C.). Nel 590 una grande flotta bizantina risalì il Po e il Ticino e tentò di assediare re Autari a Pavia. Nel medioevo Pavia fu, grazie alle acque del Ticino, terminal ultimo tra le comunicazioni e i commerci tra Venezia e la pianura Padana. Inoltre i pavesi erano in grado di mobilitare una grande flotta fluviale, in grado di operare anche sul Po, che gli permise di tenere testa per secoli a Milano e che, successivamente, formò le basi della flotta viscontea.
Anche il Ticino, come il Po e gran parte dei fiumi dell'Italia Settentrionale, era attraversato da pochissimi ponti in muratura. Fino al XIX secolo, dal lago Maggiore alla sua confluenza nel Po, l'unico ponte in muratura era il Ponte Coperto di Pavia, realizzato nel Trecento su di un precedente ponte di età romana. Un ponte in legno fu gettato dai Visconti a Vigevano nei primi anni del XIV secolo, ma esso fu incendiato dalla flotta pavese nel 1315, ricostruito da Luchino Visconti, fu nuovamente distrutto dai pavesi nel 1356 e mai più ricostruito. Sorte analoga toccò al ponte ligneo fatto dai milanesi a Turbigo intorno al 1270, che fu distrutto dai novaresi nel 1275. Solo in età napoleonica iniziarono i lavori per realizzare l'imponente ponte in pietra di Boffalora, il cui cantiere si chiuse nel 1827.
La fase finale della battaglia di Pavia del 1525, che sancì il dominio spagnolo su gran parte d'Italia, si svolse sulle rive del Ticino, qui infatti furono massacrati dai lanzichenecchi di Carlo V i fanti svizzeri al soldo del re di Francia che cercavano, in fuga, di superare il fiume. Sempre presso il fiume, nel 1636 francesi e asburgici si scontrarono di nuovo nella battaglia di Tornavento e poi a Pavia (che venne assediata) nel 1655.
Nel 1810 vi si suicidò a Pavia il patriota e letterato Francesco Lomonaco.
Nel 1848 della prima mossa del regio esercito piemontese contro l'Austria, che diede inizio alla prima guerra di indipendenza italiana. Durante la seconda guerra d'indipendenza italiana, i franco-piemontesi batterono gli austriaci presso il Ticino nelle battaglie di Turbigo e di Magenta.
Nel 2002 la Valle del Ticino è stata istituita quale "Riserva della Biosfera" all'interno del programma Man and Biosphere dell'UNESCO, pertanto è annoverato tra i beni o Patrimoni dell'Umanità da tutelare.
L'oro del Ticino
Come tutti i fiumi che corrono ai piedi di catene montuose, anche il Ticino è un bacino nel quale è possibile trovare oro.
Gli antichi Romani lo sapevano molto bene, e lo avevano capito al punto da impiegare, come ci descrive Plinio il Vecchio, una forza lavoro pari a cinquemila schiavi per l'estrazione del prezioso metallo dai bacini fluviali della Bassa Gallia (Piemonte e Lombardia occidentale); ancora oggi, non a caso, lungo il corso del fiume è possibile individuare enormi cumuli di massi ammonticchiati conosciuti come vie Aurifodine, testimonianze di antiche miniere d'oro a cielo aperto distribuite lungo un percorso di quasi due km nel territorio di Varallo Pombia.
L'oro è presente in forma di pagliuzze generalmente non più lunghe di un millimetro, e la potenzialità aurifera del Ticino è calcolata essere di 6-8 grammi per tonnellata di sabbia setacciata.
La ricerca dell'oro alluvionale è oggi soltanto un'attività naturalistico-amatoriale, non remunerativa ma fonte di emozioni e divertimento; questa passione accomuna numerose associazioni soprattutto nella provincia di Pavia.
Nel 1997 il Ticino è stato sede di un'edizione del Campionato Mondiale di ricerca dell'oro.
Affluenti e defluenti del Ticino
I principali affluenti del Ticino Superiore
Piumogna
Brenno
Morobbia
Moesa
Affluenti del Lago Maggiore
Affluenti del Ticino Inferiore
Lenza
Strona
Arno (detto anche Arnetta)
Canale Turbighetto
Canale del Latte
Canale Cavour
Roggia Cerana (denominazione del tratto finale del torrente Terdoppio Novarese)
Canale Scolmatore di Nord Ovest (raccoglie le acque di piena di Seveso e Olona)
Naviglio di Bereguardo
Naviglio Pavese e Navigliaccio
Canale Gravellone
Roggia Vernavola
Defluenti
Canale Regina Elena (origina il Diramatore Alto Novarese, che in seguito confluisce nel Canale Cavour)
Canale Villoresi (la portata residua del canale si immette nel fiume Adda)
Canale Industriale (cede la maggior parte della sua portata al Naviglio Grande, la portata residua riconfluisce nel Ticino come Canale Turbighetto)
Naviglio Grande (sfocia nella Darsena di Porta Ticinese a Milano)
Naviglio Langosco
Naviglio Sforzesco
Roggia Castellana
Note
Voci correlate
Correzione delle acque del Ticino
Fiumi italiani
Parco naturale della Valle del Ticino
Parco naturale lombardo della Valle del Ticino
Altri progetti
Collegamenti esterni
Fiumi del Canton Ticino
Fiumi della città metropolitana di Milano
Fiumi della provincia di Pavia
Fiumi della provincia di Varese
Fiumi della provincia di Novara
Pavia
Affluenti del Po
Corridoi biologici |
1897 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fortran | Fortran | Fortran (fino alla versione 90 FORTRAN) è un linguaggio di programmazione, compilato e imperativo, particolarmente adatto per il calcolo numerico e la scienza computazionale.
Si tratta di uno dei primi linguaggi di programmazione, sviluppato a partire dal 1954 da un gruppo di lavoro guidato da John Backus; il primo manuale di riferimento per i programmatori in FORTRAN I, The FORTRAN automatic coding system for the IBM 704 EPDM, scritto dallo stesso Backus, è del 1956, mentre il compilatore fu pubblicato nel 1957.
Storia
Il primo compilatore FORTRAN fu sviluppato a partire dal 1954 per il calcolatore IBM 704 da un gruppo di lavoro guidato da John Backus. Si trattava di un compilatore ottimizzante (o ottimizzatore), poiché i progettisti ritenevano che nessuno avrebbe usato un linguaggio la cui efficienza non si avvicinasse a quella dei linguaggi assemblatori.
Il linguaggio fu usato su larga scala soprattutto per scrivere programmi che eseguivano molti calcoli matematici e questo incoraggiò i progettisti a creare compilatori che generavano codice molto veloce. L'inclusione del tipo numero complesso rese poi il Fortran il linguaggio d'elezione nella comunità scientifica. Al giorno d'oggi vengono ancora progettati nuovi compilatori Fortran, con prestazioni sempre più alte. Non si deve dimenticare poi che molti progressi nella teoria e nel progetto dei compilatori sono proprio derivati dalla necessità di ottenere compilatori Fortran in grado di generare un "buon" codice.
Diverse sono le versioni Fortran apparse: il FORTRAN I nel 1957, il FORTRAN II nel 1958, il FORTRAN III nel 1958 (usato da una ventina di clienti dell'IBM, ma mai pubblicato come prodotto commerciale per la sua mancanza di portabilità),
il FORTRAN IV nel 1961 (la versione di maggiore uso e diffusione), il FORTRAN 66 nel 1966, il FORTRAN 77 nel 1977, il Fortran 90 nel 1990, il Fortran 95 nel 1995, il Fortran 2003 nel 2003 e il Fortran 2008 nel 2008.
Il FORTRAN II introdusse la possibilità di compilazioni separate, il FORTRAN III la possibilità di usare espressioni booleane (o logiche) e quella di inserire "in linea" codice in linguaggio assemblatore (cioè di mescolare istruzioni Fortran e istruzioni in linguaggio assemblatore). Fu questo a renderlo non portabile, poiché ciascun assemblatore ovviamente è specifico di un dato calcolatore, non essendo altro, in ultima analisi, che una forma simbolica del suo linguaggio macchina. Le espressioni booleane furono introdotte anche nel FORTAN IV, insieme alla nuova istruzione condizionale IF logico in grado di eseguire un test sulla veridicità di un'espressione booleana, che si aggiungeva alla precedente istruzione condizionale IF aritmetico presente nel FORTRAN II (che a sua volta l'aveva ereditata dal FORTRAN I, come si può vedere nel programma d'esempio, riportato sotto, che calcola il massimo di N numeri). Questa valutava invece un'espressione numerica e prevedeva tre diversi salti a seconda che il suo valore fosse negativo, nullo o positivo.
I primi programmi in FORTRAN venivano perforati per lo più su schede a 80 colonne, con regole molto stringenti sul formato della singola istruzione. In particolare: una riga di codice non poteva superare i 72 caratteri, che venivano perforati nelle colonne da 1 a 72, se la colonna 1 conteneva una C i caratteri successivi costituivano un commento, le colonne da 2 a 5 erano riservate ad un'etichetta numerica che identificava l'istruzione e che poteva essere usata per saltare all'istruzione stessa da un altro punto del programma, le colonne da 7 a 72 contenevano l'istruzione vera e propria, la colonna 6 (normalmente vuota) se conteneva un carattere qualsiasi (spesso un *) indicava che l'istruzione era il seguito dell'istruzione perforata nella scheda precedente. D'altra parte, le colonne da 73 a 80 venivano spesso usate per numerare le schede e permettere così di riordinarle nel caso fossero state accidentalmente mescolate.
Con l'avvento del Fortran 90, una revisione "principale" del linguaggio, queste regole stringenti sono state abbandonate in favore del codice in formato libero. Altre notevoli innovazioni introdotte dal Fortran 90 sono l'allocazione dinamica della memoria, le operazioni sugli array, i tipi di dati astratti, l'overloading (o sovraccarico) degli operatori, i puntatori e i moduli (questi ultimi consentono di raggruppare sottoprogrammi e dati correlati).
Il Fortran 95, una revisione "minore" del linguaggio, ha introdotto essenzialmente la possibilità delle programmazione parallela.
Lo standard formale più recente del linguaggio è il Fortran 2003 (anche se il documento che lo definisce è stato pubblicato nel 2004). Si tratta di un'estensione propria del Fortran 95, che include l'aritmetica in virgola mobile IEEE 754, la gestione delle eccezioni, costrutti per la programmazione orientata agli oggetti e una migliorata interoperabilità col linguaggio C.
Descrizione
Grazie sia agli innumerevoli programmi applicativi sviluppati nel corso degli anni, sia alle immense librerie di funzioni (richiamabili anche da programmi scritti con altri linguaggi di programmazione), il Fortran è tuttora un linguaggio molto usato. Di esso esistono varianti per il calcolo parallelo (usate nel calcolo scientifico: simulazione di fluidi, interazioni fra particelle, previsioni meteorologiche, ecc.); inoltre, anche se progettato originariamente come linguaggio procedurale, alcune sue versioni più recenti consentono di usare anche costrutti propri della programmazione orientata agli oggetti.
Caratteristiche
Il Fortran è un linguaggio quasi sempre compilato, imperativo, con tipizzazione statica delle variabili, progettato principalmente per il calcolo scientifico e numerico; vi sono state però anche implementazioni con codice interpretato. Un tipo particolare di Fortran compilato è il Fortran FLAG (Fortran Load And Go), sviluppato da Bob Richardson, programmatore presso la Rice University, molto usato negli anni settanta per l'esecuzione di programmi non troppo complessi.
I primi programmi in Fortran, come già detto, dovevano essere scritti con regole molto stringenti (imposte dall'uso delle schede perforate). Inoltre facevano un uso piuttosto pesante di etichette numeriche e dell'istruzione di salto GOTO. Queste "necessità" sono state eliminate dalle versioni più recenti del linguaggio. Sono stati inoltre introdotti concetti "moderni" di programmazione (ad esempio il costrutto IF-THEN-ELSE, a partire dal FORTRAN 77), sempre tuttavia non perdendo di vista gli obiettivi della sinteticità del codice sorgente e dell'efficienza del codice eseguibile. In Fortran sono anche stati scritti molti linguaggi specializzati, fra cui il SAS, per la generazione di report statistici e il SIMSCRIPT, per la simulazione di sistemi a code.
I fabbricanti di calcolatori scientifici ad alte prestazioni (come ad esempio Burroughs, CDC, Cray, Honeywell, IBM, Texas Instruments, UNIVAC) hanno aggiunto al linguaggio estensioni allo scopo di sfruttare particolari caratteristiche delle proprie macchine (come esempio si possono ricordare il FORTRAN VI G, il FORTRAN IV H e il FORTRAN IV H Extended dell'IBM, o il FORTRAN V dell'UNIVAC). Il destino delle estensioni è di essere abbandonate o di essere incorporate in versioni successive del linguaggio. Per finire si può ricordare che si sta sviluppando un nuovo linguaggio, il Fortress, che dovrebbe, nelle intenzioni dei progettisti, sostituire il Fortran.
Standard
I documenti elencati nel seguito si riferiscono alle più recenti standardizzazioni del Fortran.
ANSI X3.198-1992 (R1997). Titolo: Programming Language "Fortran" Extended. Noto informalmente come Fortran 90. Pubblicato dall'ANSI.
ISO/IEC 1539-1:1997. Titolo: Information technology – Programming languages – Fortran – Part 1: Base language. Noto informalmente come Fortran 95. Esistono altre due parti di questo standard. La parte 1 è stata formalmente adottata dall'ANSI.
ISO/IEC 1539-1:2004. Titolo: Information technology – Programming languages – Fortran – Part 1: Base language. Noto informalmente come Fortran 2003.
ISO/IEC 1539-1:2010. Titolo: Information technology – Programming languages – Fortran – Part 1: Base language. Noto informalmente come Fortran 2008.
Varianti e estensioni
ALTRAN era un'estensione al linguaggio che aggiungeva a quest'ultimo l'algebra razionale, sviluppata da W.S. Brown ai Laboratori Bell intorno al 1968.
Sintassi
Trattandosi del primo linguaggio di programmazione ad alto livello, il Fortran ha una sintassi che può apparire oscura ai programmatori che hanno familiarità solo con linguaggi molto più recenti, come ad esempio il C. Tuttavia le più recenti versioni del linguaggio tengono conto dei progressi compiuti nel campo dei linguaggi di programmazione e cercano di scoraggiare tale sintassi in favore di una più trasparente e robusta. La "vecchia" sintassi infatti rende molto difficile progettare un analizzatore lessicale, e può bastare anche un solo carattere sbagliato a generare errori rilevabili solo in esecuzione, anziché in compilazione. I costrutti introdotti nelle versioni più recenti, così come la possibilità di scrivere codice in formato libero (cioè non più vincolato al rigido formalismo originale imposto dalle schede perforate) hanno molto ridotto i problemi, anche se una buona programmazione rimane sempre il miglior modo di procedere.
Si dovrebbe anche considerare il fatto che le caratteristiche del Fortran sono state ritagliate essenzialmente sul calcolo scientifico e numerico, piuttosto che sullo sviluppo del software. Così nel Fortran 95, ad esempio, esistono comandi molto brevi che consentono di effettuare operazioni matematiche sugli array, che non solo rendono i programmi molto più leggibili, ma sono di ausilio al compilatore, nel caso quest'ultimo sia in grado di generare codice che esegue operazioni matematiche in parallelo. Per i motivi accennati il Fortran, anche se è poco usato per applicazioni estranee al calcolo scientifico e numerico, rimane tuttora il linguaggio d'elezione in tali campi, oltretutto perché anche persone digiune di programmazione possono imparare facilmente a scrivere un codice efficiente.
Dato che il Fortran esiste ormai da mezzo secolo, i programmi scritti in questo linguaggio (specialmente in FORTRAN 77, il suo dialetto più importante) tuttora usati sono innumerevoli. Il Fortran rimane inoltre il linguaggio di prima scelta per i programmi destinati a girare sui supercomputer, come ad esempio quelli usati per le previsioni meteorologiche, basati sui modelli matematici della fisica dell'atmosfera.
Esempi di programmi
Hello, world!
Il seguente esempio stampa il testo "Hello, world!".
PROGRAM HELLO
PRINT *, 'Hello, world!'
END
Uno dei primi programmi in Fortran
Il programma seguente, scritto da Backus, è riportato nel manuale per il programmatore del FORTRAN I citato sopra. Il programma legge N numeri e ne calcola il massimo.
DIMENSION A(999)
FREQUENCY 30 (2,1,10), 5(100)
READ 1, N, (A(I), I = 1,N)
1 FORMAT (I3/(12F6.2))
BIGA = A(1)
5 DO 20 I = 2,N
30 IF (BIGA-A(I)) 10,20,20
10 BIGA = A(I)
20 CONTINUE
PRINT 2, N, BIGA
2 FORMAT (22H1THE LARGEST OF THESE NUMBERS IS F7.2)
STOP 77777
Minimo e massimo di un array
Il seguente programma FORTRAN 90 calcola il valore massimo e il valore minimo di un array con estensione 5
PROGRAM minimo_massimo_array
IMPLICIT NONE
INTEGER, PARAMETER :: estensione=5
INTEGER, DIMENSION(estensione) :: array
INTEGER :: i
INTEGER :: Min
INTEGER :: Max
WRITE(*,*) 'Inserisci i',estensione,'valori dell''array:'
DO i=1,estensione
READ(*,*) array(i)
END DO
min=array(1)
max=array(1)
DO i=2,estensione
IF (array(i)<min) min=array(i)
IF (array(i)>max) max=array(i)
END DO
WRITE(*,*) "Il valore minimo dell'array e':",Min
WRITE(*,*) "Il valore massimo dell'array e':",Max
STOP
END PROGRAM minimo_massimo_array
! Versione moderna che sfrutta le funzioni sugli array
! e che mostra l'uso del modulo intrinseco iso_fortran_env
program minimo_massimo_array
use, intrinsic :: iso_fortran_env, only: ip=>int32, input_unit, output_unit
implicit none
integer(kind=ip), parameter :: estensione = 5_ip
integer(kind=ip), dimension(estensione) :: array
integer(kind=ip) :: j
print "(a,i4,a)", "Inserisci ", estensione, " valori interi"
do j = 1_ip, estensione
write(output_unit, "(i4,a)", advance = 'no') j, " : "
read(input_unit,*) array(j)
end do
print "(a,i4)", "Valore minimo array: ", minval(array)
print "(a,i4)", "Valore massimo array: ", maxval(array)
end program minimo_massimo_array
Note
Bibliografia
Altri progetti
Collegamenti esterni
Linguaggi di programmazione orientati agli oggetti |
1898 | https://it.wikipedia.org/wiki/Free%20Software%20Directory | Free Software Directory | La Free Software Directory è un archivio di software libero. Il progetto fu iniziato nel settembre 1999 dalla Free Software Foundation (FSF), che incaricò Janet Casey di curarlo.
Descrizione
Il progetto cataloga software libero che gira sotto sistemi operativi liberi, come i sistemi GNU (GNU/Linux, e tutte le altre varianti GNU). Ogni software libero elencato nella Free Software Directory è distribuito attraverso una licenza libera. L'organizzazione in directory è visualizzata mediante un'interfaccia web, tramite la quale è possibile aggiornare le informazioni inerenti ad un software già classificato oppure aggiungere una scheda relativa ad un software non ancora catalogato. Al 1º settembre 2009 il catalogo elencava circa 6.000 pacchetti. Dall'aprile 2003 l'UNESCO sostiene ufficialmente il progetto che si chiama ora FSF/UNESCO Free Software Directory. MediaWiki è un esempio di software libero elencato nella Free Software Directory.
Note
Bibliografia
, su appunti-liberi.it.
Voci correlate
Free Software Foundation
GNU
Software libero
Coreboot
Collegamenti esterni
Free Software Foundation
UNESCO |
1900 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fratelli%20Marx | Fratelli Marx | I fratelli Marx (Marx Brothers) fu il gruppo comico formato dai cinque fratelli Marx (anche confusi con Marks, per cui entrambe le notazioni, essendo omofoniche, sono valide), attori di vaudeville e di cinema statunitensi di origine ebraica.
Negli Stati Uniti, i fratelli Marx sono tra i comici più amati di tutti i tempi, per l'umorismo sferzante e sopra le righe con cui hanno bersagliato l'uomo, la società, e tutte le ipocrisie che da essi scaturivano. I fratelli Marx hanno rappresentato l'urlo liberatorio dell'uomo medio, concretizzando quella lotta che egli avrebbe voluto fare contro la società vanagloriosa, le ipocrite convenzioni e le tronfie istituzioni. Essi scherniscono il tutto grazie ad un umorismo anarchico e surreale. L'American Film Institute li ha inseriti al ventesimo posto tra le più grandi star maschili statunitensi della storia del cinema.
Composizione
Il gruppo comico dei fratelli Marx era composto in origine dai seguenti membri, tutti fratelli:
Chico - Leonard Marx (22 marzo 1887 – 11 ottobre 1961)
Harpo - Adolph Arthur Marx (23 novembre 1888 – 28 settembre 1964)
Groucho - Julius Henry Marx (2 ottobre 1890 – 19 agosto 1977)
Gummo - Milton Marx (23 ottobre 1892 – 21 aprile 1977)
Zeppo - Herbert Marx (25 febbraio 1901 – 30 novembre 1979)
Poco dopo la fine della prima guerra mondiale Gummo lasciò il gruppo e si ritirò dalle scene per avviare delle attività imprenditoriali. Anche il fratello Zeppo abbandonò la recitazione nel 1934, poco dopo la scadenza del contratto con la Paramount e dopo aver girato La guerra lampo dei Fratelli Marx (1933), unendosi alle attività imprenditoriali del fratello.
Samuel Marx
Samuel Simon Marx (Mertzwiller, 23 ottobre 1859 – Los Angeles, 10 maggio 1933) è stato il padre dei Fratelli Marx. Sua moglie e madre dei fratelli fu Minnie Marx. Secondo il suo certificato di nascita, Samuel nacque come Simon Marx in Alsazia, allora parte del secondo impero francese. A causa del suo luogo di nascita, venne conosciuto come "Frenchie" (il francese); i suoi genitori erano Simon Marx e Johanna Haennchen Isaak. Sam arrivò negli Stati Uniti dalla Francia nel 1880 e incontrò Minnie a New York, dove lavorava come insegnante di danza. Si sposarono nel 1884 ed ebbero sei figli. Il loro primo figlio, Manfred detto Mannie, nato nel 1885, morì a sette mesi probabilmente a causa di un'influenza.
Marx divenne un sarto, sebbene apparentemente non molto bravo. Secondo Groucho, era un cuoco di talento, tale che spesso convinse il padrone di casa a ritardare il pagamento dell'affitto offrendogli un buon pasto. Nel suo spettacolo An Evening With Groucho, Groucho ha ricordato suo padre, Sam: ""Mio padre era un sarto, uno davvero pessimo, e Chico era sempre a corto di denaro: perciò era solito sabotare le forbici di mio padre cosìcchè, ogni volta che mio padre avesse confezionato un vestito, naturalmente non sarebbe andato bene e le forbici sarebbero finite appese nel negozio dei pegni della novantunesima strada.""
Harpo imputò la cattiva sartoria del padre al fatto che Frenchie non ebbe mai il tempo di prendere le misure del cliente per un abito, preferendo indovinarne le misure. In seguito, prendeva gli abiti che i clienti avevano rifiutato, viaggiava nel New Jersey e li vendeva porta a porta. Nella sua ultima intervista, Zeppo scherzò sul fatto che suo padre "era un pessimo sarto, ma ha trovato alcune persone così stupide da comprare i suoi vestiti, così ha guadagnato qualche dollaro per il cibo". Marx fece un'apparizione non accreditata nel film Monkey Business (1931). Sam Marx morì a Hollywood, in California, il 10 maggio 1933, per complicazioni dovute ad una insufficienza renale. Aveva 73 anni.
Carriera
Gli inizi nel vaudeville
Figli d'arte, fu la loro madre Minnie Schönberg, intraprendente tedesca di nascita, a spingerli ancor bambini alla carriera teatrale. Cominciarono ad esibirsi in alcuni numeri canori sotto diverse sigle (la prima fu, The Three Nightingales, ovvero "I Tre Usignoli"). Aiutati dallo zio Al Shean, noto comico teatrale, per diversi anni girarono per la provincia statunitense e iniziarono a farsi conoscere. Ai numeri musicali (Chico si esibiva come estroso pianista, Harpo come elegante arpista e Groucho come cantante) aggiunsero anche alcune improvvisazioni comiche, che contribuirono ad aumentare l'interesse del pubblico nei loro confronti.
Presto ingaggiati per vere e proprie tournée, nel 1912 inventarono una scenetta comica in cui un severo insegnante deve tenere a bada una classe di scapestrati alunni. Nello sketch cominciarono ad intravedersi quelli che divennero i loro personaggi sullo schermo: Groucho, il baffuto e ironico chiacchierone, Harpo, il vagabondo muto fintamente ingenuo con una grande parrucca riccia, e Chico, il bullo ignorante e maneggione di origine italiana. Gummo lascerà il gruppo alla fine degli anni dieci, mentre Zeppo continuerà ancora per diverso tempo (fino al 1934) a far da mera spalla ai tre fratelli.
I soprannomi dei fratelli Marx nacquero durante una partita a poker nel 1915, ad opera di Art Fischer: Groucho viene da "grouchy" (brontolone) o dalla "grouch bag", una sorta di borsello da appendere al collo e che lui usava per tenervi soldi, Gummo fa riferimento alle sovrascarpe di gomma (galosce) o "gummy shoes" che egli usava, Harpo deriva da "harp", perché Arthur suonava l'arpa, Chico viene da "chicks", perché in slang americano ed inglese chicks sta per ragazze, passione di Leonard.
Broadway e Hollywood
Dopo quasi vent'anni di gavetta, i fratelli raggiunsero il successo, quando nei primi anni venti approdarono a Broadway e vi portarono tutta la loro sfrenata ed anarchica ironia. Così racconta Groucho: «Il nostro arrivo a New York fu strano. Facemmo un successo che non ci aspettavamo. Non pensavamo di essere bravi». Con lo show The Cocoanuts i fratelli vennero notati dal cinema: nel 1929 infatti, la Paramount fece firmare loro un vantaggioso contratto per cinque pellicole, la prima delle quali fu la trasposizione di The Coconuts, Le noci di cocco (1929), che si dimostrerà un enorme successo sia di pubblico che di critica. Il consenso venne bissato l'anno seguente con la trasposizione cinematografica di un altro loro trionfo teatrale, Animal Crackers, presa in giro dell'alta società americana, l'ultima pellicola basata su un loro lavoro precedente ed anche l'ultimo film girato a New York.
Arrivati a Hollywood, i fratelli interpretarono altri tre gioielli della comicità: Monkey Business - Quattro folli in alto mare (1931), I fratelli Marx al college (1932), presa in giro dei college americani e delle loro manie sportive, e La guerra lampo dei Fratelli Marx (1933). Quest'ultimo film, diretto da Leo McCarey, è una feroce satira antimilitarista, in cui Chico, Harpo e Groucho (con Zeppo a fare da spalla) espressero la loro comicità delirante e corrosiva. Alla sua uscita nelle sale, la pellicola non ottenne però il successo sperato, e così la Paramount decise di non rinnovar loro il contratto.
L'incontro con Thalberg
Nel 1935 Irving Thalberg, grande produttore della Metro-Goldwyn-Mayer, scritturò i fratelli per due produzioni ad alto budget, in cui il loro talento di inserirsi abilmente in un contesto conformista nel quale portare scompiglio verrà progressivamente annacquato. I due film saranno Una notte all'opera (1935), un'arguta parodia della buona società, e Un giorno alle corse (1937), in cui i tre Marx dileggiano la medicina e il mondo delle corse dei cavalli. Per testare gag e battute Thalberg aveva concesso loro di portare in tournée in alcune cittadine di provincia qualcuna delle scene del film prima che cominciassero le riprese, così da saggiare la validità del materiale. Poco dopo l'inizio delle riprese del secondo film, Thalberg morì prematuramente per una polmonite e da allora i tre Marx non godettero più dello stesso grande interesse da parte del cinema.
Il declino
Nel 1938 i fratelli girarono un film per la RKO, dal titolo Servizio in camera, per poi tornare alla MGM, dove furono scanzonati mattatori in tre apprezzabili pellicole, quali Tre pazzi a zonzo (1939), I cowboys del deserto (1940), divertente parodia dei film western, e Il bazar delle follie (1941). Nonostante alcuni buoni momenti, questi ultimi film non furono però all'altezza del talento comico dei loro protagonisti, che stavano portando sullo schermo sbiadite imitazioni dei due film girati con Thalberg.
Dopo Il bazar delle follie i Marx decisero di dividersi. Chico e Harpo si esibirono, talvolta in coppia, in diversi spettacoli teatrali e numeri di night club, mentre Groucho fece qualche partecipazione radiofonica. Per far fronte ai debiti di gioco di Chico, il trio tornò davanti alla macchina da presa per girare una divertente avventura di spionaggio, Una notte a Casablanca (1946), e tre anni dopo Una notte sui tetti (1949), pensato inizialmente per il solo Harpo, con la partecipazione di una giovanissima Marilyn Monroe.
Gli ultimi anni
Dalla fine degli anni quaranta, quando ormai Harpo e Chico diradavano le loro apparizioni sulle scene, Groucho si reinventò come ironico e dissacrante presentatore di un quiz prima radiofonico e poi televisivo, dal titolo You Bet Your Life. Nel 1959 i fratelli si riunirono, seppur solo nella scena finale, in uno special televisivo dal titolo The Incredible Jewel Robbery. L'anno seguente i tre Marx girarono alcune scene di un episodio pilota per la serie televisiva The Deputy Seraph, che però non verrà realizzata a causa delle cattive condizioni di salute di Chico. Negli anni sessanta e settanta Groucho, terminata ormai la conduzione del suo quiz, partecipò a numerose trasmissioni televisive come disinvolto e sarcastico entertainer, e nel 1974 ricevette un premio Oscar alla carriera.
Filmografia
Humor Risk, regia di Richard Smith (1921)
Le noci di cocco (The Cocoanuts), regia di Robert Florey, Joseph Santley (1929)
Animal Crackers, regia di Victor Heerman (1930)
Monkey Business - Quattro folli in alto mare, regia di Norman Z. McLeod (1931)
I fratelli Marx al college (Horse Feathers), regia di Norman Z. McLeod (1932)
La guerra lampo dei Fratelli Marx (Duck Soup) regia di Leo McCarey (1933)
Una notte all'opera (A Night at the Opera), regia di Sam Wood (1935)
Un giorno alle corse (A Day at the Races) , regia di Sam Wood (1937)
Servizio in camera (Room Service), regia di William A. Seiter (1938)
Tre pazzi a zonzo (At the Circus), regia di Edward Buzzell (1939)
I cowboys del deserto (Go West), regia di Edward Buzzell (1940)
Il bazar delle follie (The Big Store), regia di Charles Reisner (1941)
Una notte a Casablanca (A Night in Casablanca), regia di Archie Mayo (1946)
Una notte sui tetti (Love Happy), regia di David Miller (1950)
L'inferno ci accusa (The Story of Mankind), regia di Irwin Allen (1957)
Note
Voci correlate
Cinema
Slapstick
Teatro
Altri progetti
Collegamenti esterni
Marx, fratelli
Marx, fratelli
Marx
Marx |
1901 | https://it.wikipedia.org/wiki/Formazza | Formazza | Formazza (Pomatt in tedesco, Pumât in dialetto walser, Furmazza in dialetto ossolano) è un comune italiano sparso di 446 abitanti della provincia del Verbano-Cusio-Ossola situato nell'omonima valle.
Costituisce il comune più settentrionale della regione Piemonte e confina a ovest con il cantone svizzero del Vallese e a nord ed est con il Canton Ticino. È anche il più grande comune della sua provincia in termini di estensione territoriale.
Geografia
La distribuzione del centro abitato riflette quella degli antichi insediamenti agricoli di origine tedesca, molti piccoli nuclei abitativi sparsi lungo il territorio della valle.
Storia
La Val Formazza e quindi il centro abitato di Pomatt fino agli anni '20 del XX secolo era raggiungibile solo a dorso di mulo. A partire dal XIII secolo fu una delle principali colonie Walser, colonia madre dei centri abitati di Bosco Gurin e degli insediamenti nell'alto corso del Reno posteriore.
Nel XV secolo i pomatter riuscirono a liberarsi dal dominio feudale della famiglia de Rodis Baceno e dal 1486 l'ordinamento della comunità e delle attività legate ad alpeggi e boschi viene, in parte ancora in tempi moderni, disciplinata dal Thalbuch (libro della valle) che riconosceva anche autonomia giuridica, indipendente da quella centrale, con un tribunale con competenza civile e penale.
Società
Evoluzione demografica
Etnie e minoranze straniere
Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre 2010 la popolazione straniera residente era di 9 persone.
Ripartizione linguistica
Secondo una inchiesta del 2001 realizzata in Valle d'Aosta e Piemonte settentrionale mirata a scoprire la distribuzione linguistica attuale, l'82.9% della popolazione parla italiano, il 17.1% parla la lingua walser, mentre l'1.3% parla il tedesco standard come lingua madre. Nonostante ciò, il 98.7% ha dichiarato di conoscere l'italiano, il 60.1% il walser, il 4.7% il tedesco standard e il 3.3% lo svizzero tedesco.
Cultura
Formazza è di lingua e cultura walser e fu il primo paese abitato dai Walser a sud delle Alpi.
Frazioni e toponimi locali
Le frazioni di Formazza / Pumât sono le seguenti (nella doppia forma italiana e walser):
Antillone / Buneigä
Brendo / In dä Brendu
Canza / Früttwald - Früduwald
Chiesa - Alla Chiesa / Zer Chilchu - Andermatten - An där Mattu - In där Mattu
Fondovalle / Stafelwald - Schtaafuwaald
Foppiano / Untermstalden - Unnerum Schtaldä
Frua / Uf der Frütt
Sotto Frua / Unter der Frütt
Grovella / Gurfelen - Gurfelä
Morasco / Moraschg
Ponte - Al Ponte / Zum Steg - Zumstäg - Zumschtäg - Zer Briggu
Riale / Kehrbäch(i) - Cherbäch
Valdo / Wald - Waald
San Michele / Tuffwaald-Tuffalt
Invece questi sono alcuni toponimi riguardanti alpeggi o gruppi di case:
Agaro / Ager
Bruggi / Z brennig Hischeru
Cramec / Gramegg
Ecco / Egga
Ghighel / Gigelä
Hei / Hey
Regina
Economia
Il paese vive delle attività lavorative dell'Enel e del turismo invernale ed estivo.
La pista di fondo di Riale è una delle più belle d'Italia, in futuro sarà completata dal Centro di Preparazione Atletica in altura, in fase di realizzazione da parte della Comunità montane della Regione Piemonte. Per gli appassionati dello sci di fondo la zona offre unitamente a questo circuito, una serie di alternative valide come quella di San Michele o la pista dell'Alpe Devero.
Negli ultimi anni sono state aperte, un po' dovunque, cave per l'estrazione del serizzo; queste offrono un discreto numero di posti di lavoro, ma incidono negativamente sull'aspetto della valle già deteriorata da dighe, centrali, tralicci e fili.
Amministrazione
Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune.
Altre informazioni amministrative
Fa parte dell'unione montana di comuni Alta Ossola.
Sport
Il 30 maggio 2003 la 19ª tappa del Giro d'Italia si è conclusa alla cascata del Toce con la vittoria di Gilberto Simoni.
Impianti sciistici attualmente esistenti
Seggiovia Sagersboden, costruita dalla ditta Sacif nel 1999
Sciovia Valdo 1, costruita dalla ditta CCM nel 2001
Sciovia Valdo 2 (dismesso), costruita dalla ditta Leitner nel 1984
Sciovia Ponte, costruita dalla ditta Leitner nel 1980
Tapis roulant Baby Valdo.
Escursionismo alpino
Interessanti mete turistiche dell'alta val Formazza sono il rifugio 3A, sopra il ghiacciaio Siedel, posto a 2922 m s.l.m. con 80 posti letto e il rifugio Claudio e Bruno presso il lago del Sabbione, posto a 2710 m s.l.m. con 90 posti letto, entrambi di proprietà dell'Operazione Mato Grosso (OMG). Il 21 settembre 2014 è stata inaugurata la Baita del Ghighel (2060 m), dedicata al prof. Guido Tosi, docente universitario, esperto di gestione della fauna alpina, scomparso in un incidente in Val Formazza nel 2011.
Sci di fondo
Nella frazione di San Michele si trova il Centro Fondo Formazza, con un anello di 12 Km che si sviluppano lungo tutte le principali frazioni di Formazza: Chiesa, Fondovalle, San Michele e Ponte.
Si trova un altro anello sempre di 12 Km anche presso l'ultima frazione della valle a Riale.
Note
Bibliografia
Voci correlate
Val Formazza
Cascata del Toce
Rifugio 3A
Rifugio Claudio e Bruno
Bettelmatt
Passo del Gries
Alpe Bettelmatt
Altri progetti
Collegamenti esterni |
1910 | https://it.wikipedia.org/wiki/Federico%20II%20di%20Svevia | Federico II di Svevia | Federico apparteneva alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen. Discendeva per parte di madre dai normanni di Altavilla (Hauteville in francese), conquistatori di Sicilia e fondatori del regno di Sicilia.
Conosciuto con l'appellativo stupor mundi ("meraviglia o stupore del mondo"), Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. Il suo mito finì per confondersi con quello del nonno paterno, Federico Barbarossa. Il carisma di Federico II è stato tale che all'indomani della sua morte, avvenuta a Fiorentino di Puglia (Torremaggiore), il figlio Manfredi, futuro re di Sicilia, in una lettera indirizzata al fratello Corrado IV citava tali parole: "Il sole del mondo si è addormentato, lui che brillava sui popoli, il sole dei giusti, l'asilo della pace".
Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa moralizzatrice e di innovazione artistica e culturale, volta a unificare le terre e i popoli, ma fortemente contrastata dalla Chiesa, di cui il sovrano mise in discussione il potere temporale. Ebbe infatti ben due scomuniche dal papa Gregorio IX, che arrivò a vedere in lui l'anticristo. Federico fu un apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e studiosi: la sua corte in Sicilia fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, germanica, araba ed ebraica. Uomo straordinariamente colto ed energico, stabilì in Sicilia e nell'Italia meridionale una struttura politica molto somigliante a un moderno regno, governato centralmente e con un'amministrazione efficiente.
Federico II parlava sei lingue (latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo) e giocò un ruolo importante nel promuovere le lettere attraverso la poesia della Scuola siciliana. La sua corte reale imperiale siciliana a Palermo, dal 1220 circa sino alla sua morte, vide uno dei primi utilizzi letterari di una lingua romanza (dopo l'esperienza provenzale), il siciliano. La poesia che veniva prodotta dalla Scuola siciliana ha avuto una notevole influenza sulla letteratura e su quella che sarebbe diventata la moderna lingua italiana. La scuola e la sua poesia furono salutate con entusiasmo da Dante e dai suoi contemporanei, e anticiparono di almeno un secolo l'uso dell'idioma toscano come lingua délite letteraria d'Italia.
Biografia
La nascita
Federico nacque il 26 dicembre del 1194 da Enrico VI (a sua volta figlio di Federico Barbarossa) e da Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II di Sicilia e zia di Guglielmo II, a Jesi, nella Marca anconitana, mentre l'imperatrice stava raggiungendo a Palermo il marito, incoronato appena il giorno prima, giorno di Natale, re di Sicilia. Data l'età per l'epoca considerata avanzata (aveva 40 anni), nella popolazione vi era un diffuso scetticismo circa la gravidanza di Costanza, perciò fu allestito un baldacchino al centro della piazza di Jesi, dove l'imperatrice partorì pubblicamente, al fine di fugare ogni dubbio sulla nascita dell'erede al trono.
Costanza, che prima del battesimo del figlio lo avrebbe chiamato inizialmente col nome matronimico di Costantino, portò il neonato a Foligno, città dove Federico visse i suoi primissimi anni, affidato alla duchessa di Urslingen, moglie del duca di Spoleto Corrado, uomo di fiducia dell'imperatore. Poi partì immediatamente alla volta della Sicilia per riprendere possesso del regno di famiglia, poco prima riconquistato dal marito. Qualche tempo più tardi, durante la cerimonia battesimale svoltasi nella cattedrale di San Rufino in Assisi, in presenza del padre Enrico, il nome del futuro sovrano venne meglio precisato e definito in quello, "in auspicium cumulande probitatis", di Federico Ruggero; "Federico" per indicarlo come futura guida dei principi germanici quale nipote di Federico Barbarossa, "Ruggero" per sottolinearne la legittima pretesa alla corona del regno di Sicilia quale nipote anche di Ruggero II di Sicilia. Quella fu la seconda e ultima occasione in cui Enrico VI vide il figlio.
Federico nasceva già pretendente o erede di molte corone. Quella imperiale non era ereditaria ma elettiva, peraltro Federico era per nascita un valido candidato al titolo di imperatore del Sacro Romano Impero, che comprendeva le corone dei Romani, d'Italia e di Borgogna. Questi titoli assicuravano diritti e prestigio, ma non davano un potere effettivo, mancando in quegli stati una solida compagine istituzionale controllata dal sovrano: in pratica tali corone davano potere solo se si era forti, altrimenti sarebbe stato impossibile far valere l'autorità e i diritti del re sui feudatari e sui comuni italiani. Inoltre per via materna Federico aveva ereditato la corona di Sicilia, una monarchia ereditaria dove invece esisteva un apparato amministrativo ben strutturato a garantire che la volontà del sovrano venisse applicata, secondo la tradizione di un governo centralistico. L'unione dei regni dei Romani e di Sicilia non veniva tuttavia vista di buon occhio né dai Normanni, né tantomeno dal papa che, con i territori che a vario titolo componevano lo Stato della Chiesa, governava su una grossa porzione dell'Italia centro-meridionale, che peraltro si sarebbe trovata proprio in mezzo a questo nuovo grande regno, e ciò, in qualche modo, avrebbe fatto sentire il pontefice accerchiato.
Infanzia ed educazione in Sicilia
Il 28 settembre 1197 Enrico VI morì e Costanza affidò il figlio di tre anni a Pietro da Celano, conte della Marsica.
La regina Costanza morì però il 27 novembre 1198 e gli trasmise la corona di Sicilia quando Federico aveva quattro anni, dopo averlo posto sotto la tutela del nuovo papa, Innocenzo III, e aver costituito a favore del papa un appannaggio di talenti d'oro per l'educazione di Federico.
Gualtiero di Palearia, vescovo di Troia e gran cancelliere del regno, fu in quegli anni, a Palermo, il vero tutore di Federico. Il giovane sovrano risiedeva nel Palazzo dei Normanni e nel castello di Maredolce, il Castello della Favara, seguito direttamente da Gentile di Manoppello, fratello di Gualtiero. Suo primo insegnante fu un certo Guglielmo Francesco, che ne rispondeva al vescovo Rinaldo di Capua, il quale, a sua volta, informava costantemente il papa dei progressi scolastici, della crescita e della salute di Federico.
Nell'ottobre 1199 Marcovaldo di Annweiler, per volere di Filippo di Svevia, zio paterno di Federico, s'impadronì della Sicilia per averne la reggenza e prese su di sé anche la custodia del giovane, sottraendola a Gualtiero di Palearia e, quindi, al tutoraggio di Innocenzo III, in aperto contrasto col papa e col suo paladino in Sicilia, Gualtieri III di Brienne; ciononostante, Marcovaldo non privò Federico della tutela dei suoi maestri. Il papa accusò Gualtiero di Palearia di tradimento quando suo fratello Gentile di Manoppello consegnò Federico, assieme alla città di Palermo, a Marcovaldo. Nel 1202, Gualtiero di Palearia guidò una spedizione, unitamente al conte Diopoldo di Acerra, contro il pretendente al trono Gualtieri di Brienne, il quale, a sua volta, dopo la morte di Marcovaldo, consegnò Federico a Guglielmo di Capparone, successore alla reggenza di Marcovaldo. Diopoldo liberò Federico da Capparone nel 1206 e lo riconsegnò alla custodia di Gualtiero di Palearia.
Guglielmo Francesco, Gentile di Manoppello e un imam musulmano, rimasto sconosciuto alla storia, furono i precettori di Federico sino al 1201, quando Guglielmo Francesco fu costretto ad abbandonare la Sicilia; tornò a essere il maestro di Federico dal 1206 al 1209, anno dell'emancipazione del giovane. Nel periodo tra il 1202 e il 1206, in cui fu sotto la custodia di Guglielmo, Federico II visse probabilmente nel Palazzo reale: è probabile che il giovane re abbia ricevuto nel palazzo dei suoi avi una buona educazione e un'istruzione adatta al suo rango. La tesi secondo la quale Federico II si sarebbe aggirato per i vicoli e i mercati di Palermo, che gli avrebbero offerto molteplici stimoli in una sorta di autoformazione, è invece frutto della fantasia di autori moderni; ugualmente non è attendibile la notizia del Breve Chronicon de rebus Siculis, secondo la quale il giovane re avrebbe in questo periodo addirittura sofferto la fame ed avrebbe vagato per le strade di Palermo ricevendo il sostentamento dai sudditi.
Al governo del regno di Sicilia
Il matrimonio con Costanza d'Aragona
Nel 1208 il vescovo siciliano di Mazara si recò a Saragozza in rappresentanza di Innocenzo III e Federico: fu così siglato il contratto nuziale tra quest'ultimo e Costanza d'Aragona, venticinquenne, vedova del re d'Ungheria Emerico e sorella del re Pietro II d'Aragona; l'unione tra le due famiglie era già stata auspicata da Costanza d'Altavilla.
Federico era ancora minorenne: secondo il diritto feudale siciliano, avrebbe raggiunto la maggiore età al compimento dei quattordici anni. Il 26 dicembre 1208 si concluse quindi la reggenza dei cancellieri del regno e il giovane uscì dalla tutela papale, assumendo il potere del Regno di Sicilia nelle sue mani.
In accordo con il contratto nuziale, Costanza portò al futuro marito una dote di 500 cavalieri pesanti perfettamente armati: un dono inestimabile per Federico, che doveva fronteggiare sia le rivolte saracene nell'entroterra siciliano, sia le contese tra i grandi baroni e feudatari nei suoi domini sul continente. Il 15 agosto 1209 fu celebrato il matrimonio a Messina.
Subito dopo le nozze e prima ancora di poter essere impiegata, tuttavia, questa preziosa milizia fu decimata da una epidemia, che risparmiò gli sposi, ritiratisi nel frattempo in una residenza di campagna.
Nel 1211, nacque il primo, e unico, figlio della coppia, Enrico, futuro re dei Romani.
La situazione tedesca
In Germania, nel frattempo, dopo la morte di Enrico VI nessuno era più riuscito a farsi incoronare imperatore. Due erano i rivali che puntavano al titolo imperiale vacante: il primo era appunto Filippo di Svevia, fratello minore di Enrico VI, che fu eletto re dai principi tedeschi nel 1198 e incoronato a Magonza; il secondo era Ottone IV di Brunswick, figlio minore del duca di Baviera e Sassonia Enrico il Leone, che fu eletto anch'egli re da alcuni principi tedeschi che si opponevano all'elezione dello Staufer e venne incoronato ad Aquisgrana. Ottone poteva contare sull'appoggio del re d'Inghilterra Giovanni I, che era suo zio, e di Innocenzo III, che voleva evitare di vedere uno svevo imperatore per scongiurare una rivendicazione di quest'ultimo del regno di Sicilia; Filippo, a sua volta, poteva contare sull'appoggio del re di Francia Filippo II Augusto. La situazione si risolse solo nel 1208, quando Filippo di Svevia fu assassinato per motivi personali e Ottone ebbe campo libero. Egli fece numerose concessioni al papato: in particolare la corona doveva rinunciare all'ingerenza nelle elezioni dei prelati e accettare senza limiti il diritto d'appello del pontefice negli affari ecclesiastici; inoltre si sarebbe posto fine ad abusi quali l'appropriazione delle rendite delle diocesi vacanti. Il 4 ottobre del 1209, a Roma, Innocenzo III incoronò imperatore Ottone IV. Nonostante le numerose promesse di Ottone IV, lo stesso imperatore, richiamandosi all'antiquum ius imperii, rivendicava il dominio sull'Italia intera; così egli sostò per circa un anno nell'Italia centrale, cosa che preoccupò non poco Innocenzo III che proprio in quei territori stava cercando di estendere lo Stato della Chiesa. Riccardo di San Germano ci dice
Salimbene de Adam aggiunge:
Dopo la scomunica papale e a causa dell'ostilità di Filippo Augusto di Francia, che incoraggiò la resistenza in Germania, la nobiltà, che aveva inizialmente appoggiato Filippo di Svevia e ora vedeva Ottone IV combattere proprio contro un Hohenstaufen, si ribellò all'imperatore, che fu costretto a tornare in Germania. I feudatari ribelli cercarono allora l'aiuto di Federico, proponendolo come candidato da contrapporre a Ottone IV.
La corona imperiale a 18 anni
Verso la Germania e la scalata al potere
Nel frattempo, in Sicilia, dove Federico era appena divenuto padre del suo primogenito Enrico, che neonato venne incoronato re di Sicilia come coreggente, si organizzò subito una rapida spedizione oltralpe. Partito a marzo del 1212 da Palermo, lasciando la moglie Costanza come reggente del regno, Federico giunse a Roma la domenica di Pasqua, dove prestò giuramento vassallatico al papa. In questa occasione, Federico assicurò inoltre al pontefice la sua intenzione di non unire il regno di Sicilia al resto dell'Impero, cosa da sempre temuta dal potere pontificio. Durante il soggiorno di pochi giorni nell'Urbe il giovane re conobbe l'arcivescovo Berardo di Castagna che divenne, con il tempo, uno dei suoi più fidati consiglieri, rimanendogli vicino fino alla morte anche durante i periodi delle scomuniche abbattutesi su Federico, e zio di Manna da Castanea, donna con la quale Federico intrattenne una relazione fra il 1224 e il 1225, dalla quale nacque Riccardo, futuro vicario imperiale.
Lasciata Roma, Federico giunse per nave a Genova, dove fu ben accolto, specialmente dalla potente famiglia Doria. Si apriva a quel punto il tratto più pericoloso del viaggio attraverso l'Italia settentrionale, dove città che parteggiavano per Federico (come Pavia e Cremona) si mischiavano a quelle che sostenevano Ottone (come Milano, Lodi e Piacenza). Singolare coincidenza è il fatto che, mentre Federico attraversava il Nord Italia, lo stesso territorio veniva percorso nel frattempo anche dalla famosa Crociata dei fanciulli.
Federico, dopo essere stato accolto trionfalmente a Pavia, nel suo itinerario, attraversando il territorio pavese, scortato prima dagli armati di Pavia e poi dai cremonesi, al momento di passare nel territorio di Cremona scampò fortunosamente alla cattura da parte dei milanesi e piacentini guadando il fiume Lambro. Passò quindi per Mantova e Verona e, risalendo poi la valle dell'Adige, giunse a Trento. Poiché il signore di Merano, che presidiava il Brennero, simpatizzava per Ottone, Federico e il suo seguito furono costretti a passare per l'Engadina superiore, giungendo alla città di Coira, appartenente al ducato di Svevia e prima città tedesca a rendergli omaggio. Il vescovo di Coira, Arnoldo, lo scortò fino a San Gallo, dove 300 cavalieri si unirono al seguito dell'Hohenstaufen.
Ottone, dal nord della Germania, fece sapere che si stava approssimando al lago di Costanza, accompagnato da un esercito, accampandosi a Überlingen in attesa di un trasporto. Federico intanto era accampato fuori le mura della città di Costanza, il cui vescovo dichiarava che avrebbe aperto solamente al legittimo imperatore. Il giovane Federico non poteva ancora permettersi uno scontro con Ottone, vista la disparità di risorse militari disponibili; quindi, se non fosse riuscito a ripararsi in città, avrebbe dovuto fuggire. La situazione si sbloccò grazie al vescovo di Coira e all'abate di San Gallo, che dichiararono il proprio sostegno a Federico, oltre che a Berardo di Castagna, il quale in veste di legato papale lesse l'atto di scomunica e di destituzione di Ottone IV firmato da papa Innocenzo III. Nel settembre del 1212 Federico entrò quindi trionfalmente nell'importante città, anticipando l'arrivo del suo avversario di poche ore.
Ottone provò allora ad assediare Haguenau, ma fu scacciato dal signore di Lotaringia, rifugiandosi nella fedele città di Colonia.
Federico indisse una prima piccola dieta a Basilea, dove si recò anche il vescovo di Strasburgo accompagnato da cinquecento cavalieri, a cui presero parte e gli resero omaggio molti esponenti dell'antica nobiltà sveva, tra i quali i conti di Absburgo e Kiburgo. Qua emanò per Ottocaro I la bolla d'oro di Sicilia, in cui gli concesse di elevare la Boemia a regno, rendendo la corona ereditaria.
A ottobre indisse a Haguenau, castello prediletto di Federico Barbarossa, la sua prima dieta da re dei Romani. In questa occasione Federico si vide riconoscere la propria autorità di re dei Romani dal primo principe secolare tedesco, il duca di Lorena suo cugino, e da Ottocaro re di Boemia, che fu ricompensato con alcuni feudi imperiali e un diploma regio che riconosceva lui e i suoi eredi come legittimi re di Boemia. Il sovrano boemo non era più soggetto alla nomina da parte del re dei Romani e gli veniva richiesto solo di partecipare alle diete che si tenevano vicino al confine boemo; in più avrebbe fornito ai sovrani tedeschi una guardia di trecento cavalieri quando essi avrebbero dovuto recarsi a Roma per l'incoronazione. Questo atto fece del re di Boemia uno dei principi più importanti del regno dei Romani. Altro successo di Federico a Haguenau fu l'essersi guadagnato la fedeltà di Corrado III di Scharfenberg, vescovo di Spira e cancelliere dell'Impero sia con Filippo di Svevia sia sotto Ottone, che ricompensò nominandolo vescovo di Metz.
A novembre dello stesso anno Federico stipulò quindi gli accordi col futuro re di Francia Luigi VIII per combattere il rivale.
Le incoronazioni a Magonza e ad Aquisgrana
Finalmente il 9 dicembre 1212 Federico veniva incoronato imperatore nel duomo di Magonza dal vescovo Sigfrido III di Eppstein, ma la sua effettiva sovranità doveva ancora essere sancita. Il 12 luglio 1213, con la cosiddetta Bolla Aurea (o "promessa di Eger"), Federico promise di mantenere la separazione fra Impero e regno di Sicilia (preteso dominio del Pontefice), come pattuito a Roma l'anno precedente, e di rinunciare ai diritti germanici in Italia (promessa già fatta da Ottone IV e mai mantenuta). Si impegnò inoltre a intraprendere presto una crociata in Terrasanta, nonostante non ci fosse stata un'esplicita richiesta in tal senso da parte del papa.
L'anno successivo, Federico emise una nuova Bolla d'oro riguardante le cessioni territoriali al re Valdemaro II di Danimarca.
Federico II poté essere riconosciuto unico pretendente alla corona imperiale solo dopo il 27 luglio 1214 quando, nella battaglia di Bouvines, Filippo Augusto re di Francia, alleato di Federico, sbaragliò Ottone IV, alleato degli inglesi. In Germania resistevano al dominio di Federico soltanto Colonia, la città più ricca e popolosa della Germania del tempo, i cui mercanti vantavano particolari diritti commerciali e di traffico con l'Inghilterra di Enrico II Plantageneto sin dal 1157, e Aquisgrana, dove erano conservate le spoglie di Carlo Magno. Aquisgrana cadde nel 1215 e Federico vi ricevette una seconda e splendida incoronazione (25 luglio 1215) che completò quella di Magonza. L'11 novembre 1215 venne aperto da Innocenzo III il IV Concilio Lateranense (XII universale), a cui anche Federico partecipò.
L'incoronazione ad imperatore a Roma
Finché fu in vita il suo protettore Innocenzo III, Federico evitò di condurre una politica personale troppo pronunziata. Morto Innocenzo III e salito al soglio Onorio III (18 luglio 1216), papa di carattere molto diverso rispetto al suo predecessore, Federico fu incalzato dal nuovo pontefice a dare corso alla promessa di indire la crociata. Tergiversò a lungo e nel 1220 fece nominare dalla Dieta di Francoforte, tenutasi nel medesimo anno, il figlio Enrico re dei Romani. Onorio III ritenne allora che l'unico modo per impegnare Federico fosse quello di nominarlo imperatore, cosicché il 22 novembre 1220 Federico fu incoronato imperatore in San Pietro a Roma dallo stesso papa Onorio III.
Federico non diede peraltro alcun segnale di voler abdicare al regno di Sicilia, pur mantenendo la ferma intenzione di tenere separate le due corone. Aveva anzi deciso di lasciare il regno dei Romani al figlio, conservando tuttavia, quale imperatore, la suprema autorità di controllo. Essendo stato educato in Sicilia, è probabile che si sentisse più siciliano che tedesco, ma, soprattutto, egli conosceva bene le potenzialità del suo regno, che rappresentava la fonte del suo potere, ereditario e che nessuno poteva mettere in discussione; con una fiorente agricoltura, città grandi e buoni porti, oltre alla straordinaria posizione strategica al centro del Mediterraneo.
Alla fine degli anni dieci del Duecento risale inoltre probabilmente l'incontro, nel castello di Haguenau, con Adelaide di Urslingen, che divenne la sua prima amante e madre dei suoi due figli Enzo, uno dei figli prediletti di Federico insieme con Manfredi, e Caterina.
L'attività nel regno di Sicilia
Tornato nel 1220 in Sicilia, che aveva lasciato otto anni prima, Federico poté dedicarsi a consolidare le istituzioni nel Regno, indicendo due grandi assise a Capua e a Messina (1220-1221). In quelle occasioni stabilì, rivendicando quanto accaduto in passato, che ogni diritto regio confiscato precedentemente a vario titolo dai feudatari venisse immediatamente reintegrato al sovrano. Introdusse inoltre il diritto romano, nell'accezione giustinianea rielaborata dall'Università di Bologna su impulso di suo nonno il Barbarossa.
Da Siracusa fondò l'Università di Napoli nel 1224, dalla quale sarebbe uscito il ceto di funzionari in grado di servirlo, senza che i sudditi a lui fedeli dovessero recarsi fino a Bologna per studiare. Favorì anche l'antica e gloriosa scuola medica salernitana.
In ambito militare, il sovrano si premurò di istituire alcune camere reali (fabbriche e depositi di armi) nelle principali piazzaforti del reame: ad Ariano, Canosa, Lucera, Melfi, Messina e nella stessa Palermo. Il tentativo di Federico di accentrare l'amministrazione del Regno e ridurre il potere dei feudatari locali incontrò comunque molte resistenze nella parte continentale del regno; tra queste principalmente quella del conte di Bojano, Tommaso da Celano, il quale, però, alla fine dovette arrendersi all'esercito di re Federico.
I saraceni del regno
Dopo la morte di Enrico VI nel 1197 e quella di sua moglie Costanza l'anno successivo, in Sicilia si verificarono tumulti politici. Priva della protezione reale e con Federico II ancora fanciullo sotto la custodia del papa, la Sicilia era al tempo diventata un campo di battaglia per le forze rivali tedesche e papali. I ribelli musulmani dell'isola si schierarono con i signori della guerra tedeschi, come Marcovaldo di Annweiler. In risposta, Innocenzo III proclamò una crociata contro Marcovaldo, sostenendo che aveva stretto una diabolica alleanza con i Saraceni di Sicilia. Nondimeno, nel 1206 lo stesso papa tentò di convincere i leader musulmani a rimanere leali. A quell'epoca stava assumendo proporzioni critiche la ribellione dei musulmani, che controllavano Jato, Entella, Platani, Celso (presso Pizzo Cangialoso, Monti Sicani), Calatrasi, Corleone (presa nel 1208), Guastanella e Cinisi. In altre parole, la rivolta musulmana si era estesa a un intero tratto della Sicilia occidentale. I ribelli erano guidati da Muḥammad b. ʿAbbād; che si proclamò "comandante dei credenti", coniò sue monete e tentò di ottenere aiuto da altre parti del mondo musulmano.
Nel 1221, Federico II, non più bambino, rispose con una serie di campagne contro i ribelli musulmani e le forze degli Hohenstaufen sradicarono i difensori da Jato, Entella e dalle altre fortezze. Piuttosto che sterminarli, nel 1223, Federico II e i cristiani cominciarono le prime deportazioni. Il sovrano si convinse a reinsediarli nell'Italia continentale, portando così alla nascita del particolarissimo insediamento musulmano di Lucera, i cui abitanti musulmani si rivelarono con il tempo fedelissimi al sovrano. Un anno più tardi furono inviate spedizioni per porre sotto il controllo reale Malta e Gerba ed evitare che le loro popolazioni musulmane aiutassero i ribelli. Paradossalmente, in quest'epoca gli arcieri saraceni erano una componente comune di questi eserciti "cristiani" e la presenza di contingenti musulmani nell'esercito imperiale rimase una realtà anche sotto Manfredi e Corradino.
Le Assise
Federico proseguì nell'usanza normanna di convocare delle assemblee itineranti di nobili e feudatari, denominate Assisae o Curiae generales, la più importante delle quali era stata nel 1140 l'assise di Ariano. Nel 1220 la prima si svolse a Capua, dove incominciò a riordinare la normativa del Regno. Nell'assise di Messina dell'anno successivo, emanò il primo corpo di norme a difesa della morale, dell'ordine e dei "buoni costumi".
La crociata e la scomunica da parte di Gregorio IX
Negli anni in cui Federico si dedicò a riordinare il regno di Sicilia, eluse le continue richieste del papa Onorio III di intraprendere la crociata promessa. Per dilazionare ulteriormente il suo impegno, Federico stipulò col papa un trattato (Dieta di San Germano, nel luglio 1225), con il quale si impegnava a organizzare la crociata entro l'estate del 1227, pena la scomunica. In realtà il vero obiettivo di Federico era l'unione fra regno di Sicilia e Impero, nonché l'estensione del potere imperiale all'Italia. In questo disegno rientrò il suo tentativo di recuperare all'impero la marca di Ancona e il ducato di Spoleto, rientranti nella sovranità papale. Inoltre in Sicilia procedette all'occupazione di cinque vescovadi con sede vacante, alla confisca dei beni ecclesiali e alla cacciata dei legati pontifici che si erano colà recati per la nomina dei vescovi, pretendendo di provvedere direttamente alle nomine. Il papa era molto adirato con Federico, sia perché non aveva adempiuto ai patti di tenere separati Impero e regno di Sicilia, sia perché non rispettava la libertà del clero nei suoi territori, intromettendosi sistematicamente nell'elezione dei vescovi, sia, infine, perché non si decideva a partire per la crociata: durante la fallimentare crociata del 1217-1221 (la quinta), Federico si era ben guardato dal prestare assistenza ai crociati, avendo più a cuore la pace con il sultano ayyubide d'Egitto al-Malik al-Kamil, i cui territori erano molto vicini alla Sicilia e con il quale manteneva buoni rapporti, con frequenti contatti diplomatici.
I preparativi, la malattia e la scomunica
In preparazione della spedizione, nel marzo 1223 l'imperatore, che nel 1222 era rimasto vedovo della prima moglie Costanza, incontrò a Ferentino il papa, con il quale sottoscrisse un trattato che stabiliva il suo matrimonio con la giovanissima Jolanda di Brienne, figlia di Giovanni di Brienne e Maria di Monferrato e titolare della corona di Gerusalemme. Secondo questo accordo, Jolanda gli avrebbe appunto portato in dote il titolo di regina di Gerusalemme, un titolo meramente onorifico ma molto prestigioso per Federico, che il papa intendeva in tal modo vincolare all'impegno della crociata.
Nell'agosto 1225 Federico inviò a Gerusalemme venti galee per accompagnare in Italia la tredicenne Jolanda col padre. Le galee attraccarono al porto di Brindisi in ottobre e già il 9 novembre 1225 nella cattedrale il vescovo brindisino unì in matrimonio Federico e Jolanda. Le cronache del tempo indugiano sulla descrizione degli esotici festeggiamenti, avvenuti nel castello di Oria, che seguirono alla cerimonia, nello specifico sul particolare che, la prima notte di nozze, l'imperatore avrebbe trascurato la giovanissima e impreparata sposa per sollazzarsi con un harem di bellezze orientali e sulla sdegnata reazione del suocero Giovanni di Brienne, da un lato offeso dal comportamento del genero e dall'altro esautorato prima del previsto dell'autorità regia.
L'unione con Federico II era soprattutto un accordo diplomatico, anche perché nello stesso anno, forse proprio al suo matrimonio con Jolanda, Federico aveva conosciuto Bianca Lancia, suo grande amore, che divenne sua amante prima e sua moglie dopo. Federico, quindi, contraendo il matrimonio con Jolanda, divenne subito reggente di Gerusalemme; alla morte di costei, conservò la reggenza per la minorità del figlio Corrado (1228); poi si autoproclamò re (1229) contro la volontà del papa. Jolanda morì appena sedicenne, dieci giorni dopo aver dato alla luce Corrado.
Nel frattempo, a causa delle mire di controllo sull'Italia da parte di Federico, era risorta nel nord Italia la Lega Lombarda: nell'aprile 1226 Federico convocò la Dieta di Cremona con il pretesto di preparare la crociata ed estirpare le dilaganti eresie, ma questa non poté avere luogo per l'opposizione della Lega Lombarda, che impedì l'accesso ai delegati, mentre Federico non aveva al nord forze sufficienti per contrastare i Comuni ribelli.
Il 9 settembre 1227, pressato dal successore di Onorio, papa Gregorio IX, molto più determinato contro l'imperatore e sotto la minaccia di scomunica, Federico tentò di onorare la promessa fatta al predecessore, partendo per la sesta crociata dal porto di Brindisi, ma una pestilenza scoppiata durante il viaggio in mare che falcidiò i crociati lo costrinse a rientrare a Otranto: lui stesso si ammalò e dovette ritirarsi a Pozzuoli per rimettersi in sesto. Gregorio IX interpretò questo comportamento come un pretesto e, conformemente al trattato di San Germano del 1225, lo scomunicò il 29 dello stesso mese nella cattedrale di Bitonto. A nulla valse una lettera di giustificazioni inviata al papa da Federico nel novembre e la scomunica fu confermata il 23 marzo 1228. Era evidente l'atteggiamento ostile del papa.
La crociata e la corona di Gerusalemme
A questo punto, nella primavera 1228, Federico decise di partire per la Terrasanta, pur sapendo che durante la sua assenza il papa avrebbe cercato di riunire tutti i suoi oppositori in Germania e in Sicilia, minacciando la Lombardia e il regno di Sicilia. Come riferito dal cronista Riccardo di San Germano, Federico celebrò a Barletta la Pasqua 1228 "in omni gaudio et exultatione" e ai primi di maggio del 1228, convocata sempre a Barletta un'assemblea pubblica, comunicò di persona le sue decisioni: nominò Rainaldo di Urslingen, già Duca di Spoleto, suo sostituto in Italia durante l'assenza; in caso di sua morte, nominò erede suo figlio Enrico re dei Romani e, in seconda istanza, il piccolo Corrado, nato pochi giorni prima ad Andria il 25 aprile da Jolanda di Brienne, che nel frattempo era morta in seguito al parto.
Quindi, seppur scomunicato, partì da Brindisi il 28 giugno 1228 per la sesta crociata. Federico ottenne un successo di un certo rilievo senza combattere una sola battaglia, ma grazie a un accordo diplomatico con il sultano ayyubide al-Malik al-Kamil, nipote di Saladino: Gerusalemme venne ceduta, peraltro ridotta senza mura e indifendibile, con l'esclusione dell'area della moschea di Umar (ritenuta dai cristiani il Tempio di Salomone), che era un luogo santo musulmano. Questa soluzione aveva evitato i combattimenti e aveva sollevato Federico dall'incombenza della crociata, ma consegnava alla cristianità una vittoria effimera e in balia dei musulmani, anche se, formalmente, con importanti risultati territoriali e, soprattutto, con la riconquista di Gerusalemme.
Il 18 marzo 1229, nella basilica del Santo Sepolcro, Federico si incoronò re di Gerusalemme (in quanto erede del trono per aver sposato nel 1225 Jolanda di Brienne, regina di Gerusalemme, nonostante l'opposizione del clero locale e di quasi tutti i feudatari). Il 1º maggio 1229 Federico si imbarcò ad Acri e sbarcò a Brindisi il 10 giugno e scoprì che molte città si erano ribellate al suo potere, tornando dalla parte del papato, tranne Andria (da allora definita "fidelis"), Lucera (insediamento saraceno) e Barletta, dove passò l'estate a organizzare la riconquista delle città ribelli (Foggia, San Severo, Troia, Casalnuovo, Civitate, Capua, Napoli, Alife, Gaeta, Montecassino, San Germano, Aquino, Sora), che riconquistò e punì nel mese di settembre.
La crociata del papa contro Federico
Durante l'assenza di Federico, Rainaldo tentò di recuperare con le armi il ducato di Spoleto, mentre truppe germaniche scesero in difesa della Sicilia. Il papa assoldò altre truppe per contrastarle, bandendo una paradossale crociata contro di lui, e i territori di Federico subirono l'invasione delle medesime. Quando Federico ritornò in Italia dopo la “crociata”, trovò molte città che appoggiavano il papa; riuscì ad avere ragione delle forze papali, ma ritenne opportuno, per quel momento, riconciliarsi col pontefice e con la pace di San Germano del 23 luglio 1230 promise di rinunciare alle violazioni che avevano determinato la scomunica, di restituire i beni sottratti ai monasteri e alle chiese e di riconoscere il vassallaggio della Sicilia al papa. D'altro canto il papa non poteva non tener conto dell'obiettivo ottenuto da Federico in Terra Santa e il 28 agosto successivo ritirò la scomunica: il 1º settembre papa e imperatore si incontrarono ad Anagni, arrivando a un accordo.
Nella diatriba fra papa e imperatore intanto si erano inserite le città della Lega Lombarda ed era ripresa la secolare divisione fra guelfi e ghibellini.
Il consolidamento del potere
La politica interna
Nel periodo di pace e distensione che seguì gli eventi precedenti, Federico volle sistemare alcune questioni giuridiche nei suoi regni, con particolare riguardo a quello siciliano. Nel 1231 Federico convocò una Dieta a Ravenna, nella quale fece riaffermare l'autorità imperiale sui Comuni, ma ciò ebbe poca influenza sugli eventi successivi. Sempre dal 1231 Federico cominciò inoltre a emettere una nuova valuta per il suo regno, l'Augustale, una moneta d'oro coniata dalle zecche di Messina e di Brindisi.
Giunto a Melfi nel 1231, l'imperatore, accolto calorosamente dalla popolazione locale, pernottò nel castello costruito dai suoi ascendenti normanni, cui apportò in seguito alcuni importanti restauri. Federico II, al termine dell'assise svoltasi in giugno, con l'ausilio di Pier della Vigna emanò nel settembre 1231 il Liber Augustalis (note anche come Costituzioni di Melfi), tra cui le Constitutiones Regni Siciliarum, codice legislativo e giudiziario del regno di Sicilia. Queste norme miravano anche a limitare i poteri e i privilegi delle famiglie nobiliari e dei prelati, accentrando il potere nelle mani dell'imperatore e a rendere partecipi anche le donne per quanto riguardava la successione dei feudi. Ne doveva nascere uno Stato centralizzato, burocratico e tendenzialmente livellatore, con caratteristiche che gli storici hanno reputato "moderne".
Sempre nelle Costituzioni di Melfi venne definita la suddivisione del regno in Giustizierati che designavano ogni distretto amministrativo in cui era suddiviso il regno, governato dal giustiziere, funzionario di nomina imperiale che rappresentava l'autorità regia a livello provinciale. Un'attività di revisione e integrazione delle norme avvenne poi nella assise di Siracusa del 1233, e l'anno successivo a Lentini e Messina.
Contro il figlio Enrico e in difesa del papa
Il rinnovato accordo fra il papa e Federico venne utile a quest'ultimo allorché nel 1234 suo figlio Enrico si ribellò al padre: rivoltosi al papa, Federico ottenne la scomunica del figlio, lo fece arrestare e lo tenne prigioniero fino alla morte, avvenuta nel 1242. Alla corona tedesca venne allora associato l'altro figlio Corrado IV (che non riuscì neppure lui a governare in pace per l'opposizione dei nobili che gli contrapposero bellicosamente alcuni anti-re).
Nel 1234 l'imperatore Federico consegnò a Raimondo VII di Tolosa il diploma imperiale che lo confermava, a dispetto della chiesa che l'aveva privato dei suoi diritti, in seguito al trattato di Parigi del 1229 a conclusione della Crociata albigese, di tutte le sue proprietà nell'ambito dell'impero, come viene riportato nel documento n° CLXXVI. Raimondo, come anche il suo rivale, il conte di Provenza Raimondo Berengario IV, partecipò nel 1235 alla dieta di Haguenau, dove rafforzò la sua alleanza con l'imperatore. In chiave antiprovenzale (Raimondo Berengario IV, che prima era alleato di Federico II, nella lotta tra il papa e l'imperatore, si era schierato a favore della chiesa, del papa e del re di Francia, Luigi IX, il Santo, che da circa un anno era divenuto genero di Raimondo Berengario, sposandone la figlia Margherita). Raimondo VII, si presentava quindi come il capo del partito anticlericale contro Raimondo Berengario, che invece era schierato a favore della chiesa e del re di Francia.
Nel maggio dello stesso anno alcuni violenti tumulti, organizzati in Roma dal senatore (cioè governatore) di Roma Luca Savelli e da varie famiglie ghibelline ostili a Gregorio IX, costrinsero quest'ultimo a fuggire in Umbria. Federico, cui faceva molto comodo politicamente apparire come il difensore della Chiesa, accorse in armi e si unì a Montefiascone, nell'agosto del 1234, alle milizie pontificie guidate dal cardinale Raniero Capocci.
L'armata così costituita andò ad assediare, alla fine di agosto dello stesso 1234, l'esercito romano del Savelli, che si era asserragliato nella rocca di Respampani, una decina di chilometri a sud di Viterbo. Dopo una ventina di giorni, peraltro, l'imperatore abbandonò l'assedio, lasciando il comando al cardinale viterbese che, nonostante alcune difficoltà, riuscì a infliggere ai romani una dura sconfitta, costringendoli a sottoscrivere, nel marzo 1235, pesanti accordi di pace con il pontefice. L'ambiguo comportamento in questa vicenda di Federico II, che forse perseguiva un preciso disegno politico ostile al papa, aumentò ulteriormente le già esistenti distanze tra l'imperatore, da una parte, e Gregorio IX con il suo fedelissimo cardinale, dall'altra: da quel momento non si contarono più i momenti di attrito tra le due parti, che culminarono con una pesante scomunica, scagliata dal papa contro Federico II in occasione della domenica delle Palme del 1239. Il Capocci stesso divenne da quel momento un suo mortale nemico.
Sempre nel 1235, Federico emise la cosiddetta Bolla d'oro di Rimini con cui riconobbe all'Ordine teutonico la sovranità sulla Terra di Chełmno (Culmland, Culmerland o in tedesco Kulmerland), una regione della Polonia centrale a est del fiume Vistola, e su tutte le terre che i membri dell'Ordine fossero riusciti a conquistare ai Prussiani. Centrale nel documento, oltre al riconoscimento per l'Ordine teutonico di tutti i diritti di sovranità sui territori in questione (tra cui quello di emanare leggi e coniare moneta), è anche l'assegnazione all'Ordine del compito di conquista di una terra ancora pagana, in vista della sua evangelizzazione. Nel 1235 inoltre l'imperatore emanò la pace di Magonza, in cui si limitò fortemente il diritto alla faida.
La battaglia di Cortenuova
Federico in effetti non era mai venuto meno ai suoi propositi di sottomettere l'Italia all'impero germanico, favorendo l'instaurarsi di signorie ghibelline a lui amiche (la più potente fu quella dei Da Romano che governava su Padova, Vicenza, Verona e Treviso). Il 27 novembre 1237 Federico colse una notevole vittoria sulla Lega Lombarda a Cortenuova, conquistando il Carroccio, che inviò in omaggio al papa.
Dopo questa sconfitta, la Lega Lombarda si sciolse; Lodi, Novara, Vercelli, Chieri e Savona si sottomisero al potere imperiale, mentre Amedeo IV di Savoia e Bonifacio II del Monferrato riconfermarono la loro adesione alla causa ghibellina: Federico II era all'apice della sua potenza in Italia. Milano, che, erroneamente, non fu assediata da Federico II (la città era ora molto debole dal punto di vista militare), si offrì di firmare una pace, ma le eccessive pretese dell'imperatore spinsero i milanesi a una nuova resistenza. Fu così che l'imperatore non sfruttò il grande successo di Cortenuova: infatti non riuscì più a entrare nella città lombarda e anche l'assedio di Brescia fu tolto nel 1238.
Di nuovo in lotta con il papato
La questione sarda e la nuova scomunica
L'anno successivo il figlio Enzo (o Enzio) sposò Adelasia di Torres, vedova di Ubaldo Visconti, giudice di Torres e Gallura, e Federico lo nominò Re di Sardegna. Ciò non poteva essere accettato dal papa, visto che la Sardegna era stata promessa in successione al papa dalla stessa Adelasia (che regnava comunque solo sulla parte nord dell'isola). Alle rimostranze del pontefice, Federico rispose nel marzo 1239 tentando di sollevargli contro la curia, ma il papa scagliò subito contro di lui la scomunica durante la Settimana santa, indicendo successivamente un concilio a Roma per la Pasqua del 1241. Federico, per impedire lo svolgimento del Concilio che avrebbe confermato solennemente la sua scomunica, bloccò le vie di terra per Roma e fece catturare due cardinali e molti prelati, in viaggio per mare con navi della flotta genovese, da navi della flotta pisana guidate dal figlio Enzo, con una battaglia navale avvenuta presso l'isola del Giglio (3 maggio 1241). Le truppe imperiali giunsero alle porte di Roma, ma il 22 agosto 1241 l'anziano papa Gregorio IX morì e Federico, dichiarando diplomaticamente che lui combatteva il papa ma non la Chiesa (egli era sempre sotto scomunica), si ritirò in Sicilia.
Il nuovo papa
Dopo la morte di Gregorio IX, venne eletto papa Goffredo Castiglioni, che prese il nome di Celestino IV, ma che morì dopo soli diciassette giorni di pontificato. I molti ecclesiastici ancora prigionieri di Federico e l'incombente minaccia delle sue truppe alle porte di Roma provocarono una vacanza del soglio pontificio di un anno e mezzo, periodo durante il quale si svolsero frenetiche trattative. Infine l'elezione papale si tenne ad Anagni e fu eletto, il 25 giugno 1243, il genovese Sinibaldo Fieschi, che prese il nome pontificale di Innocenzo IV. Innocenzo tentò inizialmente di trovare un accordo con Federico, ma la rivolta scoppiata in quei mesi contro l'imperatore a Viterbo, preparata e portata avanti dal cardinale Capocci e che si concluse con una clamorosa sconfitta dell'esercito imperiale, costrinse Federico a trovare, suo malgrado, un'intesa con il papa. Il 31 marzo 1244 fu stilata in Laterano una bozza di accordo fra Federico e Innocenzo IV che prevedeva, in cambio del ritiro della scomunica, la restituzione di tutte le terre pontificie occupate dall'imperatore. L'accordo peraltro non fu mai ratificato. Tra il 1243 e il 1246 Federico II trascorse le stagioni invernali a Grosseto, approfittando del clima mite e delle aree umide attorno alla città per praticare la caccia, suo passatempo preferito.
In quegli stessi decenni circolarono in Italia diverse opere di impronta apocalittica, che attribuivano a Federico un ruolo di protagonista nella riforma della Chiesa. In particolare, il commento al profeta Geremia Super Hieremiam (attribuito pseudoepigraficamente a Gioacchino da Fiore, ma prodotto forse entro ambigui ambienti cistercensi o florensi e rielaborato e aggiornato entro ambienti, egualmente poco affidabili, di francescani rigoristi) riconosceva a Federico II un ruolo incredibilmente e paradossalmente provvidenziale, proprio in quanto atteso persecutore apocalittico della Chiesa corrotta e in special modo dei vescovi.
Il declino
Papa Innocenzo IV decise di indire un Concilio per confermare la scomunica a Federico e far nominare un altro imperatore, rivolgendosi ai suoi nemici, che in Germania erano numerosi. Giunto a Lione, svolse un'intensa attività diplomatica presso i nobili tedeschi e indisse un Concilio, che si aprì il 28 giugno 1245. Inoltre, durante il concilio, il cardinale Raniero Capocci, acerrimo nemico dell'imperatore, che voleva allontanare ogni possibilità di accordo, fece circolare nella città francese due libelli da lui ispirati nei quali Federico veniva dipinto come un eretico e un anticristo. Da notare che Lione, sebbene formalmente in Borgogna, quindi di proprietà dell'imperatore, era fuori dal tiro di Federico ed era sotto la protezione del re di Francia.
Il concilio non solo confermò la scomunica a Federico, ma addirittura lo depose, sciogliendo sudditi e vassalli dall'obbligo di fedeltà, e invitò i principi tedeschi a eleggere un nuovo sovrano, bandendo contro Federico una nuova crociata. Non tutta la Cristianità però accettò quanto deliberato nel concilio, che si era tenuto in condizioni non troppo chiare. Il papa aveva finto fino all'ultimo di voler patteggiare con Federico e molti si domandarono se fosse giusto un provvedimento così grave contro l'imperatore in un momento in cui nuove minacce si affacciavano all'orizzonte (l'offensiva mongola).
La disfatta di Parma
L'imperatore subì il gravissimo colpo, che ne appannò il prestigio, e dal 1245 gli eventi incominciarono a precipitare. I principi tedeschi elessero re dei Romani il langravio di Turingia Enrico Raspe, che il 5 agosto 1246 sconfisse nella battaglia sul Nidda il figlio di Federico, Corrado. Tuttavia, l'anno successivo Enrico Raspe morì.
Nel febbraio del 1248 Federico subì una grave sconfitta nella battaglia di Parma per opera di Gregorio da Montelongo. Dopo un assedio durato oltre sei mesi, i parmigiani, approfittando dell'assenza dell'imperatore che era andato a caccia nella valle del Taro, uscirono dalla città e attaccarono le truppe imperiali, distruggendo la città-accampamento di Vittoria. L'imperatore riuscì a stento a rifugiarsi a Borgo San Donnino, da dove raggiunse poi la fedele alleata Cremona. L'anno seguente, nella battaglia di Fossalta, perse la vita il figlio Riccardo e un altro figlio, Enzo, fu catturato dai bolognesi che lo tennero prigioniero fino alla morte (1272). Poco dopo Federico subì (o credette di subire) il tradimento di uno dei suoi più fidati consiglieri, Pier della Vigna, che fece prima accecare e poi mettere in prigione, ove il malcapitato si suicidò.
La vittoria militare del figlio Corrado sul successore di Raspe, Guglielmo II d'Olanda, avvenuta nel 1250, non portò alcun vantaggio per Federico, il quale nel dicembre dello stesso anno morì a causa di un attacco di dissenteria. Nel suo testamento nominava suo successore il figlio Corrado, ma il papa non solo non riconobbe il testamento, ma scomunicò pure Corrado (che morì quattro anni dopo di malaria nel vano tentativo di ricuperare a sé il regno di Sicilia).
La morte in Fiorentino di Puglia
Federico cadde vittima di una grave patologia addominale, forse dovuta a malattie trascurate, durante un soggiorno in Fiorentino di Puglia; secondo Guido Bonatti, invece, sarebbe stato avvelenato. Egli, difatti, qualche tempo prima aveva scoperto un complotto, in cui era coinvolto lo stesso medico di corte. Le sue condizioni apparvero immediatamente di tale gravità che si rinunciò a portarlo nel più fornito Palatium di Lucera e la corte dovette riparare nella domus di Fiorentino, un borgo fortificato nell'agro dell'odierna Torremaggiore, non lontano dalla sede imperiale di Foggia.
Leggenda vuole che a Federico fosse stata predetta dall'astrologo di corte, Michele Scoto, la morte sub flore, ragione per la quale pare egli abbia sempre evitato di recarsi a Firenze. Allorché fu informato del nome del borgo in cui infermo era stato condotto per le cure necessarie, Castel Fiorentino per l'appunto, Federico comprese e accettò la prossimità della fine.
Stando al racconto del cronista inglese Matthew Paris († 1259) – non confermato però da altre fonti – l'imperatore, sentendosi in punto di morte, volle indossare l'abito cistercense e dettare così le sue ultime volontà nelle poche ore di lucidità. Il testamento, dettato alla presenza dei massimi rappresentanti dell'Impero, reca la data del 7 dicembre 1250, secondo alcune fonti. Tuttavia, da recenti ultimi studi, sarebbero almeno due i testamenti. La sua fine fu rapida e sorprese i contemporanei, tanto che alcuni cronisti anti-imperiali diedero adito alla voce, storicamente infondata, secondo cui l'imperatore era stato ucciso da Manfredi, il figlio illegittimo che in effetti gli successe in Sicilia. Una nota miniatura raffigura persino il principe mentre soffoca col cuscino il padre morente.
La salma di Federico fu sommariamente imbalsamata; i funerali si svolsero a Foggia e, per sua espressa volontà, il cuore venne deposto in un'urna collocata nella cattedrale della città pugliese. La sua salma, omaggiata dalla presenza di moltitudini di sudditi, venne esposta per qualche giorno; fu poi trasportato a Palermo, per essere tumulato nella cattedrale, entro il sepolcro di porfido rosso antico, come voleva la tradizione normanno-sveva, accanto alla madre Costanza, al padre Enrico VI e al nonno Ruggero II.
Recentemente il sepolcro è stato riaperto. Federico giace sul fondo, sotto altre due spoglie (quelle di Pietro II di Sicilia e di una donna dell'età di quasi 30 anni, ). La tomba era stata già ispezionata nel tardo XVIII secolo: il corpo, nel Settecento, era mummificato e in buone condizioni di conservazione; ne risulta che l'imperatore sia stato inumato con il globo dorato, la spada, calzari di seta, una dalmatica ricamata con iscrizioni cufiche e una corona a cuffia.
La tomba imperiale custodita nella cattedrale era destinata in origine al nonno Ruggero II, che l'aveva voluta come suo sarcofago per il duomo di Cefalù. I sarcofagi e le sepolture reali furono trasferite da Cefalù a Palermo dallo stesso Federico. Il sepolcro inoltre reca i simboli dei quattro evangelisti e la corona regia.
L'eredità
Federico fu chiamato dai suoi contemporanei Stupor Mundi (Stupore del Mondo), appellativo che deriva dalla sua inestinguibile curiosità intellettuale, un eclettismo che lo portò ad approfondire la filosofia, l'astrologia (consigliere molto ascoltato fu l'astrologo Guido Bonatti), la matematica (ebbe corrispondenza e fu in amicizia con il matematico pisano Leonardo Fibonacci, che gli dedicò il suo Liber quadratorum), l'algebra, la medicina e le scienze naturali (impiantò a Palermo persino uno zoo, famoso ai suoi tempi, per il numero di animali esotici che conteneva); scrisse anche un libro, un manuale sulla falconeria, il De arte venandi cum avibus che fu uno dei primi manoscritti con disegni in tema naturalistico. Si dice che Federico conoscesse ben nove lingue e che fosse un governante molto moderno per i suoi tempi, visto che favorì la scienza e professò punti di vista piuttosto avanzati in economia.
Alla sua corte soggiornarono uomini di gran cultura di quei tempi quali il poeta errante Tannhäuser, Michele Scoto, che tradusse alcune opere di Aristotele, l'ebreo francese Jacob Anatoli, traduttore di testi scientifici arabi che diffuse la conoscenza in Europa di testi di tradizione araba (in particolare le opere di Averroè), nonché del pensiero di Mosè Maimonide, l'arabo cristiano Teodoro da Antiochia e Juda ben Salomon Cohen, grande enciclopedista ebreo.
Da una corrispondenza fra Federico e il filosofo islamico Ibn Sab'in nacque il testo Questioni siciliane (Al-masāʾil al-Ṣiqilliyya), redatto dal filosofo per rispondere a cinque quesiti che gli erano stati posti da Federico.
Corte e amministrazione di Federico II
Federico, nel regnare, era consigliato e coadiuvato da alcune delle figure più importanti dell'epoca come, ad esempio, i figli Enzo (che resse il governo della Sardegna) e Federico (che divenne Vicario generale imperiale in Toscana e podestà di Firenze), oltre che Galvano Lancia, Taddeo da Sessa, Elia da Cortona, Giovanni da Procida o i già citati Berardo di Castagna, Corrado III di Scharfenberg e Pier della Vigna. Altro importante diplomatico di Federico fu Ermanno di Salza, Gran Maestro dell'Ordine teutonico dal 1209, la cui importanza come mediatore tra papa Gregorio IX e l'Imperatore si vede dal fatto che il buon rapporto stabilitosi tra i due crollò alla scomparsa di Ermanno.
L'attività legislativa
Federico condusse un'intensa attività legislativa: a Capua e a Catania nel 1220, a Messina nel 1221, a Melfi nel 1224, a Siracusa nel 1227 e a San Germano (Cassino) nel 1229, ma soltanto ad agosto del 1231, nel corso di una fastosa cerimonia tenutasi a Melfi, ne promulgò la raccolta organica e armonizzata secondo le sue direttive, avvalendosi di un gruppo di giuristi quali Roffredo di Benevento, Pier della Vigna, l'arcivescovo Giacomo di Capua e Andrea Bonello da Barletta. Questo corpo organico, preso lungamente a modello come base per la fondazione di uno stato moderno, è passato alla storia col nome di Costituzioni di Melfi (o melfitane), anche se il titolo originale Constitutionum Regni Siciliarum libri rende più esplicita la volontà di Federico di riorganizzare il suo stato, il regno di Sicilia: quest'ultimo, infatti, fu ripartito in undici distretti territoriali detti giustizierati, poiché erano governati da funzionari di propria nomina, i giustizieri, che rispondevano del loro operato in campo amministrativo, penale e religioso a un loro superiore, il maestro giustiziere, referente diretto dell'imperatore che stava al vertice di questa struttura gerarchica di tipo piramidale. Abolì i dazi interni e i freni alle importazioni all'interno del suo impero.
Gli undici distretti stabiliti da Federico II nelle Costituzioni, furono poi istituiti in tempi diversi. Secondo l'ubicazione geografica possono essere distinti in:
a) Peninsulari
Abruzzo
Basilicata
Calabria
Capitanata
Principato e Terra Beneventana
Terra di Bari
Terra di Lavoro e Contado di Molise
Terra d'Otranto
Valle di Crati e Terra Giordana
b) Insulari
In base al decorso del fiume Salso:
Sicilia al di qua del Salso
Sicilia al di là del Salso.
Tra queste suddivisioni del Regno ci fu la creazione del Giustizierato d'Abruzzo (Justitiaratus Aprutii) nel 1233 con capitale Sulmona, unendo territori del ducato di Spoleto e di Benevento. Sempre nello stesso periodo Federico concesse la fondazione della città attuale di L'Aquila.
Lo storico aquilano Buccio di Ranallo tuttavia attribuisce la fondazione leggendaria della città a 99 "castelli" durante il 1254.
L'Università
Il 5 giugno 1224, all'età di trent'anni, Federico istituì con editto formale a Siracusa, per la città di Napoli, la prima universitas studiorum statale e laica della storia d'Occidente, in contrapposizione all'ateneo di Bologna, nato come aggregazione privata di studenti e docenti e poi finito sotto il controllo papale. L'università, polarizzata intorno allo studium di diritto e retorica, contribuì all'affermazione di Napoli quale capitale della scienza giuridica. Federico la scelse per la sua posizione strategica e il suo già forte ruolo di polo culturale e intellettuale.
La poesia siciliana
Contribuì a far nascere la letteratura italiana e in questo senso ebbe importanza fondamentale la Scuola siciliana o anche Scuola poetica siciliana che nacque tra il 1230 e il 1250, che ingentilì il volgare siculo con il provenzale, e i cui moduli espressivi e tematiche dominanti furono successivamente ripresi dalla lirica della Scuola toscana. Gli sono inoltre attribuite quattro canzoni. Appassionato della cultura araba, fece tradurre molte opere da quella lingua e fu quasi sempre in ottimi rapporti con gli esponenti di quella cultura al punto da guadagnarsi il soprannome (fra i tanti) di "sultano battezzato".
Nella corte era presente un gruppo di poeti, per lo più funzionari, che scrivevano in volgare meridionale. Nella corte di Federico si costituì una scuola poetica siciliana al quale si deve l'invenzione di una nuova metrica, il sonetto.
De arte venandi cum avibus
Federico II non fu solo un mecenate, ma anch'egli si cimentò in un'opera letteraria: De arte venandi cum avibus. La traduzione letterale del titolo di quest'opera di Federico II è L'arte di cacciare con gli uccelli, e di essa molte copie, illustrate nel XIII e XIV secolo, ancora sopravvivono.
Il De arte venandi è un trattato nato innanzitutto dall'osservazione, che non ha nulla delle enciclopedie zoologiche fino ad allora redatte (i bestiari intrisi di mitologia, teologia e superstizione). In esso i problemi di ornitologia, di allevamento, di addestramento e di caccia sono trattati con attenzione al principio dell'osservazione diretta e dell'esperienza, con assoluto spirito di indipendenza rispetto alla trattatistica precedente, per questo lo scritto rappresenta un fondamentale passo verso la scienza "moderna".
Federico era un cacciatore appassionato. Le battute di caccia erano in quei tempi un modo per socializzare con persone dello stesso rango, per esercitarsi nell'uso delle armi e per rappresentare il potere. Il suo svago preferito era la caccia con il falco addestrato, attività molto costosa e quindi elitaria: un falco addestrato veniva a costare infatti quasi quanto un intero podere. La caccia con i falchi per Federico non era un passatempo vero e proprio ma una scienza. Egli si procurò trattati di ornitologia e caccia, e, in base a ordini dell'imperatore, questi testi furono raccolti in un codice miscellaneo, concepito come un libro sulla falconeria. Le fonti non sono certe se Federico abbia scritto personalmente il libro, ma sicuramente egli partecipò alla sua redazione esponendo i propri punti di vista: il De arte venandi cum avibus rappresenta pertanto una trattazione molto moderna sia sui metodi di cattura e addestramento dei falchi, sia sulle tecniche di caccia della selvaggina con l'uso dei falchi addestrati.
Le arti figurative
Federico II, essendo un generoso mecenate, ospitò alla sua corte numerosi artisti provenienti dai territori dell'impero in particolare dalla Germania; le novità del gotico tedesco, che proprio in quegli anni produceva opere di rinnovato naturalismo come il Cavaliere di Bamberga del Duomo di Bamberga (ante 1237, alto 267 cm), dove era raffigurato un ritratto dell'imperatore stesso riprendendo l'iconografia delle statue equestri antiche. Inoltre all'epoca del padre Enrico VI e poi con Federico II, i cavalieri teutonici si insediarono in Italia meridionale (in particolare in Sicilia) e portando con loro le novità del gotico europeo che rappresentano le più antiche testimonianze di questo stile in Italia, un esempio importante la Chiesa di Santa Maria Alemanna a Messina. Successivamente, Federico II invitò nel sud-Italia i cistercensi già nel 1224, i quali diffusero il loro sobrio stile gotico nell'architettura (abbazie laziali di Fossanova e Casamari).
Oltre alla ricezione delle novità gotiche, Federico promosse anche attivamente il recupero di modelli classici, sia riusando opere antiche, sia facendone fare di nuove secondo i canoni romani: per esempio le monete auree da lui fatte coniare (gli augustali) presentano il suo ritratto idealizzato di profilo, e numerosi sono i rilievi che ricordano la ritrattistica imperiale romana (al già citato Duomo di Bamberga, alla distrutta Porta di Capua, eccetera). In queste opere si nota una robustezza che ricorda l'arte romana provinciale, una fluente plasticità, come nei realistici panneggi, e gli intenti ritrattistici. Tra i rilievi superstiti della Porta di Capua esiste anche un Busto di imperatore: se si trattasse delle vere fattezze del sovrano saremmo di fronte al primo ritratto pervenutoci dell'arte post-classica, un primato altrimenti stabilito dal Ritratto di Carlo d'Angiò di Arnolfo di Cambio.
La seconda corrente predominante all'epoca di Federico, dopo quella classicista, fu quella naturalistica. Lo stesso Federico II nel De arte venandi cum avibus scriveva come si dovesse rappresentare le cose che esistono così come sono (ea quae sunt sicut sunt), un suggerimento che si può per esempio riscontrare nell'originalissimo capitello attribuito a Bartolomeo da Foggia e conservato al Metropolitan Museum di New York (1229 circa). In questa opera quattro testine spuntano dagli angoli, ma la loro raffigurazione è così realistica (nelle scavature degli zigomi, nelle rughe, nelle imperfezioni fisiche) da sembrare un calco da maschera mortuaria.
I frequenti movimenti di Federico, seguito dalla corte e dagli artisti gotici, permisero la diffusione di uno stile sovraregionale, con opere di sorprendente similarità stilistica opera dell'architetto di corte Riccardo da Lentini anche in aree molto distanti, come testimoniano, per esempio, gli ingressi di alcuni castelli federiciani: i leoni scolpiti nel settentrionale castello dell'Imperatore di Prato sono identici a quelli di Castel del Monte in Puglia. Nicola Pisano, citato nei documenti più antichi come Nicola de Apulia, probabilmente arrivò in Toscana proprio con Federico II, alla cui corte potrebbe aver trovato la sintesi tra gli stimoli classici e transalpini che caratterizzarono la sua rivoluzione figurativa.
Le architetture
Imponente fu l'attività edilizia soprattutto in campo castellare; con oltre 250 cantieri divisi tra i restauri di antiche fortezze normanne e l'edificazione di nuovi edifici. Nel 1239 Federico emanò uno statuto speciale per la riparazione dei castelli già esistenti, allo scopo di renderli efficienti e pronti a qualsiasi evenienza. In tutto il regno di Sicilia si innalzavano ben 111 castelli da legare alla figura di Federico II di Svevia, secondo quanto riportato dal documento Statutum de reparatione castrorum, risalente al 1241.
Fondamentale fu la figura di Riccardo da Lentini che seppe sintetizzare e creare uno stile dalle diverse componenti artistiche e culturali d'Impero.
Federico fece costruire castelli, residenze e palazzi imperiali in tutta l'Italia meridionale: alcune costruzioni erano strutture a scopo militare che includevano spazi atti ad ospitare anche la corte, altre ebbero scopo più espressamente residenziale, alcuni per l'esercizio dell'attività venatoria o altre attività ludiche, e probabilmente alcuni anche per conduzione agricola. Dalla Capitanata alla Sicilia si hanno quindi diversi esempi di questi generi di architettura.
Dopo il 1233, l'imperatore fece edificare a Lucera, città che dal 1223 ospitò un importante insediamento musulmano, il suo Palatium sul colle Albano. La struttura originaria presentava una forma a torre con quattro ali disposte attorno ad un cortile quadrato. In una descrizione di epoca moderna, vengono descritti alcuni dettagli dell'edificio superstite da cui si apprende la presenza di ben 32 stanze su due piani, con delle torrette minori a ciascun angolo del quadrilatero. Sul cortile si affacciavano ampi portali e, grazie alla testimonianza di incisioni sempre di epoca moderna, sia le finestre che le aperture avevano decorazioni e fregi di stampo arabo-normanno. All'apice del cortile, in un interessante gioco di archi ogivali disposti ai quattro angoli, la struttura assumeva una forma ottagonale. Gli interni erano ricoperti di breccia corallina, materlale utilizzato anche a Castel del Monte. Nel cortile del Palatium vi è la presenza di un pozzo.
A Foggia, una delle residenze imperiali, aveva fatto costruire un magnifico Palatium, edificato da Bartolomeo da Foggia, su cui vi era un'iscrizione (oggi conservata nel Portale di Federico) che recitava: "Hoc fieri iussit Federicus Cesar ut urbs sit Fogia regalis sede inclita imp(er)ialis" (Ciò comandò Federico Cesare che fosse fatto affinché la città di Foggia divenisse reale e inclita sede imperiale). Federico II considerava la Capitanata un luogo ideale anche per la caccia e perciò fece costruire altre due importantissime dimore a Foggia. La prima, la Domus/Palatium Solaciorum San Laurencii o Pantani, in località Pantano, tra gli attuali quartieri Salice Nuovo, San Lorenzo e Ordona Sud, dove il Guiscardo aveva fatto edificare la chiesa di San Lorenzo in Carmignano, testimonianza visiva, insieme con la Regia Masseria Pantano, della vasta area che occupava la struttura federiciana; essa includeva una residenza signorile, con giardini, vivarium con animali acquatici ed esotici, padiglioni per il solacium. L'altra dimora del grande imperatore era il Palatium dell'Incoronata, nei pressi dell'omonimo Bosco/Santuario: in merito a questo edificio, testimonianza importante della struttura federiciana è la Regia Masseria Giardino, nelle immediate vicinanze della linea ferroviaria Foggia - Potenza; anche questo complesso viene descritto dalle cronache di quel tempo, come tra le dimore più belle e sontuose dello "Stupor Mundi". Sono attualmente in corso nel sottosuolo del centro storico della città di Foggia, scavi archeologici nell'area in cui sorgeva il palatium dell'imperatore, finora si è in presenza di una notevole presenza di ipogei.
Castel del Monte, dichiarato Patrimonio Mondiale dell'Umanità dall'UNESCO, sorse su di un'isolata altura nelle campagne di Andria, nei pressi del Monastero di Santa Maria del Monte già appartenuto al territorio di Trani.
Il castello svevo di Trani è uno dei più importanti e meglio leggibili tra i castelli federiciani, malgrado alcune trasformazioni che ne hanno in parte modificato l'assetto originario, caratteristico per la sua cortina sul mare e recentemente restaurato. La pianta del castello è quadrangolare con vasto cortile centrale, agli angoli del quadrato di base vi sono quattro torri a pianta quadrata, di cui le due prospicienti il mare sono le minori e conservano ancora l'altezza originaria, mentre le due maggiori verso terra sono state abbassate nel XVI secolo; le pareti esterne della costruzione si presentano composte da grossi blocchi con bugne in forte rilievo, con coronamento a merlatura piana; un muro fortificato, percorribile e dotato di frecciere e di merlatura, cinge l'intero castello e ne evidenzia ulteriormente il perimetro, dando spazio a tre cortili minori esterni; questo antemurale è circondato a sua volta da un largo fossato posto in comunicazione col mare.
Altre fortificazioni importanti sorsero con l'edificazione del Castello di Barletta, risultato architettonico di una serie di successioni al potere, e il Castello Svevo di Porto Recanati, fatto edificare nel 1229 quando Federico ratifica il possesso, da parte di Recanati, delle terre dal Musone al Potenza. Altre strutture fortificate sveve sono conservate a Bari, Bisceglie, Manfredonia, Lucera, Gravina di Puglia, Brindisi, Mesagne, Oria, Termoli, Campi Salentina, ecc.
Va menzionata la Porta di Capua, che doveva esprimere visivamente la maestà imperiale.
Nella città di Cosenza nel XIII secolo riportò il Castello sul colle Pancrazio ad assumere la più importante funzione difensiva degna del suo antico splendore. Attraverso degli imponenti lavori di ristrutturazione fece ampliare la rocca facendole assumere l’impostazione tipica dei castelli federiciani con impianto rettangolare, torri angolari, camminamenti di ronda merlati e sale voltate. Inoltre il 30 gennaio 1222, alla sua presenza, venne consacrato il Duomo di Cosenza città a cui volle far dono della preziosa Stauroteca.
Tra gli altri si ricordano il Castello Maniace di Siracusa (dedicato al generale bizantino Giorgio Maniace, principe e Vicario dell'Imperatore di Costantinopoli, i cui discendenti erano imparentati con Federico II tramite la madre Costanza d'Altavilla), tra le più imponenti opere federiciane, con un grande portale strombato e con un vasto utilizzo di volte a crociera costolonate gotiche; il castello svevo di Augusta; l'imponente fortezza quadrangolare del Castello Ursino a Catania, il castello di Scaletta Zanclea e la Torre di Federico II a Enna, con grandiose volte a ombrello costolonate gotiche e la caratteristica forma ottagonale, sebbene quest'ultima struttura fu ultimata all'epoca di Manfredi. Numerose anche le residenze imperiali di campagna, come il palatium della Targia. Per l'architettura religiosa importanti esempi sono quelli legati ai cavalieri teutonici come la chiesa di Santa Maria Alemanna a Messina, la Basilica del Murgo a Lentini, la chiesa di San Nicola ad Agrigento, la chiesa di Sant'Andrea a Buccheri e la cappella sveva del palazzo arcivescovile di Siracusa. Altre costruzioni di carattere religioso comprendono edifici cavallereschi e architetture cistercensi diffuse in tutta l'Italia meridionale.
Castelli e residenze federiciane
Palazzo di Lucera
Palatium di Foggia
Castel del Monte
Castello svevo di Trani
Castello normanno-svevo di Bari
Castello svevo di Gravina
Castello svevo (Brindisi)
Castello di Oria
Castello di Melfi
Castello di Lagopesole
Castello ducale di Bisaccia
Castello normanno-svevo di Cosenza
Castello di Milazzo
Castello di Scaletta Zanclea
Castello svevo di Augusta
Castello Maniace
Torre di Federico II
Castello Ursino
Rocca di Federico II
Palazzo della Favara
Palazzo dei Normanni
La Zisa
Antenati e discendenti
Ascendenza
Le mogli di Federico e i suoi figli legittimi e naturali
Federico ebbe tre mogli e diverse relazioni.
La prima moglie fu Costanza d'Aragona e, come per ogni grande regnante, l'unione fu frutto di un preciso progetto diplomatico del tutore imperiale papa Innocenzo III. Costanza, infatti, era già alle seconde nozze ed era di circa dieci anni più anziana del quattordicenne Federico.
Spentasi Costanza, Federico, probabilmente adottando la medesima politica e mantenendo l'avallo papale, si unì in matrimonio prima con Jolanda (o Isabella) di Brienne e poi, morta questa, con Isabella d'Inghilterra.
Ma fu Bianca Lancia probabilmente il vero amore dell'imperatore. Di Bianca, appartenente alla famiglia dei Lancia (o Lanza), molto in vista nella corte di Federico, non sono rimaste notizie storiche e la stessa sincerità del sentimento dell'imperatore fu messa spesse volte in discussione da alcuni critici. Comunque è certo che da questa unione, forse tramutata in matrimonio negli ultimi anni di vita, nacque a Venosa Manfredi di Sicilia, il figlio prediletto di Federico. Suo figlio naturale fu anche Enzo.
Fra mito e leggenda
L'intensa attività politica e militare, l'innovazione portata nella sua legislazione del regno di Sicilia, l'interesse per scienze e letteratura fecero di Federico un personaggio mitico, talvolta attirando una serie di leggende che in parte resistettero alla sua scomparsa. L'amicizia praticata nei confronti degli arabi (ebbe a lungo una Guardia personale costituita da guerrieri arabi, e lui stesso parlava correntemente tale lingua) unitamente alla lotta contro il papa Gregorio IX, che arrivò perfino a definirlo anticipatore dell'Anticristo, fecero crescere attorno a lui un alone di mistero e di leggenda.
I ghibellini vedevano in lui il Reparator Orbis, il sovrano illuminato che avrebbe punito i preti indegni e restaurato la purezza della Chiesa.
La propaganda guelfa invece lo definì come un ateo, autore del libro De tribus impostoribus o un eretico epicureo (Dante stesso lo citò nel girone degli eretici vicino a Farinata degli Uberti), o addirittura come un convertito all'Islam. A conferma di queste accuse, infatti, il cronista Salimbene de Adam riferisca nella sua Chronica che:
Fu forse il suo essere stato definito l'Anticristo (o il suo anticipatore, secondo la tradizione profetica derivata da Gioacchino da Fiore) a dare origine, dopo la sua morte, alla leggenda di una profezia secondo la quale egli sarebbe ritornato dopo mille anni. Federico fu definito l'Anticristo anche in virtù di una leggenda medievale che sosteneva che questo sarebbe nato dall'unione fra una vecchia monaca e un frate: si diceva infatti che il padre Enrico VI in gioventù aveva pensato di intraprendere la vita monastica, mentre Costanza d'Altavilla aveva 40 anni quando partorì Federico e prima del matrimonio, contratto all'età di 32 anni, sarebbe vissuta in un convento. Tale leggenda si collega anche al personaggio di Fra Pacifico, al secolo Guglielmo Divini, il quale, prima di divenire uno dei più intimi compagni di Francesco d'Assisi, fu cavalier servente di Costanza, alla quale fu legato da un amore segreto il cui frutto potrebbe essere stato proprio Federico.
Naturalmente la sua morte non poteva non dar origine a leggende. Si narra che una volta gli fu fatta una profezia riguardante la sua morte: egli sarebbe deceduto in un paese contenente la parola "fiore". Per questo Federico II evitò di frequentare Florentia (Firenze), ma non sapeva che nell'agro dell'odierna Torremaggiore si ergeva un borgo di origine bizantina, chiamato appunto Castel Fiorentino; le sue rovine, affioranti da una collina detta dello Sterparone (205 m), ancora testimoniano la presenza di alcuni locali, di una torre di avvistamento e della Domus (palazzo nobiliare) all'interno della quale morì Federico il 13 dicembre 1250.
La stessa leggenda racconta pure che, secondo la profezia, egli non solo sarebbe morto appunto sub flore, ma anche nei pressi di una porta di ferro. Secondo la tradizione, riavutosi leggermente dal torpore, Federico chiese alle guardie che lo vegliavano dove si trovasse e dove portasse una porta chiusa che stava vedendo dal proprio letto. Quando la guardia gli rispose che si trovava a Castel Fiorentino e che quella porta, murata dall'altra parte, non era che un vecchio portone di ferro, l'imperatore sospirò: «Ecco che è giunta dunque la mia ora», ed entrò in agonia.
Appellativi
Federico veniva definito stupor mundi ("meraviglia del mondo").
Dai suoi coevi fu detto anche puer Apuliae ("fanciullo di Puglia", ma va notato che all'epoca tale coronimo aveva un’accezione assai ampia e corrispondeva a buona parte dell'Italia meridionale).
Media
Letteratura
Fra Salimbene de Adam, nella sua Chronica, una delle fonti storiche più interessanti per il secolo XIII, parla anche delle opere da lui scritte, andate tutte perdute. Tra queste, si segnalano i XII scelera Friderici imperatoris, opera che doveva avere carattere polemico, essendo servita anche come opuscolo di propaganda anti-imperiale, dopo la sconfitta di Vittoria nel 1248. Nella Chronica Federico II è dipinto come uomo avaro, che combatté la Chiesa solo perché voleva impadronirsi dei beni ecclesiastici. E la stessa Chronica è ricca di aneddoti, per lo più negativi, riguardanti episodi della vita di questo imperatore.
Anche Dante nella Commedia menziona Federico II ben cinque volte: tre nellInferno, una nel Purgatorio e una nel Paradiso:
Inferno
Il poeta, accogliendo le voci sull'ateismo di Federico, assegna all'imperatore la pena che egli attribuisce agli eretici (gli epicurei): trascorrere l'eternità in bare infuocate.
Qui a parlare è l'anima di Pier delle Vigne, segretario e uomo di fiducia dell'imperatore; si suicidò dopo esser stato accusato di aver tramato contro Federico.
Dante riprende una leggenda secondo la quale Federico II sottoponeva a tortura i rei di lesa maestà coprendoli di piombo e facendoglielo fondere addosso.
Purgatorio
Paradiso
Dante si riferisce al fatto che Federico fu il terzo e ultimo imperatore appartenente alla Casa di Svevia.
Cinema
Stupor mundi, regia di Pasquale Squitieri (1998)
Araldica
La prima o, comunque, una delle prime figure araldiche adottate dagli Hohenstaufen per le proprie insegne fu quella del leone, o, meglio, dei leoni passanti, poiché, in seguito a evoluzioni degli elementi componenti l'arme staufica, il numero degli animali araldici fu fissato a tre. Essi, di smalto nero o, in alternativa, rosso, erano disposti in palo in campo d'oro o, in talune versioni, d'argento.
A rappresentare la dignità imperiale degli Staufen, fu introdotta, poi, un'ulteriore insegna, ovvero un'aquila al volo abbassato di nero posta in campo d'oro o d'argento, con il primo metallo che finì con il prevalere sul secondo: siffatta arme doveva esprimere la continuità tra l'Impero romano e l'Impero germanico.
L'aquila costituì «una vera e propria impresa personale» per Federico II: molteplici, difatti, sono le rappresentazioni del rapace nell'iconografia legata all'imperatore siciliano. Indicative, al riguardo, sono le numerose aquile, diversamente scolpite, poste a ornamento di mura o altri elementi architettonici, rinvenibili negli edifici federiciani, come nel caso della porta superstite del palazzo di Foggia e degli elementi decorativi nei castelli di Barletta, Trani e Bari.
Particolarmente significative, inoltre, appaiono le opere che riproducono l'aquila nell'atto di straziare, con i propri artigli, altri animali, come serpenti o lepri, deputati a rappresentare i nemici dell'Impero. Esemplificativa, in tal senso, è l'edicola sovrastante l'ingresso principale del Castello Ursino di Catania: la scultura posta al suo interno riproduce un'aquila che tiene tra gli artigli una lepre esanime.
Altrettanto emblematici, sia «per le varie tipologie di figura dell'aquila che vi campeggiano con superba eleganza», sia perché concepiti con intenti celebrativi dell'immagine dello stupor mundi, sono «gli stupendi cammei», che, nella prima metà del XIII secolo, furono realizzati in tutto il regno di Sicilia. In tali manufatti artistici di pregevole fattura, le aquile sono cesellate «con straordinario gusto per i particolari naturalistici».
Anche la monetazione d'età federiciana non manca di coni recanti l'effige dell'aquila, che fu presente in numerose emissioni di tarì, denari e augustali. Il disegno non fu sempre il medesimo, si passa da esemplari con aquile stilizzate, ad aquile che, invece, assumono sembianze più naturali, aggressive e dinamiche: quest'ultimo è il caso degli augustali: battute presso le zecche di Brindisi e Messina, tali monete recavano, sul recto, l'immagine dell'imperatore siciliano, mentre, sul verso, un'aquila sorante con la testa volta verso la sinistra araldica. La posizione della testa, in particolare, fu variabile e, a seconda delle emissioni, si ritrovano, infatti, monete con aquila rivoltata e altre no; così come è possibile rinvenire sia esemplari con aquila senza corona, sia esemplari con aquila coronata. Relativamente alle coniazioni tedesche, invece, è possibile citare un'emissione del XIII secolo, sulla quale compare raffigurato, a cavallo, l'imperatore con corona, vessillo e scudo: su quest'ultimo campeggia la figura dell'aquila.
Quanto agli smalti dello stemma, Giovanni Antonio Summonte, nellHistoria della Città e Regno di Napoli, riferendo in merito all'arme di Federico II, non manca di specificare che egli «portò il Campo d'oro, e l'Aquila nera». Inoltre, è possibile asserire che nelle miniature, coeve o meno, raffiguranti lo stupor mundi, l'oro per il campo degli scudi rappresentasse la norma. Parimenti, d'oro all'aquila di nero era il drappo dei vessilli dispiegati «dagli armati di Federico II», durante la sesta crociata, o dalla flotta siciliana, durante la battaglia del Giglio.
Alla luce della rilevanza attribuita alla figura dell'aquila da Federico II, è lecito sostenere che fu proprio durante il regno dello stupor mundi che detta figura si attestò, in via definitiva, «come distintivo araldico dell'Impero per eccellenza», finendo, in questo modo, con il sopravvivere alla stessa estinzione della dinastia staufica e andando a contraddistinguere tutti i successivi sovrani assurti alla carica imperiale.
Direttamente connessa all'avvento della dinastia staufica sul trono siciliano, sebbene le diverse fonti non concordino in merito al sovrano che l'introdusse, fu l'adozione, quale nuova insegna reale, dell'aquila al volo abbassato di nero, che, posta in campo d'argento, entrò a far parte dei segni distintivi del regno di Sicilia. Tale arme, dunque, fu derivata dall'originaria insegna imperiale: l'argento del campo, che può essere considerato una brisura rispetto all'oro dello stemma dell'Impero, andò, infatti, a rappresentare la dignità reale, in contrapposizione al campo aureo, rappresentativo, invece, della dignità imperiale.
Secondo una tesi consolidata, l'iniziativa di fissare l'argento per il campo dell'arme detta di Svevia-Sicilia sarebbe da attribuire a Manfredi, stando a quanto riportato da altri autori, invece, è già con Federico II che l'aquila siciliana comincia ad assumere identità e peculiarità proprie, che la differenziano dall'arme imperiale. In base a tale ipotesi, infatti, il puer Apuliae avrebbe adoperato, accanto allo stemma con l'aquila di nero in campo d'oro, anche una versione dell'insegna, che, per l'appunto, doveva rappresentare la dignità reale, dove il campo dello scudo non era d'oro, bensì d'argento. Nel caso in cui una simile eventualità fosse incontrovertibilmente verificata, essa potrebbe configurarsi come la traslazione in termini simbolici di una contingenza di carattere politico; ovvero la pretesa esercitata dal papato, nei confronti di Federico II, di mantenere una formale e sostanziale separazione giuridica tra Impero e Regno, cosa che, attraverso l'assunzione di impegni solenni, lo stupor mundi «aveva ripetutamente dovuto riconoscere (anche se, di fatto, aveva cercato di eludere […])», onde non attuare «quella "unio regni ad imperium" che la Chiesa considerava inammissibile».
A Federico II, inoltre, è attribuito l'utilizzo, quale insegna per l'Impero, dell'aquila bicipite di nero in campo d'oro. In particolare, fu il benedettino e cronista inglese Matteo Paris a riportare, nella sua maggiore opere, la Chronica Majora, miniature recanti l'aquila a due teste associata a Federico II. Altri autori, però, sono scettici riguardo all'effettiva adozione della figura dell'aquila bicipite da parte di Federico II, ritenendo che l'introduzione di tale effigie per l'arme imperiale sia avvenuta solo in epoca successiva.
Un particolare stemma, infine, è associato a Federico II, in alcune riproduzioni pubblicate in due importanti opere storiografiche: Descrittione del Regno di Napoli, di Scipione Mazzella, e Historia della Città e Regno di Napoli, di Giovanni Antonio Summonte. In detti stemmi, l'aquila (nel primo caso è monocipite e funge da supporto esterno, nel secondo caso è bicipite ed è caricata sul campo dello stemma) reca in cuore uno scudo o uno scudetto (a seconda del caso), il quale, con capo troncato cuneato da parte a parte, è interzato in palo, con, nel primo terziere, tre pigne, nel secondo, tre leoni passanti (ovvero l'arme di Svevia), e, nell'ultimo, la croce di Gerusalemme. Quest'ultima, in particolare, entrò a far parte delle insegne federiciane in seguito alle nozze con Jolanda di Brienne e all'acquisizione, da parte dello stupor mundi, del titolo di Re di Gerusalemme.
Note
Opere di Federico II
De arte venandi cum avibus, trattato sull'attività venatoria.
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Voci correlate
Enciclopedia Fridericiana
Regno di Sicilia
Elenco dei conti e dei re di Sicilia
Costituzioni di Melfi
Giustizierato
Scuola siciliana
Crociata contro Federico II
Sesta crociata
Castra exempta
Otto Abel
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Cesaropapismo
Guelfi e ghibellini
Comune medievale
Magna Curia
Pace di Magonza
Altri progetti
Collegamenti esterni
Saura Rabuiti, Federico II dal Portale Treccani scuola.
Franco Cardini, La politica di Federico II, EMSF-Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche della RAI.
Klaus Graf, Mythos Staufer, da Archivalia. 2010-07-15
Hannes Obermair, Der Staufer Friedrich II. und die Geschichtsschreibung des 19. und 20. Jahrhunderts, in «Concilium Medii Aevi», 11, Göttingen 2008, pp. 79–100 PDF, 571 KB.
Federico 02 di Svevia
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Sovrani incoronati nella cattedrale di Palermo
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Storia della Sicilia sveva
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1913 | https://it.wikipedia.org/wiki/Football%20americano | Football americano | Il football americano (in inglese American football, negli Stati Uniti football e per gli anglofoni, fuori dal Nordamerica, gridiron football) è uno sport di squadra ideato negli Stati Uniti, nazione nella quale è l'attività agonistica più popolare e seguita dagli anni settanta del XX secolo. Infatti, secondo una ricerca, la National Football League risultava essere, nel 2013, il campionato professionistico con il più alto numero di presenze negli stadi al mondo: la media calcolata era di spettatori a partita.
Derivato dal rugby, di cui all'origine ereditò parte delle regole e da cui differisce in diversi aspetti del gioco, il football, rispetto alla disciplina di provenienza, prevede varie protezioni per evitare i danni causati ai suoi praticanti dagli urti contro gli avversari e il terreno del campo di gioco.
Caratteristiche
Le partite vengono disputate da due squadre composte da undici giocatori con un numero pressoché illimitato di cambi di giocatori a causa dei tanti ruoli presenti, dal quarterback al running back, e hanno una durata di 60 minuti di tempo semi effettivo suddivisi in quattro tempi da 15' e con un intervallo di 15' fra il secondo e terzo tempo.
Un ruolo importante nell'economia del gioco lo ricopre il quarterback che con i suoi lanci smarcanti fornisce passaggi vincenti verso i colleghi diretti a meta, definita touchdown in lingua inglese.
La filosofia di fondo del football americano è quella della conquista del territorio: avanzando a più riprese sulle linee di yards (0,9144 m) posizionate trasversalmente rispetto ai lati lunghi del campo, le squadre cercano di raggiungere il punto di meta situato nella zona avversaria per posizionarvi la palla e mettere a segno così il colpo decisivo del touchdown.
Campionati di questa specialità si svolgono in varie parti del mondo. Negli USA, dove dal 1922 è attiva per i professionisti la National Football League e dal 1906 la NCAA per i campionati universitari, il culmine della stagione, articolata appunto su campionati di lega che promuovono dopo una serie di play-off due squadre finaliste, coincide con l'annuale incontro del Super Bowl che assegna il Vince Lombardi Trophy. Questa partita, sempre molto attesa, decide qual è la compagine principe della stagione e viene disputata solitamente fra la fine di gennaio e i primi di febbraio.
Oltre la versione con 11 giocatori vi sono anche altre varianti: la più popolare è il football a 8 giocato da professionisti su campi più corti rispetto a quelli del football a 11 e la lega più seguita per 32 anni era la Arena Football League, che veniva giocata in palazzetti dello sport al coperto. Attualmente esistono varie leghe di football a 8: la più importante è la Indoor Football League.
In Canada è diffuso il football canadese, che viene giocato da squadre composte da 12 giocatori: la lega dei professionisti è la Canadian Football League, che disputò il primo campionato nel 1958.
In Europa, il football americano è regolato dalla EFAF (European Federation of American Football) e che organizza due competizioni: l'Eurobowl e l'EFAF CUP. È stata inoltre presente in Europa la NFL Europe, emanazione della NFL americana, formata al 90% da atleti USA in forza a franchigie NFL e cessata nel 2007. In Italia dopo la FIAF (Federazione Italiana American Football), espulsa per debiti dal CONI nell'ottobre del 2000, emersero due federazioni concorrenti, la FIDAF affiliata al CONI e la NFLI, la quale è stata disciolta nel 2008. Il primo campionato italiano si svolse nel 1980.
In anni recenti notevoli sviluppi e progressi tecnici sta avendo il football americano femminile; il football americano non è disciplina olimpica, ma quest'attività atletica è nel programma dei World Games.
Storia
Negli Stati Uniti
I tanti britannici emigrati negli Stati Uniti diffusero il rugby a 15 che in progressiva evoluzione, dopo notevole modifica delle regole di gioco, originò il football.
Nel 1861 un primo rudimentale regolamento di football venne adottato da alcune squadre scolastiche e universitarie di Boston e circondario; il 6 novembre 1869 la partita tra le squadre universitarie di Rutgers e Princeton diede inizio a un periodo nel quale il gioco si diffuse molto nelle università; non tutte le squadre adottavano lo stesso regolamento, ma a partire dal 1873 si svolsero riunioni di allenatori e giocatori per studiare l'unificazione del regolamento.
Nel 1880 Walter Camp introdusse la regola dello schieramento ossia linea di scrimmage ("scrimmage" significa letteralmente "zuffa, mischia") per iniziare ogni azione di gioco e nel 1883 introdusse la regola degli 11 giocatori attivi per ogni squadra nel campo da gioco. Nel 1892 si organizzarono le prime squadre professioniste nelle quali diventò celeberrimo l'amerindo Jim Thorpe, già pluricampione olimpico di atletica e grande giocatore di baseball; nel 1903, con la costruzione dello stadio di Harvard, iniziò l'edificazione dei grandi stadi universitari che tuttora sono tra i più grandi degli Stati Uniti, superando talvolta la capienza di 100.000 spettatori, come lo stadio Michigan di Ann Arbor nel Michigan (Università del Michigan) e il Neyland Stadium di Knoxville nel Tennessee (Università del Tennessee).
Nel 1905, a causa del regolamento ancora non ben definito, durante le gare morirono 18 atleti e altri 150 restarono feriti: il football fu denunciato da molti rappresentanti del Congresso statunitense e dovette intervenire personalmente il Presidente Theodore Roosevelt, che convocò i dirigenti delle varie organizzazioni per imporre la modifica del regolamento di gioco. Il 12 gennaio 1906 a New York i delegati di 28 università, collegi e accademie militari costituirono un comitato, che poi divenne la National Collegiate Athletic Association, quindi modificarono il regolamento adottando molte nuove regole tra le quali quella principale del passaggio di pallone in avanti, ma non bastò poiché nel 1910 morirono nelle partite ancora altri 11 atleti e si resero necessarie ulteriori modifiche negli anni successivi. Tuttora l'impatto frequente, tra atleti veloci e possenti, procura danni permanenti a molti giocatori professionisti quindi si stanno cercando modifiche al regolamento di gioco.
Nel 1920 Jim Thorpe, che già da giocatore aveva fondato nel 1916 la squadra professionista Cleveland Indians poi denominata Cleveland Tigers, fu il principale artefice della fondazione dell'American Professional Football Association, che nel 1922 diventò National Football League, dirigendola come primo presidente. Nel corso degli anni furono fondate altre leghe, tra le quali American Football League e United States Football League, ma i dirigenti si accordarono per unire le risorse finanziarie e dare sempre maggiore impulso alla NFL come dimostrato dalla fusione AFL-NFL.
Dagli anni '70 del XX secolo il football è diventato l'attività atletica più praticata e popolare negli Stati Uniti: fatto significativo poiché in questa nazione sono praticati tutti i giochi e le scuole statali offrono anche ai bambini della scuola primaria la possibilità di praticare le varianti senza tackle ossia touch football e flag football usufruendo di campi, equipaggiamenti e allenatori grazie al programma nazionale del Dipartimento dell'Istruzione degli Stati Uniti, che considera l'atletismo essenziale per la formazione civica e culturale di tutti i cittadini.
Altre leghe di giocatori professionisti furono formate, ma poi chiusero la loro attività. Dal 2007 al 2012 fu attiva la United Football League. Nel febbraio del 2019 prese il via la stagione inaugurale della Alliance of American Football (AAF), una nuova lega professionistica ideata dal regista Charlie Ebersol e dall'ex dirigente di numerose franchigie della NFL Bill Polian. Il 17 aprile 2019, dopo appena due mesi di attività, la AAF dichiarò bancarotta e fu soppressa.
La X Football League (2001) è stata rifondata da X Football League (2020) e la United States Football League è stata rifondata da United States Football League (2022).
Altre leghe di giocatori professionisti disputano campionati con il regolamento del football a 8 e la American 7s Football League, inaugurata nel 2015, è una lega che applica uno specifico regolamento per squadre composte da sette giocatori attivi in campo senza l'utilizzo delle varie protezioni, compresi i caschi, che servono per difendere il fisico degli atleti durante i contrasti contro gli avversari.
In Italia
In Italia la prima partita di football si svolse a Genova il 27 novembre 1913 quando si affrontarono le squadre della USS Connecticut e della USS Kansas, due delle quattordici navi della Great White Fleet americana temporaneamente attraccate nel porto ligure nel corso di una crociera di esercitazione nel Mar Mediterraneo. La USS Connecticut ebbe la meglio con il punteggio di 17-6.
Dopo quella sporadica apparizione, il football americano tornò in Italia durante la seconda guerra mondiale a Firenze il 1º gennaio 1945 davanti a 25.000 spettatori: il trofeo in palio fu chiamato Spaghetti Bowl e il risultato fu 5º army 20 - 12º air force 0. In realtà già il 23 novembre 1944 si svolse a Bari una partita tra militari statunitensi davanti a 5.000 spettatori: il trofeo in palio fu chiamato Bambino Bowl e il risultato fu Technical School 13 - Playboys 0; si trattò però di touch football, la versione giocata senza le protezioni, né blocchi, né placcaggi. Il football a differenza del baseball, pure diffuso da militari statunitensi nello stesso periodo, non fu subito praticato da un buon numero di squadre a causa del costo elevato dell'equipaggiamento di protezione dei giocatori.
Comunque le poche squadre esistenti, pur non potendosi organizzare per un campionato, giocando periodicamente con le squadre di militari statunitensi delle basi NATO svilupparono la qualità tecnica del loro gioco. Nel 1972 il dirigente sportivo Bruno Beneck, il rugbista già nazionale azzurro Marco Bollesan e alcuni altri fondarono la Federazione Italiana Football Americano ma per diversi problemi il progetto non prese corpo, mentre nel 1979 Bruno Beneck, Gianfranco Calistri e Marcello Loprencipe, uno dei primi giocatori italiani di football, fondarono la Lega Italiana Football; nel 1981 Giovanni Colombo organizzò l'Associazione Italiana Football Americano e successivamente i dirigenti di L.I.F. e AIFA, inizialmente rivali, si accordarono.
Il primo campionato italiano, organizzato dalla L.I.F., si svolse dal 19 luglio al 21 settembre 1980 nello stadio Vince Lombardi di Castel Giorgio, cittadina vicino Terni, (il cui sindaco Giuseppe Calistri si adoperò per la promozione del football americano in Italia) tra le squadre di Gladiatori Roma, Lupi Roma, Diavoli Milano e Tori Torino (tutte squadre di Roma che si diedero nomi di altre città per dare all'evento un "aspetto più ampio").
La prima partita della nazionale di football americano dell'Italia si svolse il 14 giugno 1981 nello stadio Vince Lombardi e il risultato fu Italia 0 - Germania 12; nel 1983 la nazionale azzurra vinse il primo campionato europeo che si disputò nello stadio Vince Lombardi e nel 1987 in Finlandia il "Blu Team" diventò il "Dream Team" andando a vincere un'edizione del campionato europeo agguerritissima. Il "Dream Team" sconfisse inglesi e tedeschi, che contavano tra loro numerosi giocatori con passaporto statunitense, vincendo senza favori del pronostico in un rocambolesco finale all'ultimo secondo. La prestazione dei giocatori di quella nazionale fu riconosciuta dal Presidente della Repubblica l'anno dopo in una cerimonia ufficiale a Roma. Nomi come Ricci, Bottaro, Mutti (P&M), Olivetto s'inserirono nella storia del football italiano con quella impresa non ancora ripetuta.
Nel 1987 Gianantonio Arnoldi diventò presidente dell'AIFA e diede un nuovo assetto ai campionati nazionali, che comprendevano 100 società; inoltre cambiò la denominazione federale da AIFA in FIAF e l'associò al CONI nel 1988. Attualmente l'NFL Italia (NFLI) non regolamenta più i campionati nazionali di football e dopo 5 anni di attività ha fatto posto alla FIDAF (Federazione Italiana di American Football) quest'ultima riconosciuta dal CONI il 17 dicembre 2010.
Campionato mondiale
Il primo campionato mondiale di football americano, senza i migliori professionisti, si svolse a Palermo dal 24 giugno al 4 luglio 1999: in finale il Giappone s'impose sul Messico 6-0 dopo tempi supplementari. Il secondo campionato mondiale, ancora senza i migliori professionisti, si disputò a Hanau, città tedesca, nel 2003 e in finale, come nella prima edizione, la nazionale giapponese superò quella messicana 34-14.
Il gioco
Campo
Il campo di gioco regolamentare è lungo più le 2 aree di meta (end zone) di ciascuna, per una lunghezza totale di , e largo ; la lunghezza è scandita da una doppia serie di tacche nella parte centrale, chiamate hashmarks. Le misurazioni statistiche delle azioni di gioco, pertanto, sono espresse in yard.
Il fondo può essere sia in erba naturale che sintetica.
Alle due estremità sono situate le due porte, a forma di Y, che servono per i calci piazzati: in tutti i campionati l'altezza dal suolo della traversa della porta è di , mentre lo spazio fra i pali è largo nella NFL e nella NCAA, e nel campionato delle high school (la scuola secondaria); l'altezza minima dei pali dall'angolo con la traversa è di .
Pallone
Il pallone ovale (sferoide prolato), di cuoio o gomma, è più piccolo e affusolato di quello utilizzato nel rugby, con una forma simile alla vesica piscis ed è lungo 28 cm con circonferenza al centro di circa 56 cm; il peso è di circa . Le minori dimensioni, la forma e la presenza di una cucitura esterna per agevolare la presa delle dita, sono giustificate dal fatto che, contrariamente al rugby, il gioco consente ed anzi incoraggia il passaggio in avanti di precisione che richiede il lancio con una sola mano. In questo modo infatti il quarterback è in grado di applicare al pallone una rotazione (spin) che consente al pallone stesso di compiere una traiettoria stabile con la punta sempre nella direzione del moto, e il pallone, grazie alle punte, penetra meglio l'aria. In alcuni campionati, il pallone regolamentare è provvisto di due strisce bianche verniciate in prossimità delle punte, al fine di evidenziare l'effetto dato nel lancio.
Giocatori
Si gioca in 11 atleti contro altri 11 attivi in campo; le squadre dei campionati professionistici hanno a disposizione, seduti sulle apposite panchine, circa 50 giocatori poiché esistono 3 tipi di squadre per specifiche azioni di gioco, e le riserve: l'offensive team cioè gli attaccanti, il defensive team cioè i difensori, e gli special team cioè le squadre speciali che entrano in campo per i calci (una calcia e poi difende, l'altra riceve e poi attacca).
Tempo
Una partita è divisa in 4 quarti da 15 minuti di tempo semi-effettivo (la durata dei quarti può variare relativamente alle categorie dei campionati).
Il cronometro viene fermato:
quando un portatore di palla esce dal campo,
al cambio di possesso palla,
quando avviene un passaggio incompleto,
dopo una penalità,
quando viene richiesta una sospensione del gioco o time-out
nel two-minute warning, quando mancano due minuti alla fine del secondo o dell'ultimo quarto.
Azioni
Si inizia con un calcio, kick off in lingua inglese, eseguito dalla linea delle proprie 35 yard da una delle due squadre (fino al 2010 era dalle 30 yard ma nel 2011 la posizione del pallone è stata cambiata). Il kick off si ripete all'inizio del secondo tempo, cioè all'inizio del terzo quarto. I compagni del giocatore che esegue il calcio devono essere in posizione arretrata rispetto al pallone, al momento del calcio stesso: quando il pallone calciato ha percorso almeno 10 yard può essere preso e giocato da un qualsiasi atleta della squadra che calcia. Questa limitazione non vale per la squadra ricevente, che può recuperare il pallone in qualsiasi momento dopo il calcio.
Il gioco riprende dal punto in cui il pallone è stato fermato e la squadra che ha conquistato il possesso di palla giocherà in attacco. La squadra attaccante ha 4 tentativi (down in lingua inglese) per avanzare almeno di 10 yard, segnalate a bordo campo da una catena con due pali indicatori all'estremità. Durante ogni down la squadra in attacco può effettuare un solo passaggio in avanti che superi la linea di scrimmage (la linea virtuale parallela al lato corto del campo, dov'era posizionata la palla all'inizio dell'azione) mentre può effettuare retropassaggi senza limitazioni.
Per questo motivo la palla viene affidata al regista offensivo, il quarterback, che sceglie se lanciare il pallone in avanti a un ricevitore o affidarlo ad un corridore che penetra di forza in un varco aperto nella difesa avversaria dai suoi compagni di squadra (il cosiddetto rush). Un down termina quando l'arbitro fischia la fine dello stesso ossia nei seguenti casi:
un passaggio in avanti non viene ricevuto, ossia in caso di passaggio incompleto (incomplete pass in lingua inglese)
il giocatore che sta portando il pallone è placcato, fermato o esce dalle linee laterali
il pallone in seguito ad una perdita accidentale (fumble in lingua inglese) esce dal campo
Nel caso in cui la squadra attaccante non riesca a superare le 10 yard dopo avere giocato anche il quarto down, la squadra che difende va in attacco e il gioco riprende nella posizione in cui si trova la palla. Superando le 10 yard si ottiene un primo down (first down), cioè il primo di 4 ulteriori tentativi sino al superamento delle successive 10 yard con il pallone, al conseguimento di un touchdown o di un altro genere di segnatura.
La realizzazione di una meta, il touchdown, vale 6 punti e dà diritto a una conversione o trasformazione (extra point in lingua inglese); questa può essere da 1 punto se il pallone è calciato in mezzo ai pali con i piedi da una linea posta a 3 yard dalla end zone, o da 2 punti se il pallone è portato in meta con una corsa o con un lancio. Quest'ultime possibilità, pur garantendo un punto in più, hanno una minore probabilità di successo della prima (elevatissima); per questo vengono usate tipicamente solo quando il punto aggiuntivo può fare la differenza tra vittoria e pareggio (con conseguente tempo supplementare) o tra sconfitta e pareggio.
Dopo un touchdown si riprende con un calcio (kick off) da parte della squadra che ha segnato. Questo fa sì che la successiva azione di attacco passi alla squadra che ha subito il touchdown.
Altri modi per segnare punti sono:
realizzare un calcio piazzato da tre punti, field goal in lingua inglese.
placcare l'avversario in possesso del pallone all'interno della sua area di meta (end zone in lingua inglese), safety, che vale 2 punti.
calciare un drop, che vale 1 punto (è rarissimo, l'ultimo di cui si ha notizia lo segnò nel 2005 Doug Flutie dei New England Patriots): in questo caso, dopo lo snap, il quarterback anziché lanciare o passare la palla, la lascia cadere a terra e, al rimbalzo, la calcia verso l'area di meta, facendola passare attraverso i pali.
Il calcio di allontanamento, punt in lingua inglese, si esegue generalmente al quarto tentativo di attacco quando, verosimilmente, non si ha la possibilità di raggiungere il primo down ottenendo così di far ripartire in attacco la squadra avversaria da una posizione più arretrata. A ricevere il calcio ci sarà un giocatore della squadra che andrà ad attaccare nelle prossime azioni. Esso può ricevere il pallone e correre verso la end zone a suo rischio e pericolo (dal momento che la squadra del punt avanza per placcare il giocatore o cercare magari di fargli fare un fumble), oppure chiamare un fair catch che consiste nel chiamare una presa al volo della palla, e questo giocatore è autorizzato a farla senza che gli avversari lo possano placcare. Ovviamente non può correre verso la end zone avversaria e quindi il gioco riprenderà dal punto in cui ha ricevuto il pallone. Se la palla finisce nella end zone l'azione ripartirà dalla venticinquesima yard (touchback).
Prima di ogni azione attacco e difesa si riuniscono in raggruppamenti, detti huddle, quindi il quarterback comunica lo schema da adottare. Le sostituzioni sono illimitate; le vistose protezioni e un severo regolamento, applicato dai ben sette arbitri, annullano la violenza gratuita (ad esempio interferenze vistose nei passaggi o placcaggi illegali o trattenute) stroncandone ogni accenno con penalità, segnalate dagli arbitri lanciando un fazzoletto giallo (yellow flag) a terra, che consistono in perdita di terreno (solitamente 5 o 10 yard e 15 yard per falli personali, che rendono più difficile guadagnare abbastanza terreno per ottenere un first down).
Per comprendere l'essenza di questo gioco si può considerare il motto di alcuni famosi allenatori: "Gli attacchi fanno vendere i biglietti e le difese fanno vincere le partite".
Posizioni in campo
Attaccanti
Giocatori nella linea di attacco, offensive linemen, in lingua inglese: il centro, center (C) è l'atleta che tiene il pallone all'inizio di ogni tentativo di attacco e, facendolo passare solitamente sotto le proprie gambe effettuando uno snap in lingua inglese, lo cede al quarterback che dà inizio all'azione; le guardie, offensive guards (OG) e i bloccatori offensivi, offensive tackles (OT) hanno esclusivamente il compito di bloccare attivamente la linea difensiva avversa spingendo e aprendo i varchi sulle corse nonché passivamente, formando la cosiddetta tasca, sui lanci.
Regista, quarterback (QB) in lingua inglese: è l'atleta che ha la responsabilità di guidare le azioni di gioco della squadra attaccante, dà gli ordini di partenza, è il primo giocatore a toccare il pallone passatogli dal centro e lo smista con un passaggio all'indietro o un lancio in avanti oppure corre egli stesso con il pallone.
Tight end (TE): è un ricevitore che si trova accanto ai tackles e, oltre che agile e veloce per ricevere i lanci, dev'essere molto potente per poter aiutare i compagni di linea nei bloccaggi degli avversari; la parte nella quale è schierato viene generalmente definita lato forte dell'attacco mentre l'altra è detta lato debole.
Corridore, running back (RB) in lingua inglese: è il giocatore che generalmente porta la palla partendo da dietro la linea di attacco; ve ne sono sostanzialmente di due tipi: fullback, estremamente potente per portare la palla nei giochi di corsa più duri (di regola quelli verso il centro del campo), e anche perché all'occorrenza deve essere un buon bloccatore, e halfback, più leggero e rapido (solitamente è il giocatore più veloce e agile dell'attacco), per le corse laterali, nonché per ricevere passaggi corti (nel caso in cui l'halfback parta dietro tutti, parecchio distante dal quarterback, viene anche chiamato tail back).
Ricevitore, wide receiver (WR) in lingua inglese: sono generalmente tra gli atleti più veloci della squadra, specializzati nel ricevere passaggi da lontano, devono avere una notevole abilità manuale ed energia nel saltare per anticipare gli avversari in elevazione.
Difensori
Prima linea difensiva, defensive tackle (DT) in lingua inglese: sono gli atleti più pesanti della difesa poiché hanno il compito di fermare le azioni di corsa degli avversari e di mettere sotto pressione il lanciatore avversario in quelle di lancio, si trovano sulla linea di schieramento e possono usare le mani per liberarsi dei bloccatori avversi; in una difesa con 3 o 5 atleti di linea, il giocatore situato in mezzo è detto nose tackle mentre nella difesa a 4 i due più esterni sono chiamati defensive end (DE).
Seconda linea difensiva, linebacker (LB) in lingua inglese: probabilmente il ruolo chiave della difesa, questi giocatori devono seguire e bloccare le azioni di corsa, difendere contro i passaggi (marcando i ricevitori che si portano nel mezzo del campo) e minacciare le azioni di lancio con corse improvvise contro il lanciatore avverso chiamate incursioni, blitz in lingua inglese. Queste azioni, quando si concludono con il placcaggio del lanciatore dietro la sua linea e prima che si sia liberato del pallone, vengono chiamate sacks e causano perdita di yards alla squadra attaccante. Uno dei LB, solitamente quello che gioca più centrale, è spesso indicato quale "capitano" della difesa, e chiamato a leggere (o tentare di farlo) i posizionamenti dell'attacco per anticipare quello che sarà lo schema offensivo avversario.
Cornerback (CB), chiamati a difendere i due lati esterni del campo, soprattutto contro i passaggi, andando a seguire e marcare l'avversario diretto (in caso difendano a uomo) o quello che fa l'ingresso nella parte di campo presidiata (in caso di difesa a zona), con l'intento di disturbare la ricezione, deviare il passaggio o, ancor meglio, intercettare la palla. Solitamente ne vengono impiegati due, uno per lato, ma nei casi in cui l'avversario schieri molti WR, o quando il gioco di passaggio è altamente probabile, possono esserne schierati un terzo e addirittura un quarto, che assumono il nome rispettivamente di nickelback e dimeback, pur essendo sostanzialmente dei corner backs puri e semplici.
Strong safety (SS) e free safety (FS): completano la secondaria difensiva; operano nella parte del campo più lontana dalla linea di schieramento, e sono l'ultima difesa a protezione del campo aperto; contro i lanci devono essere sufficientemente veloci per poter seguire i ricevitori avversari, prendendone in consegna uno specifico o andando a raddoppiare in caso di difficoltà da parte di un CB o di un LB; sulle corse devono essere in grado di placcare atleti molto più pesanti di loro (i fullback) o di arginarne altri molto più rapidi (gli halfbacks). Lo SS è solitamente più possente e gioca leggermente più avanzato, il FS è più veloce e solitamente ha una migliore visione di gioco ed intelligenza tattica.
Presenza nei media
Cinema
Il football ha un ruolo importante in trame di molte pellicole: solo negli Stati Uniti oltre 70 film prodotti nel secolo 1914-2014. Tra i titoli più famosi, ricordiamo:
Horse Feathers - I Fratelli Marx al College, USA, 1932
L'allenatore del college, USA, 1933
Il gigante di New York, USA, 1949
Pelle di rame, USA, 1951: basato sulla vita del grande campione amerindo Jim Thorpe
Quel fenomeno di mio figlio, USA, 1951
Non per soldi... ma per denaro, USA, 1966
Number one, USA, 1969
La canzone di Brian, USA, 1971
Quella sporca ultima meta, USA, 1974
Panico nello stadio, USA, 1976
Il paradiso può attendere, USA, 1978
Lo chiamavano Bulldozer, Italia, 1978
I mastini del Dallas, USA, 1979
Il ribelle (All the Right Moves), USA, 1983
Un amore una vita, USA, 1988
Campioni di guai, USA, 1991
L'ultimo boy scout, USA, 1991
The Program, USA, 1993
Rudy - Il successo di un sogno, USA, 1993: basato su una storia vera
Piccoli campioni, USA, 1994
Ace Ventura: l'acchiappanimali, USA, 1994
Jerry Maguire, USA, 1996
Waterboy, USA, 1998
Buffalo '66, USA, 1998
Ogni maledetta domenica, USA, 1999
Varsity Blues, USA, 1999
Le riserve, USA, 2000
Il sapore della vittoria - Uniti si vince, USA, 2001: basato su una storia vera
Ciao America, USA, 2002
Al vertice della tensione, USA, 2002
The Slaughter Rule, USA, 2002
Mi chiamano Radio, USA, 2003: basato su una storia vera
Friday Night Lights, USA, 2004: basato su una storia vera
L'altra sporca ultima meta, USA, 2005
Rischio a due, USA, 2005: basato su una storia vera
Imbattibile, USA, 2006: basato su una storia vera
We are Marshall, USA, 2006: basato su una storia vera
Gridiron Gang, USA, 2006: basato su una storia vera
Boygirl - Questione di... sesso, USA, 2006
Facing the giants, USA, 2006
Il peggior allenatore del mondo, USA, 2007
In amore niente regole, USA, 2008
Cambio di gioco, USA, 2008
The Express, USA, 2008: basato su una storia vera
Una squadra molto speciale, USA, 2008: basato su una storia vera
Fired Up! - Ragazzi pon pon, USA, 2009
The Blind Side, USA, 2009: basato su una storia vera
La vittoria di Luke - The 5th Quarter, USA, 2010: basato su una storia vera
Il lato positivo - Silver Linings Playbook, USA, 2012
Draft Day, USA, 2014
Il tempo di vincere, USA, 2014
Zona d'ombra, USA, 2015: basato su una storia vera
Le ali tarpate, USA, 2015: basato su una storia vera
Brian Banks: la partita della vita, USA, 2018: basato su una storia vera del giocatore Brian Banks
Home Team, USA, 2022: basato su una storia vera
Televisione
In USA il football è lo sport più trasmesso per due motivi fondamentali: è il più seguìto quindi garantisce un notevole introito dagli inserzionisti pubblicitari (il movimento di affari si calcola in miliardi di dollari); inoltre, essendo un gioco "esplosivo" caratterizzato da azioni brevi e veloci separate da periodi più o meno lunghi di pausa con il cronometro bloccato, si presta meglio di altri all'inserzione di un gran numero di brevi video pubblicitari durante le pause di gioco. Da ormai molti anni la finale NFL si conferma la trasmissione annuale più seguita negli Stati Uniti.
In Italia nel 1981 Canale 5 fu la prima emittente a trasmettere in diretta una partita di NFL presentata da Mike Bongiorno e commentata da Marco Lucchini; Guido Bagatta fu poi il telecronista nel commentare tutte le altre partite, compresi 10 Super Bowl in diretta.
Per la televisione sono stati prodotti numerosi film e serie a episodi; di football si sono occupati anche i manga e gli anime con la serie Eyeshield 21. Il Super Robot Diapolon, protagonista della serie anime UFO Diapolon - Guerriero spaziale (1976), è modellato sulla figura del giocatore di football americano e utilizza un'arma a guida di pallone ovale. Il robot stesso, in sostanza, è una sorta di corazza cibernetica che protegge il "pilota" ingigantito al suo interno.
Ricordiamo anche le serie:
Friday Night Lights (serie televisiva)
Blue Mountain State
Last chance U (serie televisiva originale Netflix)
film:
La canzone di Brian, USA, 1971: ispirato da una storia vera
Brian's Song - L'Ultima Corsa, USA, 2001: rifacimento del precedente
Terapia d'urto, ispirata da una storia vera
Ballers, serie televisiva ispirata alla vita quotidiana dei giocatori di football americano
Il caso Sam, USA, 2014: di genere poliziesco, ha per protagonista la cheerleader Sam, che subisce violenza sessuale da suoi coetanei liceali, che giocano a football in un campionato scolastico
Amore in panchina, USA, 2016
All American, USA, 2018: ispirata da una storia vera
Varianti
Questo sport deriva dal rugby e ha dato origine a una serie di varianti, che sono praticate con lo stesso tipo di pallone e prevedono la regola principale ossia il passaggio di pallone in avanti.
Football canadese
College football
Football scolastico negli Stati Uniti d'America
Football a 9
Football a 8
Football a 6
Football a 5
Sprint football
Flag football
Touch football
Note
Voci correlate
Glossario del football americano
National Football League
Super Bowl
Eurobowl
Federazione Internazionale di Football Americano
Football australiano
NFL Europe
Associazione Italiana Football Americano
NFL Italia
Italian Football League
Federazione Italiana American Football
Federazione Italiana di American Football
Lingerie Football League
Football americano femminile
Campionato polacco di football americano
Strategia del football americano
Altri progetti
Collegamenti esterni
FIDAF Federazione Italiana Di American Football
IFL Italian Football League (1ª Divisione)
LENAF Lega Nazionale American Football (2ª Divisione)
CIF9 Campionato Italiano Football a 9 (3ª Divisione)
AIAFA Associazione Italiana Arbitri di Football Americano
NFL National Football League (in inglese)
The Blitz Magazine italiano sulla NFL
Huddle Magazine Magazine italiano di Football Americano
Superbow.it Sito italiano sul Superbowl
Endzone Magazine Magazine italiano di Football Americano
Touchdown Magazine Magazine italiano di Football Americano |
1914 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fase | Fase | Fase (dal greco antico ϕάσις, "apparizione") può riferirsi a:
fase, in astronomia uno degli stati in cui può trovarsi un astro la cui porzione visibile è illuminata dal Sole in modo osservabilmente variabile
fase, in chimica la parte visibile e distinta di una miscela eterogenea
fase o conduttore di fase, in elettrotecnica conduttore elettrico che trasporta una delle fasi di una tensione a corrente alternata
fase, in fisica lo spostamento relativo di una funzione d'onda in un dato tempo
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1916 | https://it.wikipedia.org/wiki/Foro | Foro | Foro – tribunale
Foro – la piazza delle città romane
Foro Romano
Fori Imperiali
Foro – un buco tondeggiante, come quelli prodotti dal trapano
Foro – frazione del comune italiano di Ripa Teatina
Foro – fiume dell'Abruzzo
Foro – località dell'Eritrea
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1917 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fiore%20delle%20angiosperme | Fiore delle angiosperme | Il fiore delle Angiosperme è formato da pezzi fiorali con diversa struttura e funzione, derivanti dalla modificazione di foglie. L'elevata posizione filogenetica delle Angiosperme si manifesta con la grande variabilità delle strutture fiorali, che da Linneo in poi costituiscono il più importante carattere sistematico per la loro classificazione
Descrizione
L'asse fiorale, corrispondente alla porzione terminale del fusto, è detto ricettacolo o talamo e si presenta più o meno espanso in larghezza e generalmente poco allungato, con nodi molto ravvicinati. Nei gruppi più primitivi (come le Magnoliaceae) i pezzi fiorali s'inseriscono a spirale sul ricettacolo, nelle altre Angiosperme in verticilli formati da elementi inseriti alla medesima altezza.
Uno o più verticilli di pezzi fiorali dello stesso tipo formano una parte del fiore. Il fiore completo è composto da quattro verticilli:
Primo verticillo, detto calice quando si differenzia dal secondo.
Secondo verticillo, detto corolla quando si differenzia dal primo.
Terzo verticillo, detto androceo.
Quarto verticillo, detto gineceo o pistillo.
Ricettacolo
Detto anche talamo, il ricettacolo è un'espansione più o meno sviluppata della porzione terminale dell'asse caulinare, sul quale s'inseriscono i verticilli fiorali nelle piante più evolute. Nelle piante a ovario è percettibile come una piccola espansione dello stelo sotto il calice oppure del tutto assente. Nelle piante a ovario infero o semiinfero può raggiungere un considerevole sviluppo.
In alcuni gruppi sistematici contribuisce a formare il frutto (ad esempio nelle specie con frutto a pomo).
Perianzio
La porzione esterna del fiore, composta dai primi due verticilli, è detta perianzio quando i due verticilli sono ben differenziati in calice e corolla. Il perianzio può svolgere una semplice funzione di protezione oppure una duplice funzione, comprendendo anche quella vessillifera. In altri casi ha una semplice funzione vessillifera, lasciando quella di protezione a organi estranei al fiore (brattee e guaine).
Perigonio
È l'involucro fiorale composto dai primi due verticilli fiorali quando questi sono indifferenziati. In questo caso i pezzi fiorali sono chiamati tepali.
Il perigonio è tipico delle Monocotiledoni, ma è presente anche nelle Dicotiledoni a impollinazione anemofila. Nella maggior parte dei casi ha una funzione di protezione rendendo il fiore poco appariscente, ma in alcuni gruppi sistematici, come ad esempio le Liliaceae assume una funzione vessillifera.
Calice
È il primo verticillo del perianzio quando si differenzia morfologicamente dal secondo verticillo. I pezzi fiorali che compongono il calice sono detti sepali e sono in genere di colore verde in quanto assumono una funzione di protezione. Ai fini della sistematica si distinguono due tipi di calice:
calice gamosepalo: è composto da sepali saldati almeno alla base a formare un unico pezzo fiorale;
calice dialisepalo: è composto da sepali liberi, inseriti singolarmente sul ricettacolo.
Corolla
È il secondo verticillo del perianzio quando si differenzia morfologicamente dal primo. I pezzi fiorali che compongono la corolla sono detti petali e quasi sempre hanno colori dovuti alla presenza di antociani che mascherano la clorofilla. La corolla ha una funzione vessillifera pertanto è appariscente nei fiori a impollinazione entomofila. Ai fini della sistematica, si distinguono due tipi di corolla:
corolla gamopetala: è composta da petali saldati almeno alla base a formare un unico pezzo fiorale;
corolla dialipetala: è composta da petali liberi, inseriti singolarmente sul ricettacolo.
In molte specie l'uomo ha selezionato varietà che hanno la corolla composta da un numero indefinito di verticilli rendendo molto più appariscente il fiore. Queste varietà sono coltivate a scopo ornamentale o per la produzione di fiori recisi e tecnicamente sono dette varietà a fiore doppio.
I fiori a impollinazione entomofila possono avere alla base dei petali delle ghiandole, dette nettari, che emettono un liquido zuccherino detto nettare. Lo scopo biologico del nettario è quello di integrare la funzione vessillifera della corolla attirando gli insetti pronubi, utilizzati come trasportatori del polline.
Androceo
Landroceo è il terzo verticillo fiorale, formato dagli organi di riproduzione maschile, detti stami. Lo stame è composto da un filamento più o meno lungo che sorregge lantera. Ai fini sistematici è di grande importanza il numero e lo sviluppo degli stami, la loro disposizione, la forma delle antere e il modo in cui le antere si aprono liberando il polline.
Il numero degli stami può essere uguale o doppio a quello dei petali oppure superiore. Raramente si hanno specie con fiori che hanno un numero di stami inferiore a quello dei petali. In base al numero di stami si usa la seguente terminologia riferita ai fiori:
fiori monoandri: provvisti di un solo stame;
fiori diandri: provvisti di due stami;
fiori poliandri: provvisti di più di due stami;
In base al rapporto anatomico esistente fra gli stami si distinguono i seguenti casi:
stami liberi: a filamenti tutti liberi;
stami monoadelfi: a filamenti saldati in unico fascio che può eventualmente formare un tubo che avvolge il pistillo.
stami diadelfi: a filamenti saldati in due fasci;
stami poliadelfi: a filamenti saldati in più fasci.
In caso di polimorfismo nell'androceo si distinguono due casi particolari da quelli ordinari:
stami didinami: gli stami sono in numero di 4, di cui due a filamento lungo e due a filamento più breve.
stami tetradinami: stami in numero di 6, di cui 4 a filamento lungo e due a filamento corto.
Alla sommità del filamento è inserita lantera, di forma allungata, ovoidale o globosa, spesso bi- o tetralobata. L'antera è composta da due teche, ciascuna contenente una o due sacche polliniche al cui interno si differenziano i granuli pollinici.
In base alla forma dell'inserzione dell'antera sul filamento si distinguono i seguenti casi:
antera basifissa: il filamento è inserito sulla parte basale dell'antera che si posiziona più o meno eretta come prolungamento del filamento;
antera dorsifissa: il filamento è inserito nella parte dorsale dell'antera che si dispone più o meno lateralmente rispetto all'asse del filamento;
antera apicifissa: il filamento è inserito nella parte apicale dell'antera che si presenta come sospesa.
In base al modo con cui le antere si aprono rilasciando il polline si usa la seguente terminologia:
deiscenza longitudinale;
deiscenza trasversale;
deiscenza apicale.
Gineceo
Detto anche pistillo, è la parte femminile del fiore, suddivisa in tre elementi morfologici le cui caratteristiche sono fondamentali per la classificazione botanica. Nella struttura più semplice il gineceo ricorda la forma di un fiasco, con una parte basale espansa detta ovario, composto da uno o più carpelli, una intermedia più o meno allungata (a volte assente) detta stilo, una terminale, di varia forma, detta stimma. Prendendo in considerazione il numero di pistilli si distinguono tre casi con la relativa terminologia:
gineceo apocarpico: è formato da un numero indefinito di pistilli, più o meno liberi, ciascuno composto in modo autonomo da un carpello, uno stilo e uno stimma;
gineceo sincarpico: è formato da più carpelli saldati a formare un unico ovario suddiviso al suo interno in uno o più loculi;
gineceo monocarpico: è formato da un unico carpello.
I fiori con gineceo sincarpico o monocarpico hanno in genere un solo stilo sormontato da un solo stimma o da più stimmi, tanti quanti sono i carpelli.
Lovario è un organo cavo, suddiviso in una o più logge o loculi, al cui interno si formano i gametofiti femminili, detti ovuli. Gli elementi di distinzione ai fini sistematici sono il numero di logge ovariche, il numero di ovuli, il rapporto anatomico che l'ovulo ha con l'ovario, detto placenta e, infine, la posizione reciproca dell'ovario rispetto al ricettacolo e agli altri verticilli fiorali.
In base al numero di logge l'ovario è detto uniloculare, biloculare, pluriloculare. La
suddivisione in più loculi ha luogo in modo che le cavità si distribuiscono con simmetria radiale intorno all'asse dell'ovario. Le placente, infine, si dispongono sulla parete dell'ovario oppure nel lume centrale.
La posizione dell'ovario rispetto al ricettacolo è uno degli elementi di classificazione più importanti. In base a questo criterio si usa la seguente terminologia:
Ovario supero. S'inserisce sopra il ricettacolo fiorale da cui emerge in modo evidente. Come conseguenza gli altri elementi fiorali sono palesemente inseriti sul ricettacolo sotto l'ovario pertanto sono detti ipogini.
Ovario seminfero. È parzialmente immerso nel ricettacolo. Gli altri elementi fiorali s'inseriscono su una linea equatoriale formata dalla parte superiore del ricettacolo, pertanto sono detti perigini.
Ovario infero. È completamente immerso nel ricettacolo, da cui emerge lo stilo. Gli altri elementi fiorali s'inseriscono nella parte terminale del ricettacolo che forma un anello alla sommità dell'ovario, pertanto sono detti epigini.
Lo stimma è la parte superiore del pistillo ed è l'organo sul quale si depositano i granuli pollinici all'atto dell'impollinazione. La forma e lo sviluppo dello stimma è un ulteriore elemento di classificazione. Può essere formato da un corpo unico, più o meno espanso, oppure suddiviso in lobi più o meno allungati fino a diventare filiformi.
Fiori ermafroditi e fiori unisessuati
Lo schema sopra descritto ha delle varianti in base alla presenza o meno dell'androceo o del gineceo. Il fiore tipo è ermafrodito pertanto è provvisto di entrambi gli organi di riproduzione. Un fiore ermafrodito può essere fisiologicamente unisessuale perché gli organi riproduttivi di uno dei sessi sono sterili.
I fiori unisessuali sono distinti in staminiferi o maschili, se provvisti del solo androceo, e in pistilliferi o femminili se provvisti del solo gineceo. In base alla disposizione dei fiori unisessuali, le piante sono dette monoiche, se provviste di fiori su cui si trovano organi sessuali maschili o femminili separati ma concomitanti su uno stesso individuo vegetale, o dioiche se i due sessi si trovano su individui vegetali distinti. In quest'ultimo caso si parla di piante maschili e piante femminili.
Simmetria fiorale
Un macroscopico elemento di classificazione, spesso utile a individuare determinate famiglie, è il grado di simmetria fiorale, riferito alla corolla o, più in generale, al perianzio. In base al grado di simmetria si distinguono le seguenti categorie di fiori:
Fiori irregolari. Sono privi di qualsiasi grado di simmetria.
Fiori attinomorfi. Hanno una simmetria di tipo radiale (o raggiata): i petali (o i tepali) si dispongono regolarmente rispetto a un asse di simmetria che coincide con l'asse fiorale. Ai fiori attinomorfi si usa spesso associare i termini trimero, tetramero, pentamero, ecc. per indicare il numero di petali o tepali.
Fiori zigomorfi. Hanno una simmetria bilaterale: i petali si dispongono specularmente rispetto a un piano di simmetria.
Per i fiori zigomorfi si usa talvolta un termine specifico per indicare una particolare forma, specifica di determinate categorie sistematiche:
Fiore a corolla bilabiata. È il fiore rappresentativo della famiglia delle Labiatae. La corolla è gamopetala con simmetria bilaterale che mette in evidenza una parte dorsale e una ventrale. La parte ventrale, meno sviluppata, è formata dai lobi di due petali, quella dorsale è formata dai lobi di tre petali di cui quello centrale è molto più sviluppato degli altri. La parte dorsale è detta labbro superiore, quella ventrale labbro inferiore.
Fiore a corolla papilionacea. È il fiore rappresentativo della famiglia delle Fabaceae o Leguminose. La corolla è dialipetala con simmetria bilaterale che mette in evidenza anche in questo caso una parte dorsale e una ventrale. Il petalo superiore, detto vessillo è molto sviluppato, generalmente bilobato con la parte terminale dei lobi parzialmente revoluta. I due petali adiacenti, detti ali, sono meno sviluppati e si dispongono lateralmente rispetto al piano di simmetria. I due petali inferiori si uniscono a doccia a formare la carena, marcatamente meno sviluppata in lunghezza rispetto al vessillo e alle ali.
Voci correlate
Fiore
Fiore delle Asteraceae
Formula fiorale |
1918 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fotosintesi%20clorofilliana | Fotosintesi clorofilliana | La fotosintesi clorofilliana è un processo chimico per mezzo del quale le piante verdi e altri organismi producono sostanze organiche – principalmente carboidrati – a partire dal primo reagente, l'anidride carbonica atmosferica e l'acqua metabolica, in presenza di luce solare, rientrando tra i processi di anabolismo dei carboidrati, del tutto opposta ai processi inversi di catabolismo.
Durante la fotosintesi, con la mediazione della clorofilla, la luce solare o artificiale permette di convertire sei molecole di CO2 e sei molecole d'H2O in una molecola di glucosio (C6H12O6), zucchero fondamentale per la vita della pianta. Come sottoprodotto della reazione si producono sei molecole di ossigeno, che la pianta libera nell'atmosfera attraverso gli stomi che si trovano nella foglia.
La formula stechiometrica della reazione è:
6CO2 + 6H2O + energia solare → C6H12O6 + 6O2
Si tratta del processo di produzione primario di composti organici del carbonio da sostanze inorganiche nettamente dominante sulla Terra (trasforma circa tonnellate di carbonio atmosferico in biomassa ogni anno), rientrando dunque nel cosiddetto ciclo del carbonio, ed è inoltre l'unico processo biologicamente importante in grado di raccogliere l'energia solare, da cui, fondamentalmente, dipende la vita sulla Terra (la quantità di energia solare catturata dalla fotosintesi è immensa, dell'ordine dei 100 terawatt all'anno, che è circa sei volte quanto consuma attualmente la civiltà umana).
Aspetti evolutivi
Non è chiaro quando siano apparsi nel globo i primi organismi capaci di attuare la fotosintesi, ma la presenza di formazioni striate in alcune rocce dovute alla presenza di ruggine fanno supporre che cicli stagionali di ossigeno nell'atmosfera terrestre, sintomo di fotosintesi, siano apparsi approssimativamente 3 miliardi e mezzo di anni fa nell'Archeano.
Fasi della fotosintesi
La fotosintesi clorofilliana, detta anche fotosintesi ossigenica a causa della produzione di ossigeno in forma molecolare, avviene per tappe riunibili in due fasi:
La fase luce-dipendente (o fase luminosa), dipendente dalla luce;
La fase luce-indipendente (o fase oscura o fase di fissazione del carbonio, di cui fa parte il ciclo di Calvin)
Il processo fotosintetico si svolge all'interno dei cloroplasti. All'interno di questi si trova un sistema di membrane che formano pile di sacchetti appiattiti (tilacoidi). All'interno di queste membrane troviamo delle molecole di clorofilla, aggregate a formare i cosiddetti fotosistemi. Si possono distinguere il fotosistema I e il fotosistema II. I fotosistemi sono un insieme di molecole di pigmenti disposti in modo da circondare una molecola di clorofilla speciale detta "a trappola". L'energia del fotone viene quindi passata di molecola in molecola fino al raggiungimento della clorofilla speciale. Nel fotosistema I la molecola trappola viene eccitata da una lunghezza d'onda di 700 nm, nel fotosistema II da 680 nm.
Tutte queste molecole sono in grado di catturare l'energia luminosa, ma solo quelle di clorofilla a sono in grado di passare ad uno stato eccitato che attiva la reazione fotosintetica. Le molecole che hanno solo funzione di captazione sono dette molecole antenna; quelle che attivano il processo fotosintetico sono definite centri di reazione. La "fase luminosa" è dominata dalla clorofilla a, le cui molecole assorbono selettivamente luce nelle porzioni rossa e blu-violetta dello spettro visibile, attraverso una serie di altri pigmenti coadiuvanti. L'energia catturata dalle molecole di clorofilla consente la promozione di elettroni da orbitali atomici a energia minore ad orbitali ad energia maggiore. Questi vengono subito sostituiti mediante scissione di molecole d'acqua (che, da H2O si scinde in due protoni, due elettroni ed un ossigeno grazie alla fotolisi, operata dall'OEC, il complesso evolvente ossigeno associato al fotosistema II).
Gli elettroni liberati dalla clorofilla del fotosistema II vengono immessi in una catena di trasporto costituita dal citocromo B6f, durante la quale perdono energia, passando ad un livello energetico inferiore. L'energia persa viene utilizzata per pompare protoni dallo stroma all'interno dello spazio del tilacoide, creando un gradiente protonico. Infine gli elettroni giungono al fotosistema I, che a sua volta, per effetto della luce, ha perso altri elettroni. Gli elettroni persi dal fotosistema I vengono trasferiti alle ferredossina, che riduce NADP+ in NADPH. Tramite la proteina di membrana ATP-sintetasi situata sulla membrana del tilacoide, gli ioni H+ liberatisi dall'idrolisi dell'acqua passano dallo spazio del tilacoide allo stroma, cioè verso gradiente, sintetizzando ATP a partire da gruppi liberi di fosfato e ADP. Si può formare in media una molecola e mezzo di ATP ogni due elettroni persi dai fotosistemi.
La fase di fissazione del carbonio o ciclo di Calvin (chiamata anche fase al buio o fase luce indipendente) comporta l'organicazione della CO2, ossia la sua incorporazione in composti organici e la riduzione del composto ottenuto grazie all'ATP ricavato dalla fase luminosa.
In questo ciclo è presente un composto organico fisso, il ribulosio-bifosfato, o RuBP, che viene trasformato durante la reazione fino a tornare al suo stato iniziale. Le 6 molecole di ribulosio bifosfato presenti nel ciclo di Calvin reagiscono con l'acqua e l'anidride carbonica subendo una serie di trasformazioni ad opera dell'enzima ribulosio-bifosfato carbossilasi o rubisco. Alla fine del processo, oltre alle 6 RuBP nuovamente sintetizzate, si originano 2 molecole di gliceraldeide 3-fosfato, che vengono espulse dal ciclo come prodotto netto della fissazione. Per essere attivato, il ciclo di Calvin necessita di energia chimica e supporto mediante l'idrolisi di 18 ATP in ADP e dell'ossidazione di 12 NADPH in NADP+ e ioni liberi di idrogeno H+ (che sono protoni). L'ATP e la NADPH consumate durante il ciclo di Calvin vengono prelevate da quelle prodotte durante la fase luminosa e una volta ossidate, tornano a far parte del pool disponibile per la riduzione. Complessivamente, nel ciclo di Calvin vengono consumate 6 molecole di CO2, 6 di acqua, 18 di ATP e 12 di NADPH per formare 2 gliceraldeide 3-fosfato (abbreviato in G3P), 18 gruppi liberi di fosfato, 18 ADP, 12 protoni, 12 NADP+.
Le due molecole di gliceraldeide 3-fosfato formatesi durante il ciclo di Calvin vengono utilizzate per sintetizzare glucosio, uno zucchero a 6 atomi di carbonio, in un processo perfettamente inverso alla glicolisi, o per formare lipidi quali acidi grassi oppure amminoacidi (aggiungendo un gruppo amminico nella struttura). I prodotti finali della fotosintesi, quindi, svolgono un ruolo di fondamentale importanza nei processi dell'anabolismo degli organismi autotrofi.
Oltre ad un ciclo fotosintetico di sintesi (solo di giorno e nel periodo vegetativo) del glucosio e dei derivati polisaccaridi, le piante hanno anche un ciclo opposto ossidativo (respirazione cellulare) (di giorno e di notte tutto l'anno) dei prodotti fotosintetici utilizzati appunto come nutrimento dalle piante stesse. Il bilancio complessivo dei flussi di ossigeno e CO2 da e verso l'ambiente esterno è comunque a favore della fotosintesi ovvero la pianta si comporta come un 'pozzo' di accumulazione (assorbitore) di carbonio piuttosto che come una 'sorgente' (emettitore) di carbonio verso l'ambiente esterno e viceversa come una 'sorgente' di ossigeno piuttosto che un 'pozzo' di ossigeno. Questo perché parte del carbonio assorbito e non utilizzato dal ciclo ossidativo della pianta rimane fissato sotto forma di cellulosa e lignina nelle pareti cellulari delle cellule 'morte' che costituiscono il legno interno della pianta.
La fase di ossidazione delle piante è ciò che rende la pianta un essere vivente al pari degli altri. Lo stesso ciclo ossidativo fa sì che la temperatura interna della pianta, a sua volta termoregolata da processi fisiologici, sia in generale diversa da quella dell'ambiente esterno.
Tipi
Le piante sono suddivise, in base alla forma di fotosintesi clorofilliana da esse compiuta, in tre gruppi principali, che hanno diverse caratteristiche: le piante C3, C4 e CAM.
Altre forme di fotosintesi
Esistono, soprattutto fra gli organismi procarioti autotrofi, varie forme di fotosintesi, oltre alla fotosintesi clorofilliana ossigenica descritta qui. In alcune specie di batteri autotrofi, l'idrogeno proviene non dall'acqua ma dall'acido solfidrico, che nella fotosintesi viene ossidato a zolfo elementare (S8)
6CO2 + 12H2S -> C6H12O6 + 12S + 6H2O
Si noti che questi batteri sono anaerobi obbligati. Le forme di monosiesi senza produzione di ossigeno che vengono effettuate con lo zolfo (o in alcuni casi anche con l'azoto) vengono dette fotosintesi anossigeniche.
Note
Voci correlate
Ciclo del carbonio
Cloroplasto
Fase luce dipendente
Ciclo di Calvin
Fotobiologia
Fisiologia vegetale
Chemiosintesi
Quantasoma
Piante C3
Piante C4
Crassulacean acid metabolism
Fitoplancton
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Collegamenti esterni |
1920 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fausto%20Coppi | Fausto Coppi | Professionista dal 1939 al 1960, soprannominato "il Campionissimo" o "l'Airone", fu il corridore più famoso e vincente dell'epoca d'oro del ciclismo ed è considerato uno dei più grandi e popolari atleti di tutti i tempi. Formidabile passista, eccezionale scalatore e dotato di un buono spunto veloce, era un corridore completo e adatto ad ogni tipo di competizione su strada.
S'impose sia nelle più importanti corse a tappe sia nelle maggiori classiche di un giorno. Vinse cinque volte il Giro d'Italia (1940, 1947, 1949, 1952 e 1953), record condiviso con Binda e Merckx, e due volte il Tour de France (1949 e 1952), diventando anche il primo ciclista a conquistare le due competizioni nello stesso anno. Fra i successi nelle gare in linea vanno ricordate le cinque affermazioni al Giro di Lombardia (1946, 1947, 1948, 1949 e 1954), record, le tre vittorie alla Milano-Sanremo (1946, 1948 e 1949) e i successi alla Parigi-Roubaix e alla Freccia Vallone nel 1950. Vinse il Campionato del mondo nel 1953 e primeggiò anche nel ciclismo su pista, vincendo il Campionato del mondo d'inseguimento nel 1947 e nel 1949. Fu primatista dell'ora (con ) dal 1942 al 1956.
Leggendaria fu la sua rivalità con Gino Bartali, che divise l'Italia nell'immediato dopoguerra (anche per le presunte diverse posizioni politiche dei due).
Coppi è anche noto per aver cambiato l'approccio alle competizioni ciclistiche, grazie al suo interesse per la dieta, per gli sviluppi tecnici della bicicletta, per i metodi di allenamento e la medicina sportiva. Le sue imprese e le tragiche circostanze della morte ne hanno fatto un'icona della storia sportiva italiana, di popolarità e fama ancora oggi immutate.
Carriera
La giovinezza e gli esordi
Fausto Coppi nasce a Castellania, in provincia di Alessandria, il 15 settembre 1919, quarto dei cinque figli di Domenico Coppi e di Angiolina Boveri (gli altri sono, in ordine, Livio, Dina, Maria e Serse); i genitori erano originari del comune di Quarna Sotto e in seguito si spostarono proprio a Castellania, dove divennero proprietari di un fondo coltivato a granturco e vite. Dopo aver frequentato con scarso profitto le scuole elementari e affiancato il padre e il fratello maggiore nel lavoro dei campi, a tredici anni incominciò a lavorare come garzone nella salumeria del signor Merlano a Novi Ligure. Il giovane Coppi effettuava consegne in bicicletta, ricevendo una paga settimanale di 5 lire e tornando dai genitori a Castellania ogni domenica.
A quindici anni, con i soldi regalatigli dallo zio Fausto, marinaio di ritorno dal Golfo Persico, poté comprare una Maino da 520 lire al negozio del signor Bovone a Novi e cominciare a partecipare alle prime corse non ufficiali. È proprio a Novi che viene segnalato a Biagio Cavanna, il famoso massaggiatore di Costante Girardengo e di Learco Guerra, che lo ammise alla sua scuola di giovani corridori da poco aperta a Pozzolo Formigaro. Cavanna, che diventerà cieco nel 1938, sarà per molti anni, anche dopo l'inizio della carriera professionistica di Coppi, suo massaggiatore nonché fido consigliere. È lui a intravedere le possibilità del giovane Coppi di diventare un campione.
Dal fisico apparentemente poco atletico e nonostante una struttura ossea e muscolare molto fragile, Coppi è dotato di una notevole agilità muscolare, gambe lunghe e sottili, un sistema endocrino molto efficiente e un sistema cardiorespiratorio fuori dal comune (torace ampio, capacità polmonare di 7,5 litri e 34 pulsazioni cardiache/minuto a riposo), qualità che ne esaltano la resistenza sotto sforzo. Coppi disputa la sua prima gara ufficiale il 1º luglio del 1937, da non tesserato, sul circuito della Boffalora (Castellania-Sarezzano-Tortona-Villalvernia-Castellania), ma è costretto al ritiro per una foratura. Può nel frattempo lasciare l'impiego di garzone alla salumeria Merlano e lavorare come macellaio per i contadini della zona, riuscendo a guadagnare 20 lire a settimana; si procura inoltre, con 600 lire, una nuova bicicletta, una Prina realizzatagli su misura da un ciclista di Asti. Con la nuova bici centra la sua prima vittoria nel luglio del 1938, da dilettante, con i colori della squadra del Dopolavoro Aziendale Montecatini di Spinetta Marengo, sul circuito di Castelletto d'Orba; vince poi anche ad Alessandria, al Trofeo Gigi Agosta, facendo sue le 500 lire di premio.
Nel 1939 gareggia tra gli indipendenti e in primavera vince il Giro del Penice, la Coppa Canepa a Genova, il Circuito di Susa, il Giro del Casentino, il Premio di Varese e il Circuito di Varzi. Il 9 aprile debutta nelle gare per professionisti, correndo il Giro della Toscana come indipendente, ma è costretto al ritiro per un incidente meccanico (vince Bartali). Il 28 maggio dello stesso anno partecipa alla Coppa Città di Pavia; in quell'occasione Cavanna scrive un biglietto a Giovanni Rossignoli della Bianchi, tra gli organizzatori della corsa, raccomandandogli due nomi, Fausto Coppi e Isidoro Bergaglio (classe 1914): «Ti mando due miei allievi. Coppi vincerà il primo premio, Bergaglio farà quello che potrà. Osserva bene Coppi. Assomiglia a Binda». Coppi come previsto da Cavanna vince, arrivando solo al traguardo. Il 4 giugno seguente si classifica quindi terzo al Giro del Piemonte, altra gara per professionisti, a 3'31" dal vincitore Gino Bartali, mettendosi in evidenza con uno scatto sulla salita di Moriondo e conquistando, grazie al piazzamento, un premio di 3000 lire. Notato da Eberardo Pavesi, direttore sportivo di Bartali alla Legnano, Coppi viene messo sotto contratto a partire dal 1940, con un ingaggio mensile di 700 lire. Nel finale di stagione, sempre da indipendente, si classifica secondo alla Coppa Bernocchi e terzo al Gran Premio Stampa-Fiat e al Giro della Provincia di Milano. Il 14 agosto, dopo aver vinto la corsa riservata agli indipendenti disputata sul circuito mondiale di Varese, riceve anche di persona i complimenti del "Campionissimo" Costante Girardengo.
1940-1941: le prime vittorie da professionista
Nell'inverno 1939 Coppi, ristabilitosi da una frattura al malleolo della caviglia destra, si reca a Milano per firmare il contratto con la Legnano. Dopo il ritiro di febbraio sulla riviera di Ponente con i compagni, in marzo partecipa alla Milano-Sanremo, contribuendo al successo del suo capitano Bartali. In maggio fa il suo esordio al Giro d'Italia ancora come gregario del già due volte vincitore Bartali. Coppi dovrebbe limitarsi ad aiutare il suo capitano, ma si trova presto davanti: durante la seconda tappa, la Torino-Genova, Bartali cade a causa di un cane che gli taglia la strada e giunge all'arrivo con 5'15" dal giovane gregario, piazzatosi quel giorno secondo alle spalle di Pierino Favalli. Al termine della quarta tappa, Bartali è ormai fuori gioco per la vittoria finale, a un quarto d'ora da Coppi. Il giovane piemontese, che nei primi dieci giorni di gara svolge comunque ruoli di gregariato, ha così via libera e nella tappa Arezzo-Firenze, sulla salita della Consuma, attacca, venendo però ripreso a dall'arrivo.
Due giorni dopo, tra lo stupore generale, riesce a imporsi di forza nella Firenze-Modena, frazione di caratterizzata dalle salite di Prunetta, Monte Oppio, Abetone e Barigazzo. Quel giorno Coppi raggiunge il fuggitivo Ezio Cecchi sull'Abetone sotto il diluvio e si rende quindi autore di una fuga solitaria di tre ore e che lo porta all'arrivo con 3'45" sugli inseguitori e che gli consente di vestire la maglia rosa. Dopo alcune tappe interlocutorie, nella diciassettesima frazione, la Pieve di Cadore-Ortisei, il redivivo Bartali, pur fuori classifica, attacca e allunga sul Falzarego, raggiunto presto da Coppi; i due procedono in accordo e scollinano insieme sul Pordoi e sul passo Sella, staccando Enrico Mollo e gli altri rivali di classifica. A Ortisei vince Bartali, ma il Giro va, a sorpresa, a Coppi, che il 9 giugno 1940 a Milano diventa il più giovane vincitore della Corsa rosa, conquistando il successo a soli vent'anni d'età. Il giorno dopo l'Italia entra in guerra.
Il 30 giugno Coppi diventa campione italiano d'inseguimento, mentre a fine stagione, al Giro di Lombardia, conclude a 7'08" dal vincitore Bartali, dopo aver tentato un allungo sul Ghisallo, complice un problema meccanico dello stesso Bartali, ed essere stato ripreso dal compagno-rivale a un chilometro dalla vetta. Tra il 1940 e il 1941 Coppi svolge il servizio militare (aveva vinto il Giro 1940 in licenza, essendo stato chiamato alle armi nella primavera del 1940), ma non smette comunque di gareggiare: il 6 aprile 1941 vince il Giro di Toscana – lascia a 3'01" il "padrone di casa" Bartali dopo di fuga solitaria; successivamente fa suoi il Giro del Veneto in solitaria (nell'occasione stacca Cino Cinelli a dall'arrivo), il Giro dell'Emilia con un'azione da finisseur e la Tre Valli Varesine dopo una fuga. In chiusura di stagione si piazza settimo al Giro di Lombardia e vince, in coppia con Mario Ricci, il Giro della Provincia di Milano.
1942-1945: il record dell'ora e l'interruzione bellica
Nella primavera del 1942 Coppi si classifica quarto al Giro del Lazio, quinto al Giro di Toscana e al Giro dell'Emilia, ma non ottiene nessuna vittoria. Il 21 giugno a Roma si laurea per la prima volta campione italiano su strada superando allo sprint l'altro fuggiasco Mario Ricci; solo pochi giorni dopo, però, è vittima di una caduta in allenamento al velodromo Vigorelli di Milano, dove si procura la frattura della clavicola. Rimessosi in sella, nell'ottobre subito seguente si aggiudica il titolo italiano dell'inseguimento raggiungendo Cino Cinelli dopo di gara. Su consiglio del massaggiatore Cavanna, Coppi decide quindi di puntare al record dell'ora, da cinque anni detenuto dal francese Maurice Archambaud.
Il 7 novembre, sulla pista del velodromo Vigorelli, si compie l'impresa: Coppi copre 115 giri e 151 metri, e stabilisce il nuovo record, , 104 metri in più del primato di Archambaud (la distanza percorsa sarà rettificata nel 1947 a ). La prova, preparata dal campione in condizioni difficili, con poche possibilità di allenamenti dietro motori a causa del carburante razionato, viene compiuta in un clima surreale: la città è sotto bombardamenti e per evitare assembramenti in pista gli organizzatori comunicano un orario falso per l'inizio della prova, tanto che gli spalti dell'impianto rimangono semivuoti. Nonostante le tensioni belliche, l'indomani il primato (che vale a Coppi un premio di lire messo in palio dalla Legnano) viene celebrato dalla Gazzetta dello Sport come prova della «forza e volontà della razza italiana».
Il giorno dopo il record, l'8 novembre, gli angloamericani sbarcano in Marocco e Algeria dando inizio all'Operazione Torch, mentre il 9 novembre comincia l'invio di truppe italo-tedesche a Tunisi e Biserta, nell'ottica di creazione di una testa di ponte in Tunisia. Anche Fausto Coppi, caporale del 38º Reggimento di fanteria della Divisione "Ravenna", riceve l'ordine di partire. La successiva sospensione delle competizioni a causa del conflitto giunge subito dopo le prime importanti vittorie di Coppi e tarpa le ali al giovane talento. La guerra di Coppi non dura però a lungo. Il 13 aprile 1943 il campione viene infatti catturato dagli inglesi a Capo Bon; il 17 maggio seguente viene introdotto nel campo di concentramento di Medjez el Bab, in Tunisia, passando poi al campo di Blida, vicino ad Algeri.
La prigionia in Africa si conclude il 1º febbraio 1945, quando il campione, in qualità di automobilista aggregato alla RAF in Italia, s'imbarca sul piroscafo Città di Orano in partenza da Algeri e diretto a Napoli, in un Sud Italia ormai sotto il controllo degli Alleati. Sin dall'arrivo in Italia il pensiero di Coppi, pur sofferente per lievi forme di malaria e ulcera gastrica, è capire come riprendere l'attività professionistica. A Caserta, servendo come autista per il tenente Towell della RAF, incontra il calciatore del Umberto Busani, che lo mette in contatto con Gino Palumbo, giornalista che lavora alla redazione sportiva della Voce e futuro direttore della Gazzetta dello Sport.
Proprio a questi si rivolge il ciclista: «Sono Coppi e vorrei tornare a correre, ma ho soltanto una bici militare con le gomme piene che mi procurano dolori continui. Il suo giornale mi può aiutare?» Palumbo lancia subito un appello: «Date una bicicletta a Fausto Coppi». Rispondono in tre. Viene scelta l'offerta di Giuseppe D'Avino, un falegname di Somma Vesuviana, che regala una Legnano da corsa, color verde oliva. E alla fine di aprile, su quella Legnano, Coppi torna a casa: da Caserta a Castellania, 800 chilometri in cinque giorni. Poi le corse. La rinascita di Coppi e anche quella dell'Italia. Nella primavera del 1945 Coppi riesce così a tesserarsi con la sezione ciclismo della Polisportiva S.S. Lazio, dove lo seguirà anche il fratello Serse. Con la S.S. Lazio Ciclismo si aggiudica, a distanza di tre anni dagli ultimi trionfi, cinque vittorie, la Coppa Salvioni e la Coppa Candelotti nel Lazio, e quindi il circuito degli Assi a Milano, il circuito di Ospedaletti e il circuito di Lugano, ristabilendosi definitivamente nel Nord Italia ormai libero. Il 22 novembre sposa Bruna Ciampolini.
1946-1947: il dopoguerra e la rivalità con Bartali
Nella primavera del 1946 riprendono le competizioni professionistiche dopo la fine della guerra. A inizio stagione Coppi lascia la Legnano di Pavesi e Bartali e firma per la Bianchi: per tutto il decennio successivo indosserà la famosa casacca bianco-celeste, dando vita a un leggendario binomio con la casa ciclistica milanese e a un'ancora più celebre rivalità con Bartali. Il cambio di maglia dà immediatamente i suoi frutti: il 19 marzo l'"Airone" vince infatti la Milano-Sanremo con una fuga solitaria di , iniziata insieme ad altri quattro corridori e conclusa con ben 14 minuti di vantaggio sul secondo classificato, Lucien Teisseire, ultimo a staccarsi a Ovada. Curioso nell'occasione l'annuncio del radiocronista Niccolò Carosio, forse disorientato dal divario tra il piemontese e gli inseguitori: «Primo Fausto Coppi; in attesa del secondo classificato trasmettiamo musica da ballo». L'indomani la Gazzetta dello Sport avrebbe dedicato all'impresa l'intera prima pagina, titolando: «Fausto Coppi non vede più nessuno dal Turchino a Sanremo e piega alla sua volontà indomita ogni ostacolo della corsa sfinge».
In maggio è secondo al Campionato di Zurigo e si aggiudica il Giro di Romagna e il 15 giugno si ripresenta al via del Giro d'Italia a distanza di sei anni dal trionfo del 1940. In quel Giro i favoriti sono lui e Bartali. Coppi vince la Prato-Bologna, Bartali attacca nella Chieti-Napoli e infligge 4 minuti a Coppi. All'indomani dell'episodio di Pieris – la tappa Rovigo-Trieste viene neutralizzata a causa di una sassaiola sui ciclisti – l'"Airone" si aggiudica la frazione dolomitica di Auronzo di Cadore, mentre Bartali veste di rosa. Il giorno dopo, sempre sulle Dolomiti, Coppi attacca a Pocol, allunga sul Falzarego fino a essere virtuale maglia rosa ma a Bassano del Grappa vince con solo 1'12" sulla maglia rosa. Nella subito successiva Bassano-Trento l'alfiere della Bianchi guadagna altri 2'08" su Bartali, che però riesce a difendersi di misura: il Giro 1946 è di Bartali, con 47" su Coppi (che pure aveva gareggiato con una costola incrinata per una caduta) e ben 15'28" sul terzo classificato, Vito Ortelli. Nella seconda parte di stagione Coppi si aggiudica il Critérium du Trocadéro, il Grand Prix des Nations a cronometro, il Circuito di Lugano e infine, il 27 ottobre, il suo primo Giro di Lombardia, appuntamento autunnale che farà suo altre quattro volte, nel 1947, 1948, 1949 e 1954. La corsa si decide a cinque chilometri dall'arrivo, sul cavalcavia della Ghisolfa, a Milano, quando Coppi stacca i due compagni di fuga Luigi Casola e Michele Motta involandosi solo verso il traguardo del Vigorelli.
La stagione 1947 di Coppi si apre con un abbandono alla Milano-Sanremo (vince Bartali) e con la vittoria al Giro di Romagna. Coppi partecipa quindi al Giro d'Italia, rivaleggiando nuovamente con Bartali. La gara si accende subito: nella seconda tappa, la Torino-Genova, vince Bartali; due giorni dopo, nella Reggio Emilia-Prato, i due si sfidano sull'Abetone: all'arrivo prevale il campione piemontese, mentre Bartali veste la maglia rosa. L'atleta della Bianchi vince poi anche a Napoli, ma "Ginettaccio" resiste. A decidere la corsa sono, come nel 1946, le Dolomiti. La maglia rosa vince a Pieve di Cadore, portando a 2'41" il vantaggio su Coppi; l'indomani, nella Pieve di Cadore-Trento, è però vittima di due cadute, sia sulla salita che sulla discesa del Falzarego. Coppi lo sorpassa e sul Pordoi allunga: dopo di fuga, vince a Trento con 4'24" di vantaggio, strappando la maglia rosa a Bartali. A Milano trionferà per la seconda volta Coppi, a sette anni dall'ultima vittoria, con 1'43" su Bartali.
Al successivo Giro di Svizzera Bartali stravince, con 40'06" su Coppi (entrambi esclusi dal Tour de France dalla squadra italiana, temendo che la loro rivalità potesse compromettere la vittoria finale); quest'ultimo riesce comunque a trionfare nella Losanna-Ginevra, cronometro di al penultimo giorno di gara, infliggendo 6'47" al rivale. Il 31 agosto l'"Airone" vince anche il Giro del Veneto, dopo una fuga solitaria di . Nei due mesi seguenti si aggiudica in successione l'Attraverso Losanna con un attacco da finisseur, il Grand Prix des Nations a cronometro con 8'15" sul secondo Émile Idée, il titolo mondiale dell'inseguimento e il Giro dell'Emilia con 10'55" su Bartali secondo (dopo di fuga solitaria), cui aggiunge il successo nella classifica a punti del campionato italiano professionisti su strada, assegnato dopo cinque prove. Il 26 ottobre trionfa infine per la seconda volta al Giro di Lombardia. In quella gara, dopo aver raggiunto in solitaria e staccato il fuggitivo Fiorenzo Magni in Valbrona, s'invola per e all'Arena Civica di Milano precede di 5'24" il secondo, Gino Bartali. La stagione non è conclusa: nell'inverno tra il 1947 e il 1948 Coppi, forte di importanti ingaggi, si dedica alle riunioni su pista, partecipando a ventuno gare di inseguimento e primeggiando su rivali come Rik Van Steenbergen, Antonio Bevilacqua e Theo Middelkamp.
1948: la doppietta Sanremo-Lombardia e le squalifiche
Il 14 marzo 1948 vince in volata la quarta edizione dell'Omloop Het Volk a Gand, ma viene retrocesso al secondo posto per un cambio di ruota non consentito. Il 19 marzo si aggiudica la sua seconda Milano-Sanremo: nell'occasione scatta su Capo Mele, stacca i tre compagni di fuga e arriva a Sanremo con un vantaggio di 5'17" sui primi inseguitori, Vittorio Rossello e Fermo Camellini, e con 9'04" su Bartali. Dopo il quinto posto al Giro di Toscana, vinto da Bartali grazie a un attacco sulla salita di San Giovanni, prende parte al Giro d'Italia. Nella Corsa rosa duella inizialmente con Bartali, ma finisce presto per controllarsi con il rivale, consentendo così l'allungo in classifica degli altri pretendenti al successo; nella tappa Bari-Napoli va inoltre in porto una fuga di che porta alcuni atleti, quali Vito Ortelli, Fiorenzo Magni ed Ezio Cecchi, a guadagnare in un giorno solo 13'23" sui due campioni. Coppi allora reagisce, va all'attacco sul passo Monte Croce di Comelico e vince in solitaria, con 3'12" sul secondo, la sedicesima tappa, la Auronzo di Cadore-Cortina d'Ampezzo. L'indomani, nella Cortina-Trento, stacca tutti già a dall'arrivo, allunga sul Pordoi e vince con 2'51" su Ortelli e 7'20" su Bartali e Cecchi: di rosa veste Magni.
Scoppia però la polemica: la Bianchi di Coppi e la Cimatti di Cecchi presentano infatti reclamo per le spinte ricevute da Magni sul Pordoi. La giuria si limita a penalizzare Magni di 2 minuti: il campione toscano può così conservare il primato e, due giorni dopo, vincere il Giro (tra i fischi del Vigorelli di Milano) con soli 11 secondi di margine su Cecchi. La Bianchi allora si ritira in blocco, per protesta, e in risposta l'Unione Velocipedistica Italiana infligge un mese di squalifica ai ciclisti della squadra, tra cui Coppi (che vince comunque la classifica del GPM di quel Giro). Sempre sull'onda della protesta della Bianchi, al seguente Tour de France Coppi non partecipa. L'8 agosto si aggiudica comunque la Tre Valli Varesine battendo in volata Bartali, fresco trionfatore della Grande Boucle. Al successivo campionato del mondo di Valkenburg, il 22 agosto, viene toccato l'apice della rivalità tra i due campioni: Coppi e Bartali, capitani della selezione italiana, si guardano, si controllano a vicenda, si marcano per tutta la prova; una volta che la gara è compromessa, si ritirano congiuntamente.
Per la condotta scriteriata (l'evento divenne noto come "la vergogna di Valkenburg") l'UVI squalifica Bartali e Coppi per due mesi, poi ridotti a uno, a partire dal 1º settembre: la delibera, a firma del presidente Adriano Rodoni, affermava che i due campioni, «dimentichi dell'essere loro affidato di tenere alto il prestigio italiano, soggiacendo ad antagonismo personale, si sottraevano alla competizione suscitando l'unanime riprovazione degli sportivi». Anche il campionato mondiale d'inseguimento, tenutosi il 26 agosto ad Amsterdam, non porta successi: Coppi viene infatti battuto in finale per soli due metri da Gerrit Schulte, unica sconfitta subita in ventiquattro gare su pista disputate. In virtù dello sconto di pena, comunque, Coppi rientra presto alle gare su strada e il 10 ottobre vince in solitaria il suo terzo Giro dell'Emilia. Trascorrono due settimane e Coppi fa suo per la terza volta consecutiva il Giro di Lombardia: nell'occasione, dopo aver attaccato a dall'arrivo, fa segnare il record di ascesa del Ghisallo (25'30" sugli di salita, 1'43" meglio del precedente primato) e va a trionfare con 4'45" di margine sul primo inseguitore, Adolfo Leoni.
1949: il dominio a Giro e Tour e la consacrazione
Il 1949 è l'anno della definitiva consacrazione internazionale per Coppi. Il 19 marzo vince per la terza volta la Milano-Sanremo: quel giorno stacca gli avversari sul Capo Berta e arriva al traguardo con 4'17" sul gruppetto dei primi inseguitori. Dopo il secondo posto al Giro del Piemonte, l'8 maggio si aggiudica in solitaria anche il Giro di Romagna (terzo successo per lui) con 3'50" su Fiorenzo Magni e ben 10'30" su Gino Bartali. Al Giro d'Italia, partito da favorito, vince in volata la quarta tappa, la Cosenza-Salerno. Si rende poi protagonista nella frazione dolomitica da Bassano del Grappa a Bolzano, attaccando a dall'arrivo e superando in solitaria i tre passi di Pordoi, Campolongo e Gardena: a Bolzano precede di 6'58" la maglia rosa Adolfo Leoni (che conserva il primato) e il rivale Bartali. Otto giorni dopo, il 10 giugno 1949, firma quella che resterà la sua impresa più celebre, con 192 chilometri di fuga nella tappa Cuneo-Pinerolo, la terzultima di quella Corsa rosa. Approfittando di una foratura di Bartali ad Argentera, Coppi va all'attacco in solitaria e dopo Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Colle del Sestriere (e ben cinque forature), arriva al traguardo da vincitore, con 11'52" sul secondo, lo stesso Bartali, e 20'04" sul terzo, Alfredo Martini. Il giornalista Mario Ferretti apre la sua radiocronaca con una frase entrata nella storia del ciclismo: «Un uomo solo è al comando; la sua maglia è bianco-celeste; il suo nome è Fausto Coppi». L'"Airone" vince quel Giro con 23'47" su Bartali e 38'27" su Giordano Cottur.
Conquistato il terzo Giro, Coppi affronta il suo primo Tour de France: in quella corsa è co-capitano della Nazionale con Bartali, e prima di partire i due, su pressione del commissario tecnico Alfredo Binda, firmano il cosiddetto "patto di Chiavari", in cui s'impegnano a non ostacolarsi durante la gara. Il Tour di Coppi parte però molto male, e dopo le prime quattro tappe il campione piemontese perde già 18 minuti dalla maglia gialla Jacques Marinelli. Nella quinta tappa, la Rouen-Saint-Malo, Coppi va in fuga poco dopo il via, ma dopo circa 100 chilometri (tra Pontfarcy e Avranches) una collisione con Marinelli gli costa la rottura della forcella della bicicletta. Il direttore sportivo Giovanni Tragella gli passa subito la bici del gregario Mario Ricci, Coppi però non riparte e richiede la bicicletta di riserva, che però è sull'ammiraglia principale guidata da Binda, al seguito di Bartali e ferma al rifornimento. Nell'attesa si siede sul marciapiede e matura propositi di ritiro: l'arrivo di Binda in motocicletta, con la bici sottobraccio, e le sue parole, che ricordano a Coppi il patto di Chiavari, convincono l'"Airone" a ripartire. Conclude la tappa con 18'43" da Marinelli, e in classifica scivola a 36'55".
Tre giorni dopo Coppi si rifà e vince la cronometro di La Rochelle () con 4'31" su Bartali e 7'32" su Marinelli. La maglia gialla passa poi a Fiorenzo Magni (della squadra Cadetti), grazie a una fuga a quattro nella decima tappa, la San Sebastián-Pau; due giorni dopo, nel tappone pirenaico Pau-Luchon, Coppi chiude terzo (lo precedono Jean Robic e Lucien Lazaridès) ma guadagna 4'37" su Bartali e 16'03" su Magni, che mantiene comunque il primato. La corsa si decide sulle Alpi. Il 18 luglio, nella Cannes-Briançon, Coppi e Bartali riprendono Ferdi Kübler e attaccano insieme sull'Izoard: vince Bartali, nel giorno del trentacinquesimo compleanno, davanti a Coppi; il toscano veste di giallo con soli 1'22" sul rivale, mentre Magni perde 12'12". L'indomani, nella Briançon-Aosta, Coppi e Bartali allungano insieme sul Piccolo San Bernardo, ma in discesa la maglia gialla prima fora, poi cade. Coppi fa per aspettarlo, Binda gli impone però di proseguire: in l'"Airone" guadagna così 4'55", vince e veste di giallo. Robic è il primo degli inseguitori, terzo, a 10'16". Nella cronometro del penultimo giorno, da Colmar a Nancy, vince ancora Coppi, con ben 7'02" sul secondo, Bartali. È il trionfo per Coppi, che l'indomani al Parco dei Principi festeggia la vittoria all'esordio nella Grande Boucle: nessuno prima di lui era riuscito a centrare la doppietta Giro-Tour nello stesso anno. In classifica Bartali è secondo a 10'55", Marinelli terzo a 25'13".
Al campionato del mondo su strada di Copenaghen del 21 agosto, su un tracciato adatto ai velocisti, si piazza terzo alle spalle del "principe delle volate" Rik Van Steenbergen e di Ferdi Kübler; al successivo campionato del mondo di inseguimento di Ordrup bissa invece la maglia iridata del 1947 battendo in finale Lucien Gillen. L'11 settembre fa suo il Giro del Veneto grazie a una fuga solitaria di e a seguire si aggiudica la classifica finale del campionato italiano professionisti, assegnato dopo cinque prove. Conclude la stagione trionfando al Giro di Lombardia: decisivo è l'allungo a dall'arrivo che gli consente di imporsi con 2'52" su Kübler e la nuova media record. È in quell'anno che – per i numerosi trionfi, spesso schiaccianti, conseguiti in stagione dal campione piemontese, ma soprattutto per la storica doppietta Giro-Tour – si afferma definitivamente sulla stampa italiana il "fenomeno Coppi": appellato unanimemente come "Campionissimo", soprannome già di Girardengo, arriva a essere definito, dal giornalista Gianni Brera nella Gazzetta dello Sport del 27 luglio 1949, «una invenzione della natura per completare il modestissimo estro meccanico della bicicletta».
1950-1951: gli infortuni e la morte di Serse
Il 1950 di Coppi inizia con il quarto posto alla Milano-Sanremo (vinta da Bartali), e prosegue con i successi al Giro di Reggio di Calabria, alla Parigi-Roubaix, nella prima frazione della seconda tappa della Roma-Napoli-Roma, che conclude al secondo posto generale, e alla Freccia Vallone. Alla Roubaix l'ormai "Campionissimo" va all'attacco al rifornimento di Arras, stacca tutti a dall'arrivo e trionfa con 2'41" su Maurice Diot e 5'24" su Fiorenzo Magni; un curioso aneddoto è legato a Diot, che sul traguardo alza le braccia al cielo come se avesse vinto, e quindi dichiara: «Ho vinto la Roubaix. Coppi era fuori concorso». Alla Freccia Vallone Coppi s'impone invece con una fuga iniziata a dal traguardo e conclusa a Liegi con 6'05" di margine sul secondo, Raymond Impanis. Dopo le vittorie nelle classiche, alla Tre Valli Varesine, valida come campionato italiano su strada, Coppi viene declassato per essersi aggrappato alla maglia di Bartali nella volata per il diciottesimo posto. I due rivali si ritrovano al Giro d'Italia: dopo una prima settimana interlocutoria, l'ottava tappa, la Brescia-Vicenza, va a Hugo Koblet, che veste di rosa con 3'38" su Coppi e 6'12" su Bartali. Nella tappa dell'indomani, la Vicenza-Bolzano (è il 2 giugno), in prossimità delle Scale di Primolano Coppi viene inavvertitamente urtato da un altro corridore, Armando Peverelli, e cade, dovendosi ritirare; all'ospedale di Trento la diagnosi è senza appello: frattura tripla del bacino, niente Tour de France e stagione compromessa. Rientra alle gare in ottobre, cogliendo il terzo posto al Giro di Lombardia e il secondo, in coppia con il fratello Serse, al Trofeo Baracchi.
Anche la stagione 1951 si apre negativamente: l'11 marzo alla Milano-Torino, infatti, Coppi è vittima di una caduta che gli causa la frattura della clavicola. Rientrato alle gare in maggio, si piazza secondo al Giro di Romagna. Partecipa poi al Giro d'Italia. In quella Corsa rosa si aggiudica la cronometro Perugia-Terni (, la più lunga nella storia del Giro) con 1'07" sull'astro nascente Louison Bobet, 1'24" su Koblet e ben 5'13" su Bartali, mentre nella prova contro il tempo tra Rimini e San Marino si piazza secondo, battuto da Giancarlo Astrua. Vince poi, in volata, il tappone dolomitico da Cortina d'Ampezzo a Bolzano del terzultimo giorno. Conclude la gara al quarto posto, a 4'04" dal vincitore Magni (secondo successo per lui) e preceduto anche da Van Steenbergen e Ferdi Kübler. Il destino si accanisce il 29 giugno seguente. A dal traguardo del Giro del Piemonte, a causa delle rotaie del tram, il fratello di Fausto, Serse Coppi (suo gregario alla Bianchi), incorre in una caduta.
Sembra nulla di grave e Serse, pur avendo battuto la testa, si rialza e termina la gara. La sera in albergo, però, si sente male e poche ore dopo muore per emorragia cerebrale: aveva ventotto anni. Fausto è sconvolto dal dolore e medita il ritiro dalle corse. Pochi giorni dopo, il 4 luglio, è comunque – pur in condizioni fisiche e psicologiche non ottimali – al via del Tour de France. In quella Grande Boucle risulta inizialmente competitivo e coglie un secondo posto nella tappa pirenaica da Tarbes a Luchon, battuto in volata da Koblet; due giorni dopo, però, nella Carcassonne-Montpellier, va in profonda crisi e conclude a 33'33" dal vincitore Koblet, evitando per pochi secondi di andare oltre il tempo massimo. Ripresosi, cinque giorni dopo ottiene il successo nella frazione alpina Gap-Briançon, precedendo di 3'43" Roger Buchonnet e di 4'09" la maglia gialla Koblet: in classifica chiude però lontano, decimo, a 46'51" dal vincitore Koblet. Dopo quel Tour si classifica secondo al Grand Prix des Nations a cronometro, vince la seconda edizione del Gran Premio di Lugano a cronometro e si piazza terzo al Giro di Lombardia, superato nello sprint ristretto del Vigorelli di Milano da Louison Bobet e Giuseppe Minardi.
1952: la seconda doppietta Giro-Tour
Nel 1952, dopo due anni sofferti e con alterne fortune, Coppi torna a vincere. Apre la stagione con il secondo posto alla Parigi-Roubaix (Rik Van Steenbergen lo batte in una volata a due), il quarto al Giro di Romandia e il terzo al Giro dell'Emilia, e si presenta quindi al Giro d'Italia. Il favorito è Koblet, vincitore del Tour 1951: già nella seconda tappa, però, lo svizzero rimane attardato, perdendo cinque minuti. Nella prima settimana Coppi vince la breve cronometro Roma-Rocca di Papa, dando 1'59" a Kübler, 2'45" a Bartali e 3'03" allo stesso Koblet; cinque giorni dopo, al termine della Riccione-Venezia, vinta da Van Steenbergen, veste di rosa. Il 29 maggio è il giorno del tappone dolomitico, da Venezia a Bolzano. Coppi attacca sul Falzarego, a dall'arrivo, quindi s'invola scalando in solitaria il Pordoi e il Sella: a Bolzano vince con 5'20" su Bartali e Magni, e consolida il primato. La cronometro Erba-Como di tre giorni dopo, in cui Coppi s'impone con 15" su Koblet, serve a suggellare il trionfo finale: a Milano il "Campionissimo" vince per la quarta volta il Giro, precedendo in classifica il secondo e il terzo, Magni e Kübler, di 9'18" e 9'24" rispettivamente.
Tre settimane dopo il Giro, Coppi partecipa al Tour de France come co-capitano della selezione italiana insieme a Bartali e Magni. Quest'ultimo prende la maglia gialla vincendo a Metz, nella sesta tappa; il giorno dopo, nella cronometro Metz-Nancy, la vittoria è invece di Coppi. Lo stesso accade il 4 luglio, nella Losanna-Alpe d'Huez, quando, nel primo arrivo sull'Alpe nella storia della Grande Boucle, il campione piemontese riesce a imporsi con 1'20" su Jean Robic e 2'22" su Stan Ockers, e a vestire di giallo con soli 5" su Ockers. Quel giorno, sul Colle del Galibier, Carlo Martini scatta la foto di un'epoca, immortala Coppi davanti, Bartali dietro e una bottiglia in mezzo. Dopo la giornata di riposo, la corsa riprende con il tappone alpino Le Bourg-d'Oisans-Sestriere, con cinque colli – Croix-de-Fer, Télégraphe, Galibier, Monginevro e Sestriere – da scalare.
È sul terzo, il Galibier, che il "Campionissimo" va via in solitaria: arriverà al traguardo con 7'09" sul secondo, Bernardo Ruiz, e 9'33" su Ockers. Sui Pirenei è quindi ancora lui a dominare, vincendo la diciottesima tappa, da Bagnères-de-Bigorre a Pau; infine sua è anche la terzultima frazione, la Limoges-Puy-de-Dôme. Nella graduatoria finale va a precedere Ockers di 28'27", Ruiz di 34'38", Bartali di 35'25", e fa sua anche la classifica scalatori della corsa. È per lui, dopo quanto realizzato nel 1949, la seconda vittoria al Tour e la seconda doppietta Giro-Tour. Il 7 agosto seguente, a pochi giorni dal successo di Parigi, il campione è però vittima di una caduta in pista a Perpignano: si frattura la scapola e la clavicola sinistre ed è costretto a interrompere temporaneamente l'attività. Ritornato alle gare, vince il Gran Premio di Lugano a cronometro e, in novembre, due frazioni, la cronometro a squadre e la classifica finale del Gran Premio del Mediterraneo, prova a tappe organizzata quell'anno dalla Gazzetta dello Sport nel Sud Italia.
1953: il quinto Giro e il titolo mondiale su strada
Dopo la trionfale stagione 1952, Coppi inizia il 1953 con il nono posto alla Milano-Sanremo. Tra maggio e giugno partecipa quindi al Giro d'Italia, rinnovando la sfida a Hugo Koblet. Il piemontese vince allo sprint la quarta tappa, la San Benedetto del Tronto-Roccaraso, ma tre giorni dopo Koblet conquista la cronometro di Follonica e veste la maglia rosa. La cronometro a squadre di Modena, vinta dalla Bianchi di Coppi, consente al "Campionissimo" di avvicinare in classifica, a soli 55", lo svizzero in rosa; questi però, superate indenne le prime montagne, attacca nella diciottesima tappa, la Vicenza-Auronzo di Cadore, e al traguardo guadagna ancora 1'04" sul rivale. La gara si decide nelle ultime due frazioni di montagna. Il 31 maggio è il giorno del tappone dolomitico da Auronzo a Bolzano. Coppi va all'attacco sul Falzarego, seguito a ruota da Koblet e Pasquale Fornara; nella successiva discesa Koblet riesce a staccare i due italiani, scala in solitaria il Pordoi, ma sul passo Sella viene ripreso e superato da Coppi, che scollina con 1'25" di vantaggio.
La tappa non è finita: a dal traguardo, infatti, Koblet completa il nuovo ricongiungimento. A Bolzano vince l'"Airone" su Koblet, ma il Giro, su ammissione dello stesso Coppi (staccato in classifica di 1'59"), sembra ormai nelle mani dello svizzero. La tappa dell'indomani, la Bolzano-Bormio, è breve, solo , ma si scala per la prima volta il Passo dello Stelvio, . Sulle inedite rampe Coppi compie la rimonta: prima suggerisce al giovane Nino Defilippis di attaccare, poi, una volta che Koblet si è lanciato all'inseguimento, scatta anche lui a dalla vetta riprendendo e superando il rivale. Koblet va in crisi, scollina a 4'27" da Coppi e tenta di recuperare nei di discesa, ma cade due volte ed è anche vittima di una foratura: conclude la tappa a 3'28" da Coppi, sconfitto in classifica per solo 1'29". La Corsa rosa va così per la quinta volta al "Campionissimo" Coppi, che eguaglia il primato di vittorie di Alfredo Binda.
Al Tour de France Coppi non partecipa, lo si vedrà da semplice tifoso sull'Izoard insieme a Giulia Occhini, la futura "Dama Bianca". Il 30 agosto seguente prende invece parte al campionato del mondo su strada di Lugano. Il campione piemontese vuole vincere, e quel giorno è protagonista. A dal traguardo va infatti all'attacco sulle rampe della Crespera di Breganzona: il suo allungo, su un tratto al 10% con un rapporto 51×11, è secco, e a ruota riesce a rimanergli solo il passista belga Germain Derycke. I due, nonostante i tentativi di controffensiva degli inseguitori (tra cui Stan Ockers, Louison Bobet, Ferdi Kübler, Charly Gaul), staccano presto tutti. Coppi però sa che il rivale è veloce, e a dall'arrivo, al penultimo passaggio sulla Crespera, allunga ancora riuscendo a staccare Derycke.
Da lì all'arrivo è una cavalcata solitaria: Coppi vince in solitudine con 6'16" su Derycke, 7'33" su Ockers e Michele Gismondi; più indietro tutti gli altri. Cinque giorni dopo il trionfo, Coppi sfida il campione del mondo di inseguimento Sydney Patterson in un incontro al Vigorelli e, davanti a un pubblico in visibilio, lo batte in 6'02"2. Quella prestazione, unitamente alla vittoria di Lugano, con l'agognato titolo iridato su strada, unico grande alloro fin lì assente nel suo palmarès, segna il punto più alto della carriera del "Campionissimo", ma costituisce anche, considerata l'età (quasi 34 anni), l'inizio dell'inevitabile parabola discendente. Coppi conclude comunque la stagione con il successo al Trofeo Baracchi a cronometro in coppia con Riccardo Filippi (secondo, in coppia con Antonin Rolland, è un giovane Jacques Anquetil).
1954-1955: le ultime vittorie
Nella primavera del 1954 Coppi ottiene numerosi successi in maglia iridata: si aggiudica una tappa alla Parigi-Nizza, vince il Giro di Campania e due frazioni alla Roma-Napoli-Roma e chiude inoltre quarto in volata alla Milano-Sanremo e secondo al Giro di Reggio di Calabria. In maggio prende il via al Giro d'Italia in cerca del sesto successo: sarebbe un record. La corsa si apre con una cronometro a squadre sul Monte Pellegrino, nei dintorni di Palermo: vince il trio della Bianchi, e Coppi indossa la maglia rosa (sarà l'ultima della sua carriera). L'indomani, nella Palermo-Taormina, il "Campionissimo" va però in crisi per problemi intestinali (si disse a causa di una mangiata di ostriche), perde 11 minuti e mezzo e saluta il primato. La corsa si decide nella sesta tappa, la Napoli-L'Aquila, quando una fuga di condotta da sette uomini porta il gregario Carlo Clerici a vincere con mezz'ora sul gruppo e a vestire di rosa; Coppi scivola a 39 minuti.
Le successive montagne non scalzano Clerici dalla testa della classifica: l'italo-svizzero cede infatti pochi secondi dai migliori sull'Abetone e nella cronometro di Riva del Garda. Nel decisivo tappone San Martino di Castrozza-Bolzano, Coppi attacca sul Pordoi, ma Clerici resiste e scollina con soli 12" di distacco, tiene il passo del campione piemontese sul Campolongo, ma si stacca quindi in discesa a causa di una caduta. Il provvidenziale rientro di Koblet, compagno di squadra di Clerici, e il suo contributo nella discesa dal Gardena sono decisivi: a Bolzano vince Coppi, ma con soltanto due minuti di vantaggio sulla maglia rosa. La tappa dell'indomani, con il Bernina (nel giorno dello sciopero dei ciclisti, in lite con gli organizzatori per alcuni mancati premi), non cambia gli equilibri: il Giro 1954 va a Clerici, Coppi è quarto a 31'17", consolandosi con il successo nella classifica scalatori.
Il Giro del 1954 è il primo con al via formazioni sponsorizzate, sono la Nivea-Fuchs di Fiorenzo Magni e la Doniselli-Lansetina di Antonio Bevilacqua. Si tratta di una novità tutta italiana, che però non piace all'estero, specialmente in Francia. Al successivo Tour de France l'Unione Velocipedistica Italiana decide allora, in segno di protesta verso la chiusura dei francesi all'ingresso nel ciclismo di sponsor esterni (Jacques Goddet, patron del Tour, arriva ad accusare gli italiani di portare il veleno nel ciclismo), di non schierare la squadra nazionale al via della corsa. Il presidente Adriano Rodoni dichiara: «La nostra partenza è resa impossibile dal nuovo regolamento da voi stabilito che non permette agli atleti di portare scritte pubblicitarie». Coppi non partecipa così alla Grande Boucle. In agosto corre invece il Giro di Svizzera, si aggiudica due tappe e conclude la gara al quinto posto; al successivo campionato del mondo di Solingen è invece sesto, nella gara vinta da Bobet. Tra ottobre e novembre, infine, centra un prestigioso tris, facendo suoi la Coppa Bernocchi, il Giro di Lombardia e il Trofeo Baracchi, ancora in coppia con Riccardo Filippi. Il Giro di Lombardia 1954 è l'ultima vittoria dell'"Airone" in una grande classica, la quinta nell'importante prova autunnale, e arriva, a differenza degli altri successi, grazie a una volata: attivo per tutta la corsa ma ogni volta ripreso, Coppi riesce a prevalere allo sprint per tre lunghezze su Fiorenzo Magni e il resto del gruppo.
Nel 1955 il "Campionissimo", nonostante le vicende legate alla relazione extraconiugale con Giulia Occhini, appare di nuovo in ottima forma. In quella primavera vince il Giro di Campania, si piazza secondo alla Parigi-Roubaix (battuto per distacco da Jean Forestier) e al Giro di Romagna, e si aggiudica quindi la semitappa conclusiva del Gran Premio Ciclomotoristico a Roma. Al successivo Giro d'Italia coglie, nelle prime due settimane, tre secondi posti di tappa. Nella penultima frazione, però, da Trento a San Pellegrino Terme, il "Campionissimo" va all'attacco a dall'arrivo, nei pressi di Roncone, insieme a Fiorenzo Magni. Gastone Nencini, in maglia rosa, si riporta inizialmente su di loro, ma fora lungo una strada in ghiaia ed è costretto a rialzarsi: al traguardo perderà 5'37" da Magni e Coppi. La vittoria di tappa va a Coppi, in quello che sarà il suo ultimo acuto nella "Corsa rosa", mentre il successo finale è appannaggio di Magni, con soli 13" di vantaggio sullo stesso Coppi. In chiusura di stagione, il 18 settembre, Coppi coglie la sua ultima affermazione in una corsa in linea, al Giro dell'Appennino, in solitaria con 2'03" sul secondo, Bruno Monti. L'"Airone" si aggiudica poi pure la Tre Valli Varesine – in quella stagione eccezionalmente trasformata in una prova a cronometro sui – e, come nel 1953 e nel 1954, il Trofeo Baracchi in coppia con Riccardo Filippi. Le vittorie in Campania, all'Appennino e nella Tre Valli, oltre al piazzamento al Romagna, gli valgono anche la conquista del suo quarto titolo nazionale per stradisti (classifica dopo cinque prove).
1956-1959: gli ultimi anni
Nel 1956, con la nuova maglia della Carpano-Coppi, Coppi ottiene risultati solo nella seconda parte di stagione: si piazza secondo alla Coppa Bernocchi, vince il Gran Premio Campari a cronometro a Lugano ed è infine secondo al Trofeo Baracchi, sempre in coppia con Filippi. In quell'autunno spicca anche il secondo posto colto da Coppi al Giro di Lombardia, con la gara che, dopo numerosi attacchi e contrattacchi, si risolve allo sprint: il campione piemontese supera Magni sul rettilineo finale del Vigorelli, a 50 metri dall'arrivo, ma a soli 20 metri viene sorpassato e infine battuto da André Darrigade. La delusione per la sconfitta è tale da spingere Coppi a un pianto a dirotto che commuove tifosi e avversari; lo stesso Darrigade si dirà "addolorato" per averlo battuto.
Il 1957 inizia male perché in febbraio, in un circuito in Sardegna, cade fratturandosi il collo anatomico del femore sinistro; parve che la sua carriera fosse finita, invece dopo una faticosa riabilitazione torna alle corse e il 4 novembre 1957, sempre in maglia Carpano, Coppi ottiene al Trofeo Baracchi, in coppia con Ercole Baldini, campione emergente laureatosi quell'anno campione nazionale su strada, l'ultimo trionfo su strada. In quella prova, a cronometro, Baldini fora a dall'arrivo e Coppi, essendo in difficoltà e allo scopo di poter poi rallentare e tirare il fiato, decide di proseguire, venendo per questo motivo insultato dal pubblico. Il rientro di Baldini consente alla coppia di vincere, anche se per soli 5 secondi.
Nel 1958 Coppi torna alla Bianchi-Pirelli. Durante l'anno vince la Sei giorni di Buenos Aires; su strada prende invece parte al suo ultimo Giro d'Italia, concludendolo al trentaduesimo posto, e alle classiche del calendario italiano (è settimo alla Tre Valli Varesine e nono al Giro del Piemonte). A fine stagione partecipa anche, pur come gregario "di lusso", al campionato del mondo di Reims vinto da Ercole Baldini. Nel 1959 l'"Airone", ormai trentanovenne, gareggia con la maglia della Tricofilina-Coppi, sotto la direzione del suo storico ex gregario Ettore Milano, ma non ottiene vittorie eccetto che in alcuni criterium e riunioni su pista; spicca comunque la partecipazione, la prima e unica della sua carriera, alla Vuelta a España, conclusasi per con un ritiro insieme alla squadra. Nell'autunno di quel 1959 nasce intanto il progetto di una San Pellegrino Sport, la formazione diretta da Gino Bartali, capitanata proprio da Fausto Coppi, all'ultima stagione da professionista prima del ritiro definitivo, annunciato per la fine del 1960. I due grandi rivali sotto la stessa bandiera, come vent'anni prima alla Legnano: il progetto però non si concretizzerà, per la morte del "Campionissimo".
La morte
Il 10 dicembre del 1959, subito dopo essere stato ingaggiato dalla "San Pellegrino Sport", la squadra appena costituita dall'amico ed ex-rivale Gino Bartali, Coppi parte con alcuni amici ciclisti francesi - fra cui Raphaël Géminiani, Jacques Anquetil, Roger Rivière, Henry Anglade e Roger Hassenforder - per un viaggio nell'Alto Volta. Il 13 dicembre è infatti in programma una corsa ciclistica, un criterium, a Ouagadougou (vincerà Anquetil davanti a Coppi), accompagnata il giorno successivo da alcune battute di caccia nelle riserve di Fada N'gourma e Pama, non lontano dalla capitale. Dopo la caccia Coppi e Géminiani tornano all'accampamento di Fada N'gourma, occupano la stessa camera e nella notte vengono assaliti dalle zanzare, contraendo la malaria. L'indomani i due sono stanchi e debilitati; rientrano insieme in aereo a Parigi, poi si separano: il francese torna a Clermont-Ferrand, l'"Airone" a casa a Novi Ligure.
Il 20 dicembre Coppi e Géminiani si telefonano: sono entrambi febbricitanti. Quella stessa sera Géminiani perde conoscenza e viene ricoverato. La moglie Anne-Marie allerta immediatamente uno specialista di malattie tropicali, che invia una provetta di sangue all'Istituto Pasteur di Parigi. I medici rilevano la presenza nel sangue del plasmodium falciparum, il protista responsabile nell'uomo della malaria terzana maligna, la forma più violenta della malattia. Géminiani resta in coma otto giorni, ma viene curato con il chinino e salvato: si risveglierà il 5 gennaio. Coppi si reca invece all'incontro di calcio Genoa-Alessandria, spinto anche dalla curiosità di vedere all'opera l'astro nascente del calcio alessandrino Gianni Rivera, e nei giorni seguenti si reca anche a caccia nella sua riserva di Incisa Scapaccino.
Il 27 dicembre Coppi si mette a letto con febbre alta, nausea e brividi; due giorni dopo i parenti chiamano il dottor Allegri di Serravalle Scrivia, che a sua volta chiama a consulto il primario dell'ospedale di Tortona, prof. Astaldi, ma i due non riescono a fornire una diagnosi. Nel pomeriggio del 1º gennaio le condizioni del campione si aggravano ulteriormente; a Tortona giunge per un altro consulto anche il professor Fieschi, dell'Università di Genova. Coppi viene ricoverato d'urgenza prima a Novi e poi a Tortona: alle 22 del 1º gennaio perde conoscenza, alle 23 è in "pericolo di vita", all'una di notte riprende conoscenza e parla con Ettore Milano, suo storico gregario; subito dopo entra in coma. All'ammalato è praticata una cura intensa a base di antibiotici e cortisonici, ma Coppi non reagisce. Non riprende più conoscenza e muore alle 8:45 del 2 gennaio 1960, all'età di 40 anni.
I medici avevano sbagliato diagnosi, ritenendo Coppi affetto da un'influenza più grave del consueto, nonostante già a fine dicembre la moglie e il fratello di Géminiani, Angelo, avessero telefonato dalla Francia per avvertire di come a Raphaël fosse stata diagnosticata la malaria (raccontarono i congiunti di Géminiani che i medici italiani avevano loro risposto di pensare al proprio paziente, ché loro avrebbero provveduto a Coppi). Anche nella provetta del sangue prelevato a Coppi fu trovato il plasmodium falciparum, l'agente della malaria. Il 4 gennaio sono in 50.000 sul colle di San Biagio a seguire il funerale del "Campionissimo". Coppi viene inizialmente sepolto nel piccolo cimitero sul colle San Biagio, nei pressi di Castellania, dove ancora oggi riposano i genitori ed altri parenti; verso la fine degli anni sessanta le sue spoglie e quelle del fratello Serse vengono traslate dal cimitero ed inumate definitivamente in un mausoleo, realizzato accanto al municipio di Castellania.
Nella carriera da professionista, durata ventuno anni (diciotto se si considera l'interruzione a causa della guerra), Coppi vinse complessivamente 151 corse su strada (122 esclusi i circuiti), 58 delle quali per distacco, e 83 su pista. Indossò per 31 giorni la maglia rosa del Giro d'Italia e per 19 giorni la maglia gialla del Tour de France. Al Giro vinse 22 frazioni, al Tour nove.
Vita privata
Il 22 novembre 1945 Coppi sposò Bruna Ciampolini a Sestri Ponente. Da lei ebbe la figlia Marina, nata l'11 novembre 1947.
Coppi conobbe Giulia Occhini durante la Tre Valli Varesine del 1948, quando Giulia, moglie del dottor Enrico Locatelli all'epoca medico condotto di Varano Borghi e appassionato tifoso di Coppi, gli chiese un autografo. Negli anni seguenti il ciclista e la donna, "battezzata" dai tifosi come "Dama bianca", iniziarono una relazione, inizialmente solo epistolare e poi anche personale. Coppi e la moglie Bruna Ciampolini si separarono consensualmente, mentre Enrico Locatelli querelò la moglie per adulterio.
Una settimana dopo la conclusione del Giro d'Italia 1954, entrambi lasciarono le rispettive famiglie per andare a convivere a villa Carla, a Novi Ligure. Nella notte tra il 25 e il 26 luglio 1954 i carabinieri, accompagnati da Locatelli, fecero irruzione a villa Carla ma non riuscirono a cogliere la flagranza di reato. Tornarono il 9 settembre e questa volta arrestarono Giulia Occhini per adulterio. Portata inizialmente nel carcere di Alessandria, dopo quattro giorni la donna venne rilasciata con foglio di via e costretta a recarsi in domicilio coatto ad Ancona, a casa di una zia, con obbligo di firma in questura. Coppi venne a sua volta privato del passaporto.
Il processo successivo, celebrato nel marzo del 1955, si concluse con la condanna di Coppi a due mesi di carcere per abbandono del tetto coniugale e di Giulia Occhini, incinta, a tre mesi di reclusione. Entrambi usufruirono comunque della sospensione condizionale della pena.
Dopo diverse difficoltà Coppi e Giulia Occhini si sposarono in Messico (matrimonio mai riconosciuto in Italia) e la Occhini diede alla luce un figlio, Angelo Fausto detto "Faustino", a Buenos Aires il 13 maggio 1955. Angelo Fausto Coppi jr., che ottenne il doppio passaporto italiano e argentino, venne fatto nascere in Argentina per poter ricevere il cognome "Coppi", poiché Locatelli si rifiutava di disconoscerne la paternità.
Palmarès
Strada
1938 (dilettanti)
Gran Premio di Castelletto d'Orba
Trofeo Gigi Agosta
1939 (indipendenti)
Coppa Città di Pavia
Coppa Canepa - Genova Bolzaneto
Giro del Penice
Giro del Casentino
Tre Valli Varesine indipendenti
1940 (Legnano, due vittorie)
11ª tappa Giro d'Italia (Firenze > Modena)
Classifica generale Giro d'Italia
1941 (Legnano, quattro vittorie)
Giro di Toscana
Giro del Veneto
Giro dell'Emilia
Tre Valli Varesine
1942 (Legnano, una vittoria)
Campionati italiani, prova in linea
1945 (SS Lazio, due vittorie)
Coppa Salvioli - Roma
Coppa Candelotti nel Lazio
1946 (Bianchi, sette vittorie)
Milano-Sanremo
Giro di Romagna
4ª tappa, 2ª semitappa Giro d'Italia (Prato > Bologna)
13ª tappa Giro d'Italia (Udine > Auronzo di Cadore)
14ª tappa Giro d'Italia (Auronzo di Cadore > Bassano del Grappa)
Grand Prix des Nations (cronometro)
Giro di Lombardia
1947 (Bianchi, dodici vittorie)
Giro di Romagna
4ª tappa Giro d'Italia (Reggio Emilia > Prato)
8ª tappa Giro d'Italia (Roma > Napoli)
16ª tappa Giro d'Italia (Pieve di Cadore > Trento)
Classifica generale Giro d'Italia
5ª tappa, 2ª semitappa Tour de Suisse (Losanna > Ginevra, cronometro)
Giro del Veneto
Attraverso Losanna
Grand Prix des Nations (cronometro)
Giro dell'Emilia
Giro di Lombardia
Campionati italiani (a punti)
1948 (Bianchi, sei vittorie)
Milano-Sanremo
16ª tappa Giro d'Italia (Auronzo di Cadore > Cortina d'Ampezzo)
17ª tappa Giro d'Italia (Cortina d'Ampezzo > Trento)
Tre Valli Varesine
Giro di Lombardia
Giro dell'Emilia
1949 (Bianchi-Ursus, tredici vittorie)
Milano-Sanremo
Giro di Romagna
4ª tappa Giro d'Italia (Cosenza > Salerno)
11ª tappa Giro d'Italia (Bassano del Grappa > Bolzano)
17ª tappa Giro d'Italia (Cuneo > Pinerolo)
Classifica generale Giro d'Italia
7ª tappa Tour de France (Les Sables d'Olonne > La Rochelle)
17ª tappa Tour de France (Briançon > Aosta)
20ª tappa Tour de France (Colmar > Nancy)
Classifica generale Tour de France
Giro del Veneto
Giro di Lombardia
Campionati italiani (a punti)
1950 (Bianchi-Ursus, quattro vittorie)
Giro di Reggio di Calabria
Parigi-Roubaix
2ª tappa, 1ª semitappa Roma-Napoli-Roma (Napoli > Latina)
Freccia Vallone
1951 (Bianchi-Pirelli, quattro vittorie)
6ª tappa Giro d'Italia (Perugia > Terni)
18ª tappa Giro d'Italia (Cortina d'Ampezzo > Bolzano)
20ª tappa Tour de France (Gap > Briançon)
Gran Premio Vanini - Lugano (cronometro)
1952 (Bianchi-Pirelli, quattordici vittorie)
5ª tappa Giro d'Italia (Roma > Rocca di Papa)
11ª tappa Giro d'Italia (Venezia > Bolzano)
14ª tappa Giro d'Italia (Erba > Como)
Classifica generale Giro d'Italia
7ª tappa Tour de France (Metz > Nancy)
10ª tappa Tour de France (Losanna > Alpe d'Huez)
11ª tappa Tour de France (Le Bourg-d'Oisans > Sestriere)
18ª tappa Tour de France (Bagnères-de-Bigorre > Pau)
21ª tappa Tour de France (Limoges > Puy-de-Dôme)
Classifica generale Tour de France
Gran Premio Vanini - Lugano (cronometro)
1ª tappa Gran Premio del Mediterraneo (Napoli > Foggia)
6ª tappa Gran Premio del Mediterraneo (Catania > Siracusa, cronometro)
Classifica generale Gran Premio del Mediterraneo
1953 (Bianchi-Pirelli, sei vittorie)
4ª tappa Giro d'Italia (San Benedetto del Tronto > Roccaraso)
19ª tappa Giro d'Italia (Auronzo di Cadore > Bolzano)
20ª tappa Giro d'Italia (Bolzano > Bormio)
Classifica generale Giro d'Italia
Campionati del mondo, Prova in linea
Trofeo Baracchi (cronocoppie, con Riccardo Filippi)
1954 (Bianchi-Pirelli, dieci vittorie)
3ª tappa Parigi-Nizza (Saint-Étienne > Vergèze)
Giro di Campania
4ª tappa, 1ª semitappa Roma-Napoli-Roma (Napoli > Latina)
4ª tappa, 2ª semitappa Roma-Napoli-Roma (Latina > Roma)
20ª tappa Giro d'Italia (San Martino di Castrozza > Bolzano)
2ª tappa Tour de Suisse (Winterthur > Davos)
4ª tappa Tour de Suisse (Lecco > Lugano)
Coppa Bernocchi
Giro di Lombardia
Trofeo Baracchi (cronocoppie, con Riccardo Filippi)
1955 (Bianchi-Pirelli, sette vittorie)
Giro di Campania
5ª tappa, 2ª semitappa Gran Premio Ciclomotoristico (Aprilia > Roma)
20ª tappa Giro d'Italia (Trento > San Pellegrino Terme)
Giro dell'Appennino
Tre Valli Varesine
Campionati italiani (a punti)
Trofeo Baracchi (cronocoppie, con Riccardo Filippi)
1956 (Carpano-Coppi, una vittoria)
Gran Premio Campari - Lugano (cronometro)
1957 (Carpano-Coppi, una vittoria)
Trofeo Baracchi (cronocoppie, con Ercole Baldini)
Altri successi
1939 (indipendenti)
Circuito di Susa
Coppa Contessa Carnevale
1941 (Legnano)
1ª prova Giro della Provincia di Milano (cronocoppie, con Mario Ricci)
Giro della Provincia di Milano (con Mario Ricci)
1942 (Legnano)
1ª prova Giro della Provincia di Milano (cronocoppie, con Mario De Benedetti)
1945 (Indipendente)
Circuito degli Assi - Milano
Circuito di Lugano
Circuito di Ospedaletti
1946 (Bianchi)
Critérium du Trocadéro
Circuito di Lugano
1948 (Bianchi)
Classifica scalatori Giro d'Italia
1949 (Bianchi-Ursus)
Classifica scalatori Giro d'Italia
Criterium di La Louvière
Circuito di Genova
Classifica scalatori Tour de France
Classifica generale Challenge Desgrange-Colombo
1950 (Bianchi-Ursus)
Circuito di Genova
1951 (Bianchi-Pirelli)
Criterium di Brasschaat
Criterium di Besançon
Criterium di Sables-d'Olonne
1952 (Bianchi-Pirelli)
2ª tappa Gran Premio del Mediterraneo (Foggia > Bari, cronosquadre)
Classifica scalatori Tour de France
Criterium di Vallorbe
Criterium di Tarascona
Criterium di Auch
1953 (Bianchi-Pirelli)
11ª tappa Giro d'Italia (Modena > Modena, cronosquadre)
Circuito di Borgosesia
Circuito di Savona
Criterium di Firminy
Circuito degli Assi - Tortona
1954 (Bianchi-Pirelli)
1ª tappa Giro d'Italia (Palermo > Palermo, cronosquadre)
Classifica scalatori Giro d'Italia
Circuito di Cagliari
Circuito di Stradella
Circuito di Broni
Circuito di Palermo
Circuito di Casale Monferrato
1955 (Bianchi-Pirelli)
Circuito di Cagliari
Circuito di Rimini
Criterium di Houdeng
Circuito di Napoli
Circuito di Catania
Circuito di Messina
1956 (Carpano-Coppi)
Criterium di Namur
1957 (Carpano-Coppi)
Gran Premio di Santhià
1958 (Bianchi-Pirelli)
Criterium di Versailles (cronocoppie, con Jorge Batiz)
Circuito di Calvisano
1959 (Tricofilina-Coppi)
Grand Prix du Progrès (cronocoppie, con Ferdinando Terruzzi)
Circuito di Lanciano
Circuito di Consuegra-Toledo
Pista
1940
Campionati italiani, Inseguimento individuale
1941
Campionati italiani, Inseguimento individuale
1942
Campionati italiani, Inseguimento individuale
Record dell'ora
1947
Campionati del mondo, Inseguimento individuale
Campionati italiani, Inseguimento individuale
1949
Campionati del mondo, Inseguimento individuale
Campionati italiani, Inseguimento individuale
1958
Sei giorni di Buenos Aires (con Jorge Batiz)
Piazzamenti
Grandi Giri
Giro d'Italia
1940: vincitore
1946: 2º
1947: vincitore
1948: ritirato
1949: vincitore
1950: ritirato
1951: 4º
1952: vincitore
1953: vincitore
1954: 4º
1955: 2º
1956: ritirato
1958: 32º
Tour de France
1949: vincitore
1951: 10º
1952: vincitore
Vuelta a España
1959: ritirato
Classiche monumento
Milano-Sanremo
1940: 10º
1941: 10º
1942: 21º
1946: vincitore
1947: ritirato
1948: vincitore
1949: vincitore
1950: 9º
1952: 37º
1953: 9º
1954: 4º
1955: 63º
Parigi-Roubaix
1949: 12º
1950: vincitore
1952: 2º
1955: 2º
1959: 44º
Giro di Lombardia
1940: 16º
1941: 5º
1942: 7º
1946: vincitore
1947: vincitore
1948: vincitore
1949: vincitore
1950: 3º
1951: 3º
1952: 35º
1954: vincitore
1955: 11º
1956: 2º
Competizioni mondiali
Campionati del mondo su strada
Zurigo 1946 - In linea: ritirato
Reims 1947 - In linea: ritirato
Valkenburg 1948 - In linea: ritirato
Copenaghen 1949 - In linea: 3º
Lugano 1953 - In linea: vincitore
Solingen 1954 - In linea: 6º
Frascati 1955 - In linea: ritirato
Copenaghen 1956 - In linea: 15º
Reims 1958 - In linea: 17º
Campionati del mondo su pista
Parigi 1947 - Inseguimento individuale: vincitore
Amsterdam 1948 - Inseguimento individuale: 2º
Ordrup 1949 - Inseguimento individuale: vincitore
Riconoscimenti
Trophee Edmond Gentil nel 1947 e 1952
Inserito nella Top 25 della Cycling Hall of Fame
Nel maggio 2015, una targa a lui dedicata fu inserita nella Walk of Fame dello sport italiano a Roma, riservata agli ex-atleti italiani che si sono distinti in campo internazionale.
Riferimenti nella cultura di massa
Stampa
Celebre nell'immortalare un'intera epoca sportiva - tanto da entrare nell'immaginario collettivo degli italiani - è la foto che ritrae Fausto Coppi e Gino Bartali mentre si passano una bottiglietta durante la salita del Galibier al Tour del 1952. Non fu mai completamente chiarito se fosse stato Coppi a passare la bottiglia a Bartali o viceversa. La foto, scattata dal fotografo Carlo Martini, fu in realtà preparata: Martini si mise d'accordo coi due corridori e col direttore di gara, diede quindi la bottiglia a un suo amico e gli disse di porgerla ai due mentre passavano.
La relazione extraconiugale di Coppi con Giulia Occhini fu al centro delle cronache scandalistiche del tempo, dal preciso momento in cui i fotografi rilevarono la presenza di Giulia al fianco del campione al termine della tappa dello Stelvio durante il Giro del 1953 e sul palco della premiazione del Campionato del mondo di Lugano vinto nello stesso anno da Coppi. L'evento divenne ben presto di pubblico dominio. Essendo entrambi già sposati, il campione e la "Dama Bianca" suscitarono grande scandalo e la loro relazione venne fortemente avversata da una parte dell'opinione pubblica e persino papa Pio XII giunse a condannarla. Per Giulia Occhini fu coniato il soprannome di "Dama Bianca": l'appellativo (dame en blanc) le venne dato da Pierre Chany, giornalista de L'Équipe, per il colore del montgomery da lei indossato all'arrivo della tappa di Sankt Moritz del Giro d'Italia 1954.
Nel 2002, a 42 anni esatti dalla scomparsa del "campionissimo", il Corriere dello Sport, con un articolo in prima pagina, diffuse la notizia che il ciclista non fosse deceduto a seguito di malaria contratta in Alto Volta ma per un avvelenamento da parte di uno stregone locale. A riferire l'episodio al quotidiano fu tale Mino Caudillo, all'epoca dirigente del Coni, che l'avrebbe saputo nel 1985, in Africa, da un frate francese, al quale la rivelazione sarebbe stata fatta in confessionale. L'avvelenamento sarebbe avvenuto per vendicare in modo indiretto uno sgarbo a un corridore africano. Nonostante le modalità di acquisizione da leggenda metropolitana la notizia indusse la Procura della repubblica di Roma ad aprire addirittura un fascicolo contro ignoti che - chiaramente - non ebbe alcun esito.
Cinema
Fausto Coppi interpreta se stesso in Totò al giro d'Italia, film del 1948 diretto da Mario Mattoli.
Nel film Appuntamento a Belleville, diretto da Sylvain Chomet, il protagonista (Champion) è un'evidente caricatura di Fausto Coppi.
Nel film Mi chiamava Valerio di Igor Biddau, biografia di Valeriano Falsini, unico gregario toscano di Coppi, è interpretato da Roberto Caccavo.
Televisione
La Rai ha dedicato a Fausto Coppi una fiction in due puntate intitolata Il grande Fausto, diretta da Alberto Sironi, con Sergio Castellitto e Ornella Muti, andata in onda il 29 e 30 ottobre 1995.
Numerosi elementi della vita di Fausto Coppi sono trattati nella fiction Gino Bartali - L'intramontabile, coprodotta da Rai ed Endemol e andata in onda nel 2006 su Rai 1, dove Coppi è interpretato da Simone Gandolfo.
Galleria d'immagini
Note
Bibliografia
Voci correlate
Rivalità Coppi-Bartali
Serse Coppi
Gino Bartali
Giulia Occhini
Bianchi (ciclismo 1905-1966)
Altri progetti
Collegamenti esterni
Gianni Mura, Fausto Coppi, (da Wikiradio di Radio 3 in onda il 2/01/013
Campioni del mondo professionisti di ciclismo su strada
Vincitori del Giro d'Italia
Vincitori del Tour de France
Vincitori del Giro di Lombardia
Vincitori della Milano-Sanremo
Vincitori della Parigi-Roubaix
Vincitori della Tre Valli Varesine
Vincitori della Coppa Bernocchi
Vincitori del Giro dell'Appennino
Vincitori del Giro del Veneto
Ciclisti deceduti nel periodo di attività
Sportivi della S.S. Lazio |
1921 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fosforo | Fosforo | Il fosforo è un elemento chimico della tavola periodica degli elementi che ha come numero atomico 15 e come simbolo P. È un non metallo del gruppo dell'azoto.
A temperatura ambiente è solido, ma sopra i diventa subito liquido.
Il fosforo non si trova in natura allo stato elementare, ma sotto forma di fosfato (sale dell'acido fosforico), è abbondante in alcune rocce e nelle cellule degli esseri viventi, del cui metabolismo è un componente essenziale. Il fosforo elementare è estremamente reattivo e, combinandosi con l'ossigeno emette una tenue luminescenza (da cui il suo nome, φωσφόρος, phosphóros, che in greco significa "portatore di luce"). Il principale uso industriale del fosforo è nella produzione di fertilizzanti. È impiegato anche nella produzione di esplosivi, fiammiferi, fuochi artificiali, fitofarmaci, dentifrici, detergenti e led bianchi.
Il fosforo si presenta come un solido ceroso bianco dal caratteristico sgradevole odore agliaceo; quando è molto puro risulta trasparente. È insolubile in acqua e solubile nei solventi organici e specialmente nel solfuro di carbonio. Riscaldato in aria brucia facilmente formando l'anidride fosforica P4O10 (decaossido di tetrafosforo), spesso scritta con la formula bruta P2O5.
Storia
Il fosforo venne isolato per la prima volta dal chimico tedesco Hennig Brand nel 1669. Nel tentativo di distillare i sali residui dell'evaporazione dell'urina, Brand produsse un materiale bianco, luminescente al buio, che bruciava con fiamma brillante. Da allora, la parola fosforescente è stata usata per descrivere quei materiali che emettono luminescenza al buio senza bruciare.
Le discussioni degli alchimisti si ravvivarono, e grandi nomi della scienza dell'epoca, come Robert Boyle, parteciparono al dibattito sulle proprietà del nuovo materiale luminescente.
La città di Bologna lega il proprio nome al materiale: il 12 dicembre 1711 vi venne fondato l'Istituto delle Scienze, opera di Luigi Ferdinando Marsili, presso cui proseguì lo studio del fenomeno dei fosfori, soprattutto ad opera del chimico e medico Jacopo Bartolomeo Beccari. Beccari dapprima fu professore di fisica (dal 4 dicembre 1711), per poi diventare docente di chimica presso l'istituto. La cattedra, fondata il 16 novembre 1737 era strettamente legata alla facoltà di medicina, e fu la prima in Italia ad istituire l'insegnamento della chimica sperimentale.
Nell'ambito del suo lavoro, Beccari realizzò con alcuni collaboratori alcune macchine e dispositivi sperimentali per lo studio dei fosfori e dei composti organici. I risultati del lavoro vennero raccolti da Francesco Maria Zanotti, segretario accademico, nel De Bononiensis scientiarum et Artium Instituto atque Accademiae. Commentarii. Anche lo stesso Marsigli fu impegnato nella ricerca sull'argomento, esponendo presso l'Accademia delle Scienze di Parigi i risultati ottenuti.
Tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX secolo l'uso del fosforo cominciò a venire compreso correttamente. Nel Cours de physique experimentale et de chimie; a l'usage des Ecole centrales, spécialment de l'Ecole centrale de la Côte d'Or del 1801 è presente una spiegazione dettagliata di come usare la pietra per ottenere oggetti fosforescenti.
I primi fiammiferi vennero prodotti con il fosforo bianco, che però era pericoloso e tossico da maneggiare. L'esposizione ai vapori provocava ai lavoratori la necrosi delle ossa della mascella.Con l'adozione del fosforo rosso, meno volatile e più stabile, i rischi vennero ridotti.
Il fosforo bianco è stato usato in diverse guerre come arma incendiaria.
Isotopi
Gli isotopi più comuni del fosforo sono:
31P : unico isotopo stabile presente in natura.
32P (radioattivo). Subisce decadimento beta () con un tempo di dimezzamento di 14,3 giorni. Viene usato nella ricerca biochimica come tracciante per DNA e RNA.
33P (radioattivo). Subisce decadimento beta (0,25 MeV) con un tempo di dimezzamento di 25,4 giorni. Viene usato nella ricerca biochimica come emettitore di raggi beta a bassa energia.
Forme cristalline
Il fosforo esiste in varie forme allotropiche identificate dal loro colore: bianco (o giallo), rosso e nero (o violetto). Le due più comuni sono il fosforo rosso, in realtà violetto, ed il fosforo bianco, entrambi costituiti da gruppi tetraedrici di quattro atomi ciascuno. Il fosforo bianco brucia spontaneamente all'ossigeno dell'aria sopra i 40 °C; può essere convertito nella forma rossa tramite riscaldamento in assenza di aria. Il fosforo rosso è relativamente stabile e perciò poco reattivo; sublima a 170 °C e si incendia per impatto o sfregamento.
Il fosforo nero ha una struttura simile a quella della grafite ed è un semiconduttore: gli atomi sono disposti in fogli paralleli di anelli esagonali condensati.
Disponibilità
Per via della sua reattività, il fosforo non esiste allo stato nativo in natura. È tuttavia ampiamente presente in numerosi minerali. Le rocce fosfatiche, principalmente costituite da apatite (un fosfato di calcio impuro avente la seguente formula molecolare: 3 Ca3(PO4)2 · CaX2 dove X può essere ione fluoruro, cloruro, idrossido o ½ ione carbonato) sono un'importante fonte commerciale di questo elemento. Grandi giacimenti di apatite sono stati trovati in Cina, in Russia, in Marocco e negli Stati Uniti.
Il fosforo bianco viene estratto dall'apatite per arrostimento in fornace in presenza di carbone e silice. Il fosforo elementare si libera come vapore che viene raccolto e conservato sotto acido fosforico.
Produzione
La produzione di fosforo consiste in una riduzione di minerali di fosforo (fluoroapatiti, idrossiapatiti, carbonatoapatiti, etc) detti minerali fosfatici. Li si fa reagire con quarzite e coke. Una volta miscelati e macinati i componenti, vengono caricati in forni elettrici ad arco, questi forni forniscono il calore necessario alla reazione che è fortemente endotermica (ΔH = ).
2Ca3(PO4)2 + 6 SiO2 + 10C -> 6CaSiO3 + P4 + 10CO
I fumi che escono vengono depurati dal minerale e da altri reagenti fini trascinati a temperatura tale che il fosforo, condensando, non venga pure abbattuto. L'aeriforme restante è costituito da vapori di fosforo, CO e SiF4 e viene inviato in una torre dove viene spruzzata dell'acqua (badando che la temperatura non scenda sotto i 60 °C). Il fosforo così condensa ma non solidifica e si raccoglie sott'acqua. Quest'ultima, per reazione con SiF4, si è trasformata in soluzione di acido metasilicico e fluorosilicico. Il CO, integralmente defosforato e defluorurato, viene anche deumidificato per raffreddamento e usato poi come combustibile. Le scorie prodotte dal forno, costituite essenzialmente da CaSiO3, sono buoni additivi per cementi e conglomerati bituminosi. Dal basso del forno si scarica anche la lega ferro - fosforo, usata in siderurgia. Il fosforo liquido, trattato con decolorante, viene pompato poi alla filtrazione e successivamente fatto solidificare in forma "bianca" e foggiato in pezzature commerciali sott'acqua o in ambiente di anidride carbonica. Sempre conservato in acqua, il fosforo bianco viene immesso al consumo.
Applicazioni
L'acido fosforico concentrato (H3PO4) è ampiamente usato per la produzione di fertilizzanti. Oltre a ciò
i fosfati sono usati nei vetri speciali per le lampade al sodio;
il fosfato di calcio è usato per la produzione della porcellana e per la produzione del mono-fosfato di calcio, usato come lievitante;
viene usato nella produzione di acciai e bronzi speciali;
il fosfato trisodico è impiegato per addolcire l'acqua e prevenire le ostruzioni da calcare;
il fosforo bianco trova impiego nell'industria bellica per la produzione di ordigni incendiari, bombe fumogene e proiettili traccianti.
diversi composti di fosforo sono usati nella produzione di fiammiferi.
il fosforo è utilizzato nel drogaggio dei semiconduttori per aumentarne la conducibilità.
Funzione biologica
I composti del fosforo sono coinvolti nelle funzioni vitali di tutte le forme di vita conosciute.
Gruppi fosfato sono parte delle molecole del DNA, dell'RNA, dell'ATP e dei fosfolipidi. Il fosfato di calcio è un componente essenziale delle ossa.
Elemento strutturale di denti, ossa e cellule, il fosforo è un minerale che rappresenta più dell'1% del peso corporeo.
Il fosforo è indispensabile in vari processi di produzione di energia (metabolismo dei grassi, dei carboidrati e delle proteine) e stimola le contrazioni muscolari; il fosforo è inoltre necessario nella mediazione intracellulare, assicura la funzionalità renale e la trasmissione degli impulsi nervosi.
Fonti alimentari di fosforo sono cereali, verdure, latte, carni bovine, pesce, pollame e legumi. Dai 25 anni in poi la dose raccomandata di fosforo è di /die.
I neonati sino a 6 mesi hanno un fabbisogno di 300 mg/die, mentre dai 6 mesi a 1 anno la dose raccomandata è di 600 mg/die. I bambini da 1 a 10 anni hanno un fabbisogno di 800 mg/die; dagli 11 ai 24 anni il fabbisogno è pari a 1200 mg/die.
Sebbene la carenza di fosforo sia rara in quanto il minerale è presente in una grande varietà di alimenti, un'assunzione insufficiente può determinare difficoltà nella crescita, disturbi ossei come l'osteoporosi, alterazioni della conduzione nervosa, stanchezza mentale e fisica.
Al fosforo e al consumo di pesce è stato attribuito un effetto positivo sull'intelligenza e sulla memoria. Da alcuni studi è emerso che effettivamente il consumo di pesce agevola l'intelligenza verbale e visospaziale, ma ciò non sarebbe dovuto al fosforo, bensì probabilmente alla funzione di alcuni acidi grassi presenti nel pesce, in particolare omega-3 e omega-6.
Una adeguata quantità di fosforo è necessaria all'assimilazione del calcio. La fitina è necessaria per il metabolismo del fosforo.
Precauzioni
.
L'allotropo bianco va conservato sotto acqua e va manipolato solo con pinze, dato che il contatto con la pelle può causare ustioni. L'avvelenamento cronico provoca la necrosi del tessuto osseo. Gli esteri fosforici sono velenosi per il sistema nervoso, mentre i fosfati inorganici sono sostanzialmente atossici.
Lo sversamento di grandi quantità di fertilizzanti o detergenti a base fosforica causa l'inquinamento del suolo e l'eutrofizzazione delle acque.
Note
Bibliografia
Voci correlate
Ciclo del fosforo
Fosforo bianco
Fosforo rosso
Fosfolo
Fosforo (mitologia)
Altri progetti
Collegamenti esterni
Armi chimiche |
1924 | https://it.wikipedia.org/wiki/Ferro | Ferro | Il ferro è l'elemento chimico di numero atomico 26. Il suo simbolo è Fe, che prende origine da ferrum, il nome latino di questo elemento metallico. È il primo elemento del gruppo 8 del sistema periodico, facente parte del blocco d, ed è quindi un elemento di transizione della prima serie (4° periodo). Nella vecchia nomenclatura la triade ferro, cobalto e nichel faceva parte del gruppo VIII della tavola periodica, e questo era detto proprio gruppo del ferro.
Il ferro chimicamente puro in condizioni ambiente è un metallo relativamente tenero, duttile e malleabile, e chimicamente piuttosto reattivo. Al di sotto di 768 °C, punto di Curie, esibisce ferromagnetismo (fenomeno che prende il nome proprio dal ferro); nel ferro, infatti, questo si manifesta più intensamente che nel cobalto o nel nichel, che sono gli elementi immediatamente successivi nella tavola periodica. Un campione di ferro puro abraso di fresco ha lucentezza grigio-argentea, che però all'aria, per azione dell'ossigeno e dell'umidità, va lentamente persa e la superficie poi si ricopre di una patina incoerente, nota come ruggine; questa consiste di ossidi e ossidi-idrossidi misti (tra cui FeOOH). La ruggine, tuttavia, non protegge il metallo sottostante da ulteriore corrosione, con il conseguente notevole impatto economico, che si è cercato di quantificare.
Questo elemento si trova quasi sempre legato ad altri quali: carbonio, silicio, manganese, cromo, nichel, ecc. Con il carbonio il ferro forma le sue due leghe più conosciute: l'acciaio e la ghisa. La parola "ferro" è scorrettamente usata nel linguaggio comune per indicare anche le "leghe di ferro" a bassa resistenza, gli acciai dolci.
A livello industriale si riesce ad ottenere ferro con una purezza che si avvicina al 100%. Questo prodotto viene poi utilizzato per essere legato ad altri elementi chimici per ottenere leghe dalle più diverse caratteristiche.
Estremamente importante nella tecnologia per le sue caratteristiche meccaniche e la sua lavorabilità, in passato fu tanto importante da dare il nome ad un intero periodo storico: l'età del ferro.
Formazione
Il ferro si forma per Nucleosintesi stellare all'interno delle stelle di grande massa.
Storia
Le prime prove di uso del ferro vengono dai Sumeri e dagli Ittiti, che già 4000 anni avanti Cristo lo usavano per piccoli oggetti come punte di lancia e gioielli ricavati dal ferro recuperato da meteoriti.
Durante il medioevo in alchimia il ferro era associato a Marte.
La storia dell'impiego e della produzione del ferro è comune a quella delle sue leghe al carbonio: ghisa e acciaio.
Caratteristiche
Gli studiosi hanno stimato che il ferro sia il metallo più abbondante all'interno della Terra, in quanto presente in grandi quantità nel nucleo e nel mantello terrestre, assieme a nichel e zolfo. Limitatamente alla crosta terrestre, il ferro, invece, è il quarto elemento più abbondante con una percentuale in peso pari a circa 6,3%, preceduto da ossigeno (46%), silicio (27%) e alluminio (8,1%), mentre si stima che sia il sesto elemento per abbondanza nell'intero universo (con una percentuale in peso di circa 0,11%), preceduto da idrogeno (75%), elio (23%), ossigeno (1%), carbonio (0,5%) e neon (0,13%).
La grande quantità di ferro presente al centro della Terra non può essere tuttavia causa del campo geomagnetico, poiché questo elemento si trova con ogni probabilità a una temperatura superiore alla temperatura di Curie oltre la quale non esiste ordinamento magnetico nel reticolo cristallino.
Il ferro è un metallo che viene estratto dai suoi minerali, costituiti da composti chimici del ferro stesso, prevalentemente ossidi. Infatti sulla crosta terrestre il ferro non si rinviene quasi mai allo stato elementare metallico ( ferro nativo), ma quasi totalmente sotto forma di composti in cui è presente allo stato ossidato. Per ottenere ferro metallico è necessario procedere ad una riduzione chimica dei suoi minerali. Il ferro si usa solitamente per produrre acciaio che è una lega a base di ferro, carbonio ed altri elementi.
Il nuclide più abbondante del ferro, il 56Fe, ha la più piccola massa (930,412 MeV/c2) per nucleone, ma non è il nuclide più fortemente legato, primato che spetta al 62Ni.
Forme allotropiche del ferro
Esistono tre forme allotropiche del ferro denominate:
ferro alfa
ferro gamma
ferro delta.
Tali denominazioni seguono l'ordine alfabetico delle lettere greche: infatti in passato esisteva anche la denominazione "ferro beta", che è stata successivamente abbandonata in quanto non si tratta in realtà di una forma allotropica del ferro, come invece si pensava, bensì di una forma paramagnetica del ferro alfa, del quale preserva la struttura.
Nel seguente diagramma di fase del ferro puro, ognuna di queste forme allotropiche presenta un campo di esistenza in un determinato intervallo di temperatura:
il campo di esistenza del ferro alfa si estende fino a temperature fino a 910 °C;
il campo di esistenza del ferro gamma si estende a temperature comprese tra 910 °C e 1 392 °C;
il campo di esistenza del ferro delta si estende a temperature comprese tra 1 392 °C e 1 538 °C.
In genere, le varie forme allotropiche vengono indicate con lettere consecutive dell'alfabeto greco partendo dalla temperatura ambiente; nel caso del ferro viene saltata la lettera beta perché erroneamente essa era stata attribuita al ferro non magnetico presente a temperature comprese tra 768 °C (punto di Curie) e 910 °C. Le varie forme allotropiche del ferro sono differenti dal punto di vista strutturale: il ferro alfa, beta e delta presentano un reticolo cubico a corpo centrato con 2 atomi (1 "atomo intero" al centro della cella più 8 "ottavi di atomo" in corrispondenza dei vertici della cella) con una costante di reticolo maggiore nel caso del ferro delta, mentre il ferro gamma presenta un reticolo cubico a facce centrate con 4 atomi (6 "mezzi atomi" al centro delle facce della cella più 8 "ottavi di atomo" in corrispondenza dei vertici della cella).
Le soluzioni solide interstiziali del carbonio nel ferro assumono nomi differenti a seconda della forma allotropica del ferro in cui il carbonio è solubilizzato:
ferrite alfa: carbonio in ferro alfa;
austenite: carbonio in ferro gamma;
ferrite delta: carbonio in ferro delta.
Disponibilità
Il ferro è uno degli elementi più comuni sulla Terra, della cui crosta costituisce circa il 5%. La maggior parte si trova in minerali costituiti da suoi vari ossidi, tra cui ematite, magnetite, limonite e taconite.
Si ritiene che il nucleo terrestre sia costituito principalmente da una lega di ferro e nichel, la stessa di cui è costituito circa il 5% delle meteore. Benché rari, i meteoriti sono la principale fonte di ferro allo stato metallico reperibile in natura, per esempio quelle del Canyon Diablo, in Arizona.
Il ferro si trova anche in forma nativa sebbene in piccole quantità e in siti di impatti meteorici.
Produzione
Industrialmente il ferro è estratto dai suoi minerali, principalmente l'ematite (Fe2O3) e la magnetite (Fe3O4), per riduzione con carbonio in una fornace di riduzione a temperature di circa 2.000 °C. Nella fornace di riduzione la carica, una miscela di minerale di ferro, carbonio sotto forma di coke e calcare, viene messa nella parte alta della fornace mentre una corrente di aria calda viene forzata nella parte inferiore.
Nella fornace il carbon coke reagisce con l'ossigeno dell'aria producendo monossido di carbonio:
2C + O2 -> 2CO
Il monossido di carbonio riduce il minerale di ferro (nell'equazione seguente ematite) per fondere il ferro, diventando biossido di carbonio nella reazione:
3CO + Fe2O3 -> 2Fe + 3CO2
Il calcare serve a fondere le impurità presenti nel materiale, principalmente biossido di silicio, sabbia ed altri silicati. Al posto del calcare (carbonato di calcio) è possibile usare la dolomite (carbonato di magnesio). A seconda delle impurità che devono essere rimosse dal minerale possono essere usate altre sostanze. L'alta temperatura della fornace decompone il calcare in ossido di calcio (calce viva):
CaCO3 -> CaO + CO2
Poi l'ossido di calcio si combina con il diossido di silicio per formare la scoria
CaO + SiO2 -> CaSiO3
La scoria fonde nel calore dell'altoforno (il diossido di silicio da solo resterebbe solido) e galleggia sopra il ferro liquido, più denso. Lateralmente l'altoforno ha dei condotti da cui è possibile spillare la scoria liquida o il ferro fuso a scelta. Il ferro così ottenuto è detto ghisa di prima fusione mentre la scoria, chimicamente inerte, può essere usata come materiale per la costruzione di strade o in agricoltura come concime per arricchire suoli poveri di minerali.
Nel 2000 sono state prodotte nel mondo circa 1,1 miliardi di tonnellate di minerale di ferro per un valore commerciale stimato di circa 250 miliardi di dollari, da cui si sono ricavate 572 milioni di tonnellate di ghisa di prima fusione. Anche se l'estrazione di minerali di ferro avviene in 48 paesi, il 70% della produzione complessiva è coperto dai primi cinque: Cina, Brasile, Australia, Russia e India.
Produzione mondiale
Analisi
Analisi colorimetrica
Gli ioni ferro(II) (Fe2+) e ferro(III) (Fe3+) formano complessi di colore rosso con numerosi composti organici. Due di questi complessi sono usati a scopo analitico e la concentrazione dello ione ferro(II) o ferro(III) viene dedotta dalla misura dell'intensità del colore del complesso formatosi.
Metodo del tiocianato
Il campione in soluzione acida per acido cloridrico o acido nitrico 0,05 M-0,5 M viene trattato con un eccesso di soluzione di tiocianato di potassio (KSCN); gli ioni tiocianato formano con gli ioni di ferro(III) dei complessi colorati rosso-ruggine, in eccesso di tiocianato lo ione complesso maggioritario è Fe[(SCN)6]3-. Gli ioni ferro(II) non reagiscono, ma possono essere preventivamente ossidati a ioni ferro(III).
L'assorbanza della soluzione viene letta alla lunghezza d'onda di circa .
Tra i cationi che possono interferire nella misura vi sono l'argento, il rame, il nichel, il cobalto, lo zinco, il cadmio, il mercurio e il bismuto; tra gli anioni vi sono i fosfati, i fluoruri, gli ossalati e i tartrati che possono formare complessi abbastanza stabili con gli ioni di ferro(III), competendo con il tiocianato. I sali di mercurio(I) e di stagno(II) vanno ossidati ai corrispondenti sali di mercurio(II) e di stagno(IV), perché distruggono il complesso colorato.
Qualora la presenza di interferenti fosse eccessiva, è possibile precipitare gli ioni ferro(III) in forma di idrossido per trattamento con una soluzione acquosa di ammoniaca concentrata, separare l'idrossido di ferro(III) ottenuto e scioglierlo nuovamente nell'acido cloridrico diluito; oppure estrarre il complesso tiocianato di ferro(III) con una miscela 5:2 di 1-pentanolo ed etere etilico.
Metodo dello-fenantrolina
Gli ioni ferro(II) formano un complesso rosso-arancione con l'o-fenantrolina [(C12H18N2)3Fe]2+ o [Fe(phen)3]2+, la cui l'intensità dipende dal pH nell'intervallo tra 2 e 9. L'assorbanza della soluzione viene letta alla lunghezza d'onda di 510 nm.
Gli ioni ferro(III) vengono preventivamente ridotti a ioni ferro(II) per trattamento con cloruro di idrossilammonio o idrochinone.
Tra gli interferenti vi sono il bismuto, l'argento, il rame, il nichel, il cobalto e gli ioni perclorato.
Applicazioni
Il ferro è il metallo in assoluto più usato dall'umanità, rappresenta da solo il 95% della produzione di metalli del mondo. Il suo basso costo e la sua resistenza nella forma detta acciaio ne fanno un materiale da costruzione indispensabile, specialmente nella realizzazione di automobili, di scafi di navi e di elementi portanti di edifici. I composti del ferro più utilizzati comprendono:
la ghisa di prima fusione, contenente tra il 4% e 5% di carbonio e quantità variabili di diverse impurezze quali lo zolfo, il silicio ed il fosforo. Il suo principale impiego è quello di intermedio nella produzione di ghisa di seconda fusione e di acciaio;
la ghisa di seconda fusione, la ghisa propriamente detta, che contiene tra il 2,06% ed il 3,5% di carbonio e livelli inferiori delle impurezze sopra menzionate, tali da non incidere negativamente sulle proprietà reologiche del materiale. Ha un punto di fusione compreso tra 1 150 °C e 1 200 °C, inferiore a quello di ferro e carbonio presi singolarmente ed è quindi il primo prodotto a fondere quando ferro e carbonio sono scaldati insieme. È un materiale estremamente duro e fragile, si spezza facilmente, persino quando viene scaldato al calor bianco;
l'acciaio, che contiene quantità di carbonio variabile tra lo 0,10% e l'2,06%. Secondo il tenore o percentuale di carbonio si dividono in:
extradolci (meno dello 0,15%);
dolci (da 0,15% a 0,25%);
semiduri (da 0,25% a 0,50%);
duri (oltre lo 0,50% e fino al 2,06%).
Il ferro comune, tecnicamente detto battuto o dolce contiene meno dello 0,5% di carbonio, quindi si tratta comunque di acciaio. È un materiale duro e malleabile. Spesso tuttavia con il termine ferro vengono indicati comunemente l'acciaio extradolce e quello dolce. Un ferro particolarmente puro, noto come "ferro Armco", viene prodotto dal 1927 con particolari procedimenti ed è impiegato dove si richiede un'elevatissima permeabilità magnetica e un'isteresi magnetica trascurabile.
Gli acciai speciali o legati, oltre a contenere carbonio sono addizionati di altri metalli quali il cromo, il vanadio, il molibdeno, il nichel e il manganese per conferire alla lega particolari caratteristiche di resistenza fisica o chimica.
L'ossido di ferro(III) (Fe2O3), nelle varietà magnetite e maghemite, usato per le sue proprietà magnetiche come materiale per la produzione di supporti di memorizzazione, ad esempio supportato su polimeri nei nastri magnetici.
Ruolo biologico
Il ferro è essenziale per la vita di tutti gli esseri viventi, eccezione fatta per pochi batteri.
Gli animali inglobano il ferro nel complesso eme, un componente essenziale delle proteine coinvolte nelle reazioni redox come la respirazione. Eccessi di ferro aumentano quindi le reazioni redox provocando così un aumento dei radicali liberi. Per evitare ciò, il ferro nel nostro organismo è legato a proteine che regolano il suo stato di ossidazione. Il ferro inorganico si trova anche negli aggregati ferro-zolfo di molti enzimi, come le azotasi e le idrogenasi.
Inoltre esiste una classe di enzimi basati sul ferro, classe che è responsabile di un'ampia gamma di funzioni di svariate forme di vita quali: la metano-monoossigenasi (conversione del metano in metanolo), la ribonucleotide riduttasi (conversione del ribosio in desossiribosio), le emeritrine (fissazione e trasporto dell'ossigeno negli invertebrati marini) e l'acido fosfatasi porpora (idrolisi degli esteri dell'acido fosforico).
La distribuzione degli ioni ferro nei mammiferi è regolata in maniera molto rigorosa. Quando ad esempio il corpo è soggetto ad un'infezione, l'organismo "sottrae" il ferro rendendolo meno disponibile anche ai batteri (transferrina). Questo è il caso dell'epcidina, una proteina prodotta dal fegato che, legando e degradando la ferroportina, inibisce il rilascio di ferro dagli enterociti e dai macrofagi.
Tra le migliori fonti alimentari di ferro si annoverano la carne, il pesce, i fagioli, il tōfu e i ceci. Contrariamente a quanto generalmente ritenuto, nonostante gli spinaci ne siano ricchi, il ferro in essi contenuto non è biodisponibile per l'assorbimento; gli spinaci diminuiscono la biodisponibilità del ferro perché con essi si formano dei composti di coordinazione con conseguente spreco.
Il ferro assunto tramite integratori alimentari è spesso nella forma di fumarato o gluconato di ferro(II): il loro uso è sconsigliato . Le dosi consigliate di ferro da assumere quotidianamente variano con l'età, il genere . Il ferro assunto come eme ha una maggiore biodisponibilità rispetto a quello presente in altri composti. I livelli di assunzione raccomandati (LARN) sono:
10 mg/die per gli uomini dai 18 ai 60 anni
10 mg/die per le donne sopra i 50 anni
12 mg/die per gli adolescenti maschi e le femmine senza mestruazioni
18 mg/die per le donne dai 14 ai 50 anni e per le nutrici
30 mg/die per le gestanti.
Metabolismo
Il ferro viene assorbito a livello del duodeno. Il ferro legato al gruppo eme è di più facile assorbimento rispetto al ferro non eme. La carne contiene circa il 40% di ferro eme e il 60% di ferro non eme. Del ferro contenuto nella carne, eme e non eme, ne viene assorbito circa il 10-30%, percentuale che sale fino al 40% se si considera il solo ferro eme. Gli alimenti vegetali contengono solo ferro non eme di più difficile assorbimento, infatti del ferro di origine vegetale si assorbe infatti meno del 5%. In totale una persona priva di carenze assorbe in media circa il 10% del ferro introdotto con la dieta.
Del ferro introdotto con la dieta circa l'80% è incorporato nel gruppo eme (non è influente lo stato di ossidazione); il restante 20% è immagazzinato come ferro non emico che deve essere necessariamente nella forma ridotta.
La riduzione avviene facilmente a pH acido, quindi nello stomaco o in presenza di sostanze riducenti come la vitamina C.
Nelle cellule e nei fluidi corporei (sangue e linfa) il ferro non è mai libero, ma è legato a specifiche proteine di trasporto. All'interno delle cellula della mucosa intestinale il ferro si lega all'apoferritina; il complesso neoformato si chiama ferritina. Dopodiché il ferro viene liberato e ossidato per raggiungere il circolo sanguigno. Nel sangue il ferro si lega alla transferrina. Come tale viene trasportato al fegato dove si deposita come ferritina ed emosiderina. Dal fegato, a seconda delle necessità dell'organismo, il ferro viene trasportato ai vari organi, ad esempio al tessuto muscolare, dove è fondamentale per la sintesi della mioglobina o a livello del midollo osseo rosso dove è impiegato per la sintesi dell'emoglobina.
Il ferro-eme è una sostanza pro-ossidante che favorisce la formazione di N-nitroso composti nel lume intestinale e in generale la produzione di radicali liberi.
Isotopi
Dell'elemento ferro si conoscono almeno trenta isotopi, con numeri di massa che vanno da A = 45 ad A = 74, o A = 75. Tra questi, gli isotopi stabili (o almeno apparentemente stabili) del ferro esistenti in natura sono i quattro che seguono, con le loro abbondanze relative in parentesi: 54Fe (5,845%), 56Fe (91,754%), 57Fe (2,119%) e 58Fe (0,282%).
Isotopi stabili
Il primo di questi, il 54Fe, è un isotopo stabile osservativamente, anche se teoricamente potrebbe decadere esotermicamente a 54Cr (stabile) attraverso una doppia cattura elettronica (εε) con emissione di due neutrini, rilasciando un'energia di ~0,68 MeV. Tuttavia, l'emivita stimata per questo processo è di oltre 4,4·1020 anni o 3,1·1022 anni (periodo di migliaia di miliardi di volte superiore all'età dell'Universo) e, ad oggi, non ci sono evidenze sperimentali conclusive per questo decadimento che, in ogni caso, sarebbe del tutto inavvertibile e privo di qualsiasi conseguenza da un punto di vista pratico. Una situazione potenzialmente analoga si ha per il primo isotopo stabile del nichel, il 58Ni, anch'esso soggetto a doppia cattura elettronica a dare l'ultimo isotopo stabile del ferro, il 58Fe.
Il 56Fe (o Fe-56) è il più abbondante ed è stato da più parti in passato ritenuto erroneamente il nuclide più fortemente legato, quello cioè avente la più alta energia di legame per nucleone. Tale primato spetta invece al 62Ni, mentre il 56Fe viene al terzo posto, dopo il 58Fe.
Il primato del 56Fe è invece quello di avere la minima massa per nucleone (930,412 MeV/c2), per il fatto puro e semplice che ha un maggior rapporto Z/N (protoni/neutroni) rispetto al Ni-62 (930,417 MeV/c2), essendo i protoni più leggeri (meno massivi) dei neutroni. Questo vuol dire che, se ci fossero adatte sequenze di reazioni nucleari e ammettendo per esse il raggiungimento di uno stato di equilibrio (e-process), il 56Fe risultebbe il prodotto più stabile.
A livello cosmico l'abbondanza dei metalli di transizione della prima serie presenta un picco centrato sull'elemento ferro, in particolare sul Fe-56, il quale sovrasta gli isotopi più abbondanti dei suoi vicini a sinistra (Ti, V, Cr, Mn) e a destra (Co, Ni, Cu, Zn) nella tavola periodica; questo è noto come picco del ferro, e qui il nichel risulta secondo con il 58Ni, che è però più di un ordine di grandezza meno abbondante.
Il Fe-56 costituisce il principale punto di arrivo della nucleosintesi all'interno delle stelle massive e come tale riveste particolare interesse per la fisica nucleare e l'astrofisica. Nella fase di evoluzione stellare nota come processo di fusione del silicio, in particolare del 28Si (7 particelle alfa), che avviene soprattutto nel nucleo delle stelle più massive, ma specialmente nelle esplosioni di supernove, vengono prodotti nuovi nuclei per successiva incorporazione esotermica di particelle alfa (nuclei di He-4) fino ad arrivare al 56Ni (14 particelle alfa). Questo nuclide è radioattivo a vita breve (T1/2 ≈ 6 giorni) e decade ε/β+ a 56Co, che poi decade anch'esso con la stessa modalità (T1/2 ≈ 77 giorni) a 56Fe, stabile. In tal modo il Fe-56 può accumularsi e divenire il più abbondante tra gli elementi metallici nell'universo, dove è il sesto (1090 ppm) per abbondanza assoluta, dopo H, He, O, C e Ne. È ipotizzabile che la sovrapponibilità della curva di abbondanza cosmica di tali elementi (e segnatamente dei loro isotopi più fortemente legati) con la curva dell'energia di legame per nucleone abbia potuto generare la confusione.
Il 57Fe ha un isomero nucleare (stato eccitato metastabile), 57mFe, spin 3/2, a soli 14,4 keV sopra lo stato fondamentale. Questo permette l'utilizzo su di esso della spettroscopia di risonanza Mössbauer sfruttando la transizione tra lo stato eccitato e quello fondamentale con elevata risoluzione. Questo isotopo è quello di gran lunga più facile da assoggettare a questa spettroscopia; come sorgente di radiazione gamma necessaria allo scopo di innalzare allo stato eccitato il 57Fe si usa l'isotopo radioattivo 57Co, il quale decade per cattura elettronica ad uno stato eccitato del 57Fe.
Il 57Fe è inoltre l'unico isotopo stabile del Fe ad avere spin nucleare (1/2, con parità negativa), il che permette di utilizzare la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare. Il valore semi-intero dello spin implica il vantaggio dell'assenza di momento di quadrupolo nucleare, il che permette di ottenere spettri ad alta risoluzione per campioni in soluzione in adatti solventi. In tal caso, come standard primario si usa il ferro pentacarbonile; come standard secondari il ferrocene e il ferrocianuro di potassio. Entrambe le spettroscopie sono tecniche di notevole valore diagnostico strutturale e chimico e, grazie a questo isotopo, il ferro e i suoi composti, allo stato solido per la risonanza Mössbauer, e in soluzione per la risonanza magnetica, possono disporne per essere utilmente indagati.
Il 58Fe è l'isotopo del ferro meno abbondante sulla Terra (~0,28%), ma nei raggi cosmici galattici arriva prossimo ad un'abbondanza del 6%, o comunque maggiore del rapporto terrestre. Questo nuclide, proprio per la sua scarsità percentuale, è stato studiato come possibile tracciante non radioattivo in processi biologici.
Isotopi radioattivi
Il Fe-52 decade a Mn-52 (radioattivo) per cattura elettronica (42%) e per emissione di positrone (β+) (58%), rilasciando 2,380 MeV; l'emivita è 8,275 ore; il Mn-52 decade a sua volta, per cattura elettronica e emissione di positrone (β+), a Cr-52, stabile. Questo isotopo radioattivo del ferro, complessato con leganti macrociclici e unito poi ad anticorpi monoclonali, trova applicazione in medicina a scopo diagnostico, per il quale uso risulta uno degli isotopi di prima scelta.
Il Fe-53 decade a Mn-53 (radioattivo) per cattura elettronica e per emissione di positrone (β+), rilasciando 3,743 MeV; l'emivita è 2,51 minuti; il Mn-53 decade a sua volta, per sola cattura elettronica, a Cr-53, stabile.
Il Fe-55 decade a Mn-55 (stabile) per cattura elettronica, rilasciando 0,231 MeV; l'emivita è 2,74 anni.
Il Fe-59 decade β- a Co-59 (stabile), rilasciando 1,565 MeV; l'emivita è 44,49 giorni.
Il 60Fe è un nuclide radioattivo che decade β− a 60Co (che, a sua volta, decade β− a 60Ni, stabile). La sua emivita è di 2,62 milioni di anni (fino al 2009 si credeva fosse di 1,5 milioni di anni) ed è ormai "estinto". Molti lavori di datazione basati sul ferro si basano proprio sulla misura del tenore di 60Fe in meteoriti e minerali.
In alcune parti delle meteoriti Semarkona e Chervony Kut si è osservata una correlazione tra la concentrazione di 60Ni, il prodotto finale del decadimento di 60Fe, e le abbondanze degli altri isotopi stabili del ferro; questo prova che 60Fe esisteva all'epoca della nascita del sistema solare. È inoltre possibile che l'energia prodotta dal suo decadimento abbia contribuito, insieme a quella del decadimento di 26Al, alla ri-fusione ed alla differenziazione degli asteroidi al tempo della loro formazione, 4,6 miliardi di anni fa.
Composti
Gli stati di ossidazione più comuni del ferro comprendono:
il ferro(0), che dà complessi organometallici come Fe(CO)5
il ferro(II), che dà composti di Fe2+, è molto comune (il suffisso -oso è obsoleto, IUPAC).
il ferro(III), che dà composti di Fe3+, è anche molto comune, per esempio nella ruggine (il suffisso -ico è obsoleto, IUPAC).
il ferro(IV), Fe4+, che dà composti talvolta denominati di ferrile, è stabile in alcuni enzimi (e.g. perossidasi).
il carburo di ferro Fe3C è conosciuto come cementite.
È anche noto il ferro(VI), uno stato raro presente per esempio nel ferrato di potassio.
Si veda anche ossido di ferro.
Precauzioni
Un apporto eccessivo di ferro tramite l'alimentazione è tossico perché l'eccesso di ioni ferro(II) reagisce con i perossidi nel corpo formando radicali liberi. Finché il ferro rimane a livelli normali, i meccanismi anti-ossidanti del corpo riescono a mantenere il livello di radicali liberi sotto controllo.
Un eccesso di ferro può produrre disturbi (emocromatosi); per questo l'assunzione di ferro tramite medicinali e integratori va eseguita sotto stretto controllo medico e solo in caso di problematiche legate alla carenza di ferro.
Note
Bibliografia
Voci correlate
Acciaio
Ghisa
Acciai legati
Fassaite
Clorato ferroso
Nanopolvere di ferro
Altri progetti
Collegamenti esterni |
1925 | https://it.wikipedia.org/wiki/Formula%20bruta | Formula bruta | La formula bruta (o formula grezza) di una specie chimica è una particolare formula chimica che fornisce informazioni sul numero e sulla natura chimica degli atomi che costituiscono la specie chimica in questione.
Formula minima e formula molecolare
Esistono due tipologie di formula bruta:
formula minima (o formula empirica): indica il rapporto tra il numero di atomi differenti che costituiscono una specie chimica, senza indicare esattamente il numero di atomi;
formula molecolare: indica il numero degli atomi che costituiscono una specie chimica.
La formula minima e la formula molecolare sono differenti se gli indici della formula hanno un massimo comune divisore diverso da 1 (cioè se gli indici sono tutti multipli di un numero intero maggiore di 1), mentre sono identiche in tutti gli altri casi.
Nel caso dei cristalli ionici tutti gli atomi del cristallo sono legati tra loro da legami chimici intramolecolari, per cui volendo descrivere la struttura chimica esatta del cristallo dovremmo conoscere il numero esatto di tutti gli atomi che compongono il cristallo, che saranno un numero elevatissimo (più o meno dello stesso ordine della costante di Avogadro), per cui non è praticamente possibile in questi casi e non avrebbe alcuna utilità pratica utilizzare la formula molecolare, per cui nel caso dei cristalli ionici si preferisce utilizzare la formula minima; il numero di esatto di atomi può comunque essere valutato dalla formula minima conoscendo il valore della massa del cristallo.
Discorso analogo vale nel caso dei metalli, i cui atomi sono tutti legati tra di loro.
La formula molecolare è invece generalmente utilizzata per indicare singole molecole (tranne che si tratti di macromolecole): per tale motivo si chiama appunto "formula molecolare".
Esempi
Nella tabella seguente sono indicati alcuni esempi di formula minima e formula molecolare di alcune specie chimiche:
Costruzione della formula bruta
In una formula bruta la natura chimica degli atomi è indicata rappresentando gli atomi di uno stesso elemento chimico (cioè gli atomi aventi lo stesso numero atomico) con dei simboli (detti appunto "simboli chimici") costituiti generalmente da una o due lettere (o tre lettere nel caso di nomi provvisori degli elementi chimici artificiali), con la cui prima lettera è sempre maiuscola. Ad esempio il simbolo H corrisponde all'idrogeno, il simbolo Cl corrisponde al cloro e così via. I simboli utilizzati per rappresentare gli elementi chimici sono indicati nella tavola periodica degli elementi, ideata da Mendeleev nel 1869.
A pedice di ciascun simbolo chimico contenuto in una formula bruta è indicato il numero degli atomi dello stesso elemento chimico contenuti nella specie chimica in esame; tale numero è chiamato "indice". Tale indice viene omesso se è pari a 1.
I simboli degli elementi chimici di una formula bruta sono in genere indicati in ordine di elettronegatività crescente; alcune eccezioni a tale regola sono l'idrogeno negli alcoli (che è indicato alla fine della formula accanto all'ossigeno, ad esempio: C2H5OH) e il carbonio nei composti organici (che è indicato all'inizio della formula, ad esempio: CH4). Un'altra eccezione a tale regola è data dalla formula bruta dell'ammoniaca (NH3), in cui l'azoto (N) è indicato prima dell'idrogeno (H), sebbene l'azoto abbia un'elettronegatività maggiore (3,04 contro 2,20 nella scala Pauling).
Svantaggi
La "formula bruta" presenta alcuni svantaggi rispetto alla formula di struttura, in quanto non è in grado né di rappresentare la struttura della molecola né di differenziare i suoi isomeri. Ad esempio C6H12O6 è la formula bruta di tutti gli zuccheri esosi (cioè composti da 6 atomi di carbonio) tra cui glucosio, fruttosio e mannosio. In questo caso la formula bruta non è sufficiente a identificare un particolare tipo di esoso.
Nel caso in cui si abbia la necessità di indicare in maniera esplicita i raggruppamenti di atomi (o gruppi funzionali) di una specie chimica, si preferisce invece fare uso della formula condensata, che è una via di mezzo tra una formula bruta e una formula di struttura, in quanto permette di avere un'idea approssimativa del modo in cui alcuni atomi sono legati tra loro.
Note
Bibliografia
Voci correlate
Formula di struttura
Formula minima
Unità di formula
Rappresentazioni delle molecole |
1929 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fase%20%28astronomia%29 | Fase (astronomia) | Un astro presenta delle fasi quando la sua porzione visibile ad un osservatore è illuminata dal Sole in modo via via diverso nel tempo.
Per un osservatore terrestre i corpi che presentano fasi evidenti sono il nostro satellite naturale (la Luna) e i pianeti interni (Venere e Mercurio).
La Luna presenta queste fasi:
Luna nuova o novilunio quando è in congiunzione col Sole e quindi la faccia visibile dalla Terra non è illuminata da quest'ultimo. In tal caso, immersa nella luce solare, risulta invisibile (a meno che non produca un'eclisse solare);
luna piena o plenilunio quando è in opposizione col Sole e quindi la faccia visibile è completamente illuminata (e in tale posizione può eventualmente essere soggetta ad un'eclisse lunare);
primo quarto e ultimo quarto quando è prossima, ma non esattamente, alla quadratura, ed ha quindi illuminata solo metà della sua faccia visibile;
intermedia (crescente o calante) quando si trova in una situazione compresa fra uno dei precedenti casi. Più precisamente la luna è crescente quando si trova fra la fase di luna nuova e di luna piena (e in tal caso, vista dalla Terra, mostra la cosiddetta "gobba" a ovest); è calante quando invece si trova fra la fase di luna piena e di luna nuova (e mostra la "gobba" verso est). Ciò può essere facilmente ricordato tramite la filastrocca: "gobba a ponente, luna crescente; gobba a levante, luna calante".
I due pianeti interni, invece, trovandosi sempre durante il loro moto ad un angolo di meno di 90° dal Sole, presentano:
congiunzione inferiore quando si trovano interposti tra la Terra e il Sole, in situazione simile alla Luna nuova (e in tal caso possono eventualmente trovarsi in transito, ovvero passare davanti al disco solare);
congiunzione superiore quando si trovano prospetticamente oltre (o dietro) il Sole (e risultano perciò invisibili);
elongazione massima (orientale od occidentale) quando formano con il Sole un angolo massimo, rispetto alla Terra.
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Meccanica celeste |
1933 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fran%C3%A7ois%20Truffaut | François Truffaut | Protagonista del cinema francese tra la fine degli anni cinquanta e i primissimi anni ottanta, assieme agli amici e colleghi Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Éric Rohmer e Jacques Rivette diede vita a una nuova corrente cinematografica denominata nouvelle vague, letteralmente "nuova ondata", che traeva ispirazione dalla passata stagione del Neorealismo italiano e che influenzerà successivamente numerosi registi americani della New Hollywood.
Il suo film Effetto notte vinse il premio Oscar al miglior film straniero nel 1974. Truffaut è considerato uno dei più grandi autori cinematografici francesi nel palcoscenico internazionale; mentre nel campo della critica era ed è chiamato “il becchino del cinema contemporaneo” per il suo duro atteggiamento nei confronti della cinematografia di allora.
Biografia
L'infanzia e l'adolescenza (1932 - 1948)
François Truffaut nacque nel XVII arrondissement di Parigi, presso una levatrice in rue Léon-Cogniet, il 6 febbraio del 1932. La madre, Jeanine de Monferrand, all'epoca del suo concepimento appena diciottenne, era una segretaria nella redazione del quotidiano L'Illustration, proveniente da una famiglia di militari cattolici e conservatori originari di Belfort (nella Franca Contea), mentre il padre è Roland Truffaut, progettista presso uno studio d'architettura, che riconosce il figlio come suo, pur non essendone il genitore biologico.
Nel 1944, leggendo il diario di Roland, il futuro regista scopre la verità anche se – per accertare la vera identità del padre naturale – dovrà aspettare la fine degli anni sessanta quando, per esigenze di realizzazione del film Baci rubati (1968), assume come consulente l'investigatore privato Albert Duchenne dell'agenzia Dubly, e ne approfitta per affidargli l'ulteriore compito di individuare il suo padre biologico. Viene così a sapere che si tratta di tale Roland Lévy, un dentista, nato a Bayonne (nel dipartimento francese dei Pirenei Atlantici) in una famiglia ebraica di remote origini portoghesi, divorziato, che all'epoca viveva proprio a Belfort. Esita a lungo ma poi decide «di non allacciare i rapporti con il padre ritrovato: era davvero troppo tardi, e poi non voleva creare dei problemi al padre legale Roland Truffaut».
Le circostanze in cui avviene il concepimento segnano l'infanzia del regista. La giovanissima madre, quando scopre di essere incinta, vorrebbe abortire ma la famiglia s'oppone fermamente e, per il periodo della gravidanza, la manda in «una sorta di convitto per "traviate"». Dopo la nascita, il bambino viene dapprima messo a balia e poi mandato in campagna dalla nonna presso la quale trascorrerà i suoi primi anni di vita.
Dopo il parto la madre trova un lavoro di segretaria al giornale L'Illustration, in cui lavora anche il nonno del futuro regista, l'ex ufficiale Jean de Monferrand. Appassionata di montagna, Jeanine frequenta il Club Alpino Francese, di cui il padre è socio onorario, e qui conosce un designer industriale, Roland Truffaut. Nel novembre 1933 i due si sposano e Roland riconosce il bambino, che però andrà a vivere con la coppia solo alcuni anni più tardi, alla morte della nonna materna.
Il rapporto con la nonna è fondamentale per la nascita di una delle grandi passioni del futuro regista, quella per la lettura. Di salute cagionevole, il piccolo François non frequenta la scuola materna ed è la nonna, autrice di un libro sul bigottismo (mai pubblicato) e appassionata lettrice, che lo introduce nel mondo dei libri. È lei che dapprima legge per lui e, poi, gli insegna a leggere. L'amore per la letteratura e per i libri è una delle costanti della vita del regista fin da allora. Lui stesso dirà: «mia madre (...) non sopportava i rumori e m'impediva di muovermi e parlare per ore e ore. Allora io leggevo: era la sola occupazione a cui potessi dedicarmi senza disturbarla. Durante l'occupazione tedesca ho letto moltissimo e poiché stavo spesso solo, mi misi a leggere i libri degli adulti (...). Arrivato a tredici o quattordici anni comprai, a cinquanta centesimi al pezzo, quattrocentocinquanta volumetti grigiastri, Les Classiques Fayard, e mi misi a leggerli in ordine alfabetico (...), senza saltare un titolo, un volume, una pagina».
Alla passione per la lettura non corrisponde però un buon rapporto con le istituzioni scolastiche. Fino al 1941 frequenta il liceo Rollin in cui, secondo le sue parole, si sente un estraneo. Il fallimento dell'esame di ammissione al sesto anno è l'inizio di un lungo peregrinare tra numerose scuole: «avevo una pessima condotta, più ero punito più diventavo turbolento. A quel tempo venivo espulso molto di frequente e passavo da una scuola all'altra». Ed è proprio in una delle numerose scuole che frequenta per brevi periodi, quella sita al n. 5 di rue Milton, che il dodicenne Truffaut conosce Robert Lachenay, di un anno e mezzo più grande. Grazie alla comune passione per la letteratura e per il cinema, tra i due nasce un'amicizia che durerà tutta la vita. Nel numero speciale che i Cahiers du cinéma dedicheranno al regista nel dicembre 1984, Lachenay scrive: «l'incomprensione che i suoi genitori manifestavano per lui era simile a quella dei miei. Ciascuno di noi non aveva che l'altro a far le veci della famiglia (...) Se non ci fossimo incontrati e sostenuti a vicenda, certamente ci saremmo avviati entrambi su una brutta strada».
Il primo film che il giovanissimo François Truffaut vede è Paradiso perduto (1940) di Abel Gance, che gli comunica una forte emozione. Da allora frequenta assiduamente i cinema, spesso durante le ore di lezione, con conseguenze facilmente prevedibili sulla sua resa scolastica. Bocciato più volte, lascia presto la scuola e, poco prima della liberazione di Parigi, fugge dalla colonia in cui lo avevano mandato e trova un lavoro come magazziniere. Dopo aver perduto il lavoro, fonda un cineclub in concorrenza con quello di André Bazin, che conosce in quest'occasione. Sarà una figura fondamentale per il futuro di Truffaut.
Lo stesso Truffaut ha raccontato: «Mio padre ritrovò le mie tracce e mi consegnò alla polizia. Sono stato ospite per molto tempo del riformatorio di Villejuif da cui mi fece uscire André Bazin. Sono stato manovale in un'officina, poi mi sono arruolato per la guerra d'Indocina. Ho approfittato di una licenza per disertare. Ma, dietro consiglio di Bazin, ho raggiunto il mio reparto. In seguito sono stato riformato per instabilità di carattere». Bazin sarà per François Truffaut quell'autentica figura paterna che gli era mancata.
Sarà sempre Bazin a trovargli lavoro presso il servizio cinematografico del Ministero dell'Agricoltura e, poi, lo assumerà come critico cinematografico presso una rivista da poco fondata: Cahiers du cinéma.
Gli anni della critica (1949 - 1956)
Dopo cinque mesi di casa di correzione, nel 1949, André Bazin gli offre un lavoro nella sezione "cinema" di Travail et culture e lo introduce ad alcune riviste. Scrive i suoi primi articoli nel 1950. A seguito di una storia d'amore finita male, si arruola nell'esercito nel 1951, sperando di trovare la morte in Indocina. Inviato invece in Germania, prolunga abusivamente una licenza a Parigi. Viene quindi inviato al carcere militare per diserzione, e lì ottiene la dispensa dall'esercito per instabilità di carattere, grazie ancora una volta ad André Bazin. Lo stesso Bazin lo ospita a casa sua a Bry-sur-Marne e nel 1952 gli trova un posto di lavoro al servizio cinematografico del Ministero dell'Agricoltura, per pochi mesi, atteso che il suo contratto non verrà rinnovato.
François Truffaut pubblica articoli per Cahiers du cinéma e poi entra nella rivista Arts nel 1953. All'interno di queste riviste entra a far parte della giovane guardia che si riconosce attorno ad André Bazin, insieme a Claude Chabrol, Jacques Rivette, Jacques Demy, Éric Rohmer, Jean-Luc Godard. Il suo pamphlet Una certa tendenza del film francese afferma apertamente quel che molti registi pensano in silenzio. L'anno seguente fa il suo esordio con il cortometraggio Une visite, e scrive la sceneggiatura di A bout de souffle. Nel 1955 realizza le sue prime interviste con Alfred Hitchcock e pubblica un racconto, Antonio e l'orfano, sulla rivista Le Parisien. Nel 1956 è assunto come assistente alla regia di Roberto Rossellini, "l'uomo più intelligente che ho conosciuto," in tre film che non vengono portati a termine.
Viene poi chiamato da Henri-Pierre Roché: il collezionista ha notato uno degli articoli del giovane critico Truffaut in cui egli parla in termini elogiativi e, a suo modo di vedere, appropriati, del suo libro Jules e Jim, fino a quel momento rimasto senza successo. Come racconta Truffaut stesso, scoprì il volume tra i tanti di una bancarella. Nasce quindi un'amicizia speciale dalla condivisione delle esperienze dell'infanzia, sentimentali e il comune amore per la scrittura. L'autore incoraggia il futuro regista a realizzare dei film dai suoi due romanzi, cosa che il regista non tarderà a fare, vista la sua fascinazione per il lavoro di Henri-Pierre Roché. Dopo Jules et Jim, infatti, sarà la volta di Le due inglesi. Questo incontro rafforza in Truffaut la posizione che egli sta difendendo, con forza, in Cahiers du cinéma contro il cinema francese dell'epoca, posizione che promuove, secondo le idee di André Bazin, i film d'autore e un racconto personale, ma con uno sguardo il più possibile obiettivo e, sul piano tecnico, con l'utilizzo della profondità di campo e del piano sequenza, per mantenere una corrispondenza anche stilistica con lo scorrere della vita.
Gli anni dietro la macchina da presa (1957 - 1983)
Nel 1957 decide di passare alla realizzazione di film e fonda una società di produzione, Les Films du Carrosse, con una denominazione che costituisce un omaggio a Jean Renoir di cui celebra il film La carrozza d'oro, e gira L'età difficile. Questo «uomo che amava le donne» si sposa il 29 ottobre con Madeleine, figlia del proprietario di una società di distribuzione cinematografica, la Cocinor. La coppia ha due figlie: Laura, nata il 22 gennaio 1959, e Éva, nata il 28 giugno 1961, che comparirà ne Gli anni in tasca. Seduttore incorreggibile, divorzia nel 1964.
Nel 1959 gira I Quattrocento colpi, film dal successo immediato, che apre la strada al movimento della Nouvelle Vague e alla fama internazionale del regista. Il successo gli permette di sostenere l'anno successivo, con la sua casa di produzione, Jean Cocteau, rimasto senza produttore durante le riprese de Il testamento di Orfeo. Nello stesso anno firma il Manifesto dei 121.
Nel 1963, Les Films du Carrosse partecipa alla produzione di Mata-Hari, agente segreto H21, e Truffaut partecipa alla redazione dei dialoghi e della sceneggiatura. La sua fama è raddoppiata da Jules et Jim che gli vale nel 1965 la partecipazione da protagonista in una trasmissione televisiva, Cineasti contemporanei. Nel febbraio 1968, Truffaut difende pubblicamente Henri Langlois, minacciato di destituzione dal suo ruolo di Direttore della Cinémathèque française e si pone alla guida del Comitato per la difesa della Cinémathèque.
Nel 1968 Truffaut avanza una proposta di matrimonio alla famiglia della sua attrice preferita, Claude Jade, "la piccola fidanzata del cinema", all'epoca ancora minorenne, che ha girato con lui Baci rubati. Non si presenta, però, alla cerimonia, fuggendo un secondo matrimonio per dedicarsi alle sue iniziative professionali e politiche legate al Maggio francese. L'impegno politico dividerà Truffaut dagli altri registi della Nouvelle Vague, poiché egli si trova più a suo agio nella posizione di un uomo che attende senza ipocrisia al suo mestiere al servizio dello spettatore, piuttosto che al servizio di una causa per la quale non è sicuro che lo spettatore abbia comprato il biglietto. Nonostante il matrimonio abortito, Truffaut resta ottimo amico di Claude Jade, che reciterà ancora per lui in Non drammatizziamo... è solo questione di corna e L'amore fugge.
Il regista è veramente un «seduttore compulsivo non appena cala la sera», come si trova descritto nel diario di Henri-Pierre Roché che gli ispirò L'uomo che amava le donne, “s'innamora” di tutte le protagoniste dei suoi film, che lancia verso il successo e la fama. Fa eccezione a questa regola la sola Isabelle Adjani, protagonista di Adèle H., una storia d'amore. Il suo ultimo amore è Fanny Ardant, che dirige ne La signora della porta accanto (1981), e in Finalmente domenica! (1983), dalla quale ha una figlia, Joséphine, nata il 28 settembre 1983.
François Truffaut appare come attore in diversi suoi film, interpretando brevi camei (ad esempio in Adèle H., una storia d'amore e L'uomo che amava le donne) o anche ruoli da protagonista, come in Effetto notte, La camera verde e Il ragazzo selvaggio. Nel 1977 recita in Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg, nel ruolo dello scienziato francese Lacombe. Spielberg era infatti un grande ammiratore di Truffaut e, visto che questi parlava un pessimo inglese, gli consentì di parlare e recitare sempre in francese, con un assistente a fare da interprete di ogni sua osservazione.
La malattia e la morte (1984)
Nel marzo 1984, il regista, ammalato di tumore al cervello, accetta coraggiosamente di apparire nella trasmissione Apostrophes che Bernard Pivot gli dedica per la riedizione del libro Hitchcock-Truffaut. Operato tardivamente, Truffaut muore il 21 ottobre 1984 nell'Ospedale Americano di Parigi a Neuilly-sur-Seine. Cremato nel cimitero di Père-Lachaise, le sue ceneri si trovano al cimitero di Montmartre a Parigi.
Truffaut e Hitchcock
François Truffaut ha nutrito una grande passione per i film di Alfred Hitchcock e, insieme a Claude Chabrol e altri colleghi della rivista Cahiers du cinéma, ha avuto il merito di far rivalutare e apprezzare l'opera del maestro della suspense tanto in Europa quanto in America, dove da sempre il regista britannico era trattato dalla critica con sufficienza, nonostante gli enormi successi di pubblico.
Nel 1962 Truffaut rivolse a Hitchcock una lunga intervista pubblicata poi nel libro Il cinema secondo Hitchcock, dal quale emerge il ritratto di un regista estremamente fine e attento alla narrazione visiva, e al contempo di un uomo assai fragile che si cela dietro un apparente cinismo nei confronti della vita reale. L'intervista tratta analiticamente ciascun film di Hitchcock e ne mette in luce le innovazioni tecniche, i particolari più nascosti, le invenzioni di sceneggiatura e, talvolta, i difetti; al di là dell'enorme mole di informazioni fornite, l'aspetto più caratteristico di questa intervista è che parte da temi prettamente cinematografici per poi diventare man mano un dialogo personale tra il giovane regista e l'anziano maestro.
Esiste un estratto dalla trasmissione televisiva Apostrophe, condotta da Bernard Pivot, in cui Truffaut definisce Hitchcock come «un personaggio alla Henry James, pieno di frustrazioni» e spiega brevemente alcuni aspetti del suo fare cinema: la rappresentazione della violenza come se fosse una scena d'amore e viceversa; la scelta delle protagoniste femminili sempre bionde e sofisticate e la repulsione di Hitchcock nei confronti delle attrici come Brigitte Bardot e Marilyn Monroe che, per usare le parole di Truffaut, «avevano il sesso stampato sulla faccia».
La trasmissione risale al 1984, pochi mesi prima che un tumore cerebrale uccidesse il regista francese. Anche Hitchcock utilizzò l'attrice preferita di Truffaut, Claude Jade. «Il metodo di citazione attraversa tutti i film di Truffaut», scrive il critico cinematografico italiano Massimo Marcelli, «così come l'uso di un'attrice per la sua somiglianza con un'altra. Claude Jade ricorda Grace Kelly, l'eroina di Hitchcock per eccellenza; e per chiudere il cerchio delle croci delle citazioni: il maestro del film sembra aver apprezzato questa allusione, perché le riprende ancora in Topaz». Hitchcock ha dato all'attrice Claude Jade il ruolo di Michèle Picard, la figlia dell'agente André Devereaux, in Topaz.
Aspetti autobiografici
I 400 colpi venne girato nel 1959 con grande successo di critica e pubblico e valse a Truffaut un premio come miglior regista al Festival di Cannes, lo stesso festival che lo aveva bandito solo un anno prima. Il film, fortemente autobiografico, segue il personaggio di Antoine Doinel con le sue disavventure a scuola, una vita infelice e il riformatorio, tra un rapporto instabile con i genitori e una gioventù da derelitto sociale. Proprio come il personaggio di Doinel, anche Truffaut era nato fuori dal matrimonio, una condizione che dovette rimanere segreta a causa dello stigma sociale associato all'illegittimità. Truffaut venne registrato nei registri dell'Ospedale come "nato da padre sconosciuto" ed è stato curato da un infermiere per un lungo periodo di tempo; solo in seguito lo sposo della madre gli diede il suo cognome, Truffaut.
Truffaut provò Jean-Pierre Léaud per la parte di Antoine Doinel. Léaud era un ragazzo normale di 13 anni che si presentò al provino dopo aver visto un volantino, ma le interviste fatte dopo l'uscita del film rivelano la sua naturale raffinatezza e l'istintiva bravura davanti alla cinepresa. Léaud e Truffaut collaborarono a diversi film nel corso degli anni: i più famosi sono stati i sequel delle vicende di Antoine Doinel in una serie di film detto Il ciclo di Antoine Doinel. Accanto a Léaud, in tre film troviamo Claude Jade nel ruolo di Christine Darbon, che diventa la sua fidanzata in Baci rubati, quindi moglie e madre di suo figlio in Non drammatizziamo... è solo questione di corna, infine ex moglie e migliore amica ne L'amore fugge.
Filmografia
Regista
Cortometraggi
Une visite (1954)
L'età difficile (Les Mistons) (1957)
Une histoire d'eau (1958) - co-diretto da Jean-Luc Godard
Antoine e Colette, episodio di L'amore a vent'anni (L'amour à vingt ans) (1962)
Lungometraggi
I 400 colpi (Les quatre-cents coups) (1959)
Tirate sul pianista (Tirez sur le pianiste) (1960)
Jules e Jim (Jules et Jim) (1962)
La calda amante (La peau douce) (1964)
Fahrenheit 451 (1966)
La sposa in nero (La mariée était en noir) (1967)
Baci rubati (Baisers volés) (1968)
La mia droga si chiama Julie (La sirène du Mississippi) (1969)
Il ragazzo selvaggio (L'enfant sauvage) (1970)
Non drammatizziamo... è solo questione di corna (Domicile conjugal) (1970)
Le due inglesi (Les deux anglaises et le continent) (1971)
Mica scema la ragazza! (Une belle fille comme moi) (1972)
Effetto notte (La nuit américaine) (1973)
Adele H. - Una storia d'amore (L'histoire d'Adèle H.) (1975)
Gli anni in tasca (L'argent de poche) (1976)
L'uomo che amava le donne (L'homme qui aimait les femmes) (1977)
La camera verde (La chambre verte) (1978)
L'amore fugge (L'amour en fuite) (1979)
L'ultimo metrò (Le dernier métro) (1980)
La signora della porta accanto (La femme d'à côté) (1981)
Finalmente domenica! (Vivement dimanche!) (1983)
Attore
Ove non diversamente indicato, la regia è dello stesso Truffaut:
I 400 colpi (Les quatre-cents coups) (1959)
Tire-au-flanc 62, regia di Claude de Givray (1961)
Il ragazzo selvaggio (L'enfant sauvage) (1970)
Effetto notte (La nuit américaine) (1973)
Gli anni in tasca (L'argent de poche) (1976)
L'uomo che amava le donne (L'homme qui aimait les femmes) (1977)
Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close Encounters of the Third Kind), regia di Steven Spielberg (1977)
La camera verde (La chambre verte) (1978)
Produttore e sceneggiatore
Come proprietario di Les Films du Carrosse Truffaut ha prodotto, oltre che quasi tutte le proprie pellicole, anche film di altri autori.
Parigi ci appartiene (Paris nous appartient), regia di Jacques Rivette (1960) - Produttore
Le testament d'Orphée, regia di Jean Cocteau (1960) - Produttore
Tire-au-flanc 62, regia di Claude de Givray (1961) - Produttore – Cosceneggiatore – Supervisore alla regia
Mata-Hari, agente segreto H21 (Mata-Hari, agent H-21), regia di Jean-Louis Richard (1963) - Dialoghi
Due o tre cose che so di lei (Deux ou trois choses que je sais d'elle), regia di Jean-Luc Godard (1966) - Coproduzione
L'enfance nue, regia di Maurice Pialat (1969) - Coproduzione
La mia notte con Maud (Ma nuit chez Maud), regia di Éric Rohmer (1969) - Coproduzione
L'amante del prete (La faute de l'Abbé Mouret), regia di Georges Franju (1970) - Produzione
Les lolos de Lola, regia di Bernard Dubois (1976) - Produzione
Ce gamin-là, regia di Renaud Victor (1977) - Produzione
Il bel matrimonio (Le beau mariage), regia di Éric Rohmer (1982)
Ha inoltre prodotto vari cortometraggi tra cui:
Anna la bonne, regia di Harry Kümel (1958)
Le scarabée d'or, regia di Robert Lacheney (1960)
Anne la bonne, regia di Jean-Claude Roché (1961)
La fin du voyage, regia dello stesso, che si firma anche Jean C. Roché (1961)
La vie d'insectes, regia di Jean-Claude Roché (1961)
Doppiatori italiani
Stefano Carraro in Il ragazzo selvaggio
Cesare Barbetti in Effetto notte
Renato Izzo in Incontri ravvicinati del terzo tipo (doppiaggio originale)
Jacques Peyrac in Incontri ravvicinati del terzo tipo (ed.2002)
Pubblicazioni
Come critico cinematografico, Truffaut ha pubblicato su diverse testate. In particolare sui Cahiers du cinéma (dal 1953) e su Arts (dal 1954 al 1959), ma, sia pure in modo decisamente più saltuario, articoli da lui firmati sono stati pubblicati tra gli altri da Cinémonde, Combat, Elle, L'Avant-scène du Cinéma, La Gazette du cinéma, Le Monde, Le Nouvel Observateur, L'Express, Télérama, Unifrance.
È stato altresì autore, o curatore, dei seguenti libri:
Il cinema secondo Hitchcock (Le cinéma selon Hitchcock, Robert Laffont, 1967), trad. Giuseppe Ferrari e Francesco Pititto, Collana Le forme del discorso, Pratiche Editrice, 1977 - 1999, ISBN 978-88-73-80671-4; Collana Saggi n.9, Net, 2002-2006, ISBN 978-88-51-52025-0; Collana Opere e giorni, Il Saggiatore, Milano, 2008- 2014, ISBN 978-88-42-82055-0.
Le avventure di Antoine Doinel, trad. Maria Colo, Marsilio, Venezia, 1992, da Les aventures d'Antoine Doinel: Les quatre cents coups, L'amour a vingt ans, Baisers volés, Domicile conjugal, Mercure de France, 1970, ISBN 88-317-5558-7 e ISBN 88-317-6494-2.
François Truffaut (a cura di), Jean Renoir, (scritti di André Bazin sul regista Jean Renoir), Champ Libre, 1971.
La nuit américaine: scénario du film suivi de "Journal de tournage de Fahrenheit 451", Seghers, 1974.
François Truffaut - Ray Bradbury, Fahrenheit 451. Diario di Fahrenheit 451, Elliot, Roma, 2007, ISBN 978-88-61-92000-2.
Le cinéma, art et industrie, Robert Laffont, Paris, 1975.
I film della mia vita, nota introduttiva di Giorgio Tinazzi, Marsilio, 1978, trad. Antonio Costa, (scelta parziale) da Les films de ma vie, Flammarion, 1975, ISBN 88-317-8164-2 e ISBN 88-317-5243-X.
François Truffaut (a cura e introd. di), Il cinema della crudeltà, Il formichiere, 1979, trad. Edoardo Bruno, da Le cinéma de la cruauté (scritti di André Bazin), Flammarion, Paris, 1976.
Gli anni in tasca (L'argent de poche: ciné-roman, Flammarion, Paris, 1976), prefazione di Mario Petroni, Armando, Roma, 1978, ISBN 88-7144-056-0.
L'uomo che amava le donne (L'homme qui aimait les femmes, Flammarion, Paris, 1977) introduzione di Giorgio Tinazzi, Marsilio, 1990, trad. Marco Vozza, ISBN 88-317-5364-9 e ISBN 88-317-6017-3.
Réponse à l'enquête de Tay Garnett dans "Un siecle de cinéma", Hatier, 1981.
Il piacere degli occhi, a cura di Jean Narboni e Serge Toubiana, trad. Melania Biancat, Marsilio, Venezia, 1988;
L'uomo più felice del mondo. Con 2 Dvd, Minimum fax, 2006, (da Le plaisir des yeux, Cahiers du Cinéma, 1987) ISBN 88-317-5080-1 e ISBN 88-7521-086-1.
Autoritratto. Lettere 1945-1984, a cura di Sergio Toffetti, Collana Supercoralli, Einaudi, Torino, 1988, (trad. di Correspondance. Lettres raccueillies par Gilles Jacob et Claude de Givray, Hatier Cinq Continents, 1988), ISBN 88-06-13286-5.
La piccola ladra (coautore con Claude de Givray), a cura di Sergio Toffetti, Il Nuovo Melangolo, Genova, 1994, trad. de Le petite voleuse, Christian Bourgois, 1991, sceneggiatura del film La piccola ladra di Claude Miller, ISBN 88-7018-223-1.
Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, a cura di Anne Gillain, trad. Patrizia Bisattini, Gremese, Roma, 1990, (da Le cinema selon François Truffaut, 1989), ISBN 88-7605-486-3.
François Truffaut professione cinema. Interviste inedite, a cura di Aldo Tassone, Il Castoro, 2006, ISBN 88-8033-331-3.
Note
Bibliografia
Alberto Barbera, Umberto Mosca, François Truffaut, Il Castoro, Milano, 1995 (riedizione del Castoro del 1976, solo di Barbera) ISBN 88-8033-032-2
Massimo Marchelli, François Truffaut, Moizzi, Milano, 1977
Jean Collet, Le Cinéma de François Truffaut, Lherminier, Paris, 1977
Mario Simondi (a cura di), François Truffaut: l'intrigo, il turbamento, l'amore nell'opera di un "homme-cinema", La casa Usher, Firenze, 1981
Ciriaco Tiso, T/T: Truffaut-Truffaut, Bulzoni, Roma 1982
Alain Bergala, Marc Chevrie, Serge Toubiana (a cura di), Il romanzo di François Truffaut, Ubulibri, Milano, 1986 (trad. it. di Le Roman de François Truffaut, Édition de l'Étoile, Paris, 1985; il volume riproduce, rivisto, ampliato e con ulteriori foto, il numero monografico speciale dei Cahiers du cinéma del dicembre 1984) ISBN 88-7748-052-1
Dominique Rabourdin (a cura di), Truffaut par Truffaut: textes et documents, Chene, Paris, 1985
Oreste De Fornari, I film di François Truffaut, Gremese, Roma, 1986 ISBN 88-7605-227-5
Anne Gillain (a cura di), Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Gremese, Roma, 1990 e 2009 (trad. it. di Le cinéma selon François Truffaut, Flammarion, Paris, 1988) ISBN 978-88-8440-589-0
Claude-Jean Philippe, François Truffaut, Seghers, Paris, 1988
Goffredo De Pascale, Donatella Fossataro e Franco Santaniello (a cura di), L'uomo che amava il cinema: ricognizione nel pianeta Truffaut, Rotazione & Rivoluzione, 1989
Dominique Rabourdin, François Truffaut: le cinema et la vie, Editions Mille et une nuits, Paris, 1995
Vittorio Giacci, François Truffaut: le corrispondenze segrete, le affinità dichiarate, Bulzoni, Roma, 1995 ISBN 88-7119-805-0
Giorgio Tinazzi, Truffaut: il piacere della finzione, Marsilio, Venezia, 1996 ISBN 88-317-6406-3 e ISBN 88-317-6407-1 e ISBN 88-317-8564-8
Anne Gillain, François Truffaut: il segreto perduto, trad. it. di Cinzia Tafani, Le mani, Recco, 1995 (ed. originale presso Hatier, Paris, 1991) ISBN 88-8012-016-6
Paola Malanga, Tutto il cinema di Truffaut, Baldini & Castoldi, Milano, 1996 ISBN 88-8490-017-4
Annette Insdorf, Truffaut: i film della mia vita, Electa/Gallimard, Milano, 1997 ISBN 88-445-0108-2
Carole Le Berre, François Truffaut al lavoro, Rizzoli – Cahiers du Cinéma, 2005 ISBN 88-17-00830-3
Alessandro Pamini e Vittorio Giacci (a cura di), Truffaut-Hitchcock. La conversazione ininterrotta, L'Unità – Istituto Metacultura, Roma, 1997
Aldo Tassone, François Truffaut. Professione Cinema. Interviste inedite di Aldo Tassone, Provincia di Napoli, Napoli, 2004 (poi ristampato da Il Castoro, Milano, 2006)
Sandro Volpe, La forma intermedia. Truffaut legge Roché, L'Epos Società editrice, 1996 (ristampato dall'Unità, Roma, 1997)
Ernesto Maria Volpe, François Truffaut, Ripostes, 1996 ISBN 88-86819-00-5
Margareth Amatulli e Anna Bucarelli, Truffaut uomo di lettere, Quattroventi, Urbino, 2004 ISBN 88-392-0671-X
Ezio Alberione (a cura di), Carta pellicola: scrittori e scritture nel cinema di François Truffaut, ETS, Pisa, 2005 ISBN 88-467-1307-9
Robert Ingram, François Truffaut: regista-autore 1932-1984, a cura di Paul Duncan, Taschan, Köln, 2004 ISBN 3-8228-3551-X
Antoine de Baecque e Serge Toubiana, François Truffaut. La biografia, trad. it. di Elga Mugellini e Michela Greco, Lindau, Torino, 2003 ISBN 88-7180-379-5
Giorgio Simonelli, François Truffaut: la geometria delle passioni, Ente dello Spettacolo, Roma, 2007 ISBN 978-88-85095-33-5 e ISBN 978-88-85095-35-9
Antoine de Baecque e Charles Tesson (a cura di), La nouvelle vague: il cinema secondo Chabrol, Godard, Resnais, Rivette, Rohmer, Truffaut, trad. it. di Lorenza Pieri, Minimum fax, Roma, 2004 ISBN 978-88-7521-221-6
Mauro Marchesini, "Le grand noir": mancamenti e corpi addolorati nel cinema di François Truffaut, Le mani, Recco, 2008 ISBN 978-88-8012-448-1
Ugo Casiraghi e Lorenzo Pellizzari (a cura di), Vivement Truffaut, Lindau, Torino, 2011 ISBN 978-88-7180-931-1
Voci correlate
La politica degli Autori
Altri progetti
Collegamenti esterni
Registi della Nouvelle Vague
Attori francesi del XX secolo
Critici cinematografici francesi
Premi BAFTA alla regia
Premi César per il miglior regista
Premi César per la migliore sceneggiatura originale
Vincitori del Premio Flaiano di cinematografia
Nouvelle Vague
Registi cinematografici francesi
Sepolti nel cimitero di Montmartre |
1934 | https://it.wikipedia.org/wiki/Franco%20%28moneta%29 | Franco (moneta) | Il franco è il nome di diverse valute. Il nome deriva dalla scritta latina Francorum rex ("re dei francesi") presente sulle prime monete francesi. Un franco è diviso in 100 centesimi (centimes); è adottato in Svizzera e Liechtenstein, in molti dei paesi francofoni africani e, prima dell'euro, in Francia, Belgio e Lussemburgo, oltre ad avere corso legale ad Andorra e Monaco.
Originariamente il franco era una moneta d'oro da 3,87 g coniata dai francesi nel 1360 in occasione della liberazione del re Giovanni II detto "il buono", catturato dagli inglesi quattro anni prima nella battaglia di Poitiers: questa aveva un valore equivalente alla "libbra tournois" (uno dei sistemi monetari in vigore, alternativo alla "libbra di Parigi"), suddiviso in 20 soldi ("sous").
Sebbene abolita come valuta legale da Luigi XIII nel 1641 a seguito dell'introduzione del luigi d'oro (o "écu"), il termine franco (come per la libra) continuò ad essere usato nel lessico comune
Il franco germinale venne riadottato come valuta nazionale dopo la rivoluzione francese a seguito della decimalizzazione del sistema monetario nel 1795, assumendo un valore pari a 4,5 g d'argento fino. Nel 1803 con la creazione di un franco d'oro si avviò un bimetallismo basato su argento ed oro, con un rapporto di 1:15,1 tra il valore dei due metalli.
A seguito della conquista di gran parte dell'Europa occidentale da parte di Napoleone, il franco si diffuse in diversi paesi: il regno del Belgio lo adottò dopo l'indipendenza dal regno dei Paesi Bassi nel 1832, seguito dal Lussemburgo nel 1848 e dalla Svizzera nel 1850. Nel 1865, la Francia di Napoleone III, il Belgio di Leopoldo II, l'Italia di Vittorio Emanuele II e la Svizzera crearono l'Unione monetaria latina, alla quale aderì la Grecia di Giorgio I nel 1868.
Per le valute di quest'unione (franco, lira e dracma) si stabiliva un valore pari a 4,5 g di argento o 0,290322g di oro fino, al fine di permetterne il libero scambio con un rapporto di 1:1. A seguito delle difficoltà del bimetallismo di mantenere un rapporto fisso tra oro e argento al variare dei valori dei metalli, nel 1870 l'oro rimase l'unico standard (Gold standard), situazione questa rimasta stabile fino al 1914.
La forza del franco venne notevolmente indebolita dopo la prima guerra mondiale, a causa delle spese di guerra, dei costi della ricostruzione e la conseguente inflazione: il potere d'acquisto del franco, infatti, si ridusse del 70% nel periodo 1915-1920 e di un ulteriore 43% nel periodo 1922-1926. Dopo una breve ritorno al Gold standard nel 1928-1936, la valuta continuò a svalutarsi, fino a che nel 1959 il suo valore era meno di 1/40 del valore del 1936. Nel gennaio del 1960 il franco venne rivalutato a 100 dei franchi precedenti. I vecchi franchi continuarono a circolare come centimes dei nuovi franchi.
Anche il Belgio ebbe nel 1926 una svalutazione analoga, che ha portò all'introduzione di una nuova valuta d'oro per transazioni internazionali (il "Belga" da 5 franchi) e l'uscita del paese dall'unione monetaria latina, la quale cessò di esistere alla fine di quell'anno. Sopravvisse, invece, l'unione monetaria del 1921 tra Belgio e Lussemburgo, che portò nel 1932 ad una completa unione economica.
Nel 1945, alla fine del periodo coloniale, 14 paesi dell'Africa occidentale (Communauté financière africaine) e dell'Africa equatoriale (Coopération financière en Afrique centrale), adottarono come valuta il franco CFA, con un cambio inizialmente pari a 1,7 franchi francesi, passato a 2 franchi nel 1948, 0,02 nuovi franchi nel 1960 e 0,01 franchi dopo gennaio 1994. Nei territori francesi del Pacifico, invece, circolava il franco CFP, con un cambio a 0,055 franchi francesi.
Con l'avvento dell'euro, il valore del franco francese venne fissato a 0,152449 euro e ne decide il termine del suo corso legale al 17 febbraio 2002. Il franco belga, fissato a 0,024789 euro, termina di avere corso legale il 28 febbraio 2002.
Altri progetti
Monetazione moderna |
1935 | https://it.wikipedia.org/wiki/Forza%20conservativa | Forza conservativa | In meccanica newtoniana, una forza conservativa è una forza che può essere descritta come un campo conservativo nello spazio in cui si muovono i corpi, e non solamente come una forza applicata ad un corpo in moto.
Perché avvenga questo, il lavoro che viene compiuto dalla forza sul corpo in un certo tragitto non deve dipendere dal particolare cammino seguito, ma solamente dai punti di partenza e di arrivo della traiettoria che viene seguita dal corpo.
In maniera semplice, una forza è conservativa se dipende solo dalla posizione nello spazio del punto materiale, e non dalla sua storia passata. In questo caso, si può slegare il vettore forza dal punto materiale che si muove nello spazio, per assegnarlo invece al punto geometrico fisso nello spazio in cui è posta la particella.
In questo modo, si può passare dal concetto puramente newtoniano di forza come applicata ad un corpo, all'idea di campo della grandezza forza, in cui cioè esiste un valore di forza associabile al punto materiale in ogni punto "geometrico" della regione dello spazio in cui si muove il punto materiale. In altri termini, mentre originariamente la forza è applicata al punto materiale e lo segue nel suo movimento, nel caso di forza conservativa ogni punto geometrico della regione dello spazio in cui si muove la particella diventa caratterizzabile in ogni punto da un valore fissato di forza, che viene trasmesso alla particella nel momento in cui passa per quella posizione.
Inoltre, si dimostra che solo in queste condizioni, a patto di considerare alcuni ulteriori vincoli e restrizioni, si conserva l'energia meccanica del sistema, non solo per alcune ma per qualunque traiettoria.
Infine, si può anticipare che tutte le interazioni fondamentali corrispondono nei modelli fisici a dei campi conservativi.
Descrizione
Un punto materiale è soggetto ad una forza, che può essere rappresentata nello spazio con un campo vettoriale . Il lavoro compiuto dalla forza sull'oggetto è definito come l'integrale curvilineo (rispetto alla posizione) di lungo il percorso compiuto nello spazio. Condizione necessaria e sufficiente affinché la forza sia conservativa è che il lavoro compiuto da essa lungo una qualsiasi traiettoria chiusa sia nullo. In tal caso, il potenziale della forza in un punto è proporzionale all'energia potenziale posseduta dall'oggetto in quel punto a causa della presenza della forza. Una forza conservativa è quindi una funzione che dipende soltanto dalla posizione. La forza peso e la forza elastica sono due esempi di forze conservative.
Un sistema dinamico su cui agiscono solo forze conservative è detto sistema conservativo.
Definizione
Una forza è conservativa se il lavoro che compie lungo una qualsiasi traiettoria chiusa finita è nullo:
Per il teorema del rotore, su qualsiasi superficie delimitata dalla curva si ha:
da cui si ottiene l'espressione in forma locale:
Per il lemma di Poincaré, il rotore è nullo se e solo se il proprio argomento è esprimibile come un gradiente, ovvero:
e quindi una forza è conservativa se e solo se esiste un potenziale scalare di cui è il gradiente. L'opposto della variazione di durante un tragitto da un punto 1 di coordinate: , al punto 2 di coordinate è pari al lavoro compiuto dalla forza in tale percorso, che in accordo con il teorema fondamentale del calcolo integrale è indipendente dal percorso seguito:
Bibliografia
Voci correlate
Campo vettoriale conservativo
Energia potenziale
Forza dissipativa
Integrale primo
Lavoro (fisica)
Lemma di Poincaré
Teorema di Kelvin
Collegamenti esterni
Forza |
1943 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fauna | Fauna | Fauna è un termine utilizzato per indicare l'insieme delle specie animali che risiedono in un dato territorio o in un particolare ambiente, in un preciso periodo storico o geologico.
Concetto scientifico di fauna
In senso scientifico e naturalistico, il concetto di fauna risulta essere:
"La fauna è costituita dall'insieme di specie e di popolazioni animali, vertebrati ed invertebrati, residenti in un dato territorio ed inserite nei suoi ecosistemi; essa può comprendere le specie autoctone e le specie immigrate divenute ormai indigene, come pure le specie introdotte dall'uomo ed andate incontro ad indigenazione; non fanno parte della fauna gli animali domestici e di allevamento."
Questa definizione di fauna si basa su tre aspetti fondamentali che la caratterizzano: la dinamicità, la storicità e l'interattività.
La fauna di un territorio, infatti, non è statica ma dinamica, cioè muta col trascorrere del tempo a causa dei processi di estinzione, evoluzione, speciazione e sostituzione, determinati da fattori naturali e sempre più antropici.
Per appartenere ad una fauna una specie o una popolazione deve far parte integrante dell'ecosistema che la ospita, si deve automantenere e trovare perfettamente inserita in una catena alimentare e quindi all'interno di quei flussi energetici che regolano gli equilibri di quell'ecosistema. Per questo motivo ne fanno parte soltanto le specie stanziali o di transito abituale (animali migratori che ritornano in quel luogo più o meno regolarmente) cioè quelli che partecipano ai meccanismi della biocenosi. Il concetto di fauna, inteso sempre scientificamente, equivale pertanto al termine di "fauna selvatica", poiché, per i motivi appena citati, non può esistere una "fauna domestica".
Gli elementi costituenti la fauna di un territorio possono così essere distinti in due categorie: le specie autoctone e le specie alloctone.
Le specie autoctone sono quelle originariamente presenti nella regione, che hanno quindi subito una speciazione nel luogo in cui si trovano a partire da elementi forniti dal territorio stesso. Appartengono a questa categoria le specie endemiche.
Le specie introdotte sono quelle originatesi in altri regioni e che, successivamente, sono immigrate o inserite per cause antropiche in quel territorio, trovando degli ecosistemi adatti al proprio mantenimento ed inserendosi nei flussi energetici che ne regolano l'equilibrio spesso a svantaggio delle specie autoctone.
Queste ultime possono essere suddivise in:
accidentali – animali che sfuggono agli allevamenti (ad es. la nutria e il visone americano per la fauna italiana)
intenzionali – come la tartaruga americana, il gambero rosso, il persico trota e le numerose specie ittiche importate dal nord America e altri continenti per popolare le acque interne italiane per la pesca sportiva e a pagamento.ecc.
Voci correlate
Epifauna
Megafauna
Meiofauna
Altri progetti
Collegamenti esterni |
1946 | https://it.wikipedia.org/wiki/Campionato%20mondiale%20di%20Formula%201%202003 | Campionato mondiale di Formula 1 2003 | Il campionato mondiale di Formula 1 2003 organizzato dalla FIA è stata, nella storia della categoria, la 54ª stagione ad assegnare il Campionato Piloti e la 46ª ad assegnare il Campionato Costruttori. Il titolo Mondiale piloti venne vinto nuovamente dal Ferrarista Michael Schumacher e la Ferrari vinse anche il Mondiale costruttori.
È iniziata il 9 marzo ed è terminata, dopo 16 gare, il 12 ottobre. Dopo il dominio del 2002, la nuova stagione di Formula 1 si apre ufficialmente con la caccia alla Ferrari di Michael Schumacher, campioni del mondo in carica nelle rispettive classifiche. La FIA introduce nuovi regolamenti, a partire dalle qualifiche e dall'assegnazione dei punteggi; a stagione in corso, inoltre, modifica il criterio di controllo degli pneumatici, innescando feroci polemiche che segneranno il campionato e l'assegnazione del titolo.
La pre-stagione
Il calendario
La presentazione delle vetture
I test
Accordi e fornitori
Scuderie e piloti
Scuderie
Dopo vent'anni di attività sparisce dal circus la Arrows Grand Prix International. La Jordan perde la fornitura della Honda sostituendo i propulsori giapponesi con quelli costruiti dalla Ford. La Minardi è spinta dai motori Cosworth.
Piloti
La Ferrari, la Williams e la McLaren confermano i propri piloti.
Dopo un anno trascorso in qualità di collaudatore, lo spagnolo Fernando Alonso viene promosso nel ruolo di secondo pilota in seno alla Renault. Heinz-Harald Frentzen sostituisce in Sauber Felipe Massa, divenuto collaudatore della Ferrari insieme a Luca Badoer. Debutta con la Jordan Ford Ralph Firman, prendendo il posto di Takuma Satō, terzo pilota BAR motorizzata Honda. Firman è il primo pilota irlandese a correre in F1 dopo Derek Daly al Gran Premio di Las Vegas 1982.
Mark Webber, dopo un anno in Minardi, passa alla Jaguar-Ford con il ruolo di primo pilota per sostituire Eddie Irvine, ritiratosi dalla Formula 1. Antônio Pizzonia debutta in Formula 1 alla guida della Jaguar-Ford, unica scuderia ad aver completamente cambiato i piloti. Jenson Button, licenziato dalla Renault passa alla BAR Honda, come secondo pilota.
Con la Minardi motorizzata Ford Cosworth debutta Justin Wilson. Ritorna in Formula 1 dopo un anno di assenza Jos Verstappen con la Minardi-Ford. Dopo un sodalizio di due stagioni con la BAR-Honda, Olivier Panis passa alla Toyota. Debutta alla guida di una Toyota il campione del mondo della categoria CART Cristiano da Matta.
Justin Wilson sostituisce Antonio Pizzonia in Jaguar-Ford dopo il Gp di Gran Bretagna. Per sostituire Wilson la Minardi-Ford chiama Nicolas Kiesa, primo pilota danese a gareggiare in F1 dopo Jan Magnussen al Gran Premio del Canada 1998. Marc Gené sostituisce Ralf Schumacher a Monza a causa di un infortunio che ha colpito il secondo. Zsolt Baumgartner sostituisce in Jordan-Ford Ralph Firman per due Gran Premi. Takuma Satō sostituisce all'ultima gara Jacques Villeneuve, per permettergli di correre il Gran Premio di casa.
Tabella riassuntiva
Circuiti e gare
L'unico cambiamento nel calendario è l'uscita del Gran Premio del Belgio, che si tornerà comunque a disputare l'anno successivo.
Modifiche al regolamento
Regolamento tecnico
La FIA ha disposto alcune nuove norme dal punto di vista tecnico: la più importante è senza dubbio la nuova abolizione, dopo un solo anno dalla sua reintroduzione, della telemetria bidirezionale.
Regolamento sportivo
Viene cambiata la distribuzione dei punti, che adesso premia i primi otto classificati i quali riceveranno rispettivamente 10, 8, 6, 5, 4, 3, 2 e 1 punto.
L'introduzione del parco chiuso consiste nel vietare ogni tipo di intervento, da parte dei meccanici delle varie squadre, tra la fine delle qualifiche del sabato e la gara della domenica. Ciò venne fatto per limitare gli sviluppi, sempre più esasperati, delle soluzioni tecnologiche, come i motori e le appendici aerodinamiche, portati esclusivamente per le qualifiche.
Le squadre, perciò, dovranno preparare tutti gli assetti delle vetture e le strategie di gara prima delle qualifiche del sabato.
Viene introdotto un nuovo tipo di qualifica basato sul giro secco come in Superbike: il pilota eseguirà un giro di lancio; una volta terminato avrà un solo giro cronometrato a disposizione per cercare di ottenere la pole position. Viene eliminato il warm up, la sessione di prove della domenica mattina, per provare i tempi in gara, allo stesso modo vengono aboliti gli ordini di scuderia, dopo i fatti avvenuti in Austria nella stagione precedente.
Riassunto della stagione
Gran Premio d'Australia
La stagione comincia il 9 marzo in Australia e la vittoria viene ottenuta da David Coulthard che, partito undicesimo, riesce a compiere un'importante rimonta anche grazie ai problemi degli avversari, in primis al testacoda della Williams di Montoya seconda al traguardo. Completa il podio l'altra McLaren Mercedes guidata dal finlandese Räikkönen. A sorpresa il campione in carica Michael Schumacher chiude ai piedi del podio, fermato dalla perdita del deviatore di flusso destro della sua Ferrari (la Ferrari schiera ancora la vettura della stagione precedente, la F2002, in attesa dell'esordio della nuova F2003GA) che lo costringe ad un'ulteriore sosta ai box.
Gara ricca di colpi di scena, dovuti, oltre che all'esordio delle nuove regole, anche alle avverse condizioni meteorologiche e ai conseguenti errori. Il primo colpo di scena si verifica alla partenza: Räikkönen non si schiera in griglia ma parte dai box montando fin da subito le gomme da asciutto (scelta poi rivelatasi azzeccata). Schumacher e Barrichello, con gomme da bagnato, scattano alla perfezione e fanno il vuoto nei primi quattro giri: alle loro spalle si scatena una feroce lotta ricca di sorpassi.
Barrichello commette un errore, sbatte contro le barriere di protezione del circuito distruggendo l'anteriore della sua Ferrari e trovandosi così costretto al ritiro. Schumacher invece, proprio a causa del deterioramento delle gomme intermedie montate, subisce la rimonta di Montoya: il veloce pit-stop del tedesco non impedisce al colombiano di passare al comando del Gran Premio. Nel frattempo un altro errore, questa volta di Ralph Firman, costringe i commissari a far intervenire la safety car.
Montoya si mantiene in testa mentre alle sue spalle Räikkönen e Schumacher ingaggiano un bel duello. L'attacco più importante del tedesco al rivale finlandese avviene all'esterno della prima curva in fondo al rettilineo principale, ma il finlandese si difende bene. L'appassionante duello viene però interrotto a causa di una penalità inflitta al finlandese, colpevole di eccesso di velocità nella corsia dei box. Schumacher eredita così la seconda posizione senza rischi ulteriori e poi, quando Montoya effettua la seconda sosta, la testa della corsa, ma a causa di un'uscita di pista comincia a perdere pezzi del deviatore di flusso destro della sua vettura e deve rientrare ai box per ordine dei commissari. Montoya ritorna in testa ma poco dopo effettua un testacoda che permette a Coulthard di conquistare la testa della corsa e la sua tredicesima (e ultima) vittoria in Formula 1.
Gran Premio della Malesia
Il secondo GP in programma è il 23 marzo sul tracciato malese di Kuala Lumpur. Primo al traguardo è il giovane Kimi Räikkönen (23 anni e mezzo) alla sua prima vittoria in carriera in Formula 1. Tale risultato segue quello del sabato costituito dalla pole di Fernando Alonso (22 anni), terzo al traguardo. Il finlandese firma il secondo successo della McLaren e si porta al comando della classifica, candidandosi seriamente per il titolo. Alle sue spalle si classifica il brasiliano Barrichello, che salva il bilancio Ferrari in una gara condizionata dall'errore alla partenza di Schumacher. Il tedesco, dopo poche centinaia di metri, tampona Trulli e si vede costretto a una gara ad inseguimento, giungendo infine al sesto posto grazie al testacoda della BAR-Honda del pilota britannico Jenson Button.
Gran Premio del Brasile
L'appuntamento brasiliano, terzo round della stagione, si disputa il 6 aprile sotto una pioggia battente, che sembra diradarsi per poi intesificarsi nuovamente. Dopo una partenza sotto il regime della safety car, la quale farà ben tre rientri in pista nel corso della gara, a causa di alcuni improvvisi scrosci di pioggia si verificano cinque uscite di pista alla curva do Sol per aquaplaning; stessa sorte per Webber e Alonso alla penultima curva, i cui detriti delle rispettive vetture si riverseranno sulla pista costringendo i commissari di gara a sospendere la corsa. Per assegnare la vittoria, però, bisognerà attendere cinque giorni: in un primo momento, infatti, la vittoria era stata assegnata a Fisichella, che già stava festeggiando con Eddie Jordan, ma i commissari attribuiscono subito dopo la vittoria a Kimi Räikkönen. Successivamente la FIA decide che la vittoria debba essere assegnata al pilota italiano, che al momento della sospensione, che per la FIA è l'inizio del 54º giro e non il 53º, era davanti a tutti: è la prima vittoria in carriera per il pilota romano, a distanza di undici anni dall'ultima affermazione italiana di Patrese nel 1992.
Gran Premio di San Marino
Il primo appuntamento europeo, quarta prova del programma, si disputa il 20 aprile, giorno di Pasqua di tale anno e la Ferrari risorge nel giorno della morte della madre dei fratelli Schumacher. Michael e Ralf dominano, infatti, le prove del Gran Premio a Imola, ottenendo rispettivamente il primo e il secondo posto nella griglia di partenza. Durante la gara, però, la Ferrari e Michael si dimostreranno più forti della Williams e di Ralf, ottenendo la prima vittoria dopo un inizio terribile. Al secondo posto il sempre più costante Räikkönen, che partiva dalla terza fila e che riesce, grazie ad un'incertezza al pit-stop dei meccanici della Ferrari, ad ottenere il secondo posto alle spalle del campione del mondo.
Gran Premio di Spagna
All'appuntamento di Montmeló del 4 maggio fa il suo esordio la Ferrari F2003-GA che bissa la vittoria ottenuta ad Imola, ma la vera sorpresa è Fernando Alonso, idolo della gara di casa sua, l'unico in grado di tenere sempre sulle spine il campione del mondo Schumacher e di superare, nel corso della gara, un osso duro come Ralf Schumacher. I veri sconfitti del Gran Premio risultano essere la Williams e la McLaren: Montoya termina quarto davanti ad un Ralf Schumacher autore di molti errori in gara. Il tedesco riesce comunque a vincere il duello con la Toyota del brasiliano da Matta, ai suoi primi punti iridati. Per quanto riguarda la McLaren, Räikkönen tampona la Jaguar di Pizzonia ferma sulla griglia, causando l'entrata in pista della safety-car per i primi cinque giri, e successivamente, nel corso della gara, Coulthard si rende protagonista di un incidente analogo con Trulli alla seconda curva mettendo fine alla gara dell'italiano, infine all'uscita dalla pit-lane non si accorge dell'arrivo di Button: i due si toccano e Coulthard è costretto al ritiro.
Gran Premio d'Austria
Il 18 maggio Schumacher vince in Austria e continua la marcia di avvicinamento alla vetta della classifica. Il tedesco vive l'unico brivido in occasione del pit-stop, quando si accendono alcune fiamme fuoriuscite dal bocchettone del rifornimento. Räikkönen, secondo a Zeltweg, mantiene il comando della classifica ma il suo vantaggio si è ridotto a soli due punti: se nel finale Barrichello avesse vinto il duello con il finlandese, Schumacher avrebbe appaiato il pilota della McLaren in testa alla classifica, ma il brasiliano si è dovuto alla fine accontentare del terzo posto. Grazie a tali risultati la Ferrari è comunque passata al comando della Classifica Costruttori. L'introduzione della nuova vettura ha portato due successi su due gare alla scuderia di Maranello mentre la McLaren, che ora necessita al più presto della nuova vettura per poter contrastare la Ferrari, anche visto il quinto posto di David Coulthard, rafforza la sensazione che le attuali vetture più di così non possano fare.
Gran Premio di Monaco
L'ultimo appuntamento europeo prima della trasferta nordamericana si disputa il 1º giugno: finale appassionante per il Gran Premio da sempre più impegnativo di tutto il circus. Juan Pablo Montoya è il trionfatore di una delle edizioni più tattiche del Gran Premio del Principato, non fosse, appunto, per il finale, quando Michael Schumacher spinge al massimo per raggiungere la coppia di testa (dietro al colombiano, infatti, c'era il finlandese Kimi Räikkönen). Anche in virtù delle nuove regole, il Gran Premio si rivela più tattico di quanto non sia solitamente lasciando la sensazione che, se avessero disputato delle qualifiche migliori, tanto Schumacher quanto Barrichello (alla fine 8°) avrebbero potuto ottenere di più.
Gran Premio del Canada
L'appuntamento canadese ha luogo il 15 giugno: nelle prove sono le Williams a dominare, capaci di monopolizzare tutta la prima fila, ma in gara nessuno dei due piloti è in grado di sfruttare al massimo la propria vettura. Il colombiano Montoya si esibisce in un testacoda nel corso del primo giro mentre Ralf Schumacher non riesce a guadagnare un margine sufficiente a difendersi dal fratello. In casa Ferrari Barrichello danneggia l'alettone in un contatto Alonso. La gara si conclude con la vittoria di Michael Schumacher, che precede il fratello e Montoya, mentre Räikkönen, il principale rivale per il titolo del tedesco, è solo sesto. Da segnalare anche la gara di Verstappen, che porta la Minardi al nono posto, miglior risultato stagionale per la scuderia di Faenza. Ma il protagonista assoluto resta sempre e solo Villeneuve, pilota di casa che ha fatto molto lavoro, anche con il ritiro.
Gran Premio d'Europa
Il ritorno in Europa avviene il 29 giugno sul circuito del Nürburgring: nel corso delle prove si mette in luce Räikkönen, che in gara imprime un gran ritmo finché il suo motore non si rompe. La testa viene ereditata da Ralf Schumacher, seguito dal compagno di squadra Montoya. Michael Schumacher, partito secondo, va in testacoda a causa di un sorpasso di Montoya. Sorte simile per Coulthard, che però è meno fortunato ed esce di pista. Nel resto la gara riserva ben poche emozioni e si conclude con la doppietta delle Williams con Barrichello a chiudere il podio.
Gran Premio di Francia
Il circus si sposta il 6 luglio a Magny-Cours: seconda doppietta consecutiva della Williams, con Ralf Schumacher che realizza la pole position e vince seguito da Montoya e Michael Schumacher. Nelle prove libere del venerdì la Minardi di Verstappen, grazie a delle condizioni climatiche particolari, ottiene il miglior tempo mentre il sabato l'olandese non va oltre il 20º posto. Gara movimentata sia da Michael Schumacher, che con una vettura non al meglio riesce a stare davanti al rivale Räikkönen, nettamente superiore, sia da Barrichello, che scivolato all'ultimo posto al primo giro recupera fino al settimo posto.
Gran Premio di Gran Bretagna
Il 20 luglio, in un'ondata di caldo, si disputa il Gran Premio britannico: Barrichello scatta in pole position con Trulli al suo fianco, ma lo spunto del brasiliano non è buono e il pilota italiano riesce così a guadagnare la testa del gruppo. Dopo qualche giro però la gara viene stravolta dall'entrata in pista di un religioso, Neil Horan, che si lancia tra le vetture mostrando dei cartelli che invitano a leggere la Bibbia. Deve così entrare in pista la safety car. Molti piloti ne approfittano per andare ai box e si ritrovano in testa le due Toyota di da Matta e Panis. Dopo poche tornate è però Montoya a comandare la gara, con Barrichello e Schumacher che nonostante l'entrata della safety restano in posizioni arretrate. Il brasiliano comincia a rimontare superando sia Kimi Räikkönen sia Montoya, mentre il tedesco rimane a lungo bloccato da Jacques Villeneuve, di cui si libera a fatica e giungendo poi quarto al traguardo.
Gran Premio di Germania
La tappa di Hockenheim è in programma il 3 agosto: Justin Wilson passa dalla Minardi alla Jaguar e debutta in Formula 1 Nicolas Kiesa, che prende proprio il posto di Wilson in Minardi. Montoya domina le qualifiche e la gara, rilanciandosi nella Classifica Piloti; la Ferrari, al contrario, vive uno dei peggiori fine settimana della stagione: Barrichello è costretto subito al ritiro dopo una carambola al via con Ralf Schumacher e Räikkönen mentre Michael Schumacher è costretto a rientrare ai box negli ultimi giri per una foratura, mentre si trovava in seconda posizione. Buona gara per Jarno Trulli che giunge a podio.
Gran Premio d'Ungheria
L'appuntamento ungherese del 24 agosto, dopo la prima pausa estiva di 3 settimane, si caratterizza per la prima vittoria in carriera di Fernando Alonso, che diventa così il più giovane pilota a vincere un Gran Premio di Formula 1. Il giovane pilota spagnolo riesce nell'impresa di doppiare il campione del mondo e detentore di vari record Michael Schumacher, alla guida di una Ferrari in grande crisi con le gomme e solo ottavo al traguardo. Il tedesco mantiene comunque un punto di vantaggio sul rivale Juan Pablo Montoya. La vittoria del pilota spagnolo è favorita sia dalle caratteristiche del circuito sia da Mark Webber che, guadagnata la seconda posizione, riesce a difendersi dagli attacchi delle vetture più veloci della sua. Ralf Schumacher è autore di un testacoda e riparte dal fondo del gruppo, trovandosi costretto a portare avanti una rimonta che lo porterà quarto alla bandiera a scacchi.
Gran Premio d'Italia
Dopo altre 3 settimane, il 14 settembre è il turno di Monza. In questa gara, contrassegnata da record battuti in una sola gara, è assente Ralf Schumacher, sostituito per l'occasione da Marc Gené, che conquista la quinta piazza. In Brianza si rivede la Ferrari: Michael Schumacher conquista la vittoria dopo essere partito dalla pole position e realizzando il giro più veloce in gara, relegando il suo più diretto inseguitore Montoya al secondo posto. Alonso, vincitore in Ungheria, è protagonista di una gara difficile e corsa per la gran parte nelle retrovie a causa di un contatto con Verstappen che costringe entrambi a raggiungere i box. Lo spagnolo a fatica giungerà ottavo, alle spalle di Webber. Schumacher estende a tre i punti di vantaggio sul colombiano della Williams, un margine risicato con ancora due gare da disputare.
Gran Premio degli Stati Uniti
Il secondo evento nordamericano ha luogo il 28 settembre: nelle qualifiche Kimi Räikkönen conquista la pole position (2 in stagione e le prime 2 in carriera), seguito da Barrichello e da Olivier Panis. Michael Schumacher, in testa alla classifica, è solo settimo ma al via una buona partenza gli permette di recuperare parecchie posizioni e di ritrovarsi addirittura al secondo posto. Sorte completamente opposta per Montoya che, scattato male, si ritrova a dover cominciare una furibonda rimonta per tenere vive le sue speranze di vittoria del campionato. Nel corso della sua rimonta tenta un sorpasso azzardato su Barrichello, con il solo risultato di buttarlo fuori pista e ricevere una penalità. Infine, nel corso della sosta ai box, perde quindici secondi e deve abbandonare ogni velleità per il titolo. Uno scroscio di pioggia rende difficile l'ultima parte di gara, ma non avvengono grossi cambiamenti e così Michael Schumacher ottiene la vittoria ponendo una seria ipoteca sul titolo, dato ad una gara dal termine ha nove punti di vantaggio su Kimi Räikkönen, l'unico pilota ancora in grado di vincere il titolo.
Gran Premio del Giappone
L'ultimo appuntamento stagionale è in programma il 12 ottobre nella consueta cornice di Suzuka: Jacques Villeneuve non prende parte all'evento perché il suo contratto è scaduto alcuni giorni prima. Al suo posto la BAR schiera il giapponese Takuma Satō. Nelle prove Michael Schumacher è solo quattordicesimo, mentre Barrichello conquista la pole position davanti a Montoya. Al via il colombiano scatta bene e prende il comando conducendo la gara sin quando un problema all'impianto idraulico lo costringe al ritiro. Il comando della corsa è preso da Barrichello, che non lo lascerà fino alla fine. Nelle retrovie Schumacher danneggia l'alettone e deve effettuare una sosta più lunga ai box. Alla fine rimonterà fino all'ottavo posto, ultimo posizionamento utile per conquistare il titolo per la sesta volta e battere il record di Fangio, che per quasi cinquant'anni lo aveva mantenuto. Al secondo posto in gara giunge invece Kimi Raikkonen, che grazie alla sua costanza nelle prestazioni, termina la stagione al secondo posto.
Risultati
Risultati dei Gran Premi
Classifiche
Il punteggio viene assegnato ai primi otto piloti classificati in ogni Gran Premio della stagione. Il primo pilota classificato totalizza 10 punti, il secondo 8, il terzo 6 e poi rispettivamente 5, 4, 3, 2 e 1 dal quarto all’ottavo posto. Ogni pilota partecipa poi al punteggio del Team per il quale corre la singola gara.
Tutti i Gran Premi della stagione concorrono ad assegnare il punteggio finale in ugual misura.
Classifica piloti
* Indica quei piloti che non hanno terminato la gara ma sono ugualmente classificati avendo coperto, come previsto dal regolamento, almeno il 90% della distanza totale.
Classifica costruttori
* Indica quei piloti che non hanno terminato la gara ma sono ugualmente classificati avendo coperto, come previsto dal regolamento, almeno il 90% della distanza totale.
Note
Bibliografia
Altri progetti
Collegamenti esterni
2003 |
1952 | https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrero%20della%20Marmora | Ferrero della Marmora | Quella dei Ferrero, marchesi della Marmora è stata un'illustre famiglia nobiliare piemontese, originaria di Biella.
L'omonimo Palazzo La Marmora, oggi in parte adibito a polo museale e situato nel borgo storico di Piazzo – parte antica della città – fu la residenza cittadina dei Ferrero della Marmora, nucleo familiare che occupa un posto di rilievo nella storia del Risorgimento italiano.
Esponenti illustri
Besso Ferrero (?-1474), figlio di Stefano
Sebastiano Ferrero (1438-1519), capostipite dei Ferrero Principi di Masserano
Gian Enrico (1468-1525), capostipite dei Ferrero Marchesi della Marmora
Giovanni Stefano Ferrero (1474-1510), cardinale
Bonifacio Ferrero (1476-1543), cardinale
Filiberto Ferrero (1500-1549), cardinale
Gianstefano Ferrero (1510-1555), militare
Pier Francesco Ferrero (1510-1566), cardinale
Guido Luca Ferrero (1537-1585), cardinale
Pietro Francesco (morto nel 1611), marchese, marito di Anna Elisabetta di Hohenberg, nipote dell'Arciduca Ferdinando II d'Austria- Tirolo
Filippo Ferrero della Marmora (1719-1789), ambasciatore e viceré di Sardegna
Teresio Ferrero della Marmora (1757-1831), cardinale
I figli del marchese Celestino (1754-1805) e di Raffaella Argentero di Bersezio:
Carlo Emanuele (1788-1854) principe di Masserano, generale, senatore del Regno di Sardegna e primo aiutante di campo di re Carlo Alberto
Alberto (1789-1863) generale, scienziato studioso e senatore del Regno di Sardegna
Alessandro (1799-1855) generale, creatore nel 1836 del Corpo dei Bersaglieri, morto a causa del colera durante la Guerra di Crimea
Alfonso (1804-1878) generale, comandante del Corpo di Spedizione Sardo in Crimea, Presidente del Consiglio del Regno di Sardegna (1859-1860) all'indomani delle dimissioni di Camillo Benso conte di Cavour dopo l'armistizio di Villafranca e successivamente del Regno d'Italia (1864-1866).
I Ferrero della Marmora riposano nella cripta-mausoleo di famiglia nella basilica di San Sebastiano di Biella.
Note
Bibliografia
Pompeo Litta, Ferrero di Biella, Milano, 1878.
Voci correlate
Dispense della prima serie delle Famiglie celebri italiane
Palazzo Ferrero
Palazzo La Marmora
Altri progetti
Collegamenti esterni
Nobiltà italiana
Biella
Marmora |
1953 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fermio | Fermio | Il fermio è l'elemento chimico della tavola periodica degli elementi di numero atomico 100 e il suo simbolo è Fm.
È un elemento transuranico, metallico, altamente radioattivo appartenente alla serie degli attinidi. Viene prodotto per bombardamento con neutroni del plutonio e prende il nome dallo scienziato italiano Enrico Fermi.
Caratteristiche
Solo piccole quantità di fermio sono state prodotte e isolate, pertanto poco si sa delle sue proprietà chimiche. In soluzione acquosa, l'unico stato di ossidazione osservato del fermio è +3.
Il 254Fm e gli altri isotopi più pesanti possono essere sintetizzati per intenso bombardamento di neutroni su bersagli di elementi più leggeri (specialmente uranio e plutonio) in cui un alternarsi di catture neutroniche e decadimenti beta porta al formarsi degli isotopi di fermio. Le condizioni di intenso irraggiamento neutronico sono tipiche delle esplosioni termonucleari, ma possono anche essere replicate in laboratori specializzati.
Non sono noti usi del fermio che non siano legati alla ricerca scientifica di base. Il fermio è l'ottavo elemento transuranico.
Storia
L'elemento di numero atomico 100 venne ipotizzato già prima dell'effettiva scoperta, assegnandogli il nome di fantasia centurio e il corrispondente simbolo Ct.
Il fermio fu scoperto nel 1952 da un gruppo di ricerca guidato da Albert Ghiorso investigando la natura dei residui lasciati dalla prima esplosione sperimentale della bomba all'idrogeno.
L'isotopo 253 si creò attraverso la combinazione di 238U con 17 neutroni alle elevate temperatura e pressione createsi con l'esplosione (alla creazione del fermio sono inoltre necessari otto decadimenti beta).
La scoperta fu tenuta segreta fino al 1955 per via delle tensioni dovute alla guerra fredda, tuttavia, a cavallo tra il 1953 ed il 1954 l'Istituto di Fisica "Alfred Nobel" di Stoccolma produsse un elemento di peso atomico circa 250 con 100 protoni bombardando un bersaglio di 238U con ioni di 16O. Il gruppo dell'Istituto Nobel non rivendicò la scoperta, ma ciò che produssero fu successivamente identificato come 250Fm.
Isotopi
Del fermio sono noti 17 isotopi radioattivi le cui masse sono comprese tra 242,073 e . I più stabili di essi sono 257Fm (con un'emivita di 100,5 giorni), 253Fm (3 giorni), 252Fm (25,39 ore) e 255Fm (20,07 ore). Tutti gli altri hanno emivite inferiori alle 5,4 ore e la maggior parte di essi inferiore a 3 minuti. Questo elemento possiede anche un metastato, 250mFm, la cui emivita è di 1,8 secondi.
Note
Bibliografia
Altri progetti
Collegamenti esterni
Elementi chimici
Enrico Fermi |
1955 | https://it.wikipedia.org/wiki/Funzione%20di%20ripartizione | Funzione di ripartizione | In statistica e teoria della probabilità, la funzione di ripartizione (o funzione cumulativa) è una funzione di variabile reale che racchiude le informazioni su un fenomeno (un insieme di dati, un evento casuale) riguardanti la sua presenza o la sua distribuzione prima o dopo un certo punto.
Nel calcolo delle probabilità
Nel calcolo delle probabilità la funzione di ripartizione, o funzione di probabilità cumulata, di una variabile casuale a valori reali è la funzione che associa a ciascun valore la probabilità del seguente evento: "la variabile casuale assume valori minori o uguali ad ".
In altre parole, è la funzione con dominio la retta reale e immagine nell'intervallo definita da
Una funzione F è una valida funzione di ripartizione se è non decrescente, continua a destra e
Una funzione di ripartizione non è necessariamente continua a sinistra (e dunque continua globalmente): se è una variabile casuale discreta e un punto del suo supporto, allora è una funzione a gradino e dunque
(ponendo senza restrizioni di generalità ) poiché è una costante indipendente da , mentre
dunque essendo si ha che non è continua.
Più in generale, una funzione di ripartizione individua univocamente una intera distribuzione di probabilità, cioè una funzione che ad ogni sottoinsieme misurabile associa la probabilità che cada in .
Proprietà
Si può dimostrare dalla definizione che valgono le seguenti uguaglianze, ponendo per semplicità di notazione :
Se è una variabile casuale assolutamente continua la funzione di ripartizione di può essere espressa come funzione integrale:
ove è detta funzione di densità di . Si può anche considerare la relazione inversa:
Se è una variabile casuale discreta (ossia ammette una collezione numerabile di possibili valori )
dove è detta funzione di probabilità di .
Esempi
Se è la variabile aleatoria risultato del lancio di un dado a sei facce si ha
dove con si indica la parte intera di x.
Se è la variabile casuale uniforme continua in si ha
.
Funzione di sopravvivenza
In alcuni modelli è più utile analizzare la probabilità che un certo dato numerico valga più del valore (come nella vita di un organismo, biologico o meccanico): questi casi sono trattati dalla branca chiamata analisi di sopravvivenza. Si definisce allora la funzione di sopravvivenza (dal termine inglese survival) come il complemento della funzione di ripartizione:
Nei casi rispettivamente continuo e discreto, valgono naturalmente delle identità speculari a quelle della ripartizione:
e
Ogni funzione di sopravvivenza è una funzione monotona decrescente, vale a dire per
Il tempo rappresenta l'origine, in genere l'inizio di uno studio o l'inizio del funzionamento di alcuni sistemi.
Variabili aleatorie multivariate
Più in generale la funzione di ripartizione di una variabile aleatoria a valori in è la funzione con dominio e codominio l'intervallo definita da
dove sono le componenti di .
Questa funzione possiede la proprietà di essere continua a destra separatamente per ogni variabile. Valgono inoltre le seguenti formule, derivanti dalla definizione:
Per qualsiasi ,
è monotona crescente separatamente in ogni variabile, cioè se ,
se per semplicità,
dove è la funzione di ripartizione della variabile -variata .
Da quest'ultima proprietà viene anche l'uguaglianza
e l'affermazione vale ovviamente anche per ogni permutazione degli indici .
In statistica descrittiva
In statistica la funzione di ripartizione empirica, o funzione di distribuzione cumulata, viene usata per descrivere fenomeni quantitativi o comunque descritti con valori misurati su scale ordinali, intervallari o proporzionali, ma non se misurati con una scala nominale.
La funzione di ripartizione viene indicata solitamente con e rappresenta il numero di osservazioni del fenomeno minori o uguali del valore .
Se sono le osservazioni (ordinate in senso crescente), con frequenze relative la funzione di ripartizione ha espressione analitica
Le sono dette frequenze relative cumulate.
Note
Bibliografia
Giorgio Dall'Aglio, Calcolo delle probabilità, Zanichelli, Bologna, 2003
Voci correlate
Distribuzione (statistica)
Funzione càdlàg
Funzione di densità di probabilità
Funzione caratteristica (teoria della probabilità)
Funzione di probabilità
Integrale
Percentile
Quantile
Statistica
Teoria della probabilità
Variabile casuale
Histogram matching
Altri progetti
Collegamenti esterni
Statistica matematica
Teoria della probabilità |
1961 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fiumi%20del%20Sudafrica | Fiumi del Sudafrica | Questa lista elenca i principali fiumi del Sudafrica.
Auob
Brak
Buffels
Caledon
Crocodile River (Mpumalanga)
Crocodile River (West)
Doring
Fish River
Gourits
Groot
Groot Letaba
Hartbees
Harts
Kariega
Kei
Komati
Kuruman
Limpopo
Mogaiakwena
Molopo
Moshaweng
Nossob
Olifants River, che sfocia nell'Oceano Atlantico, vicino a Papendorp
Olifants River (Lepelle), affluente del Limpopo
Olifants, affluente del Gourits
Orange
Pongolo
Renoster
Riet
Sak
Sand
Sout
Tugela
Vaal
Caratteristiche dei fiumi del Sudafrica
Quasi tutti i fiumi del Sudafrica hanno una portata d'acqua molto variabile; il fiume con maggior portata risulta l'Orange, mentre quello con più scarsa portata risulta il Nossob-Molopo.
Tuttavia, in caso di precipitazioni straordinarie (specie nelle stagioni delle piogge) possono gonfiarsi rapidamente ed esondare, allagando anche per svariati chilometri. Un esempio di ciò è il fiume Limpopo, che nella stagione secca rimane privo di acqua per mesi, mentre nella stagione piovosa esonda provocando molto spesso diverse vittime.
Altri progetti
Collegamenti esterni
Freshwater systems and resources National State of the Environment Report - South Africa
Sudafrica |
1962 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fondazione%20Rossini | Fondazione Rossini | La Fondazione Rossini è una fondazione di Pesaro cui è demandato il compito di tutelare l'immagine e la musica del compositore italiano Gioachino Rossini.
Storia
Con R.D. 4 aprile 1869 il Comune di Pesaro veniva autorizzato ad accettare l'eredità lasciatagli da Rossini con testamento del 5 luglio 1868. Con l'eredità il Comune istituiva il Liceo Musicale che nel giugno 1869 veniva eretto con R.D. in Corpo Morale.
Con la Convenzione del 1940 il Liceo Musicale veniva statalizzato trasformandosi in Conservatorio Statale di Musica G. Rossini, mentre l'Ente Morale, al quale il Comune aveva conferito la proprietà e la gestione del patrimonio ereditato dal Maestro, assumeva la denominazione di Fondazione G. Rossini.
Finalità della Fondazione
La Fondazione Rossini non ha scopo di lucro. Le sue finalità sono precipuemente il sostegno dell'attività del conservatorio musicale, lo studio e la diffusione nel mondo della figura, della memoria e delle opere di Rossini.
L'opera omnia in edizione critica, costituisce il maggiore impegno editoriale che la Fondazione svolge in collaborazione con Casa Ricordi cui è affidata la distribuzione delle Edizioni, la stampa degli spartiti e delle parti orchestrali e corali.
Scopo dell'edizione critica non è soltanto quello di per sé valido di compiere un'operazione di restauro filologico con la pubblicazione e quindi la trasmissione di tutto il materiale autentico, ma anche quello di restituire al pubblico la produzione rossiniana, in passato limitata a pochi titoli di repertorio.
Il collegamento con il Rossini Opera Festival, che mette in scena le opere del Maestro in edizione critica, permette la verifica immediata e dal vivo del lavoro svolto, all'interno di una dimensione di laboratorio sperimentale che costituisce un caso pressoché unico nella vita musicale non solo italiana, ma internazionale.
Fondazione Rossini, Casa Ricordi e Rossini Opera Festival fanno parte del Comitato della Restituzione rossiniana.
La Fondazione pubblica inoltre un suo periodico che ospita contributi scientifici di carattere musicologico, il Bollettino del Centro Rossiniano di Studi, e integra l'Opera Omnia con la pubblicazione dell'Epistolario rossiniano a cura di Bruno Cagli e Sergio Ragni e delle Collane Saggi e Fonti, oltre a I libretti di Rossini e Iconografia rossiniana.
L'attività della Fondazione si realizza con il contributo del Comune di Pesaro, della Regione Marche, dell'Amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la collaborazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e della Banca dell'Adriatico.
Organismi
Questi gli organismi principali della Fondazione (al 2016):
Consiglio di Amministrazione
Presidente: Oriano Giovanelli
Consiglieri Alberto Berardi; Ludovico Bramanti; Francesca Matacena; Lucio Carlo Meale; Stefano Pivato.
Assemblea
Presidente: Daniele Vimini
Consiglieri
Luigi Bravi; Fabio Corvatta; Riccardo Corbelli; Marco Cangiotti, Franca Scopinigo Mancini; Daniele Tagliolini; Massimo Tonucci.
Collegio Sindacale
Presidente: Vincenzo Galasso.
Consiglieri
Alessandro Comandini; Valeria Sacco
Segretario generale Catia Amati
Comitato d'onore
Presidente: Bruno Cagli
Componenti: Giovanni Carli Ballola; Jeremy Commons; Johan Eeckeloo; Antonio Pappano; Maurizio Pollini; Salvatore Settis.
Direttore dell'edizione critica Ilaria Narici
Collaboratori scientifici Annalisa Bini; Emilio Sala; Cesare Scarton; Damien Colas; Davide Daolmi; Renato Meucci; Reto Muller; Benjamin Walton
Collegamenti esterni
Rossini
Organizzazioni musicali italiane
Gioachino Rossini
Enti culturali delle Marche
Musica a Pesaro |
1964 | https://it.wikipedia.org/wiki/Frank%20Wilcoxon | Frank Wilcoxon | Cominciò la carriera scientifica nell'ambito della chimica nella quale operò dal 1924 al 1950
(ricerca sugli insetticidi, sintesi delle sostanze di crescita delle piante, azioni fungicide).
Si interessò di statistica nel 1941 studiando il Statistical Methods for Research Workers (1925) di
R.A.Fisher.
Opere
Individual comparisons by ranking methods, in Biometrics, 1945
Probability tables for individual comparisons by ranking methods, in Biometrics, 1947
Some rapid approximate statistical procedures, 1949
Voci correlate
Statistica
Statistica non parametrica
Test non parametrico
Test dei segni per ranghi di Wilcoxon
Test di Wilcoxon-Mann-Whitney
Collegamenti esterni |
1969 | https://it.wikipedia.org/wiki/Penisola%20della%20Florida | Penisola della Florida | La penisola della Florida (larga 130 km, lunga 650 km) forma la parte meridionale dello stato omonimo degli USA. Protesa tra il Golfo del Messico e l'Oceano Atlantico, è attraversata dal 28º parallelo, che la divide circa a metà.
Prima di divenire parte degli Stati Uniti, nel 1822, è stata governata da spagnoli ed inglesi.
La dominazione inglese fu un breve intervallo tra due dominazioni spagnole nel corso del XVIII secolo, terminata con il Trattato di Versailles del 1783. Poiché spagnoli ed inglesi si contendevano il possesso delle Bahamas (per la loro posizione strategica a cavallo delle rotte per i Caraibi), la penisola della Florida venne usata come moneta di scambio: la sua assegnazione agli spagnoli corrispose alla cessazione delle loro mire sulle Bahamas, che divennero parte del Regno Unito.
È la patria degli indiani Seminole.
Morfologia e clima
Morfologicamente è una vasta pianura, coperta da terreni sedimentari calcarei, posta a pochi metri sul livello del mare e caratterizzata da uno scarso drenaggio che favorisce lo sviluppo di zone paludose.
È costellata da laghi di origine carsica, tra cui il Lago Okeechobee, il secondo lago per superficie di tutti gli USA, situato a 4 e profondo 4 - 5 metri.
Il clima è tropicale, con due stagioni della stessa durata: la stagione secca (da dicembre ad aprile) con scarse precipitazioni e temperatura elevata, e quella piovosa (da maggio a novembre) con precipitazioni dell'ordine di 1000 – 1650 mm di pioggia all'anno e caratterizzata da frequenti uragani nel periodo compreso tra la fine dell'estate l'inizio dell'inverno.
Le Everglades
Le Everglades, racchiuse in un parco nazionale, occupano l'estremità meridionale della penisola. Si tratta di una zona selvaggia di paludi ed acquitrini con ecosistema unico.
Nelle paludi vivono coccodrilli, alligatori, tursiopi, lamantini, aquile di mare e falchi pescatori, molte specie di uccelli come l'aninga americana (Anhinga anhinga), l'ibis bianco (Eudocimus albus), l'airone bianco (Ardea herodias occidentalis) e la mitteria d'America (Mycteria americana), e una vegetazione ricca di palme, mangrovie, orchidee e cipressi di palude.
Voci correlate
Seminole
Parco nazionale delle Everglades
Altri progetti
Collegamenti esterni
Geografia della Florida
Penisole degli Stati Uniti d'America |
1975 | https://it.wikipedia.org/wiki/FBI | FBI | LFBI (, pronuncia italiana dell'inglese ; Federal Bureau of Investigation, "Ufficio Federale di Investigazione") è un'agenzia governativa di polizia federale degli Stati Uniti d'America. Ha la competenza in tutti gli Stati per alcuni reati tra cui l'antiterrorismo, il crimine organizzato e l'intelligence interna.
Istituito il 26 luglio 1908, rappresenta il principale braccio operativo del Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti (DOJ). L'FBI ha sotto la propria giurisdizione oltre duecento categorie di reati federali e ciò lo rende di fatto il maggiore ente di polizia giudiziaria del governo degli Stati Uniti. Il motto dell'FBI è "Fidelity, Bravery, Integrity" ("Fedeltà, Coraggio, Integrità").
Cambiò nome nel 1935 durante la direzione di John Edgar Hoover, il quale ne è stato il direttore per quasi 48 anni (dal 10 maggio 1924 al 2 maggio 1972) e fu il maggiore protagonista nello sviluppo degli obiettivi dell'ente. Il J. Edgar Hoover Building a Washington DC, l'FBI Academy a Quantico e il complesso del CJISD a Clarksburg servono come principali centrali di supporto per ognuno degli uffici dell'FBI, sparsi in tutta la nazione.
Storia
Il contesto storico e la creazione del BOI
Nel 1896 fu fondato il "National Bureau of Criminal Identification", che fornì alle agenzie di tutto il paese informazioni per identificare criminali noti. L'assassinio di William McKinley nel 1901 creò la percezione che gli Stati Uniti fossero minacciati dagli anarchici; così i Dipartimenti della giustizia e quello del lavoro crearono appositi registri per controllare tali soggetti. Il neopresidente Theodore Roosevelt diede istruzioni al procuratore generale Charles Joseph Bonaparte di organizzare un servizio investigativo autonomo che riferisse solo al procuratore generale. Bonaparte contattò altre agenzie, incluso lo "United States Secret Service" per la selezione del personale, in particolare gli investigatori. Il 27 maggio 1908, il Congresso proibì questo uso dei dipendenti del Tesoro da parte del Dipartimento di Giustizia, citando i timori che la nuova agenzia avrebbe agito come dipartimento di polizia segreto. Di nuovo su sollecitazione di Roosevelt, Bonaparte si trasferì per organizzare un formale Bureau of Investigation, che avrebbe poi avuto il suo personale di agenti speciali.
Il dipartimento fu ufficialmente creato il 26 luglio del 1908. Il procuratore generale Bonaparte, utilizzando i fondi spese del Dipartimento di giustizia, assunse dapprima 34 unità, tra cui alcuni veterani dei servizi segreti, per una nuova agenzia investigativa che fu denominata Bureau Of Investigation. Il suo primo capo fu Stanley Finch; Bonaparte notificò al Congresso queste azioni nel dicembre dello stesso anno.
L'anno seguente il BOI fu collegato al Bureau of Prohibition e fu ribattezzato Division Of Investigation.
Attraverso il lavoro di Edwin Atherton dopo la conclusione della guerra di confine col Messico nella fase finale della guerra delle fazioni, l'FBI riuscì a fermare un intero esercito di neo-rivoluzionari messicani lungo il confine californiano nel 1920.
La direzione di Hoover e le operazioni di intelligence
Con la guida di Hoover dal 1924, ci fu un progressivo ampliamento di mezzi e competenze.
Nel 1932 fu ridenominato United States Bureau of Investigation e, soprattutto grazie agli sforzi di Hoover, fu ufficialmente aperto il Laboratorio di Individuazione Scientifica del Crimine.
Hoover ebbe anche un ruolo di primaria importanza in molti dei casi e dei progetti seguiti dall'FBI fino alla sua morte. Durante la grande depressione e gli anni trenta, gli agenti dell'FBI catturarono o uccisero un certo numero di noti tra i quali: John Dillinger, Baby Face Nelson, Kate Ma Barker, Alvin Karpis e George Machine Gun Kelly; l'agenzia svolse anche un ruolo importante nel limitare le azioni e l'influenza del Ku Klux Klan.
Nel 1933 fu aperta l'accademia FBI, allo scopo di addestrare i nuovi agenti, dopo che gli fu concesso il potere di arrestare e possedere un'arma da fuoco.
Diventò poi una agenzia indipendente all'interno del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d'America, adottando l'attuale denominazione di FBI, nel 1935.
A cominciare dalla seconda guerra mondiale, il Bureau si occupò anche di controspionaggio e indagò su casi di spionaggio contro gli Stati Uniti e i loro alleati. Furono arrestati otto agenti tedeschi che avevano progettato sabotaggi contro obiettivi statunitensi e sei di loro vennero giustiziati come ad esempio nel caso Ex parte Quirin nel 1942. Durante quello stesso periodo, un tentativo congiunto da parte di Stati Uniti e Regno Unito nell'ambito del progetto Venona - in cui l'FBI era pesantemente coinvolta - infranse i codici di comunicazione dell'intelligence e della diplomazia sovietica, permettendo ai governi britannico e statunitense di intercettare le telecomunicazioni sovietiche: da questo venne la conferma dell'esistenza di agenti americani che lavoravano negli Stati Uniti al servizio dello spionaggio sovietico.
Durante i decenni 1950 e 1960 gli ufficiali dell'FBI divennero sempre più preoccupati per i capi dei movimenti per i diritti civili. Nel 1956, ad esempio, Hoover fece l'insolito gesto di spedire una lettera aperta di critica verso il dottor T.R.M. Howard, il capo di un movimento per i diritti civili, chirurgo, e benestante imprenditore del Mississippi, che aveva criticato il mancato intervento dell'FBI nella soluzione degli omicidi di George W. Lee ed Emmett Till, e altri afro-americani del Sud del paese. Hoover stava amministrando il progetto, ma non riuscì ad avvertire la Central Intelligence Agency (CIA) fino al 1952. Un altro caso degno di nota fu l'arresto, avvenuto nel 1957, della spia sovietica Rudolf Abel. La scoperta di spie sovietiche nel territorio degli Stati Uniti permise a Hoover di perseguire la sua perenne ossessione nei confronti della minaccia che sentiva provenire dalla sinistra americana, dal Partito Comunista degli Stati Uniti d'America (CPUSA) ai liberali americani, che non avevano nessuna aspirazione rivoluzionaria. L'FBI condusse controverse azioni di sorveglianza in un'operazione chiamata COINTELPRO, che mirava a individuare e distruggere le organizzazioni politiche dissidenti all'interno degli USA, sia quelle militanti sia quelle non violente, tra le quali la Southern Christian Leadership Conference, una delle più importanti organizzazioni per i diritti civili, al riguardo Martin Luther King fu spesso oggetto di indagine ma l'FBI non trovò mai prove di alcun crimine, ma tentò di utilizzare i nastri sulle relazioni sessuali di King per minacciarlo.
Quando il presidente John F. Kennedy fu assassinato, la giurisdizione del caso fu affidata al dipartimento di polizia locale, finché il presidente successivo, Lyndon B. Johnson ordinò all'FBI di sostituirsi a esso nelle indagini. Per assicurarsi poi che non ci fosse più confusione sull'assegnazione dei casi di omicidio di interesse federale, il Congresso approvò una legge che assegnava esclusivamente all'FBI le indagini sulla morte di ufficiali federali.
Dopo l'entrata in vigore del provvedimento Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act, l'FBI nel 1972, anno in cui Hoover lasciò la direzione, cominciò a indagare sui gruppi organizzati nel periodo dell'ex-proibizionismo, che erano adesso un fronte criminale presente nelle grandi città come in quelle piccole. Tutto il lavoro dell'FBI era svolto sotto copertura e grazie alle norme sancite dal RICO, questi gruppi vennero smembrati. Nonostante all'inizio Hoover avesse negato la presenza di una struttura diffusa della criminalità organizzata negli USA, l'FBI condusse in seguito operazioni contro i clan conosciuti della criminalità organizzata, inclusi quelli capeggiati da Sam Giancana e da John Gotti.
Dagli anni ottanta alla fine della guerra fredda
Nel 1983 l'FBI costituì una squadra d'élite (sul modello delle SWAT delle forze di polizia locali) per affrontare eventuali problemi che sarebbero potuti sorgere durante le Olimpiadi di Los Angeles del 1984, in particolare per i rischi di terrorismo. Il reparto fu chiamato Hostage Rescue Team, mentre nel 1984 fu costituita la CART (Computer Analysis and Response Team - Squadra per l'analisi e la risposta ai [crimini con i] computer). La fine degli anni ottanta e la prima metà degli anni novanta vide oltre 300 agenti riassegnati dalle operazioni di controspionaggio a quelle riguardanti i crimini violenti, nonché la designazione della lotta al crimine violento come sesta priorità nazionale nelle operazioni del Bureau. Nel 1991 il giornalista del Washington Post, Carl Rowan, affermò che l'FBI aveva inviato a King almeno una lettera anonima che lo incoraggiava a suicidarsi.
Con tagli ad altri dipartimenti ben strutturati, e poiché con la fine della guerra fredda il terrorismo non era più considerato una minaccia alta, l'FBI divenne uno strumento della polizia locale per rintracciare i fuggitivi che avevano oltrepassato i confini di stato. I laboratori dell'FBI contribuirono anche a sviluppare i test sul DNA, continuando il loro ruolo di pionieri nell'identificazione e schedatura dei criminali; tale attività, infatti, cominciò con il sistema di archiviazione delle impronte digitali raccolte a partire dal 1924.
Tra il 1993 e il 1996 l'FBI incrementò le azioni di contro-terrorismo, ridestato con il primo attentato al World Trade Center a New York nel 1993 e con l'attentato a Oklahoma City nel 1995, e procedette all'arresto, nel 1996, di Theodore Kaczynski, noto come Unabomber. Le innovazioni tecnologiche e le capacità degli analisti dei laboratori garantirono il successo all'FBI nella chiusura dei tre casi, ma in questo stesso periodo l'FBI si scontrò con l'ostilità di molti, che dura tutt'oggi.
Dopo che il Congresso ebbe approvato il CALEA Act (Communications Assistance for Law Enforcement Act - Legge sul Supporto alle Comunicazioni per l'Applicazione delle Leggi), lHIPA Act (Health Insurance Accountability Act - Legge sulla Registrazione dell'Assicurazione Sanitaria) e la EEA (Economic Espionage Act - Legge sullo Spionaggio Economico) nel 1996, l'FBI subì, nel 1998, cambiamenti significativi nelle sue tecnologie, come era già successo al CART nel 1991. Vennero creati il CITAC (Computer Investigations and Infrastructure Threat Assessment Center - Centro per le Indagini Computerizzate e l'Individuazione delle Minacce alle Infrastrutture) e lNIPC (National Infrastructure Protection Center - Centro Nazionale per la Difesa delle Infrastrutture), allo scopo di occuparsi dei crescenti problemi collegati a Internet, come virus, worm e altri programmi dannosi che potrebbero scatenare il caos negli Stati Uniti.
In seguito a questi sviluppi, l'FBI incrementò la sorveglianza elettronica nella pubblica sicurezza e nelle indagini per la sicurezza nazionale, adattandosi via via che, con l'evolversi delle telecomunicazioni, cambiava la natura dei problemi.
Il ruolo dopo gli attentati dell'11 settembre 2001
A partire dal XXI secolo ed in particolare dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, il direttore dell'FBI Robert Mueller, che era stato posto al comando del Bureau solo tre giorni prima dell'attacco, volle riorganizzare la struttura dell'FBI e delle sue operazioni. Egli definì come una priorità assoluta combattere ogni crimine federale, inclusa la lotta al terrorismo, contrastare le operazioni di intelligence nemiche, incursioni elettroniche alla sicurezza, altri crimini informatici, la protezione dei diritti civili, la lotta alla corruzione, alla criminalità organizzata, a quella dei colletti bianchi e ai maggiori crimini violenti. Il 23 ottobre dello stesso anno dopo l'approvazine dello USA PATRIOT Act i poteri dell'agenzia vennero incrementati, in funzione del contrasto al terrorismo internazionale.
Competenze e funzioni
La missione dell'FBI è proteggere gli Stati Uniti dal terrorismo e da altre minacce esterne, mantenere e applicare le leggi, fornire una guida e i servizi per la giustizia penale alle altre agenzie federali, statali, municipali o internazionali. Le leggi federali conferiscono all'FBI l'autorità di investigare e perseguire crimini specifici; essa svolge la funzione di autorità di intelligence civile, all'interno del territorio degli Stati Uniti. Le informazioni ottenute attraverso un'indagine dell'FBI sono presentate al competente Segretario di Stato degli Stati Uniti d'America o a un membro del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d'America, che decide se il fatto è più o meno perseguibile legalmente. Il Procuratore generale degli Stati Uniti d'America può avvalersi dell'attività dell'agenzia,
Le priorità investigative sono state quelle di prevenire e reprimere reati perseguibili a livello federale; le attività possono essere così riassunte:
Proteggere gli Stati Uniti dagli attacchi terroristici;
Proteggere gli Stati Uniti da operazioni di spionaggio da parte di agenzie straniere;
Proteggere gli Stati Uniti dagli attacchi cibernetici e dal crimine informatico;
Proteggere i diritti civili;
Combattere la corruzione politica su tutti i livelli;
Combattere il crimine organizzato
Combattere i maggiori crimini violenti;
Collaborare con le altre forze di polizia statunitensi e istituzioni locali e internazionali;
Migliorare la tecnologia per il successo delle operazioni del corpo stesso.
Si occupa inoltre di contrasto al crimine organizzato e di tipo mafioso, tramite il Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act. Ha anche il compito di sorvegliare e far rispettare i diritti civili sanciti dal Civil Rights Act ("Legge sui Diritti Civili") del 1964, e indagare sulle violazioni della legge, nonché perseguire tali violazioni a fianco del Dipartimento di Giustizia. 'FBI condivide con la Drug Enforcement Administration (DEA - "Ufficio per il controllo delle droghe") l'applicazione della legge del 1970 sulle sostanze stupefacenti (Controlled Substances Act). Inoltre, il Patriot Act 2001 ha aumentato i poteri concessi all'FBI, specialmente nell'intercettazione e nella sorveglianza delle attività su internet, nella prevenzione e repressione del crimine informatico.
Il FBI, data la sua ampia autorità, ha la facoltà di subentrare in qualunque indagine federale. L'unica altra agenzia con poteri investigativi simili a quelli dell'FBI è l'agenzia dell'Immigrazione e delle Dogane (ICE) e, dagli attentati dell'11 settembre 2001 il FBI ha sempre mantenuto un ruolo primario in molte indagini riguardanti reati federali.
Organizzazione
L'FBI è organizzato in rami funzionali (Branch) e nell'Ufficio del Direttore, che contiene la maggior parte degli uffici amministrativi. Un vicedirettore esecutivo gestisce ogni branch, che è suddivisa in uffici o divisioni, ciascuno guidata da un vicedirettore.
Il direttore
Il direttore dell'FBI viene nominato dal Presidente degli Stati Uniti d'America e la sua nomina deve essere approvata dal Senato; il suo mandato dapprima non aveva limiti temporali ma dal 1976 la durata è stata stabilita in dieci anni.
Il direttore dell'FBI è responsabile delle operazioni quotidiane dell'ente; con i suoi collaboratori, si assicura che le missioni e i casi vengano seguiti nel modo corretto. Egli ha anche il compito di verificare che le varie dislocazioni degli uffici FBI siano gestite da agenti qualificati. Prima dell'11 settembre 2001, il direttore aggiornava personalmente il Presidente degli Stati Uniti su ogni problema che sorgesse all'interno dell'FBI, mentre dal 2004 risponde al direttore dell'Intelligence Nazionale.
Servizi e Divisioni
National Security Branch
Intelligence Branch
Criminal, Cyber, Response, and Services Branch
International Operations Division, si occupa delle operazioni fuori dal territorio nazionale
Hostage Rescue Team
Information and Technology Branch
Science and Technology Branch
La Criminal Justice Information Services Division ("Divisione per l'Informazione alla Giustizia Criminale") è situata a Clarksburg, nella Virginia Occidentale. È la divisione più giovane dell'FBI, essendo stata formata solo nel 1991, e ufficialmente aperta nel 1995. Il solo complesso ha la lunghezza di tre campi da football (circa 330 metri), il suo scopo è di mantenere un archivio con tutte le informazioni. Sotto il tetto del CJIS si trovano conservati i programmi del Centro Nazionale d'Informazione sul Crimine (NCIC), il Riscontro del Crimine in Uniforme (UCR), l'Identificazione delle Impronte digitali, il Sistema Automatico Integrato per l'Identificazione delle Impronte digitali (IAFIS), NCIC 2000 (vedi sopra NCIC) e il Sistema Nazionale di Rapporto sugli Incidenti (NIBRS). Molte agenzie usano questi sistemi per reperire informazioni utili alle loro indagini e contribuiscono ai database utilizzando reti di comunicazione protette. Il FBI fornisce questi evoluti sistemi di identificazione e informazione a diverse agenzie locali, statali e internazionali. Esso lavora spesso in collaborazione con la Guardia Costiera Statunitense, la Dogana e le Pattuglie di Confine per la sicurezza portuale, e collabora con la Commissione Nazionale sulla Sicurezza dei Trasporti, nelle indagini sugli incidenti aerei e altri avvenimenti critici.
L'accademia
L'accademia addestrativa (FBI Academy), situata all'interno della Marine Corps Base Quantico, in Virginia, è la sede del laboratorio di computer e comunicazioni utilizzato dall'FBI, ma soprattutto il luogo dove vengono formati i nuovi allievi destinati a diventare Agenti speciali dell'FBI, attraverso le ventuno settimane di corso necessarie..
L'accademia fu aperta per la prima volta nel 1972, su un'area di 385 acri () di terreno forestale.
È inoltre utilizzata come scuola per ufficiali e dirigenti delle agenzie legali locali e federali che frequentano il FBI National Academy, miglior programma di aggiornamento per le forze dell'ordine statunitensi.
Le unità addestrative FBI situate a Quantico sono:
l'Unità di addestramento sul Campo e addestramento di Polizia,
l'Unità di Addestramento alle Armi da fuoco,
il Centro di Ricerca e Addestramento alle Scienze Forensi,
l'Unità dei Servizi per le Tecnologie (TSU),
l'Unità di Addestramento Investigativo,
l'Unità di Comunicazione per le Forze dell'Ordine,
l'Unità di Comando e Direzione Scientifica (LSMU),
l'Unità di Addestramento Fisico, l'Unità di Addestramento per i Nuovi Agenti (NATU),
l'Unità di Applicazione Pratica (PAU),
l'Unità di Addestramento Investigativo al Computer
il Collegio di Studi Analitici.
La dislocazione sul territorio
Il quartier generale dell'FBI risiede al J. Edgar Hoover Building a Washington, D.C., con 56 uffici dislocati nelle maggiori città degli Stati Uniti.
L'FBI conta anche più di 400 agenzie residenti nelle città degli Stati Uniti. Nonostante il suo focus interno, l'FBI mantiene anche una significativa presenza internazionale, gestendo 60 uffici di Legal Attache (LEGAT) e 15 sottouffici nelle ambasciate e i consolati statunitensi in tutto il mondo. Questi uffici esteri esistono principalmente allo scopo di coordinarsi con i servizi di sicurezza esteri.
Molti reparti specifici dell'FBI sono situati nelle basi di Quantico, Virginia, e Clarksburg in Virginia Occidentale. L'FBI sta oltretutto trasferendo a Winchester (Virginia) la Divisione per la trattazione delle Registrazioni, che si occupa delle operazioni riguardanti il Freedom of Information Act.
I laboratori dell'FBI, nati con il BOI, non apparvero nello J. Edgar Hoover Building fino al suo completamento, nel 1974. Il laboratorio è il principale luogo delle attività di biologia, fisica e sul DNA. Tra i servizi che il laboratorio svolge sono comprese analisi chimiche, il sistema combinato degli archivi del DNA (CODIS), analisi computerizzata, analisi del DNA, verifica dei reperti, analisi di esplosivi, verifica di utensili e armi da fuoco, acustica forense, ottica forense, analisi delle immagini, ricerca scientifica forense, tirocinio per la scienza forense, controllo dei materiali pericolosi, grafica investigativa, analisi dei materiali, documenti richiesti, registrazioni sui racket, analisi fotografica speciale, progettazione strutturale e segnalazione dei reperti.
I servizi del laboratorio dell'FBI sono usati gratuitamente da molte agenzie statali locali e internazionali. Il laboratorio sostiene anche un secondo laboratorio all'Accademia dell'FBI.
Personale
Il sito web dell'FBI riportava che nel 2006 gli impiegati erano , inclusi agenti speciali e del personale di supporto, mentre nel 2012 sono di cui agenti speciali e collaboratori specializzati.
Reclutamento
L'accesso al corpo è aperto sia a militari sia a civili, è necessario però avere i seguenti requisiti:
Essere in possesso di cittadinanza statunitense;
Aver un'età compresa tra i 23 ed i 37 anni;
Possedere un diploma di laurea conseguito al termine di un corso di studi di quattro anni nonché esperienza lavorativa di almeno tre anni;
Possedere una fedina penale pulita e non aver mai commesso un reato o aver preso parte a uno di esso;
Possedere una patente di guida valida;
Non avere tatuaggi visibili sul volto, collo, mani (in generale tutto quello che è visibile oltre alla divisa);
È necessario anzitutto superare una serie di indagini di controllo (SSBI - Single Scope Background Investigation) condotte dallo United States Office of Personnel Management, i potenziali agenti devono superare anche un test fisico (PFT - Physical Fitness Test) che include una corsa sui 300 metri, un minuto di addominali, flessioni e una corsa di 1,5 miglia (2,4 chilometri).
Devono essere in possesso di un'autorizzazione di nulla osta sicurezza denominata Top Secret Security Clearance per l'accesso a informazioni riservate e in molti casi anche di un ulteriore permesso per le informazioni di importanza vitale (Sensitive information Top Secret).
Dopo che gli aspiranti agenti hanno ottenuto l'autorizzazione e firmato il modulo di non esclusione SF-312, frequentano la struttura di addestramento dell'FBI situata presso la Marine Corps Base Quantico, in Virginia. Qui, i candidati passano circa 18 settimane nella FBI Academy (situata all'interno della base di Quantico) dove seguono oltre 500 ore di lezione e più di 1.000 ore di addestramento simulato.
Assegnazione
Dopo il conseguimento di un diploma, i nuovi agenti speciali dell'FBI vengono dislocati in tutti gli Stati Uniti d'America ed anche in altri Stati del mondo, a seconda delle loro specifiche competenze. Il personale di supporto professionale lavora in una delle tante strutture di supporto gestite dall'FBI.
Tuttavia, ogni agente o membro del personale può essere trasferito dovunque, in qualsiasi momento e per qualunque durata di tempo, se le condizioni richiedono la sua presenza in una delle tante dislocazioni presso le circa 400 sedi dell'agenzia.
Indagini statistiche
Uniform Crime Reports
Gli Uniform Crime Reports (UCR) comprendono dati di oltre agenzie di sicurezza in tutto il paese. Queste forniscono dati dettagliati riguardanti i crimini avvenuti, includendo l'arresto, il chiarimento (o chiusura) di un caso e le informazioni sugli agenti di polizia. L'UCR si concentra sul raccoglimento di dati di crimini violenti, crimini d'odio, e crimini di proprietà. Creato negli anni venti, l'UCR non ha tuttavia dimostrato di essere uniforme come implica il nome. I dati infatti riflettono solamente il reato più grave nel caso di crimini connessi tra loro e ha una definizione molto restrittiva di stupro. Poiché il 93% circa dei dati inviati all'FBI è in questo formato, l'UCR viene evidenziato come la scelta principale delle agenzie di sicurezza di molti Stati per inviare questi dati.
Un rapporto UCR preliminare del 2005 è stato pubblicato il 16 giugno 2006. Il rapporto mostra come i crimini di natura violenta siano saliti del 2,5%, ma quelli di proprietà siano calati del 1,6% rispetto al 2004.
National Incident Based Reporting System
Il National Incident Based Reporting System (NIBRS, Sistema Nazionale di Relazioni Basato sugli Incidenti) punta a evidenziare i limiti inerenti ai dati dell'UCR. Il sistema viene utilizzato dagli Stati Uniti per raccogliere e riportare dati sui crimini. Le agenzie locali, statali e federali creano dati NIBRS dai loro sistemi di amministrazione di archivi. I dati vengono raccolti su ogni incidente e arresto del Gruppo A delle categorie di reato. I reati del Gruppo A comprendono 46 crimini specifici raggruppati in 22 categorie di crimine. I fatti specifici di questi vengono raccolti e riportati nel sistema NIBRS. Oltre ai crimini del Gruppo A, 11 crimini del Gruppo B vengono trascritti solamente con le informazioni sull'arresto. Il sistema NIBRS è molto più dettagliato del sistema UCR basato su sommari. Entro il 2004, 5 271 agenzie di sicurezza hanno inviato dati NIBRS. Questi rappresentano il 20% della popolazione degli Stati Uniti e il 16% dei dati statistici raccolti dall'FBI.
Attività particolari
Pubblicazioni
LFBI Law Enforcement Bulletin viene pubblicato mensilmente dalla Law Enforcement Communication Unit dell'FBI, con articoli che interessano le forze dell'ordine locali e nazionali. La sua pubblicazione ebbe inizio nel 1932 con il nome di Fugitives Wanted by Police ("Fuggitivi Ricercati dalla Polizia"); questo bollettino tratta molti temi importanti per le forze dell'ordine, come l'uso della forza, le nuove tecnologie, e le ricerche sulla giustizia penale, come pure le pubblicazioni di casi importanti e dei ricercati dalla polizia.
L'FBI pubblica anche alcuni periodici sia per le forze dell'ordine sia per i normali cittadini, trattando temi come il terrorismo, il crimine informatico, i crimini violenti, nonché le relative statistiche.
Tuttavia, la gran parte delle pubblicazioni del governo federale che tratta questi argomenti viene pubblicata dalle agenzie dell'Office of Justice Programs, parte del Dipartimento di Giustizia statunitense, e distribuite per mezzo del National Criminal Justice Reference Service ("Servizio Nazionale di Rapporto sulla Giustizia Penale").
Rapporto coi mass media
Qualunque autore, sceneggiatore televisivo o produttore può consultare l'FBI a proposito di casi chiusi, operazioni, servizi o sulla storia dell'agenzia. Tuttavia, non è obbligatorio farlo. A differenza della CIA, che verifica la correttezza e la precisione delle informazioni mediante un apposito ufficio addetto alle pubbliche relazioni, l'FBI non verifica o corregge questi contenuti, né opera delle specifiche consultazioni in proposito. Quindi, mentre alcuni autori televisivi o cinematografici presentano un'immagine realistica dell'FBI, altri ne distorcono la reale funzione, o vi aggiungono degli eventi immaginari a scopo drammatico.
Aspetti controversi
Nell'ultimo decennio l'FBI ha subito le critiche del pubblico e ha avuto difficoltà dovute a conflitti interni. Mentre l'FBI tenta di modernizzare la sua tecnologia per rendere più efficiente la lotta al terrorismo, ci sono state volte in cui la sua azione è stata criticata.
Molte delle recenti controversie sono collegate alle organizzazioni terroriste o a errori nelle operazioni. Negli anni novanta, il coinvolgimento dell'FBI negli incidenti di Ruby Ridge e nell'Assedio di Waco fece insorgere una forte protesta verso la gestione tattica. Nelle Olimpiadi di Atlanta del 1996, l'FBI fu criticato per le sue indagini sul bombardamento del Centennial Olympic Park. È stata recentemente sanata una disputa con le organizzazioni dei media riguardo a Richard Jewell che al tempo era una guardia di sicurezza privata, dato che il suo nome era trapelato nel corso delle indagini. Negli anni novanta si scoprì che l'unità dell'FBI preposta alle impronte digitali aveva spesso fatto un lavoro scadente. In alcuni casi i tecnici, ottenute prove che scagionavano un sospetto, avevano invece riferito che queste ne provavano la colpevolezza. Molti casi dovettero essere riaperti dopo la verifica di questi errori.
Nel 2000 l'FBI ha cominciato il progetto Trilogy, per rimodernizzare le infrastrutture della Information Technology (IT). Questo progetto doveva durare tre anni, con un costo di circa 380 milioni di dollari, ma ha finito con il superare abbondantemente le spese e i tempi previsti.
Gli sforzi per fornire computer moderni e strumenti per la rete riuscirono in gran parte, ma i tentativi di sviluppare nuovi software investigativi, affidati alla SAIC (Science Applications International Corporation - Corporazione Internazionale delle Scienze Applicate) furono un disastro. Il Virtual Case File, o VCF, come era conosciuto il programma, fu stravolto da obiettivi molto vaghi e da un frequente cambio nell'amministrazione.
Nel gennaio del 2005, più di due anni dopo la prevista scadenza per il completamento del software, l'FBI ha abbandonato ufficialmente il progetto, costato più di 100 milioni di dollari, e mai reso operativo. L'FBI è stato così costretto a continuare a utilizzare il suo decennale sistema di Supporto Automatizzato sui Casi, considerato dagli esperti della Information Technology terribilmente inadeguato.
Nel marzo del 2005 l'FBI ha annunciato di aver dato il via a un nuovo e più ambizioso progetto per un software nominato in codice Sentinel, che dovrebbe essere completato nel 2009.
Nel febbraio del 2001, Robert Hanssen fu scoperto a vendere informazioni ai russi. Fu in seguito scoperto che Hanssen, che aveva raggiunto nell'FBI una posizione piuttosto alta, vendeva informazioni riservate sin dal 1979. Fu giudicato colpevole di tradimento, e nel 2002 fu condannato a vita; ma l'incidente indusse molti a dubitare delle pratiche di sicurezza impiegate dall'FBI. Ci fu anche chi sostenne che Robert Hanssen avesse diffuso informazioni che contribuirono alla realizzazione degli attentati dell'11 settembre.
Il 22 luglio 2004, il rapporto definitivo della Commissione d'indagine sugli attentati dell'11 settembre 2001, stabiliva che l'FBI e la CIA erano in parte colpevoli per non aver seguito i rapporti che avrebbero potuto evitare il compimento degli attacchi dell'11 settembre. Nella sua affermazione più cruda, il rapporto concluse che il paese "non era stato servito bene" da nessuna delle agenzie, ed espose numerose raccomandazioni per cambiamenti all'interno dell'FBI. Mentre l'FBI ha ottemperato a gran parte delle raccomandazioni, inclusa la supervisione del nuovo Direttore dell'Intelligence Nazionale, nell'ottobre del 2005 alcuni ex-membri della commissione per l'11 settembre hanno criticato pubblicamente l'FBI, affermando che si era opposto a qualunque cambiamento significativo.
Note
Voci correlate
Carlo Giuseppe Bonaparte
J. Edgar Hoover
COINTELPRO
Dipartimento della giustizia degli Stati Uniti d'America
Direttori dell'FBI
Forze di polizia degli Stati Uniti d'America
Sparatoria dell'FBI a Miami del 1986
Altri progetti
Collegamenti esterni |
1977 | https://it.wikipedia.org/wiki/Franco%20Corelli | Franco Corelli |
Biografia
Gli inizi
Nacque in una famiglia amante della lirica: il nonno Augusto Corelli fu tenore di buon livello e due zii paterni furono tenori coristi; il padre, Remo Corelli (1887-1983), e la madre, Natalina Marchetti (1889-1950), erano appassionati di canto, che praticavano a livello amatoriale.
Di fisico atletico, praticò il nuoto. Nel 1939 si diplomò come geometra e, dopo il servizio militare, nel 1942 trovò impiego al Comune di Ancona. In quegli anni cominciò a frequentare le riunioni che si tenevano nelle sale del "casino dorico", il circolo culturale del Teatro delle Muse, e nacque in lui la passione per la musica lirica e l'idea di dedicarsi al canto. Disse lo stesso Corelli: «Ho cominciato a cantare per gioco. Con un amico ascoltavo dischi e cantavo per ore e ore, e fu così che mi innamorai del canto». Nel 1946 iniziò a frequentare la Corale Bellini della sua città, cantando da baritono. In seguito Carlo Scaravelli, l'amico con cui collaborava come autodidatta, lo introdusse presso il maestro Arturo Melocchi del Conservatorio Gioachino Rossini di Pesaro, i cui insegnamenti gli permisero di estendere il proprio registro vocale a tenore. Disse Corelli a questo proposito: «Dopo alcuni mesi riacquistai la mia libertà nel canto e le mie note alte».
Ne seguì la decisione d'intraprendere seriamente la carriera di cantante d'opera. Grazie a una voce di rara ampiezza ed estensione nel 1950 fu ammesso a un corso di perfezionamento presso il Teatro Comunale di Firenze. L'anno successivo vinse il concorso del Teatro lirico sperimentale "Adriano Belli" di Spoleto e il 26 agosto debuttò nella cittadina umbra in Carmen, manifestando fin dall'inizio della carriera la prevalente vocazione ai ruoli di genere lirico-spinto e drammatico.
La carriera
Già l'anno seguente debuttò in Giulietta e Romeo di Riccardo Zandonai al Teatro dell'Opera di Roma, seguita da Adriana Lecouvreur accanto a Maria Caniglia. Nel teatro della capitale apparve regolarmente fino al 1958, incontrandovi per la prima volta Maria Callas nel 1953 per un'edizione di Norma. Nei primi anni di carriera cantò in numerosi altri teatri italiani, anche di provincia.
Nel 1954 esordì alla Scala di Milano, accanto a Maria Callas, ne La Vestale di Gaspare Spontini. Nel teatro milanese apparve, nel decennio successivo, in molteplici rappresentazioni: La fanciulla del West e Turandot di Giacomo Puccini, Fedora e Andrea Chénier di Umberto Giordano, Giulio Cesare ed Ercole di Georg Friedrich Händel, Aida, Ernani, Il trovatore e La battaglia di Legnano di Giuseppe Verdi, Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, Il pirata di Vincenzo Bellini, Carmen di Georges Bizet, Poliuto di Gaetano Donizetti, Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni. Nel 1962 inoltre contribuì in modo determinante a riportare alla luce Gli ugonotti di Giacomo Meyerbeer, in una storica edizione diretta da Gianandrea Gavazzeni.
Continuò nel frattempo gli studi di perfezionamento vocale, condotti sotto la guida del collega ed amico Giacomo Lauri Volpi.
Il 27 gennaio 1961 debuttò al Teatro Metropolitan di New York nel ruolo di Manrico de Il trovatore (a fianco di un'altra debuttante d'eccezione: Leontyne Price), dando inizio a una carriera americana lunga e proficua. Al Metropolitan rimase per quindici stagioni consecutive, cantando le opere del grande repertorio: Don Carlo, Aida, La forza del destino, Ernani di Verdi, Turandot, Tosca, La fanciulla del West, La bohème di Puccini, Andrea Chénier, Cavalleria rusticana, Pagliacci, Adriana Lecouvreur del repertorio verista. Apparve inoltre ne La Gioconda, Roméo et Juliette, Werther, Lucia di Lammermoor. Corelli partecipò a 369 rappresentazioni al Met, concludendo l'attività nel teatro newyorkese nel 1975.
Fu presente anche negli altri più importanti teatri italiani (Firenze, Verona, Napoli ecc.), europei (Vienna, Londra, Berlino, Barcellona, Lisbona) e statunitensi (San Francisco, Chicago, Filadelfia). Dotato di innegabile fascino e grande presenza scenica, partecipò a diversi film-opera realizzati dalla RAI negli anni sessanta e settanta, sia in studio che da riprese teatrali.
Il ritiro
L'ultima recita fu nel 1976 ne La bohème a Torre del Lago e l'addio definitivo al canto nel novembre del 1981 a Stoccolma, in occasione di un concerto in onore di Birgit Nilsson. Come dimostrano diversi documenti sonori, Corelli decise di ritirarsi, contrariamente a molti famosi colleghi di ogni epoca, solo a un lieve accenno di declino vocale, quando ancora era capace di notevoli prestazioni. Nel 1982 venne realizzato un film sulla sua carriera utilizzando le numerose incisioni discografiche. La città natale di Ancona, in collaborazione con la locale Associazione Amici della Lirica, per tre anni gli dedicò un concorso di canto, del quale fu presidente; durante la seconda edizione Corelli rilasciò una intervista video nella quale raccontò tutta la carriera. Di carattere riservato e gentile, non si vantò mai delle sue grandi qualità, limitandosi a dire in più occasioni di essere stato solo tanto fortunato.
Morì a Milano nel 2003 in conseguenza di un ictus. Dopo la cremazione, le sue ceneri sono state deposte al Cimitero Monumentale di Milano; successivamente il suo nome è stato iscritto al Famedio del medesimo cimitero. A Franco Corelli è dedicato il Teatro delle Muse di Ancona.
Vocalità e note artistiche
È stato, per mezzi vocali e valenza d'interprete, una delle massime figure tenorili della seconda metà del Novecento. Dotato della rara caratteristica di abbinare un registro centrale estremamente ampio ad acuti sfolgoranti, grazie allo studio assiduo ha saputo piegare a belle modulazioni un materiale vocale di non facile "gestione", proprio per il grande volume, e in origine non privo di asprezze e disomogeneità. Ha eccelso nel repertorio lirico-spinto e drammatico, con validissime puntate nel campo del tenore romantico ottocentesco di forza, di cui, prima del suo avvento, si era persa memoria. In un articolo sul mensile Musica Viva, Rodolfo Celletti ebbe a citare: «le colate in tutto bronzo del titanico Corelli», ed inoltre, nel volume Voce di tenore, lo stesso Celletti afferma: «...i suoi acuti sembravano addensarsi sulla platea della Scala come una cupola sonora»: immagini che cercano di descrivere le sensazioni di ampiezza, potenza, morbidezza e duttilità che suscitava il suo canto.
Repertorio
Discografia
Incisioni in studio
Pagliacci
Mafalda Micheluzzi, Tito Gobbi, Lino Puglisi, dir. Alfredo Simonetto video-RAI 1954 Legato Classics/Hardy Classic (DVD); Opera D'Oro/Bongiovanni (solo audio)
Lucine Amara, Tito Gobbi, Mario Zanasi, dir. Lovro von Matačić Columbia/EMI 1960
Tosca
Renata Heredia Capnist, Carlo Tagliabue, dir. Antonino Votto video-RAI 1955 Hardy Classic (DVD)/Bongiovanni (solo audio)
Franca Duval (voce Maria Caniglia), Afro Poli (voce Giangiacomo Guelfi), dir. Oliviero De Fabritiis film 1956 - Hardy Classic
Birgit Nilsson, Dietrich Fischer-Dieskau, dir. Lorin Maazel Decca 1966
Aida
Maria Curtis Verna, Miriam Pirazzini, Giangiacomo Guelfi, Giulio Neri, dir. Angelo Questa Cetra 1956
Birgit Nilsson, Grace Bumbry, Mario Sereni, Bonaldo Giaiotti, dir. Zubin Mehta EMI 1966
Carmen
Belen Amparan, Elda Ribetti, Anselmo Colzani, dir. Nino Sanzogno video-RAI 1956 (in ital.) Hardy Classic (DVD)/Myto (solo audio)
Leontyne Price, Robert Merrill, Mirella Freni, dir. Herbert von Karajan RCA 1963
Anna Moffo, Piero Cappuccilli, Helen Donath, dir. Lorin Maazel Eurodisc/Cetra 1970
Turandot
Lucilla Udovich, Renata Mattioli, Plinio Clabassi, dir. Fernando Previtali video-RAI 1958 VAI(DVD)/Myto (solo audio)
Birgit Nilsson, Renata Scotto, Bonaldo Giaiotti, dir. Francesco Molinari Pradelli EMI 1965
Norma: Maria Callas, Christa Ludwig, Nicola Zaccaria, dir. Tullio Serafin Columbia/EMI 1960
Cavalleria Rusticana: Victoria de los Ángeles, Mario Sereni, dir. Gabriele Santini EMI 1962
Andrea Chénier
Antonietta Stella, Mario Sereni, dir. Gabriele Santini EMI 1963
Celestina Casapietra, Piero Cappuccilli, dir. Bruno Bartoletti film-RAI 1973 Hardy Classic
Il trovatore: Gabriella Tucci, Robert Merrill, Giulietta Simionato, Ferruccio Mazzoli, dir. Thomas Schippers EMI 1964
Faust: Joan Sutherland, Nicolai Ghiaurov, Robert Massard, dir. Richard Bonynge Decca 1966
Roméo et Juliette: Mirella Freni, Henry Guy, dir. Alain Lombard EMI 1968
Registrazioni dal vivo
Guerra e pace, Firenze 1953, Ettore Bastianini, Fedora Barbieri, Rosanna Carteri, Anselmo Colzani, Mirto Picchi, dir. Artur Rodziński - ed. Melodram
Norma
Trieste 1953, Maria Callas, Elena Nicolai, Boris Christoff, dir. Antonino Votto ed. Melodram/IDIS
Roma 1958, Anita Cerquetti, Miriam Pirazzini, Giulio Neri, dir. Gabriele Santini ed. Living Stage/Myto
Parma 1971, Cristina Deutekom, Franca Mattiucci, Maurizio Mazzieri, dir. Antonino Votto ed. House of Opera/Première Opera
Carmen
Napoli 1953 (in ital.), Giulietta Simionato, Elena Rizzieri, Aldo Protti, dir. Fritz Reiner ed. Archipel
Palermo 1959 (in ital.), Giulietta Simionato, Mirella Freni, Giangiacomo Guelfi, dir. Pierre Dervaux ed. GOP
Agnese di Hoenstaufen, Firenze 1954, Lucilla Udovich, Dorothy Dow, Francesco Albanese, Giangiacomo Guelfi, Anselmo Colzani, dir. Vittorio Gui ed. Melodram/Myto
La Vestale, La Scala 1954, Maria Callas, Ebe Stignani, Enzo Sordello. Nicola Rossi-Lemeni, dir. Antonino Votto ed. Melodram/IDIS
Aida
Napoli 1955, Antonietta Stella, Fedora Barbieri, Anselmo Colzani, dir. Vittorio Gui ed. Bongiovanni/IDIS
Met 1962, Gabriella Tucci, Irene Dalis, Cornell MacNeil, Giorgio Tozzi, dir. George Shick ed. GOP/Myto
Met 1966, Leontyne Price, Elena Cernei, Sherrill Milnes, Jerome Hines, dir. Zubin Mehta ed. GOP
Philadelphia 1968 c., Martina Arroyo, Grace Bumbry, Mario Sereni, Cesare Siepi, dir. Fausto Cleva ed. On Stage
Verona 1972, Luisa Maragliano, Maria Luisa Nave, Giampiero Mastromei, Agostino Ferrin, dir. Oliviero De Fabritiis ed. Myto
La fanciulla del west
La Scala 1956, Gigliola Frazzoni, Tito Gobbi, dir. Antonino Votto ed. Legato Classics/Myto
Philadelphia 1964, Dorothy Kirsten, Anselmo Colzani, dir. Anton Guadagno ed. Melodram
Met 1966, Dorothy Kirsten, Anselmo Colzani, dir. Jan Behr ed. Opera Lovers
Tosca
Londra 1957, Zinka Milanov, Giangiacomo Guelfi, dir. Alexander Gibson ed. Legato Classics/Opera D'Oro/Urania
Livorno 1959, Renata Tebaldi, Anselmo Colzani, dir. Mario Parenti ed. Legato Classics
Met 1962, Leontyne Price, Cornell MacNeill, dir. Kurt Adler ed. Myto
Met 1964, Birgit Nilsson, George London, dir. Fausto Cleva ed. Opera Lovers
Met 1965, Maria Callas, Tito Gobbi, dir. Fausto Cleva ed. Melodram/Living Stage
Parma 1967, Virginia Gordoni, Attilio D'Orazi, dir. Giuseppe Morelli ed. Bongiovanni/Myto
La forza del destino
Napoli 1958 (video-RAI), Renata Tebaldi, Ettore Bastianini, Boris Christoff, dir. Francesco Molinari Pradelli ed. Legato Classics/Hardy Classic; Melodram/Bongiovanni (solo audio)
Met 1965, Gabriella Tucci, Ettore Bastianini, Giorgio Tozzi, dir. Nello Santi ed. Melodram/GOP/Myto
Met 1968, Leontyne Price, Robert Merrill, Jerome Hines, dir. Francesco Molinari Pradelli ed. Myto
Andrea Chenier
Napoli 1958, Antonietta Stella, Ettore Bastianini, dir. Franco Capuana ed. Cin Cin/Lyric Distribution
Vienna 1960, Renata Tebaldi, Ettore Bastianini, dir. Lovro von Matačić ed. Cetra/Melodram/Opera D'Oro
Met 1962, Zinka Milanov, Anselmo Colzani, dir. Fausto Cleva ed. Lyric Distribution/Opera Lovers
Met 1966, Renata Tebaldi, Anselmo Colzani, dir. Lamberto Gardelli ed. Myto
Philadelphia 1966, Montserrat Caballé, Dino Dondi, dir. Anton Guadagno ed. GOP
Met 1971, Gabriella Tucci, Cornell MacNeil, dir. Fausto Cleva ed. Legato-SRO
Hercules, La Scala 1958, Jerome Hines, Fedora Barbieri, Elisabeth Schwarzkopf, Ettore Bastianini, Agostino Ferrin, dir. Lovro von Matačić ed. Melodram
Adriana Lecouvreur
Napoli 1959, Magda Olivero, Giulietta Simionato, Ettore Bastianini, dir. Mario Rossi ed. Melodram/Phoenix
Met 1963, Renata Tebaldi, Biserka Cvejic, Anselmo Colzani, dir. Silvio Varviso ed. GOP/Living Stage
Poliuto, La Scala 1960, Maria Callas, Ettore Bastianini, Nicola Zaccaria, dir. Antonino Votto ed. EMI
Il trovatore
Napoli 1960, Mirella Parutto, Giangiacomo Guelfi, Fedora Barbieri, dir. Gabriele Santini ed. Myto
Parma 1961, Ilva Ligabue, Mario Zanasi, Adriana Lazzarini, Salvatore Catania, dir. Arturo Basile ed. House Opera/Myto (selez.)
Berlino 1961 (complessi del Teatro dell'Opera di Roma), Mirella Parutto, Ettore Bastianini, Fedora Barbieri, Agostino Ferrin, dir. Oliviero De Fabritiis ed. Melodram/BCS/Première Opera
Met 1961, Leontyne Price, Mario Sereni, Irene Dalis, William Wilderman, dir. Fausto Cleva ed. Myto
La Scala 1962, Antonietta Stella, Ettore Bastianini, Fiorenza Cossotto, Ivo Vinco, dir. Gianandrea Gavazzeni ed. Melodram/Myto
Salisburgo 1962, Leontyne Price, Ettore Bastianini, Giulietta Simionato, Nicola Zaccaria, dir. Herbert von Karajan ed. Arkadia/Gala/Opera D'Oro/Deutsche Grammophon
Chicago 1964, Ilva Ligabue, Mario Zanasi, Grace Bumbry, Ivo Vinco, dir. Bruno Bartoletti ed. Première Opera
Don Carlo
Met 1961, Jerome Hines, Mario Sereni, Maria Curtis Verna, Irene Dalis, dir. Nino Verchi ed. GOP
Met 1964, Giorgio Tozzi, Nicolae Herlea, Leonie Rysanek, Irene Dalis, dir. Kurt Adler ed. Living Stage
Philadelphia 1966, Nicolai Ghiaurov, Louis Quilico, Rajna Kabaivanska, Oralia Domínguez, dir. Anton Guadagno ed. Melodram/House of Opera
Vienna 1970, Nicolai Ghiaurov, Eberhard Waechter, Gundula Janowitz, Shirley Verrett, dir. Horst Stein ed. Legato/Myto
Met 1970, Giorgio Tozzi, Robert Merrill, Rajna Kabaivanska, Grace Bumbry, dir. Kurt Adler ed. Opera Lovers
Met 1972, Cesare Siepi, Sherrill Milnes, Montserrat Caballé, Grace Bumbry, dir. Francesco Molinari Pradelli ed. Arkadia/Myto
Turandot
Met 1961, Birgit Nilsson, Anna Moffo, Bonaldo Giaiotti, dir. Leopold Stokowski ed. Memories/Melodram
La Scala 1964, Birgit Nilsson, Galina Vishnevskaya, Nicola Zaccaria, dir. Gianandrea Gavazzeni, ed. Myto/Nuova Era/Opera D'Oro
Met 1966, Birgit Nilsson, Mirella Freni, Bonaldo Giaiotti, dir. Zubin Mehta ed. Living Stage
La battaglia di Legnano, La Scala 1961, Antonietta Stella, Ettore Bastianini, dir. Gianandrea Gavazzeni ed. Melodram/Myto
Gli ugonotti, La Scala 1962, Joan Sutherland, Giulietta Simionato, Giorgio Tozzi, Nicolai Ghiaurov, dir. Gianandrea Gavazzeni ed. Melodram/GOP/Nuova Era
La Gioconda
Met 1962, Eleen Farrell, Robert Merrill, Nell Rankin, Giorgio Tozzi, dir. Fausto Cleva ed. Encore/Celestial Audio
Philadelphia 1964, Maria Curtis Verna, Cesare Bardelli, Mignon Dunn, Giorgio Tozzi, dir. Antòn Guadagno ed. BCS/Lyric Distribution
Philadelphia 1966, Renata Tebaldi, Anselmo Colzani, Mignon Dunn, Joshua Hecht, dir. Anton Guadagno ed. On Stage/BCS
Met 1966, Renata Tebaldi, Cornell MacNeil, Biserka Cvejic, Cesare Siepi, dir. Fausto Cleva ed. GOP
Cavalleria rusticana, La Scala 1963, Giulietta Simionato, Giangiacomo Guelfi, dir. Gianandrea Gavazzeni ed. Myto/Opera D'Oro
Pagliacci, Met 1964, Lucine Amara, Anselmo Colzani, Calvin Marsh, dir. Nello Santi ed. Melodram/Myto
Ernani
Met 1965, Leontyne Price, Mario Sereni, Cesare Siepi, dir. Thomas Schippers ed. GOP/Memories/Myto
Met 1971, Martina Arroyo, Sherrill Milnes, Ezio Flagello, dir. Thomas Schippers ed. Opera Lovers
Verona 1972, Ilva Ligabue, Piero Cappuccilli, Ruggero Raimondi, dir. Oliviero De Fabritiis ed. Myto
La bohème
Met 1965, Renata Tebaldi, Frank Guarrera, Anneliese Rothenberger, Jerome Hines, dir. Fausto Cleva ed. Bongiovanni
Philadelphia 1969, Renata Tebaldi, Frank Guarrera, Maria Candida, Jerome Hines, dir. Anton Guadagno ed. SRO/House of Opera
Macerata 1971, Luisa Maragliano, Giangiacomo Guelfi, Elvidia Ferracuti, Nicola Zaccaria, dir. Franco Mannino ed. Lyric Distribution/Opera Lovers
Met 1974, Montserrat Caballè, Dominic Cossa, John Macurdy, Maralin Niska, dir. Leif Segerstam ed. GOP/Living Stage
Roméo et Juliette
Hartford 1967, Anna Moffo, Louis Sgarro, dir. Anton Guadagno ed. House of Opera
Met 1967, Mirella Freni, John Macurdy, John Reardon, dir. Francresco Molinari Pradelli ed. Lyric Distribution
Met 1970, Jeanette Pilou, Justino Diaz, John Reardon, dir. Alain Lombard ed. Celestial Audio
Met 1973, Colette Boky, John Macurdy, Dominic Cossa, dir. Martin Rich ed. Myto
Werther
Met 1971, Rosalind Elias, John Reardon, Gail Robinson, dir. Alain Lombard ed. Melodram
Met 1971, Christa Ludwig, John Reardon, Judith Blegen, dir. Alain Lombard ed. Opera Lovers
Met 1972, Rosalind Elias, Dominic Cossa, Colette Boky, dir. Jan Behr ed. Myto/Bensar
Lucia di Lammermoor, Met 1971, Roberta Peters, Matteo Manuguerra, Bonaldo Giaiotti, dir. Carlo Franci ed. Living Stage
Macbeth, Met 1973, Sherrill Milnes, Grace Bumbry, Ruggero Raimondi, dir. Francesco Molinari Pradelli ed. Première Opera
Note
Bibliografia
Marina Boagno Un uomo, una voce, ed. Azzali
Vincenzo Ramón Bisogni, Franco Corelli. Irresistibilmente Tenore, coll. Grandi Voci 3, 2009, Zecchini Editore, pagg. 240 con discografia consigliata
Luciano Cirilli Fioravanti di Guffaia Franco Corelli l'ultimo grande Divo Vivere il '900 ed. centofinestre. Giovanni Martines Augusti editore. Senigallia 2007.
Giancarlo Landini, Franco Corelli. L'uomo, la voce, l'arte, Viareggio, Idea Books, 2010, pagg. 296, oltre 200 immagini.
Altri progetti
Collegamenti esterni
Sito Internet con un elenco delle performance dal 1951 al 1981, in formato pdf
Franco Corelli canta arie da "Tosca", "Aida", "Carmen", "Cavalleria", "Don Carlos", "Ernani", "Gioconda", "Il Trovatore", "La Forza del Destino", "Pagliacci", "Turandot" su Archive.org
Gruppi e musicisti delle Marche
Sepolti nel Cimitero Monumentale di Milano |
1978 | https://it.wikipedia.org/wiki/Francesca%20Caccini | Francesca Caccini | Fu la prima donna a scrivere un'opera e probabilmente la più prolifica compositrice del suo tempo.
Biografia
Figlia di Giulio Caccini, è considerata una fra le donne che maggiormente contribuirono all'evolversi della nascente musica barocca all'inizio del Seicento.
Apprezzata per le sue doti musicali, non meno che per l'avvenenza, Francesca Caccini divenne popolarmente nota con il diminutivo toscano di "Cecchina", tanto usuale da essere tradotto in latino nell'iscrizione didascalica CECHINE PULCHRITUDINIS IMMORTALITATI, posta sul medaglione marmoreo con la sua effigie, esistente nel palazzo Rospigliosi a Pistoia. Fu cantante, liutista e clavicembalista a Firenze, presso i Medici, e fu una donna di alto ingegno e di grande cultura, che emersero anche nella sua attività di poetessa in italiano e in latino.
Insieme alla sorella Settimia ed alla seconda moglie del padre, Margherita Benevoli della Scala, formò il gruppo detto delle donne di Giulio Romano (cioè Giulio Caccini) che si esibirono nellEuridice di Jacopo Peri e nel Rapimento di Cefalo di Giulio Caccini nell'anno 1600. Infatti, nella raccolta di composizioni Le nuove musiche, Giulio Caccini – teorizzando il "favellare in armonia" – spiegava come tutti i componenti della sua famiglia, dalla moglie alle figlie, fossero dediti al canto.
Una successiva testimonianza dell'attività di Francesca, insieme con Settimia e Margherita, per la corte medicea, è del 1602: nel Diario di Cesare Tinghi è ricordato che il 3 aprile 1602 nella chiesa di San Nicola a Pisa, dove la corte si trasferiva ogni anno durante la quaresima, vennero eseguite musiche policorali dirette da "Giulio Romano [Giulio Caccini], avendovi menate la moglie [la seconda moglie, Margherita] e le due figliuole le quale cantano bene". I documenti testimoniano diverse esibizioni delle "donne di Giulio" negli anni 1602-12 davanti a ospiti di riguardo o per cerimonie religiose di corte.
Il "concerto delle donne di Giulio [Caccini]", che, oltre alle donne, comprendeva anche il fratello di Francesca, Pompeo, figlio naturale di Caccini, fu invitato dalla regina Maria de' Medici ad esibirsi presso la corte francese del re Enrico IV di Francia. Dopo aver cantato nell'ottobre 1604 dapprima alla corte di Modena per tre giorni, poi a Milano e a Lione, i Caccini giunsero a Parigi ai primi di dicembre 1604 e vi soggiornarono fino alla fine di aprile dell'anno successivo, riscuotendo grandi successi. Francesca soprattutto brillò come solista, cantando anche in francese e in spagnolo, tanto da suscitare l'ammirazione entusiasta del re, che avrebbe desiderato trattenerla a corte; tuttavia, il granduca di Toscana non concesse il suo benestare ed essa rientrò insieme al resto della famiglia.
Nel 1615 ebbe la prima assoluta la sua opera Ballo delle Zingare su libretto di Ferdinando Saracinelli al Palazzo Pitti di Firenze e nel 1619 La fiera su libretto di Michelangelo Buonarroti il Giovane al Palazzo Uffizi. Una volta rientrata a Firenze, sposò il compositore G.B. Signorini-Malaspina e dopo la morte del marito si ritirò a vita privata.
La sua attività è compendiata nei pochi ma importanti lavori arrivati fino ai nostri giorni: Il primo libro delle musiche a una e due voci (1618) e l'opera-balletto La liberazione di Ruggiero dall'isola d'Alcina (1625), su libretto di Ferdinando Saracinelli, tratto da un episodio dellOrlando furioso di Ludovico Ariosto, dato nella Villa di Poggio Imperiale di Firenze). Degne di nota sono anche le sue arie Dove io credea (1621) e Ch'io sia fidele (1629).
Critica
Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX vi furono due recensioni controverse sulle sue opere: una critica molto positiva a suo favore del 1878 da parte di August Wilhelm Ambros nella sua Geschichte der Musik, che giunse perfino a definirla "un genio" per le sue composizioni; Hugo Goldschmidt, all'inizio del XX secolo nella sua opera Studien zur Geschichte der italienischen Oper des 17. Jahrhunderts si espresse negativamente sulle considerazioni dei suoi predecessori «... con una durezza, che con l'obiettività scientifica ha ben poco a che fare» (Eva Weissweiler).
Riconoscimenti
Le è stato dedicato un cratere di 38,1 km di diametro sul pianeta Venere.
Discografia
Nella Anfuso - Francesca Caccini, CD+Libro Stilnovo 8816 – Florilegio. Musiche, Libro I, Firenze 1618
Elena Cecchi Fedi, Gianluca Lastraioli - Francesca Caccini - Maria, Dolce Maria, Sacred and Secular Songs - Brilliant Classics (2013)
Note
Bibliografia
Suzanne G. Cusick, Francesca Caccini at the Medici Court. Music and the Circulation of Power, Chicago, University of Chicago Press, 2009, ISBN 978-0-226-13212-9.
Warren Kirkendale, The court musicians in Florence during the principate of the Medici. With a reconstruction of the artistic establishment, Firenze, Olschki, 1993, ISBN 88-222-4108-8.
Arnaldo Bonaventura, Almanacco della donna italiana, Bemporad, 1933
Altri progetti
Collegamenti esterni
Compositori barocchi
Bambini prodigio |
1987 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fiumi%20dell%27Argentina | Fiumi dell'Argentina | Lista (incompleta) dei fiumi dell'Argentina
Per bacino idrografico
I corsi d'acqua principali per bacino idrografico sono:
Bacino del Rio de la Plata:
Río de la Plata, Paraná, Uruguay, Paraguay, Salado del Sur, Carcarañá, Iguazú
Sistema Patagonico:
Chubut, Santa Cruz, Río Negro
Bacino del Desaguadero:
Desaguadero, Jáchal, San Juan, Mendoza, Tunuyán, Diamante, Atuel
Bacino delle Sierre Pampeane:
Salí, Rio Primero, Rio Segundo, Rio Quinto
Versante del Pacifico
Futaleufú
Lista per lunghezza, bacino e portata
Avvertenze.
Lunghezza: per i fiumi il cui corso attraversa anche altri stati, la lunghezza del corso compreso nel territorio dell'Argentina è indicata tra parentesi.
Bacino: è sempre quello complessivo
Portata: portata alla foce media
Note
Altri progetti
Argentina |
1990 | https://it.wikipedia.org/wiki/Favignana%20%28Italia%29 | Favignana (Italia) | Favignana (Faugnana in siciliano) è un comune italiano di abitanti del libero consorzio comunale di Trapani in Sicilia.
Comune totalmente insulare, il suo territorio corrisponde all'arcipelago delle isole Egadi, comprendente le isole di Favignana, Levanzo e Marettimo e gli isolotti minori di Maraone e Formica.
Società
Evoluzione demografica
Suddivisione demografica
I residenti del comune di Favignana sono suddivisi su tre isole (aggiornato al 2011):
Infrastrutture e trasporti
Le isole di Favignana, Levanzo e Marettimo sono collegate al porto di Trapani e al porto di Marsala con aliscafi che effettuano diverse corse giornaliere, e nel periodo estivo settimanalmente con Napoli, tramite la compagnia Liberty lines. I collegamenti con traghetti della Siremar avvengono dal porto di Trapani.
Amministrazione
Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune:
Gemellaggi
Altre informazioni amministrative
Il comune di Favignana fa parte delle seguenti organizzazioni sovracomunali: regione agraria n.6 (Isole Egadi).
Sport
Calcio
La principale squadra di calcio del comune è l'A.S.D. Favignana che milita nel girone A siciliano di Promozione. È nata nel 2011.
Note
Voci correlate
Tonnara di Favignana
Isole Egadi
Isola di Favignana
Isola di Levanzo
Isola di Marettimo
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Collegamenti esterni |
1991 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fiumi%20dell%27Uruguay | Fiumi dell'Uruguay | I fiumi dell'Uruguay, elencati in questa lista, si possono raggruppare in tre diversi insiemi in base a dove sfociano. La maggior parte si immette nel Río de la Plata. Altri sfociano nella Laguna Mirim. Un terzo gruppo, infine, è composto da ruscelli (arroyo in lingua spagnola) e piccoli corsi d'acqua che finiscono direttamente nell'Atlantico o in lagune minori.
Río de la Plata
Uruguay
San Salvador
Río Negro
Arroyo Grande
Yi
Porongos
Chamangá
Tacuarembó
Caraguatá
Queguay Grande
Queguay Chico
Daymán
Arapey Grande
Arapey Chico
Cuareim
San Juan
Rosario
Santa Lucia
San José
Santa Lucía Chico
Laguna Mirim
Río San Luis
Arroyo de la India Muerta
Cebollatí
Olimar Grande
Olimar Chico
Tacuarí
Río Yaguarón
Lagune minori o Oceano Atlantico
Arroyo Maldonado
Arroyo José Ignacio
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2000 | https://it.wikipedia.org/wiki/Frutto | Frutto | Il frutto in termini botanici è il prodotto della modificazione dell'ovario a seguito della fecondazione. Il significato biologico del frutto è fornire protezione, nutrimento e mezzo di diffusione al seme che contiene.
Nel linguaggio comune ed in cucina, normalmente, per frutta si intendono alcuni tipi di frutti botanici, ad esempio:
le drupe: prugne, ciliegie, mandorla, albicocche;
l'esperidio degli agrumi: cedro, pompelmo, pomelo;
alcune bacche o loro modificazioni, come l'uva spina, le corniole, le giuggiole, i mirtilli;
i pomi: le cotogne, le sorbole, le nespole comuni, il nashi.
Le piante partenocarpiche generano frutti apireni, ovvero senza semi (es. diverse varietà di uva, arancia, fichi). Se il fiore non viene impollinato, si stacca dalla pianta nella zona di abscissione. La crescita dell'ovario è stimolata dall'auxina che blocca il processo di abscissione del fiore.
Classificazione dei frutti
Secondo la definizione "classica", il vero frutto deriva dalla sola trasformazione dell'ovario del fiore che si modifica profondamente.
Se invece i frutti non derivano esclusivamente dallo sviluppo dell'ovario ma alla loro formazione partecipano anche altre parti del fiore si parla più correttamente di falsi frutti.
Secondo la proposta di Winkler invece il frutto non corrisponde necessariamente alla trasformazione di un singolo ovario, ma a quella dell'intero gineceo.
La distinzione classica, che ha ancora grande valore per l'identificazione delle piante, ha perso importanza dal punto di vista filogenetico. I frutti aggregati sono quindi considerati un unico frutto dal momento che derivano dal gineceo di un solo fiore. Altro carattere che assume importanza è la posizione dell'ovario (supera o infera) da cui il frutto è derivato. Gli ovari superi danno origine a frutti liberi, i ginecei inferi originano frutti a coppa.
Poiché si ritiene che l'ovario derivi dalla modificazione di una foglia (detta carpello) che si è richiusa su se stessa saldandosi al margine, nel frutto, che da esso deriva, si individuano diverse parti riconducibili a quelle della foglia:
l'esocarpo che deriva dall'epidermide superiore;
il mesocarpo che deriva dal parenchima o mesofillo;
l'endocarpo che deriva dall'epidermide inferiore;
L'insieme dei tre strati costituisce il pericarpo o frutto e ciascuno strato può avere differente consistenza.
A parte la divisione già citata in: veri frutti e falsi frutti altre suddivisioni sono:
frutti semplici: formati esclusivamente dall'ovario del singolo fiore (monocarpellare o pluricarpellare sincarpico).
frutti aggregati: derivano dall'evoluzione di più pistilli posti sullo stesso ricettacolo (ovari pluricarpellari apocarpici) che rimangono uniti anche nel frutto.
infruttescenze: derivano da evoluzioni di infiorescenze cioè i singoli frutti derivano da pistilli di fiori diversi che formavano un'infiorescenza più o meno compatta.
I frutti semplici si dividono in due gruppi:
frutti secchi in cui a maturità tutti gli strati hanno scarsi parenchimi e un contenuto di acqua piuttosto basso; il pericarpo può quindi essere duro, papiraceo o legnoso.
frutti carnosi in cui la consistenza dei diversi strati è carnosa in quanto ricchi di parenchimi che trattengono una percentuale d'acqua notevolmente alta ad esempio la pesca
Tipi di frutti secchi
A seconda della modalità di liberazione dei semi si distinguono in frutti secchi deiscenti e frutti secchi indeiscenti.
Frutti secchi deiscenti
I frutti secchi deiscenti a maturità liberano i semi aprendosi spontaneamente con differenti modalità, presentano delle zone di deiscenza sprovviste di fibra, con cellule sottili cellulosiche; tra questi frutti si trovano:
follicolo: deriva da un ovario monocarpellare, plurispermio, si apre lungo la linea di sutura del carpello (es: elleboro, Aquilegia).
legume o baccello: deriva da ovario monocarpellare plurispermio, si apre in due valve su due linee opposte (sutura e dorso). È tipico della famiglia delle Leguminose.
lomento: deriva da ovario monocarpellare plurispermio, è suddiviso in una serie di logge monosperme chiuse che possono essere anche piene di polpa a circondare il seme, si apre trasversalmente. Da alcuni viene considerato un tipo particolare di legume, detto "legume lomentaceo".
siliqua e siliquetta: derivano da un ovario bicarpellare sincarpico con numero variabile di semi. Si apre in due valve lungo la linea di sutura delle foglie carpellari, a maturità si fendono ma non si separano completamente. Le due valve sono separate da setto persistente membranoso detto replo su cui sono inseriti i semi. Il frutto si chiama siliquetta quando è isodiametrica, siliqua quando il diametro longitudinale supera quello trasversale. Caratterizzano le Crucifere;
capsula: deriva da un ovario pluricarpellare sincarpico polispermo; presenta vari tipi di deiscenza:
capsula setticida o settifraga (Digitalis, tabacco, china, colchico), che si apre lungo la linea di sutura dei carpelli;
capsula loculicida (Lilium, tulipano, castagno d'India), che si apre lungo la nervatura dorsale dei carpelli;
pisside (es. Anagallis arvensis, Hyoscyamus niger), che si apre per mezzo del distacco di un numero di denti più o meno elevato su un opercolo circolare;
treto, ossia capsula poricida (es. Papaver), che si apre mediante una serie di pori apicali.
Frutti secchi indeiscenti
I frutti secchi indeiscenti presentano una parete completamente sclerificata, a maturità non liberano i semi che vengono ancora protetti dal pericarpo.
Esempi:
achenio: deriva da un ovario monocarpellare o bicarpellare. Il pericarpo è sottile, membranoso, pergamenaceo o cuoioso, aderente ma non saldato all'episperma. Il seme è quindi lassamente aderente alla parete del frutto, quindi non del tutto libero. L'achenio può essere isolato oppure riunito a formare diacheni, tetracheni, pluriacheni. Si trova ad esempio nelle famiglie delle Fagaceae, Betulaceae, Compositae;
samara (pronuncia: sàmara): è un tipo di achenio munito di espansioni (ali) che ne facilitano la dispersione anemocora. Il pericarpo è membranoso con espansione alare laterale (frassino) o periferica (olmo); se il frutto è formato da due samare aderenti si chiama disamara (acero);
cariosside (pronuncia: cariòsside) frutto monospermio, deriva da un ovario pluricarpellare sincarpico con pericarpo saldato all'episperma, tipico delle Gramineae. Durante la maturazione i tegumenti del seme sono stati parzialmente digeriti o sono concresciuti con il pericarpo;
nucula (pronuncia: nùcula): frutto monocarpico con involucro erbaceo o cuoioso (cùpola), ora aperto e squamiforme, ora chiuso e aculeato, contenente uno o più acheni (nocciòlo, castagno).
Frutti secchi schizocarpici
Derivano da ovario pluricarpellare sincarpico pluriloculare in cui ogni loggia si disarticola per dare achenio monospermio; nel complesso forma lo schizocarpo. Il singolo achenio prende il nome di mericarpo (classificazione non considerata valida da tutti).
diachenio, costituito da due acheni (mericarpi) contenenti un singolo seme. Si separano quando sono maturi. Alcune specie per la riproduzione lanciano i semi lontani dal carpoforo, altre hanno frutti caratterizzati da uncini che si arpionano agli animali che li sfiorano favorendone la disseminazone. (Umbelliferae e Rubiaceae);
tetrachenio (Labiatae e Boraginaceae);
poliachenio (Malvaceae e Ranunculaceae).
Tipi di frutti carnosi
Sono frutti con parenchimi ricchi di acqua.
Esempi:
bacca: frutto plurisperma, deriva da ovario pluricarpellare, presenta diverse varianti (pomodoro, alloro, ossiciocco, mirto, sambuco, mirtillo rosso);
esperídio: frutto delle Rutaceae ovvero gli agrumi, presenta epicarpo con tasche lisigene, mesocarpo bianco e spugnoso, endocarpo tappezzato di peli a maturità ricchi di succo. È da alcuni considerato una bacca modificata;
drupa: frutto con epicarpo sottile, mesocarpo carnoso, endocarpo legnoso, alcune drupe sono monosperme unicarpellari (drupacee come susina, pesca, ciliegia, albicocca), pluricarpellari (ulivo, noce), plurispermie pluricarpellari (caffè) a mesocarpo coriaceo (noce, mandorlo) o fibroso (cocco);
pepònide: frutto tipico delle Cucurbitaceae (zucchina, zucca, cetriolo);
balaústio o balaústo: frutto tipico delle Punicaceae (melograno);
cabosside: frutto del cacao;
bacca deiscente, tipica della noce moscata (a maturità libera il seme con arillo), e del cocomero asinino (Cucurbitaceae)
Non propriamente frutti
Frutti composti
Sono quelli derivati da più pistilli dello stesso fiore che rimangono uniti anche nel frutto.
Esempi:
polidrupa: deriva da tante piccole drupe inserite sul ricettacolo convesso del fiore (tipiche del genere Rubus); es. mora del rovo, lampone;
conocarpo: deriva dal ricettacolo carnoso e convesso su cui erano inseriti numerosi ovari trasformati in achenî; es. fragola (il vero frutto è composto dagli acheni, la parte carnosa deriva dall'ingrossamento del ricettacolo fiorale).
Infruttescenze
I singoli frutti derivano da pistilli di fiori diversi che formavano un'infiorescenza più o meno compatta.
sorosio (pronuncia: soròsio): formato da tante false drupe originatasi dalla concrescenza dei calici carnosi (mora del gelso), da corta spiga (pseudodrupa), oppure l'ananas con asse brattee e frutti carnosi.
siconio (pronuncia: sicònio): deriva da un ricettacolo semi- carnoso e concavo tappezzato al suo interno da fiori femminili che daranno degli acheni (frutto del fico).
grappolo di bacche (vite)
Falsi frutti
pomo: deriva da un ovario pentacarpellare infero sincarpico avvolto dal ricettacolo carnoso con il quale concresce (il vero frutto è il torsolo), calice persistente.
cinorrodo o cinorrodonte, (pronuncia: cinòrrodo): è il "frutto" del genere Rosa''; è un falso frutto a coppa carnosa, derivante dal ricettacolo. I frutti sono gli acheni in esso racchiusi.
arillo: ha la forma simile a una bacca e la polpa però non deriva dall'ingrossamento dell'ovario ma dai tegumenti seminali.
Nomenclatura comune e botanica
Note
Voci correlate
Frutta
Ortaggi
Maturazione dei frutti
Altri progetti
Collegamenti esterni |
2001 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fiorino%20%28disambigua%29 | Fiorino (disambigua) |
Geografia
Fiorino – frazione di Voltri, all'estremità occidentale del comune di Genova
Fiorino – frazione di Montescudaio in provincia di Pisa
Numismatica
Fiorino – unità monetaria diffusa in Europa
Fiorino arubano – valuta di Aruba
Fiorino austro-ungarico – antica valuta dell'Impero austro-ungarico
Fiorino d'oro – antica moneta di Firenze
Fiorino della Antille Olandesi – valuta di Curaçao e Sint Maarten
Fiorino di Danzica – antica valuta della Città Libera di Danzica
Fiorino inglese – moneta inglese medievale e moderna
Fiorino olandese – antica valuta dei Paesi Bassi
Fiorino renano – antica valuta della zona del Reno
Fiorino surinamese – antica valuta del Suriname
Fiorino toscano – antica valuta del Granducato di Toscana
Fiorino ungherese – valuta dell'Ungheria
Nuovo fiorino di Slavonia e Moravia – valuta locale fuori corso della minoranza ungherese dei Monti Tatra
Persone
Filippo Fiorino – politico italiano
Maurizio Fiorino – artista italiano
Paolo Fiorino – attore italiano
Altro
Fiat Fiorino – piccolo furgone prodotto dalla FIAT
Fiorino – razza di canarino creata a Firenze
Il Fiorino – quotidiano economico-finanziario italiano degli anni sessanta del '900, diretto dal deputato democristiano Luigi D'Amato
Pagine correlate
Fiorini (disambigua)
Altri progetti |
2003 | https://it.wikipedia.org/wiki/Foresta%20pluviale | Foresta pluviale | La foresta pluviale è una foresta caratterizzata da elevata piovosità, considerata tale quando abbia all'incirca una quantità di precipitazioni annue oltre i millimetri.
Descrizione
Nelle foreste pluviali si trovano i due terzi di tutte le specie viventi animali e vegetali della Terra e si stima che vi siano milioni di specie di piante, insetti e microrganismi tuttora sconosciute. Generalmente il sottobosco in una foresta pluviale è limitato solo a pochi settori a causa della mancanza di luce solare al livello del suolo. I due tipi principali di foresta pluviale sono:
foresta pluviale tropicale: sono le foreste pluviali caratteristiche delle regioni comprese tra i due tropici (tra il Tropico del Cancro e il Tropico del Capricorno) e presente nel sud-est asiatico (Indonesia, Birmania e in Papua-Nuova Guinea, oltre che nella fascia settentrionale e orientale dell'Australia), nell'Africa sub-sahariana dal Camerun alla Repubblica Democratica del Congo (foresta del Congo), nel Sud America (prevalentemente in Amazzonia), nell'America Centrale, – Bosawás, Penisola dello Yucatán-Belize-Calakmul – e su molte delle isole dell'oceano Pacifico (ad esempio le Hawaii). Le foreste pluviali tropicali vengono definite i "polmoni della Terra". Rappresentano il bioma terrestre con la massima biodiversità, dato che ospitano da sole circa una metà delle specie viventi animali e vegetali terrestri;
foresta pluviale temperata: sono le foreste pluviali caratteristiche delle regioni temperate. Sono presenti nel Nord America (lungo la costa del Pacifico nord-occidentale, nella Columbia Britannica), in Europa (nelle zone costiere di Irlanda, Scozia, Norvegia meridionale e in regioni dei Balcani occidentali lungo la costa adriatica, come pure nel nord-ovest della Spagna e nella fascia costiera orientale del mar Nero tra le coste della Georgia e della Turchia), in Asia orientale (nel sud della Cina, a Taiwan, nella gran parte del Giappone e della Corea), nella costa più orientale della Russia e in Australia e Nuova Zelanda.
Note
Bibliografia
Monica Carabella, Lorenzo Fornasari, Renato Massa, La foresta tropicale, 1995, Jaca Book, Collana: Il pianeta del profondo verde; ISBN 88-16-57091-1.
Altri progetti
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Foreste |
2005 | https://it.wikipedia.org/wiki/Foresta%20vergine | Foresta vergine | Foresta vergine è l'espressione che si usa per definire una foresta praticamente incontaminata dalla presenza umana, sostanzialmente l'equivalente colloquiale di foresta primaria. All'interno di una foresta vergine si riconoscono contemporaneamente tutti gli strati di crescita delle specie che la compongono e naturalmente non si è mai svolta alcuna pratica di selvicoltura.
Talvolta l'espressione "foresta vergine" viene usata erroneamente come sinonimo di "foresta pluviale tropicale". In realtà, la stessa espressione si può applicare a una foresta di climi temperati, o subartici o alpini, purché abbia le caratteristiche di incontaminazione proprie di una "foresta vergine".
In Europa, ci sono poche foreste (temperate) vergini, di cui la principale è considerata quella di Białowieza, al confine tra Polonia e Bielorussia; ma è pure ben conosciuta anche la foresta di Stužica, all'interno del Parco Nazionale Poloniny, all'estremità orientale della Slovacchia. Un altro esempio di foresta vergine non tropicale, tra Europa e Asia, è quello della foresta vergine di Komi. Ampie zone della foresta amazzonica si possono considerare un valido esempio di foresta vergine tropicale.
Voci correlate
Climax (ecologia)
Collegamenti esterni
Foreste
Ecosistemi |
2007 | https://it.wikipedia.org/wiki/Ferenc%20Moln%C3%A1r | Ferenc Molnár | La sua opera complessiva, ispirata ad autori come Luigi Pirandello, Oscar Wilde, George Bernard Shaw, ma dotata di un certo carattere personale, si distingue per un profondo senso critico verso i prepotenti e gli arroganti. Specialmente nei suoi lavori più conosciuti si denota, appena celata dietro dialoghi e situazioni non privi di umorismo, un'accorata partecipazione alle vicende di figure umane oppresse da ingiustizie sociali.
Molnár ebbe ancora giovane una subitanea notorietà: dopo la pubblicazione del racconto Danubio blu (uscito nel 1902 con titolo differente), nel 1907 venne rappresentato il suo dramma Il diavolo (1907) e successivamente furono messe in scena altre sue commedie fra cui, nel 1909, il poema scenico Liliom e, nel 1925, Il cigno e Giochi al castello, meta-rappresentazione di uno spettacolo di attori.
Molte sue opere sono state adattate da celebri autori, fra cui Tom Stoppard, P. G. Wodehouse e Arthur Miller, sia per il cinema che per il teatro e la radio.
Biografia
Nato il 12 gennaio 1878 a Budapest al numero 83 della circonvallazione József in una famiglia della media borghesia ebraica (il padre era uno stimato medico), Ferenc viene avviato agli studi presso il ginnasio calvinista della città. In seguito si iscrive alla facoltà di giurisprudenza presso l'università di Ginevra.
Nella città svizzera oltre agli studi si dedica a una mediocre attività pittorica e musicale. Prosegue gli studi di diritto nella città natale, salvo lasciarli ben presto per entrare nella redazione del giornale Budapesti Napló ("Diario di Budapest"), dove si distingue per la sua capacità di scrittura. Pubblica a sue spese nel 1897 la sua opera prima, una raccolta intitolata "Maddalena e altri racconti".
Una seconda raccolta viene pubblicata a puntate sul giornale A Hét ("La Settimana") nel 1898. Il primo romanzo di Molnár è datato 1900: si tratta del satirico "La città affamata". I primi successi editoriali giungono tuttavia solo nel 1901 con il romanzo sentimentale "Storia di una barca senza padrone" (la versione italiana titola invece "Danubio blu"). Un preludio al capolavoro "I ragazzi della via Pál" si ha con la serie di racconti umoristici intitolata "Pino e altre piccole commedie" (1902), incentrati sul mondo dei fanciulli.
Nello stesso anno compone il suo primo pezzo teatrale, la farsa "Il signor dottore" che gli vale buone recensioni da parte della critica. Tra il 1903 e il 1907 la produzione letteraria di Molnár acquista una dimensione internazionale: nonostante l'insuccesso della farsa teatrale "Józsi" e del romanzo "Schiavi", l'autore si riscatta con il suo capolavoro assoluto, "I ragazzi della via Pál" e grazie al buon successo conseguito dalla commedia "Il diavolo" (che troverà nell'italiano Ermete Zacconi un entusiasta sostenitore, tanto che a questi si deve la sua rappresentazione in Italia, in Europa e in America).
L'apice della produzione teatrale di Molnár si ha tuttavia con l'opera "Liliom. Vita e morte di un acchiappagalline. Leggenda di periferia che riscuote un successo mondiale. Così egli stesso tracciò il sommario della sua vita: “Nato nel 1878 a Budapest; 1895: studente di diritto a Ginevra; 1904: giornalista e scrittore noto; 1914: commediografo ancora più noto; 1930: vorrei ancora essere studente a Ginevra” (“Il Dramma”, Quindicinale di Commedie di grande interesse diretto da Lucio Ridenti, 28º Anno, n. 155, 15 aprile 1952, p. 32).
Opere
Drammi
A Doktor úr (1902)
Józsi (1904)
Il diavolo (Az ördög) (dramma, 1907)
Liliom (1909) (vedi filmografia)
A Testőr (1910)
A Farkas (1912)
Úri divat (1916)
A fehér felhő (1916)
Farsang (1916)
Il cigno (A hattyú) (1920)
Színház (1921)
A vörös malom (1923)
Az üvegcsuca
929) (vedi filmografia)
A jó tündér (1930)
Valaki (1931)
Harmónia (1932)
Nagy szerelem (1935)
Dalila (Delila) (1937)
Panoptikum (1949)
Opere in prosa
Az éhes város (1901)
Egy gazdátlan csónak története (1901)
I ragazzi della via Pál (A Pál utcai fiúk) (romanzo, 1906) (vedi filmografia)
Muzsika (1908)
Egy haditudósitó naplója (1916)
A zöld huszár (1938)
Útitárs a száműzetésben – Jegyzetek egy önéletrajzhoz (1950)
Filmografia (parziale)
Il cigno (The Swan), regia di Dmitrij Buchoveckij (1925)
La leggenda di Liliom, regia di Frank Borzage (1930)
Notte romantica (One Romantic Night), regia di Paul L. Stein (1930)
La leggenda di Liliom (Liliom), regia di Fritz Lang (1934)
I ragazzi della via Pál (No Greater Glory), regia di Frank Borzage (1934)
Il cigno (The Swan), regia di Charles Vidor (1956)
Olympia (A Breath of Scandal), regia di Michael Curtiz (1960)
Uno, due, tre! (One, Two, Three), regia di Billy Wilder (1961)
Attore
Camille'', regia di Ralph Barton (1926)
Note
Altri progetti
Collegamenti esterni
Drammaturghi ungheresi
Scrittori per ragazzi
Ebrei ungheresi
Ungheresi del XIX secolo |
2010 | https://it.wikipedia.org/wiki/Fiorino%20ungherese | Fiorino ungherese | Il fiorino ungherese () è la valuta ufficiale dell'Ungheria. Il codice ISO 4217 è HUF.
Fino al 1999, un fiorino era suddiviso in 100 fillér.
Storia
Il nome deriva da quello del fiorino di Firenze, una moneta d'oro coniata per la prima volta nel 1252. In Ungheria, florentinus (più tardi forint), fu una moneta d'oro in uso dal 1325 sotto Carlo Roberto d'Angiò. Subito divenne una delle monete più forti della regione. Pesava 3,40 g come il fiorino di Firenze.
Ongaro
In Italia il fiorino ungherese fu chiamato Ongaro e fu imitato da molte zecche italiane come quelle di Bozzolo, Casale Monferrato, Castiglione delle Stiviere, Correggio, Maccagno e Modena.
Poiché era in genere rappresentato un guerriero con larghi calzoni, le monete erano dette anche ongari bragoni.
Sono noti anche gli ongari di Kremnitz, d'Olanda, l'ongaro imperiale e quello di Maria Teresa.
Fiorino austro-ungarico
Tra il 1857 e il 1892, forint fu il nome ungherese della moneta dell'Impero austro-ungarico, nota in tedesco come Österreichischer Gulden o Fiorino austro-ungarico. In Ungheria era diviso in 100 krajczár (krajcár in ungherese moderno).
Fiorino ungherese
Il fiorino fu introdotto in Ungheria il 1º agosto 1946, dopo l'iperinflazione subita dal pengő nel 1945-1946. Il processo fu diretto dal Partito Comunista Ungherese, che teneva l'importante carica ministeriale, e il successo del fiorino fu utilizzato per ottenere vantaggi politici, contribuendo alla conquista del potere da parte del Partito Comunista nel 1948-49. Il fiorino rimpiazzò il pengő al cambio di 1 fiorino = 4×1029 pengő.
Tradizionalmente il fiorino era suddiviso in 100 fillér, ma il fillér era diventato a causa dell'inflazione non utilizzabile e dal 1999 non è più in circolazione. L'abbreviazione ungherese per il fiorino è Ft.
Dopo la sua introduzione nel 1946, il fiorino rimase stabile per diversi anni, ma iniziò a perdere il suo potere d'acquisto appena il sistema economico dello stato perse la sua competitività durante gli anni settanta ed ottanta del Novecento. Dopo il cambiamento di regime del 1989-90, il fiorino ebbe per tre anni una forte rivalutazione (35% circa), ma rilevanti riforme riuscirono a stabilizzarne il valore. Dopo l'anno 2000 il valore relativamente alto del fiorino sul mercato (specialmente in confronto con il dollaro statunitense che stava diminuendo di valore, ed in parte anche nei confronti dell'euro) svantaggia l'industria ungherese che è fortemente indirizzata all'esportazione nei confronti delle industrie straniere con valute più deboli.
Sostituzione con l'Euro
All'interno del processo di integrazione dell'Ungheria nell'Unione europea e nell'euro, era inizialmente previsto che il fiorino scomparisse verso il 2010-2012, secondo la situazione economica. C'era un'opinione diversa tra la Banca Nazionale ungherese ed il governo ungherese sulla possibilità di riuscire a raggiungere, secondo quanto richiesto dalla UE, gli obiettivi di bassa inflazione e di debito ridotto entro il 2010. In seguito la data definitiva è diventata più sfumata e il governo Ungherese non ha definita una data certa per l'introduzione dell'Euro.
Monete
Le monete in circolazione sono:
5 fiorini: colore bronzo, il dritto mostra un'egretta
10 fiorini: colore argento, il dritto mostra lo stemma ungherese
20 fiorini: colore bronzo, il dritto mostra un fiore di iris
50 fiorini: colore argento, il dritto mostra un falco
100 fiorini: colore argento all'esterno con un disco di rame all'interno, il dritto mostra lo stemma ungherese
200 fiorini: colore argento all'interno con un disco di rame all'esterno, il dritto mostra il Ponte delle Catene (in circolazione dal 15 giugno 2009).
Banconote
Tutte le banconote sono filigranate, contengono una striscia verticale di sicurezza di metallo e sono adatte per gli ipovedenti.
La banconota da 2000 fiorini e quelle di valore maggiore sono protette anche da un disegno olografico. I biglietti hanno le dimensioni di 154×70 mm
Le banconote in circolazione sono:
200 fiorini: il dritto mostra il re Carlo Roberto d'Angiò (fuori circolazione dal 15 novembre 2009)
500 fiorini: il dritto mostra il principe Francesco II Rákóczi (1676-1735)
1.000 fiorini: il dritto mostra il re Mattia Corvino
2.000 fiorini: il dritto mostra il principe sovrano Gabriele Bethlen
5.000 fiorini: il dritto mostra l'industriale Conte István Széchenyi
10.000 fiorini: il dritto mostra il fondatore dell'Ungheria, re Stefano I
20.000 fiorini: il dritto mostra il politico della metà del XIX secolo Ferenc Deák
Storia delle banconote e delle monete attuali
Durante il periodo comunista, a partire dal 1946 e fino al 1999, furono in circolazione le monete da 10, 20, 50 fillér e 1, 2, 5, 10, 20 fiorini. Queste monete erano di dimensioni maggiori di quelle attuali. Le banconote erano da 10, 20, 50, 100, 500, 1000 e 5000 fiorini, anche se quelle da 10 e 20 fiorini negli ultimi anni erano diventate più rare. Il biglietto da 1000 fiorini fu introdotto nel 1983 e quello da 5000 nel 1991. Le monete e le banconote attuali sono state introdotte a partire dal 1992, il biglietto da 10.000 fiorini fu emesso nel 1997 e quello da 20.000 nel 2001. Tutte riportano il nuovo stemma ungherese con la corona.
Le nuove banconote hanno tutte la stessa dimensione e, a differenza delle vecchie, hanno moderne misure anti-falsificazione. Negli anni hanno subito piccoli cambiamenti per migliorarne la sicurezza. È stata emessa una nuova moneta bimetallica da 100 fiorini più spessa per evitare confusioni con quella da 20 fiorini. Nel marzo 2008 le monete da 1 e 2 fiorini sono uscite dalla circolazione. A partire dal 2009 la banconota da 200 fiorini è stata progressivamente sostituita con una moneta di pari valore.
Serie storica dei tassi di cambio
Note
Altri progetti
Collegamenti esterni
Catalogo di Banconote ungheresi (comprese foto di vecchie banconote)
Banconote ungheresi (foto alta risoluzione, comprese vecchie banconote)
Monetazione ungherese
Ungheria
Economia dell'Ungheria
Valute europee |
2011 | https://it.wikipedia.org/wiki/Frida%20Kahlo | Frida Kahlo |
Biografia
Frida Kahlo nacque a Coyoacán, un villaggio oltre la periferia di Città del Messico il 6 luglio del 1907.
Suo padre era Guillermo Kahlo Kaufmann (nato Carl Wilhelm Kahlo; 1871-1941), un fotografo tedesco, nato a Pforzheim (nell'odierno Baden-Württemberg) da Jakob Wilhelm Kahlo, gioielliere e Henriette Kaufmann, emigrato in Messico nel 1891; mentre sua madre era Matilde Calderón y González (1876-1932), una benestante messicana di origini spagnole e amerinde. Frida fu una pittrice dalla vita travagliata. Le piaceva dire di essere nata nel 1910, poiché si sentiva profondamente figlia della rivoluzione messicana di quell'anno e del Messico moderno. La sua attività artistica ha avuto di recente una rivalutazione, in particolare in Europa, con l'allestimento di numerose mostre. Affetta da spina bifida, che i genitori e le persone intorno a lei scambiarono per poliomielite (ne era affetta anche sua sorella minore), fin dall'adolescenza manifestò una personalità molto forte, unita a un singolare talento artistico e aveva uno spirito indipendente e passionale, riluttante verso ogni convenzione sociale. Studiò inizialmente al Collegio Aleman, una scuola tedesca, e nel 1922, aspirando a diventare medico, s'iscrisse alla Escuela Nacional preparatoria. Qui si legò ai Cachuchas, un gruppo di studenti con un berretto come segno distintivo, sostenitori del socialismo nazionale, e incominciò a dipingere per divertimento i ritratti dei compagni di studio. Il gruppo ammirava il rivoluzionario José Vasconcelos e si occupava in particolare di letteratura; molte attenzioni erano riservate soprattutto ad Alejandro Gómez Arias, studente di diritto e giornalista, capo spirituale e ispiratore dei Cachuchas e di cui Frida si innamorò.
Un evento terribile segnò per sempre la sua vita, il 17 settembre 1925, quando, all'età di 18 anni, all'uscita di scuola salì su un autobus con Alejandro per tornare a casa e pochi minuti dopo rimase vittima di un incidente causato dal veicolo su cui viaggiava e un tram. L'autobus finì schiacciato contro un muro. Le conseguenze dell'incidente furono gravissime per Frida: la colonna vertebrale le si spezzò in tre punti nella regione lombare; si frantumò il collo del femore e le costole; la gamba sinistra riportò 11 fratture e il passamano dell'autobus le trafisse l'anca sinistra; il piede destro rimase slogato e schiacciato; la spalla sinistra restò lussata e l'osso pelvico spezzato in tre punti. Subì 32 operazioni chirurgiche. Dimessa dall'ospedale, fu costretta ad un riposo forzato nel letto di casa, col busto ingessato.
Questa situazione la spinse a leggere libri sul movimento comunista e a dipingere. Il suo primo lavoro fu un autoritratto, che donò al ragazzo di cui era innamorata. Da ciò la scelta dei genitori di regalarle un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto, in modo che potesse vedersi, e dei colori. Incominciò così la serie di autoritratti. "Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio" affermò. Dopo che le fu rimosso il gesso riuscì a camminare, con dolori che sopportò per tutta la vita. Fatta dell'arte la sua ragion d'essere, per contribuire finanziariamente alla sua famiglia, un giorno decise di sottoporre i suoi dipinti a Diego Rivera, illustre pittore dell'epoca, per avere una sua critica.
Rivera rimase assai colpito dallo stile moderno di Frida, tanto che la prese sotto la propria ala e la inserì nella scena politica e culturale messicana. Divenne un'attivista del Partito Comunista Messicano a cui si iscrisse nel 1928. Partecipò a numerose manifestazioni e nel frattempo si innamorò di Diego Rivera. Nel 1929 lo sposò (lui era al terzo matrimonio), pur sapendo dei continui tradimenti a cui sarebbe andata incontro. Conseguentemente alle sofferenze sentimentali ebbe anche lei numerosi rapporti extraconiugali, comprese varie esperienze omosessuali.
In quegli anni al marito Diego furono commissionati alcuni lavori negli USA, come il muro all'interno del Rockefeller Center di New York, e gli affreschi per la Esposizione universale di Chicago. A seguito dello scalpore suscitato dall'affresco nel Rockefeller Center, in cui un operaio aveva il volto di Lenin, gli furono revocate tali commissioni. Nello stesso periodo del soggiorno a New York, Frida si accorse di essere rimasta incinta, per poi avere un aborto spontaneo a causa dell'inadeguatezza del suo fisico: ciò la scosse molto e decise di tornare in Messico col marito. I due decisero di vivere in due case separate, collegate da un ponte, in modo da avere ognuno i propri spazi "da artista". Nel 1939 divorziarono a causa del tradimento di Rivera con Cristina Kahlo, la sorella di Frida.
Diego tornò da Frida un anno dopo: malgrado i tradimenti disse che non aveva smesso di amarla. Le fece una nuova proposta di matrimonio che lei accettò con riserve, in quanto era rimasta pesantemente delusa dall'infedeltà del marito. Si risposarono nel 1940 a San Francisco. Da lui aveva assimilato uno stile naïf, che la portò a dipingere piccoli autoritratti ispirati all'arte popolare e alle tradizioni precolombiane. La sua intenzione era, ricorrendo a soggetti tratti dalle civiltà native, di affermare la propria identità messicana. Identità messicana evidente anche nel suo modo di vestire. Infatti, Frida si ispirava al costume delle donne di Tehuantepec, un comune di Oaxaca, che ha una reputazione di "società matriarcale". Le donne comandano i mercati locali e sono famose per deridere gli uomini. Probabilmente questo è stato uno degli aspetti che ha catturato maggiormente la sua attenzione.
Il suo dispiacere maggiore fu quello di non aver avuto figli. La sua appassionata (e all'epoca discussa) storia d'amore con Rivera è raccontata in un suo diario. Ebbe numerosi amanti, di ambo i sessi, con nomi che nemmeno all'epoca potevano passare inosservati: il rivoluzionario russo Lev Trockij e il poeta André Breton, fra i tanti altri e altre. Fu amica e probabilmente amante di Tina Modotti, militante comunista e fotografa nel Messico degli anni Venti. Molto probabilmente esercitarono un certo fascino su Frida Kahlo anche la russa Aleksandra Kollontaj (1872-1952), che visse in Messico dal 1925 al 1926 come ambasciatrice di Mosca, la ballerina, coreografa e pittrice Rosa Rolando (1897-1962) e la cantante messicana Chavela Vargas (1919-2012). In Messico, durante il periodo post-rivoluzionario, le donne della generazione di Frida Kahlo arrivavano all'emancipazione principalmente per il tramite della politica; probabilmente anche per la stessa ragione la pittrice si iscrisse al Partito Comunista Messicano. Inoltre, come Sarah M. Lowe afferma, “il partito presentava anche un'altra attrattiva: la presenza e la militanza di numerose donne dinamiche la cui indipendenza e autodeterminazione possono aver incoraggiato la pittrice a unirsi a loro”.
Nel 1953 Frida Kahlo fu tra i firmatari (con Bertolt Brecht, Dashiell Hammett, Pablo Picasso, Diego Rivera, Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir e papa Pio XII) della richiesta di grazia per i coniugi Rosenberg, comunisti statunitensi condannati a morte e poi giustiziati a New York per presunto spionaggio a favore dell'URSS.
Ad agosto 1953, per un'infezione esitata in gangrena, le fu amputata la gamba destra. Morì di embolia polmonare a 47 anni il 13 di luglio del 1954. Fu cremata e le sue ceneri sono conservate nella sua Casa Azul, oggi sede del Museo Frida Kahlo. Le ultime parole che scrisse nel diario furono: "Spero che l'uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più."
Caratteristiche artistiche
Il regalo del letto a baldacchino e l'installazione dello specchio, durante la sua prolungata immobilità, ebbero inizialmente per Frida un effetto sconvolgente e la portarono al ricorrente tema dell'autoritratto. Il primo che dipinse fu per il suo amore adolescenziale, Alejandro. Nei suoi ritratti raffigurò molto spesso gli aspetti drammatici della sua vita, il più importante dei quali fu senza dubbio l'incidente del 1925.
Il rapporto ossessivo con il suo corpo martoriato caratterizza uno degli aspetti fondamentali della sua arte. Allo stesso tempo coglie l'occasione di difendere il suo popolo attraverso la sua arte facendovi confluire il folclore messicano.
Sotto questo aspetto, forte ma allo stesso tempo sfumato di humour, risulta nei suoi quadri l'impatto di elementi fantastici accostati a oggetti in apparenza incongruenti. Si tratta di quadri di piccole dimensioni (Frida predilige il formato 30x37 cm) dove si autoritrae con una colonna romana fratturata a ricordo della sua spina dorsale e circondata dalle numerose scimmie che cura come figlie nella sua casa. Tre importanti esposizioni le furono dedicate nel 1938 a New York, l'anno successivo a Parigi e nel 1953, un anno prima della morte, a Città del Messico.
Il rapporto con il surrealismo femminile
Dal 1938 l'attività pittorica s'intensifica: i suoi dipinti non si limitano più alla semplice descrizione degli incidenti della sua vita, parlano del suo stato interiore e del suo modo di percepire la relazione con il pianeta e quasi tutti includono tra i soggetti un bambino, sua personificazione. Per un breve periodo nelle sue opere gli elementi della tradizione messicana classica si uniscono a quelli della produzione surrealista.
Nel 1938 il poeta e saggista surrealista André Breton vide per la prima volta il suo lavoro: ne rimase talmente colpito da proporle una mostra a Parigi e proclamò che Frida fosse "una surrealista creatasi con le proprie mani". Nel 1939, su invito di André Breton, si recò a Parigi, dove le sue opere vennero presentate in una mostra a lei dedicata. Nella stessa città Frida frequenta i surrealisti facendosi scortare nei caffè degli artisti e nei night club; tuttavia trovò la città decadente. Sapeva che l'etichetta surrealista le avrebbe portato l'approvazione dei critici, ma allo stesso tempo le piaceva l'idea di essere considerata un'artista originale. Quello che può essere considerato il suo lavoro più surrealista è il quadro Ciò che l'acqua mi ha dato: immagini di paura, sessualità, memoria e dolore galleggiano nell'acqua di una vasca da bagno, dalla quale affiorano le gambe dell'artista.
In quest'opera così enigmatica sono chiari i riferimenti a Salvador Dalí, soprattutto per l'insistenza sui dettagli minuti. Estremamente surreale è anche il suo diario personale, incominciato nel 1944 e tenuto fino alla morte, una sorta di monologo interiore scandito da immagini e parole. Per molte immagini il punto di partenza era una macchia di inchiostro o una linea, come se usasse la tecnica dell'automatismo per verificare le sue nevrosi.
In ogni caso, nonostante l'accento posto sul dolore, sull'erotismo represso e sull'uso di figure ibride, la visione di Frida era ben lontana da quella surrealista: la sua immaginazione non era un modo per uscire dalla logica e immergersi nel subconscio, ma piuttosto il prodotto della sua vita che lei cercava di rendere accessibile attraverso un simbolismo. La sua idea di surrealismo era giocosa, diceva che esso "è la magica sorpresa di trovare un leone nell'armadio, dove eri sicuro di trovare le camicie". Anni dopo Frida negherà violentemente di aver preso parte al movimento, forse perché negli anni quaranta questo cessò di essere di moda.
Opere
Autoritratto con vestito di velluto - (1927)
Autoritratto - (1926)
Ritratto di Alicia Galant - (1927) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ritratto di Miguel N. Lira - (1927) - Instituto Tlaxcalteca de Cultura, Tlaxcala
L'autobus - (1929) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Autoritratto - (1930)
Autorretratto con mono (autoritratto con scimmia) - (1930) - Albright-Knox Art Gallery, Buffalo (New York)
Frida e Diego - (1931) - San Francisco Museum of Modern Art, San Francisco
Ritratto di Eva Frederick - (1931) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ritratto di Luther Burbank - (1931) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ospedale Henry Ford (o Il letto volante) - (1932) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Autoritratto al confine tra Messico e Stati Uniti - (metà del 1932)
La mia nascita - (1932)
Il mio vestito è appeso là (o New York) - (1933)
Qualche piccola punzecchiatura - (1935) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
I miei nonni, i miei genitori e io - (1936)
Autoritratto dedicato a Lev Trockij - (1934) - National Museum of Women in the Arts, Washington D.C.
Frida e l'aborto - (1936) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il piccolo defunto Dimas Rosas all'età di tre anni - (1937) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
La mia balia e io - (1937) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ricordo - (1937)
Ciò che ho visto nell'acqua e ciò che l'acqua mi ha dato - (1938)
I frutti del cuore - (1938)
Il cane itzcuintli con me - (1938)
Quattro abitanti del Messico - (1938)
Due Nudi nella Giungla (La Terra Madre) - (1939) - Collezione Privata
Il suicidio di Dorothy Hale - (1939) - Phoenix Art Museum, Phoenix
Le due Frida - (1939) - Museo de Arte Moderno, Città del Messico
Autoritratto con collana di spine - (1940)
Autoritratto con i capelli tagliati - (1940) - Museum of Modern Art, New York
Autoritratto con scimmia - (1940)
Autoritratto per il Dr. Eloesser - (1940)
Il sogno (o Il letto) - (1940)
Cesto di fiori - (1941)
Io con i miei pappagalli - (1941)
Autoritratto con scimmia e pappagallo - (1942)
Autoritratto con scimmie - (1943)
La novella sposa che si spaventa all'aprirsi della vita - (1943)
Retablo - (1943 circa)
Ritratto come una Tehuana (o Diego nel mio pensiero) - (1943)
Pensando alla morte (1943) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Radici (1943) - Collezione privata
Diego e Frida 1929-1944 - (1944)
Fantasia - (1944) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il fiore della vita - (1944) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
La colonna spezzata - (1944) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ritratto di Donna Rosita Morillo - (1944) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il pulcino - (1945) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
La maschera - (1945) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Mosè (o Il nucleo solare) - (1945)
Ritratto con scimmia - (1945) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Senza speranza - (1945) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il piccolo cervo - (1946)
Autoritratto con i capelli sciolti - (1947)
Albero della speranza mantieniti saldo - (1946)
Il sole e la vita - (1947)
Autoritratto - (1948)
Diego e io - (1949) - Collezione privata
L'abbraccio amorevole dell'universo, la terra, Diego, io e il signor Xolotl - (1949)
Autoritratto con ritratto del Dr. Farill - (1951)
Ritratto di mio padre - (1951) - Museo de Frida Kahlo, Città del Messico
Perché voglio i piedi se ho le ali per volare - (1953) - Museo de Frida Kahlo, Città del Messico
Autoritratto con Diego nel mio Cuore - (1953-1954) - Collezione Privata
Autoritratto con Stalin (o Frida e Stalin) - (1954 circa) - Museo de Frida Kahlo, Città del Messico
Il cerchio - (1954 circa) - Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il marxismo guarirà gli infermi - (1954 circa) - Museo de Frida Kahlo, Città del Messico
Viva la vita - (1954 circa) - Museo de Frida Kahlo, Città del Messico.
Influenza culturale
Frida Kahlo è stata la prima donna latinoamericana ritratta su un francobollo degli Stati Uniti, emesso il 21 giugno 2001. L'immagine scelta è un autoritratto dell'artista eseguito nel 1933.
La vita di Frida Kahlo è stata raccontata in due film:
Frida, Naturaleza Viva (1986), diretto da Paul Leduc e interpretato da Ofelia Medina.
Frida (2002), tratto dalla biografia scritta da Hayden Herrera, diretto da Julie Taymor e interpretato da Salma Hayek, che proprio grazie a questo film ha ricevuto una nomination all'Oscar come miglior attrice. Il film è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2002;
e in numerosi documentari:
Evocación de Frida di Manuel Michel (1960)
Frida Kahlo di Marcela Fernández Violante (1971)
The Life and Death of Frida Kahlo di David e Karen Crommie (1976)
Frida Kahlo di Roberto Guerra, Elia Hershon, Wibke von Bonin (1982)
Frida Kahlo & Tina Modotti di Peter Wollen e Laura Mulvey (1983)
Great Women Artists: Frida Kahlo di Dominique Mougenot (2000)
Viva la Frida! di André Leduc (2001)
The Life and Times of Frida Kahlo di Amy Stechler (2004)
Frida Maestra, el arte al encuentro de la vida di Luisa Riley (2005)
Siglo con Frida: Frida Kahlo, Un Homenaje nacional della Canal 22 Televisión Metropolitana (2007)
Frida - Viva la vida (docufilm) regia di Gianni Troilo, sceneggiatura Jacopo Magri e Marco Pisoni (2019)
Una versione animata di Frida appare nel film Disney Pixar Coco, dove è una regista coreografa che prepara eccentrici spettacoli nel mondo dei morti e aiuta il piccolo Miguel e la sua famiglia.
Note
Bibliografia
Rauda Jamis, Frida Kahlo, Longanesi, Milano 1991; TEA, Milano 2007
Jamis Rauda, Frida Kahlo, trad. di Flavia Celotto, La gaja scienza, n. 334, Milano, Longanesi, 1991
Il diario di Frida Kahlo. Un autoritratto intimo, introduzione di Carlos Fuentes, a cura di Sarah M. Lowe, Leonardo, Milano 1995
Jean-Marie Gustave Le Clézio, Diego e Frida, Il Saggiatore, Milano 1997
Hayden Herrera, Frida, La Tartaruga, Roma 2001; Baldini Castoldi Dalai, Milano 2010
Frida Kahlo, Lettere appassionate, a cura di Martha Zamora, Abscondita, Milano 2002
Tibol Raquel, Frida Kahlo. Una vita d’arte e di passione, Milano, Rizzoli, 2002 ISBN 8817869481
Bonito Oliva Achille e Zamora Martha, Frida Kahlo, Art e dossier, n. 213, Firenze-Milano, Giunti, 2005
Helga Prignitz-Poda, Frida Kahlo, Rizzoli, Milano 2006
Margaret Hooks et al., Frida Kahlo. Biografia per immagini, Abscondita, Milano 2008
Pino Cacucci, ¡Viva la vida!, Feltrinelli, Milano 2010
Gérard de Cortanze, Frida Kahlo. La bellezza terribile, Gaffi, Roma 2012
Alexandra Scheiman, Il diario perduto di Frida Kahlo, Rizzoli, Milano 2013
Slavenka Drakulić, Il letto di Frida, Elliot, Roma 2014, ISBN 978-88-6192-607-3
Stefania Bonura, Frida Kahlo. Arte, amore, rivoluzione. Una biografia. NdA Press, Rimini 2014 ISBN 9788889035849
Frida Kahlo - Diego Rivera , l'Art en Fusion, 2013, Hazan, (Catalogo della Mostra all'Orangerie di Parigi), ISBN 978-2-7541-0718-1
Claudia Schaefer, Frida Kahlo: A Biography, Greenwood, 2009 031334924X, 9780313349249, 9780313349256
Frida Kahlo oltre il mito, a cura di Diego Sileo, Catalogo della mostra tenuta a Milano, Museo delle culture (Milano) dal 1º febbraio al 3 giugno 2018, Milano 24 ore cultura, 2018 ISBN 978-88-6648-383-0
Hayden Herrera, Frida, Il Cerbiatto, Roma 2001; Neri Pozza Editore, Vicenza 2016
Voci correlate
Museo Frida Kahlo
Surrealismo femminile
Lev Trockij
Tina Modotti
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Collegamenti esterni
Artisti trattanti tematiche LGBT
Comunisti in Messico
Surrealismo
Frida Kahlo |
2013 | https://it.wikipedia.org/wiki/Floricoltura | Floricoltura | La floricoltura o arte di coltivare i fiori, è un settore dell'agricoltura
che ha lo scopo di produrre per il giardinaggio o il commercio, fiori recisi, piante fiorite in vaso o cassetta, materiale per la propagazione come semi, bulbi, tuberi, rizomi, ecc. Può essere praticata per hobby o come attività professionale. Le coltivazioni possono avvenire in vaso, in piena terra, in serra oppure in giardini all'aperto.
L'umanità fin dai tempi antichi ha praticato la floricoltura per l'attrazione che la bellezza, il colore e il profumo dei fiori hanno esercitato sui nostri sensi. Dalla metà del XVII secolo la floricoltura diventa materia per specifici trattati scientifici (ad esempio il frate cecoslovacco Johan Gregor Mendel con lo studio della genetica sulla pianta di pisello odoroso. La prima pubblicazione in Italia è di G.B. Ferrari, un gesuita di Roma che nel 1633 dava alle stampe il De florum coltura) e tra il XVIII e XIX secolo si occuparono dell'arte floricola anche illustri scrittori come Joseph Decaisne e Charles Victor Naudin.
Nel corso dei secoli seguendo le rotte commerciali da paesi di altre latitudini verso l'Europa, furono introdotte piante esotiche originarie di regioni con climi diversissimi, che per le particolari esigenze ambientali determinarono un affinamento delle tecniche colturali adottate e l'ideazione di ambienti artificiali come le serre.
Inoltre, l'introduzione di piante ornamentali ricercate per il portamento, la forma e il colore delle foglie ha sviluppato nel tempo il settore del vivaismo che si occupa della semina, trapianto e produzione di piante ornamentali arboree o arbustive, bonsai e piante erbacee, per cui si è affermato il termine florovivaismo per designare quelle attività che comprendono la produzione e commercializzazione di differenti tipi di piante per gli utilizzi più vari.
I paesi occidentali in cui la Floricoltura è maggiormente diffusa e sviluppata sono: i Paesi Bassi specializzati nella produzione di bulbi, rizomi, ecc. e che possiedono una struttura commerciale e organizzativa che permettono di influenzare e dettare le regole al mercato florovivaistico mondiale; seguono il Belgio e Israele.
L'Italia per varie ragioni storico-politiche, ma non certo climatiche, segue a distanza con alcune Regioni di eccellenza, prime tra tutte la Liguria e in special modo la Provincia di Imperia. Altre Regioni importanti per la produzione florovivaistica sono la Toscana (Pescia ) e la Puglia.
Nella floricoltura la selezione e creazione di sempre nuove cultivar è l'arma vincente per l'affermazione commerciale dei prodotti e, per ottenerne di più innovative e accattivanti per il consumatore finale, si ricorre a metodi agronomici sofisticati come il miglioramento genetico e le tecniche di micropropagazione.
Per quanto riguarda le tecniche colturali, l'esigenza primaria è la standardizzazione del prodotto commercializzato per spuntare un prezzo remunerativo, affiancando alle colture in pieno campo o in serra, le coltivazioni su substrati artificiali, ormai la norma per le produzioni in vaso, con un utilizzo generalizzato di fitoregolatori, fitofarmaci, fertirrigazione, colture idroponiche, illuminazione artificiale e sistemi di controllo computerizzato per temperatura e umidità.
La moltiplicazione delle piante può avvenire per talea, margotta, propaggine, innesto, divisione di tuberi, rizomi, stoloni e bulbi o con la semina.
Voci correlate
Agricoltura
Giardinaggio
Patologia vegetale
Genetica
Botanica
Economia agraria
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2017 | https://it.wikipedia.org/wiki/Genere%20musicale | Genere musicale | Un genere musicale è una categoria convenzionale che identifica e classifica i brani e le composizioni in base a criteri di affinità. Le musiche possono essere raggruppate in base alle loro convenzioni formali e stilistiche, alla tradizione in cui si inseriscono, allo spirito dei loro temi, alla loro destinazione o, se presente, al loro testo. L'indeterminatezza di alcuni di questi parametri rende spesso la divisione della musica in generi controversa e arbitraria. Un genere musicale può a sua volta dividersi in sottogeneri.
Classificazione
Una classificazione dei generi musicali basilare, ma largamente condivisa, è la tricotomia tradizionale-colta-popular proposta da Philip Tagg. Vincenzo Caporaletti ha invece introdotto il principio dirimente del "medium formativo", ovvero l'interfaccia (ambiente cognitivo) con la quale l'autore forma l'opera. I media formativi possono appartenere a due matrici diverse: matrice visiva o audiotattile a seconda se nel processo formativo dell'opera abbia un ruolo preponderante la razionalità visiva o somato-corporea. In base a questa teoria, chiamata Teoria delle musiche audiotattili, le musiche si distinguono principalmente in: 1) musiche di tradizione scritta europea create attraverso la matrice visiva; 2) musiche di tradizione orale (come le musiche di tradizione popolare o etniche trasmesse oralmente); 3) Le musiche audiotattili, che si servono del medium di registrazione sonora sia come mezzo creativo sia come mezzo per la trasmissione dei prodotti culturali (per esempio il jazz, il pop, il rock, il rap eccetera). Questi due ultimi processi creativi musicali prendono vita grazie all'azione della matrice audiotattile in cui il medium formativo è appunto il Principio Audiotattile. È inoltre possibile categorizzare la musica per epoche storiche, nelle quali alcuni generi trovano origine o hanno avuto popolarità, su basi geografiche, secondo aspetti tecnici quali la strumentazione usata o in base alla loro funzione sociale.
Un genere può essere poi definito dalla fusione di altri generi musicali, come avviene per il blues rock ed il latin jazz. Alcuni esempi di questa tipologia di categorizzazione non portano necessariamente tutti i nomi di origine nel nome che li definisce, come nel caso del crossover o del fusion. A conferma dello stretto legame che intercorre tra genere musicale, recezione e fruizione, negli ultimi decenni l'industria discografica ha spesso preferito, per ragioni commerciali, inquadrare gli interpreti entro singoli generi.
Genere, stile e forma
Alcuni approcci accademici al problema della classificazione della musica assimila i generi a come si presenta una composizione musicale (v. elenco in :Categoria:Generi di composizione musicale).
Douglass Marshall Green, nel suo libro Form in Tonal Music, suddivide per esempio la musica rinascimentale nei generi del madrigale, del mottetto, della canzona, del ricercare e della danza. Secondo la classificazione di Green il Concerto per violino e orchestra di Beethoven e quello di Mendelssohn sono identici nel genere – entrambi sono concerti per violino – ma differenti nella forma, ovvero nell'architettura. Il Rondò in la minore di Mozart e il suo Agnus dei dalla Messa dell'incoronazione sono invece differenti nel genere, ma molto simili nella forma.
Peter van der Merwe e altri trattano i termini genere e stile come sinonimi, affermando che il genere dovrebbe essere definito come gruppo di brani musicali caratterizzati da un certo stile e un "linguaggio musicale di base". Altri come Allan F. Moore sostengono invece che "genere" e "stile" sono due termini ben distinti.
Triangolo assiomatico tradizionale-colta-popular
Una distinzione di base, comunemente riconosciuta dalla musicologia, è quella tra musica tradizionale, musica colta e popular music, visti come termini generici o macrocategorie che assieme racchiudono tutti i generi musicali, formando ciò che Philip Tagg definì come "triangolo assiomatico".
Con il termine musica colta ci si riferisce principalmente alle musiche di tradizione classica, includendo in questo genere forme musicali sia della musica contemporanea che di quella classica storicizzata. In Occidente la musica colta è caratterizzata dalla tradizione musicale scritta, preservata da forme di notazione musicale.
La musica tradizionale o folclorica è definita dalla trasmissione orale, ovvero viene tramandata attraverso il canto, l'ascolto e talvolta la danza. Essa deriva inoltre da particolari tradizioni, regioni e culture essendone parte integrante.
Con il termine popular music ci si riferisce a tutti quei generi musicali accessibili ad un pubblico generalista e largamente divulgati dai mass media. La popular music si può trovare nelle stazioni radio più commerciali, nei rivenditori più popolari, nei centri commerciali, nelle colonne sonore televisive e di molti film. I brani vengono spesso inseriti in classifiche di vendita, e oltre al cantante, all'autore o al compositore, coinvolge il ruolo del produttore musicale, molto più di quanto non facciano gli altri due macrogeneri. Il musicologo britannico Philip Tagg, studioso della popular music, ha definito la nozione alla luce di aspetti socio-culturali ed economici:
Critiche al triangolo assiomatico
Le distinzioni fra musica colta e popular music appaiono spesso sfocate e con molti punti di contatto, come accade per la musica minimalista. In questi casi, la musica - come altre arti - effettua distinzioni imprecise. Il musicologo britannico Richard Middleton, critico di popular music, ha messo in discussione l'indeterminatezza di queste distinzioni:
Note
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2018 | https://it.wikipedia.org/wiki/Geologia | Geologia | La geologia (dal greco γῆ, gê, "terra" e λόγος, logos, "studio") è la disciplina delle scienze della Terra che studia i processi fisico-chimici che plasmano e trasformano nel tempo la Terra. Tradizionalmente la geologia s.s. studia la costituzione, la struttura e l'evoluzione della crosta terrestre. In chiave più moderna la geologia tratta anche i corpi del Sistema Solare che presentano una superficie solida (esogeologia).
Rientrando nel novero delle scienze naturali (insieme a scienze quali la fisica, la biologia, la chimica, l'astronomia), viene considerata una scienza dura.
Storia
Il termine "geologia" fu utilizzato per la prima volta nel 1603 dal naturalista Ulisse Aldrovandi, ma le prime ipotesi che la Terra avesse un comportamento dinamico e che quindi i rapporti tra continenti e oceani potessero cambiare furono formulate già dai filosofi pitagorici.
Tra i padri della geologia moderna figurano gli scozzesi James Hutton (1726 - 1797) e Charles Lyell (1797 - 1875). Un impulso determinante allo sviluppo della geologia in chiave moderna venne offerto anche dalla formulazione delle rivoluzionarie teorie evoluzionistiche da parte del naturalista britannico Charles Darwin (1809 - 1892). Dalla fine del XX secolo la geologia ha esteso il suo campo di indagine a tutti pianeti ed agli altri corpi solidi facenti parte del sistema solare.
Descrizione
Nel campo scientifico la geologia ha fornito la prova principale per la tettonica delle placche, ha ricostruito la storia della vita e dell'evoluzione delle specie viventi, ha ricostruito le evoluzioni dei climi del passato, ha fornito gli elementi (e indaga tuttora) per la comprensione di molti fenomeni naturali.
Lo studio approfondito del nostro pianeta ha portato a suddividere la geologia in molte discipline specializzate tra cui le più conosciute sono: la Vulcanologia, che studia i vulcani, la Sismologia, che si occupa di terremoti, la Geomorfologia che esamina le forme e il modellamento del paesaggio, la Pedologia che studia i suoli, l'Idrogeologia che si concentra sulle acque sotterranee, la Mineralogia e la Petrografia che si occupano rispettivamente di minerali e rocce, e la Paleontologia che a partire dai fossili ricostruisce la storia della vita sulla Terra dalla sua origine sino ad oggi. La geologia si occupa anche della ricostruzione della storia della Terra attraverso l'indagine della successione degli eventi fisici, chimici e biologici che ne hanno determinato nel corso dei tempi l'evoluzione fino allo stadio attuale.
Discipline collegate
Data la vastità e la complessità delle problematiche legate a questo campo di studi, la geologia è integrata con altre discipline, che costituiscono l'insieme delle scienze della Terra:
la geofisica per lo studio della Terra tramite la misurazione e l'interpretazione di parametri fisici con strumenti posti prevalentemente sulla superficie terrestre, entro pozzi perforati fino ad una profondità di pochi chilometri dalla superficie o telerilevamenti da satelliti, integrati con concetti di fisica e scienza dei materiali;
la mineralogia per l'analisi dei minerali contenuti nelle rocce integrandosi con chimica e fisica;
la paleontologia per lo studio dell'evoluzione degli organismi vissuti sulla superficie del pianeta integrandosi con la biologia e la botanica;
l'astronomia, quando alcuni fenomeni sono direttamente generati dall'interazione della Terra con altri corpi planetari o stellari (ad esempio l'impatto con un meteorite).
Ambiti specialistici
La geologia afferente alle scienze della Terra può essere a sua volta suddivisa in numerosi ambiti specialistici, spesso intercomunicanti tra loro:
Geologia generale: studio dei meccanismi e delle cause che hanno generato e modificato la Terra
Petrografia: descrive e classifica le rocce secondo le loro caratteristiche di colore, granulometria (tessitura), organizzazione strutturale dei singoli elementi che la compongono (fabric)
Petrologia: studia l'origine e le modalità evolutive dei tipi di rocce
Geochimica: la scienza che studia la distribuzione ed i rapporti quantitativi degli elementi chimici contenuti nella litosfera, nell'idrosfera, nell'atmosfera e nella biosfera, e le loro interazioni
Sedimentologia: analisi dei processi e degli ambienti che portano alla formazione di una roccia sedimentaria
Stratigrafia: studio dell'organizzazione nel tempo e nello spazio delle successioni rocciose sedimentarie e della loro datazione (vedi anche Paleontologia e Paleogeografia)
.
Icnologia: studio delle tracce fossili preservate nelle rocce.
Biostratigrafia: studio della distribuzione dei fossili entro gli strati rocciosi, e della loro evoluzione per determinare l'età delle formazioni rocciose e compiere correlazioni locali, regionali e globali.
Geocronologia: studio dell'età assoluta delle rocce
Cronostratigrafia: integrazione dei risultati della Biostratigrafia e della Geocronologia per produrre uno schema, di tipo gerarchico, di datazione delle rocce applicabile a larga scala possibile ed al maggior numero possibile di rocce.
Tettonica: studio delle deformazioni rigide o plastiche della crosta terrestre
Geologia strutturale: studio delle deformazioni rigide (fragili) o plastiche (duttili) delle rocce
Geodinamica: studio della dinamica delle placche litosferiche (vedi teoria della Tettonica a zolle)
Geologia regionale: che individua aree (chiamate regioni) omogenee dal punto di vista geologico, della crosta terrestre, ne descrive i lineamenti geologici tipici, ne delinea la storia geologica ed i rapporti reciproci con le regioni confinanti.
Geologia storica: che organizza i dati della geologia regionale, stratigrafia e geologia tettonica in una sequenza di eventi che descrivono l'evoluzione della crosta terrestre durante le ere geologiche
Geomorfologia: studio delle forme della superficie terrestre e dei processi che le originano e\o contribuiscono alla loro evoluzione
Climatologia: studio del clima terrestre attuale e passato
Idrologia: studio delle relazioni fra l'acqua e la superficie terrestre in senso lato
Glaciologia: studio dei ghiacciai terrestri.
Vulcanologia: studio dell'origine, dell'evoluzione, delle forme e dei prodotti di un vulcano
Geofisica: (anche detta fisica terrestre) è in generale l'applicazione di misure e metodi fisici allo studio delle proprietà fisiche del pianeta Terra.
Geologia Planetaria o Esogeologia : studio dei pianeti del Sistema Solare e di componenti geologici extraterrestri.
Quando il geologo, spesso utilizzando conoscenze e tecniche di più rami della geologia, svolge attività di campagna per il riconoscimento degli elementi geologici di un territorio e la compilazione di una cartografia geologica, si parla di rilevamento geologico.
Altre suddivisioni sono utilizzate per specifici campi di intervento della geologia:
Geologia applicata: è un termine onnicomprensivo che si riferisce all'utilizzo delle Scienze della Terra per la soluzione di problemi dell'uomo e dell'uomo in relazione all'ambiente, in cui l'aspetto geologico gioca un ruolo rilevante sia per competenze tematiche sia in termini di legge.
Geologia degli idrocarburi è un termine usato per indicare uno specifico gruppo di discipline di Scienze della terra sviluppate ed applicate alla ricerca e produzione di idrocarburi dal sottosuolo. Le conoscenze acquisite in questo campo oggi vengono estese ai campi applicativi della geotermia profonda, dello stoccaggio sotterraneo del gas, e dello smaltimento sotterraneo dell'anidride carbonica.
Geologia mineraria: indica l'applicazione e l'approfondimento di alcune branche delle Scienze della Terra allo scopo di individuare e sfruttare le risorse minerarie, rinvenibili nella crosta terrestre
Geologia marina: è un termine onnicomprensivo che indica lo studio delle caratteristiche attuali dei mari e dei loro fondali dal punto di vista delle Scienze della Terra
Geologia urbana: studio delle aree urbane, in funzione delle caratteristiche fisiche del territorio. Si avvale di un approccio metodologico interdisciplinare. Si avvale di dati non solo attinenti alle Scienze della Terra, ma anche pertinenti ad altre discipline (dati geoarcheologici, storici, cartografici ecc.).
Geotecnologie: si occupa dello studio del territorio con l'aiuto e lo sviluppo delle tecnologie digitali informatiche (tecniche di telerilevamento, fotogrammetria digitale, elaborazione di cartografie tematiche...)
Ciascuno di questi ambiti, in cui convenzionalmente è suddivisa la geologia, pur sviluppandosi in una specializzazione sempre più spinta, richieda sempre una forte interdisciplinarità per una corretta interpretazione, e come i risultati di ogni studio possano avere una ricaduta di interesse teorico e pratico negli altri ambiti geologici.
Applicazioni pratiche
La geologia è importante per la valutazione delle risorse idriche, per la previsione e la comprensione dei pericoli naturali (es. rischio idrogeologico), per l'individuazione ed il risanamento dei problemi ambientali, per la pianificazione territoriale e la realizzazione di opere pubbliche e private, per il rilevamento di risorse naturali ad esempio minerali ed idrocarburi (in primis petrolio e metano), per l'estrazione di molti materiali d'uso commerciale e industriale, per lo studio sui mutamenti del clima e dell'ambiente, per la conoscenza del sottosuolo (geognostica) e dei relativi parametri geotecnici, fondamentali per la corretta progettazione di qualunque opera costruttiva.
Note
Voci correlate
Epigenesi (geologia)
Ere geologiche
Geologo
Geofisica
Geografia
Naturalista
Petrologia
Roccia
Storia della geologia
Altri progetti
Collegamenti esterni
Geologicpedia: enciclopedia geologica aperta Geologicpedia
Francesco Abbona, voce Geologia del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede
Materiale didattico e conoscitivo sul web Risorse Geologiche
James Hutton's Theory of the Earth |
2020 | https://it.wikipedia.org/wiki/GNU%20Free%20Documentation%20License | GNU Free Documentation License | La GNU Free Documentation License (GNU FDL) è una licenza di copyleft per contenuti liberi, creata dalla Free Software Foundation per il progetto GNU.
È stata creata per distribuire la documentazione di software e materiale didattico. Lo scopo di questa licenza è quello di rendere un manuale, un testo o altri documenti scritti "liberi" nel senso di assicurare a tutti la libertà effettiva di copiarli e redistribuirli, con o senza modifiche, a fini di lucro o no. In secondo luogo questa licenza prevede per autori ed editori il modo per ottenere il giusto riconoscimento del proprio lavoro, preservandoli dall'essere considerati responsabili per modifiche apportate da altri.
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Il progetto Debian, che inizialmente non considerava la GNU FDL una licenza libera, ha deciso, con votazione pubblica, che sono da considerare libere, in relazione alle Debian Free Software Guidelines (DFSG), le opere redistribuite con tale licenza purché non contengano sezioni non modificabili.
Storia
La GFDL è stata pubblicata come forma di progetto per il feedback nel settembre 1999. Dopo alcune revisioni, la versione 1.1 è stata pubblicata nel marzo 2000, la versione 1.2 nel novembre 2002, e la versione 1.3 nel mese di novembre 2008. La versione attuale della licenza è la 1.3.
La prima bozza della GNU Free Documentation License versione 2 è stata pubblicata il 26 settembre 2006, insieme con una bozza della nuova GNU Simpler Free Documentation License.
Il 1º dicembre 2007, Jimmy Wales ha annunciato che dopo un lungo periodo di discussione e negoziazione tra la Free Software Foundation, Creative Commons, la Wikimedia Foundation e altri, di aver prodotto una proposta sostenuta sia dalla FSF e dalla Creative Commons per modificare la Free Documentation License in modo da dare la possibilità alla Wikimedia Foundation di migrare i suoi progetti alla simile Creative Commons Attribution Share-Alike (CC-BY-SA). Queste modifiche sono state implementate nella versione 1.3 della licenza, che include una nuova disposizione che consente a determinati materiali pubblicati sotto la licenza di essere utilizzati anche sotto una licenza Creative Commons Attribution Share-Alike.
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D. Conservare tutte le note sul copyright del documento originale.
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La versione 1.3
Il 3 novembre 2008 la Free Software Foundation ha pubblicato una nuova versione (1.3) della licenza GNU FDL, contenente una nuova clausola elaborata appositamente per consentire, venendo incontro alla richiesta della Wikimedia Foundation, di rilicenziare i contenuti di Wikipedia sotto la licenza CC BY-SA.
La clausola consente a chi opera un sito MMC (Massive Multiauthor Collaboration Site, ossia un sito web che consente agli utenti di modificarne il contenuto) di ripubblicarne i contenuti sotto la licenza CC BY-SA 3.0 entro il 1º agosto 2009. Sono però esclusi i testi già pubblicati altrove in precedenza, e non incorporati nel sito MMC entro il 1º novembre 2008.
La Free Software Foundation ha chiarito che l'intento di questa clausola è di permettere una tantum il cambio di licenza degli wiki già esistenti, e non di concedere un permesso illimitato di rilicenziare in CC BY-SA i testi pubblicati sotto GFDL.
Compatibilità con la licenza Creative Commons
Sebbene le due licenze copyleft lavorino su principi analoghi, la GFDL non è compatibile con la licenza Creative Commons.
Tuttavia, su richiesta della Wikimedia Foundation, la versione 1.3 ha aggiunto una sezione time-limited che consente a specifici tipi di siti web di utilizzare la GFDL per offrire anche il loro lavoro sotto la licenza CC BY-SA. Tali deroghe consentono la transizione da un progetto collaborativo basato sulla GFDL ad uno basato sulla licenza CC BY-SA 3.0, senza aver prima ottenuto il permesso di ogni autore, se il lavoro soddisfa diverse condizioni:
Il lavoro deve essere stato prodotto in una "Massive Multiauthor Collaboration Site" (MMC), come ad esempio un wiki pubblico.
Se il contenuto esterno originariamente pubblicato su una MMC è presente sul sito, il lavoro deve essere stato pubblicato sotto la versione 1.3 della GNU FDL, o una versione precedente, senza testi di copertina o sezioni invarianti. Se non è stato originariamente pubblicato su una MMC, può essere pubblicato solo se è stato aggiunto ad una MMC prima del 1º novembre 2008.
Note
Voci correlate
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2021 | https://it.wikipedia.org/wiki/Geografia | Geografia | La geografia (dal latino geographia, a sua volta ) è la scienza che ha per oggetto lo studio, la descrizione e la rappresentazione della Terra nella configurazione della sua superficie e nella estensione e distribuzione dei fenomeni fisici, biologici, umani che la interessano e che, interagendo tra loro, ne modificano continuamente l'aspetto.
La geografia è molto più ampia della cartografia, cioè lo studio delle carte geografiche, o della topografia, aggiungendo rispetto ad esse l'indagine della dinamica e delle cause della posizione della Terra nello spazio, dei fenomeni che avvengono su di essa e delle sue caratteristiche.
Storia
Tra i popoli dell'area mediterranea, i primi geografi sono stati gli Antichi Egizi, a cui si aggiungono, in zone non mediterranee, le geografie Babilonesi e dell'India.
Dai Greci deriva il nome in uso in Occidente. Eratostene (al quale si deve anche l'introduzione del nome) introdusse l'uso delle coordinate sferiche (latitudine e longitudine) per individuare le località geografiche. Importanti progressi furono poi compiuti da Ipparco di Nicea, che in particolare introdusse l'uso di metodi astronomici per il calcolo delle longitudini.
Il primo geografo romano di cui abbiamo notizie fu Pomponio Mela che scrisse il breve trattato Chorogràphia; poi il greco Strabone (vissuto fra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C.), compose un'imponente Storia (pervenutaci solo in pochi frammenti) ed una non meno importante e completa Geografia, che invece ci è giunta in buone condizioni. L'opera di Strabone è tuttavia qualitativa e non usa le tecniche di geografia matematica che erano state introdotte da Eratostene e Ipparco.
Lo studio della geografia matematica fu ripreso nel II secolo d.C. da Marino di Tiro e, soprattutto, da Claudio Tolomeo, la cui Geografia non solo riporta le coordinate sferiche di 8000 diverse località, ma espone anche i metodi di proiezione usati nella cartografia.
Nel Medioevo anche i geografi Arabi crearono opere di estrema qualità, come per esempio il "Libro del Re Ruggero", di Idrisi (del XII secolo), e altri autori ancora come Ibn Battuta e Ibn Khaldun.
Con le grandi esplorazioni terrestri dirette in Asia (Il Milione di Marco Polo, nel XIII secolo, ne è un esempio affascinante) e quelle marittime, o ancora verso l'Asia o verso le Americhe, l'uomo "riscoprì" la passione per la geografia, e il bisogno di uno studio più accurato. Nella seconda metà del XV secolo la riscoperta in Europa dell'opera geografica di Tolomeo fu essenziale per la rinascita della cartografia.
Sono infatti di quell'epoca i primi atlanti europei ottenuti con l'uso dei metodi della cartografia matematica. Al XVII secolo risalgono i tentativi di Varenio di sistemare la scienza geografica.
Nel Settecento si cominciò a intendere come scopo principale della geografia la raccolta di dati sulle caratteristiche fisiche, sociali, economiche e storiche di ogni paese.
Nell'Ottocento nacque la cosiddetta geografia moderna, per merito (soprattutto) dei tedeschi Alexander von Humboldt (che ne fondò l'indirizzo naturalistico) e Carl Ritter (che ne fondò l'indirizzo antropico-storico): con il passare del tempo questi due indirizzi si fusero poi in uno solo. Presto divenne una disciplina universitaria, a cominciare da Parigi e Berlino.
Negli ultimi due secoli, la quantità di conoscenze e il numero di strumenti disponibili sono aumentati molto. Ci sono forti legami tra la geografia e le scienze di geologia e botanica, come anche economia, sociologia e demografia. Nel XX secolo, in occidente, la disciplina geografica venne esaminata in quattro diverse fasi: determinismo geografico, geografia regionale, rivoluzione quantitativa e geografia radicale.
Descrizione
Geografo
Un geografo è uno scienziato la cui area di studio è la geografia, lo studio dell'ambiente fisico della Terra e l'habitat umano.
Per diventare un geografo è necessario aver conseguito una laurea in Geografia o Scienze Geografiche. Atenei italiani che offrono corsi di studio delle classi L-06 (Geografia) o LM-80 (Scienze Geografiche) sono quelli della Basilicata (LM interateneo), Bergamo (LM), Bologna (LM), Firenze (LM), Genova (LM), Milano (L), Padova (LM), Roma (L, LM), Sassari (L) e Torino (LM), ricordando che diversi esperimenti di espandere la disciplina sono stati esperiti anche in altri atenei, numericamente minori, come Pescara-Chieti (L).
Anche se i geografi sono storicamente conosciuti come persone che disegnano le carte geografiche, la carta è in realtà il campo di studio della cartografia, un sottoinsieme della geografia. Studio dei geografi non solo sono i dettagli fisici dell'ambiente, ma anche il suo impatto sulla salute umana, sull'ecologia, sul meteo e sui modelli climatici, sull'economia e sulla cultura. Spetta ai geografi fisici di identificare, analizzare e interpretare la distribuzione e la disposizione geomorfologica e delle altre caratteristiche della superficie terrestre. I geografi moderni sono spesso coinvolti nella soluzione dei problemi ambientali.
Molti geografi moderni sono anche i principali operatori dei sistemi di informazione geografica e la cartografia. Essi sono spesso impiegati in enti statali, provinciali e comunali, nonché nel settore privato.
Paradigmi geografici
La geografia umana contemporanea ha attraversato diverse fasi, così riassumibili:
geografia esplorativa (Prima metà dell'Ottocento): con Alexander von Humboldt e Karl Ritter;
geografia positivista o determinista – ambientale (1850-1890): con Friedrich Ratzel;
geografia storicista o possibilista (1890-1930): geografia regionale di Paul Vidal de la Blache;
geografia quantitativa, analitica o neo-positivista (1930-1960): approccio funzionalista;
geografia radicale, marxista o strutturale (dagli anni 1970);
geografia comportamentale – behaviorista (dagli anni 1970);
geografia umanistica (dagli anni 1970): postmoderna, semiotica e spiritualista.
geografia culturale (dalla fine degli anni ottanta)
Metodi
I rapporti spaziali sono la base di questa scienza, che utilizza le carte come strumento chiave. La cartografia classica si è unita alla più moderna analisi geografica, basata sul Sistema informativo geografico (GIS).
I geografi usano quattro approcci correlati:
Sistematico: raggruppa il sapere geografico in categorie che possono essere esplorate globalmente.
Regionale: esamina relazioni sistematiche tra le categorie per una specifica regione o luogo nel pianeta.
Descrittivo: specifica semplicemente l'ubicazione di caratteristiche e popolazioni.
Analitico: Si chiede perché ci sono determinate caratteristiche e popolazioni in una certa area.
Branche della geografia
Geografia fisica
Questa branca considera la geografia come una scienza della Terra, che fa uso della biologia per comprendere il disegno della flora e della fauna globali, della matematica e della fisica. Si suddivide in:
idrografia, che ha come oggetto di studio le acque;
glaciologia, che prende in esame i ghiacciai;
biogeografia, che studia la distribuzione delle specie viventi;
climatologia, per l'esame del clima e dei fenomeni atmosferici;
pedologia, che studia i suoli;
paleogeografia, che ha lo scopo di cercare di ricostruire la geografia delle ere passate;
geomorfologia, che prende in esame la forma della Terra e come queste forme hanno avuto origine;
geografia litorale, che ha come oggetto di studio le coste.
geografia ambientale, che analizza i rapporti intercorrenti fra ambiente naturale e società umane;
oceanografia, che studia i mari.
Geografia matematica
Questa branca della geografia si occupa di rappresentare e misurare la Terra. La Terra è il terzo pianeta in ordine di distanza dal Sole e il più grande dei pianeti terrestri del sistema solare, sia per massa sia per diametro. Sulla sua superficie, si trova acqua in tutti e tre gli stati (solido, liquido e gassoso) e un'atmosfera composta in prevalenza da azoto e ossigeno che, insieme al campo magnetico che avvolge il pianeta, protegge la Terra dai raggi cosmici e dalle radiazioni solari. Essendo l'unico corpo planetario del sistema solare adatto a sostenere la vita come concepita e conosciuta dagli esseri umani, è l'unico luogo nel quale vivono tutte le specie viventi conosciute. e studia il movimento della Terra in relazione agli altri corpi del sistema solare. Si suddivide in:
Cartografia, La cartografia è la scienza applicata volta alla realizzazione delle carte geografiche, il principale strumento di visualizzazione ed analisi di dati geografici. Con lo sviluppo delle tecnologie informatiche i Sistemi Informativi Geografici (GIS), hanno ampliato le possibilità di accesso, gestione ed elaborazione di dati geografici.
Geografia astronomica, che studia il movimento della Terra in relazione agli altri corpi del sistema solare.
Topografia, che studia gli strumenti ed i metodi operativi, sia di calcolo sia di disegno, che sono necessari per ottenere una rappresentazione grafica, più o meno particolareggiata, di una parte della superficie terrestre.
Geomatica, si tratta dell'approccio sistemico integrato per selezionare gli strumenti e le tecniche appropriate per acquisire (in modo metrico e tematico), integrare, trattare, analizzare, archiviare e distribuire dati spaziali georiferiti con continuità in formato digitale.
Geodesia, che si occupa di misurare e rappresentare la Terra.
Geografia umana
Questa branca, detta anche geografia antropica, include gli aspetti economici, politici e culturali della geografia.
Privilegiando la ricerca degli elementi soggettivi, trascendendo, quindi, i dati puramente fisici, sovente si avvale di discipline quali le scienze sociali e la psicologia, o di forme espressive e comunicative come la letteratura e le arti in genere, specie in ambito regionale.
La geografia umana esamina come gli individui si adattano ad un determinato quadro ambientale, in quale modo interpretano e vivono i luoghi nei quali operano e come interagiscono con il territorio.
All'interno della geografia umana si possono distinguere alcuni specifici ambiti di ricerca e quali la geografia politica, la geografia economica, la geografia sociale, la geografia urbana.
Geografia politica
La geografia politica è l'ambito disciplinare che si occupa di studiare i differenti esiti, nei diversi luoghi, dei processi politici e di potere, così come i modi in cui quegli stessi processi sono condizionati dai contesti spaziali.
Geografia economica
In questa materia lo spazio geografico viene studiato in relazione ai fatti economici umani. In questo modo è possibile portare alla luce tutte le cause che determinano l'affioramento di un centro urbano in un luogo piuttosto che in un altro, così come è possibile studiare i motivi della divisione globale in paesi del nord del mondo (economicamente sviluppati) contrapposti a quelli del Sud del mondo (poveri), e una serie di altre importanti fatti economici legati profondamente allo spazio geografico globale e locale come nel caso della globalizzazione.
Geografia della innovazione
Tale branca si occupa del rapporto tra territorio e innovazione, in particolare del rapporto tra determinismo geografico e innovazione.
Termini utilizzati in geografia fisica
Oceano – Mare (marea) – Lago – Fiume – Torrente – Ghiacciaio – Nevaio – Cascata – Iceberg – Pack
Catena montuosa – Montagna – Vulcano – Collina – Valle – Pianura – Altopiano – Bassopiano – Passo
Continente – Isola – Penisola – Arcipelago – Baia – Golfo – Laguna – Fiordo — Istmo
Giungla – Foresta – Bosco – Savana – Steppa – Tundra – Deserto – Palude – Monte
I continenti
Africa – America – Antartide – Asia – Europa – Oceania
Note
Bibliografia
Fabrizio Bartaletti, Geografia. Teoria e prassi, Torino, Bollati Boringhieri, 2012.
Franco Farinelli, Geografia. Un'introduzione ai modelli del mondo, Torino, Einaudi, 2003.
Voci correlate
Confine
Contrada (geografia)
Demografia
Didattica della geografia
Esplorazione
Geocritica
Geopolitica
Geosofia
Globalizzazione
Polo geografico
Stati per superficie
Stati per data di costituzione
Stati per nome locale
Stati del mondo
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2024 | https://it.wikipedia.org/wiki/GNU | GNU | GNU (acronimo ricorsivo di "GNU's Not Unix") è un sistema operativo Unix-like, ideato nel 1984 da Richard Stallman e promosso dalla Free Software Foundation, allo scopo di ottenere un sistema operativo completo utilizzando esclusivamente software libero: l'obiettivo era rifare un sistema operativo libero ma che non fosse più quello di prima, che rispondesse alle idee originarie, che avesse le stesse proprietà del sistema Unix, ma che fosse allo stesso tempo diverso.
Dato che GNU Hurd, il kernel ufficiale del progetto, non è considerato pronto per la distribuzione, GNU viene in genere utilizzato congiuntamente ad altri kernel tra cui Linux, Linux-libre, XNU o quello utilizzato da FreeBSD. La parola GNU si pronuncia /gnu:/ (gh-nù) e non /ɲu:/ per non confonderlo con l'omonima specie animale o con l'aggettivo inglese new.
Storia
L'ideatore di GNU è Richard Stallman, che cominciò la sua carriera al MIT nel 1971, lavorando in un laboratorio di intelligenza artificiale, i cui membri erano già abituati a scambiare liberamente codice e programmi in un periodo in cui il software, usato in modo molto simile all'attuale software libero (senza però nessuna regola scritta che ne sancisse le modalità d'uso, cioè senza nessuna licenza), veniva utilizzato da molte compagnie private e i programmatori non erano quasi mai soggetti ad un accordo di non divulgazione.
Il laboratorio di intelligenza artificiale usava un sistema operativo a partizione di tempo (timesharing) chiamato Incompatible Timesharing System (ITS) che il gruppo di esperti informatici del laboratorio, chiamati semplicemente "hacker", aveva progettato e scritto in linguaggio assembly per il PDP-10, uno dei grossi elaboratori di quel periodo. Il termine “hacker” con cui erano conosciuti gli esperti informatici non si riferisce al significato attuale di “pirata”, ma a quello di persone “che amano programmare, e a cui piace essere bravi a farlo”.
A partire dall'inizio degli anni ’80 si verificarono alcuni eventi che portarono ad un repentino cambiamento della situazione. In primis, la quasi totalità del software in circolazione era stata sostituita dal software proprietario. Inoltre, la Digital smise di produrre la serie PDP-10 poiché la sua architettura non poteva essere aggiornata in modo da permetterle di rimanere al passo con le novità del momento. Questo fece sì che la maggior parte dei programmi che formavano ITS divenisse obsoleta. Infine in quegli anni la comunità originale del laboratorio di Intelligenza Artificiale si dissolse perché molti degli hacker vennero assunti da altre società quali la Symbolics, nata da una costola del laboratorio stesso.
La scelta facile che avrebbe potuto fare Stallman sarebbe stata quella di unirsi al mondo del software proprietario, firmando accordi di non-diffusione e promettendo di non aiutare i suoi compagni hacker. In questo modo avrebbe potuto guadagnare, ma sapeva che al termine della sua carriera si sarebbe voltato a guardare indietro e avrebbe compreso di aver contribuito a rendere il mondo peggiore, impedendo ai programmatori di collaborare tra di loro. Verso la fine del 1983 Richard Stallman lasciò il suo lavoro al MIT, pur continuando ad utilizzare le attrezzature del laboratorio, e cominciò a sviluppare, nei primi mesi del 1984, un nuovo sistema operativo compatibile con Unix, che permettesse a chiunque di vedere il codice, di modificarlo, di eseguirlo, di condividerlo con gli altri liberamente e di passare facilmente ad esso (da qui appunto l'acronimo ricorsivo "GNU's Not Unix"). L'annuncio originale (27 settembre 1983) fu seguito dal rilascio della prima versione del Manifesto GNU. Lo sviluppo del sistema iniziò nel 1984.
Nel settembre 1984 Stallman iniziò a lavorare su GNU Emacs che cominciò ad essere utilizzabile all'inizio del 1985. Si trattava del primo programma sviluppato all'interno del progetto GNU. Per quanto concerne la sua distribuzione, Stallman lo mise sul server ftp anonimo del computer che utilizzava al MIT. Questo non era però sufficiente poiché in quel periodo ancora poche persone avevano accesso ad Internet. Così iniziò a farsi spedire dagli interessati una busta affrancata contenente un nastro che rimandava al mittente dopo avervi caricato Emacs, per un costo di 150 dollari. Questo fu il primo passo per la creazione di un’impresa di distribuzione di software libero.
Nel 1985, spinti dalla necessità di nuovi finanziamenti, Stallman e soci crearono la Free Software Foundation (Fondazione per il Software Libero), una organizzazione senza fini di lucro per lo sviluppo di software libero.
La FSF si prese anche carico della distribuzione dei nastri di Emacs ed in seguito estese l’attività aggiungendo sul nastro altro software libero, anche non GNU. I dipendenti della Free Software Foundation hanno scritto e curato la manutenzione di diversi pacchetti GNU. Fra questi spiccano la libreria C e la Bash. La libreria C di GNU è utilizzata da ogni programma che gira su sistemi GNU/Linux per comunicare con il kernel Linux. Lo sviluppo di questi programmi venne finanziato perché il progetto GNU non riguardava solo strumenti di lavoro o un ambiente di sviluppo: l’obiettivo era un sistema operativo completo, e questi programmi sono stati necessari per raggiungere quell'obiettivo.
L'obiettivo principale di GNU era essere software libero. Anche se GNU non avesse avuto alcun vantaggio tecnico su Unix, avrebbe avuto sia un vantaggio sociale, permettendo agli utenti di cooperare, sia un vantaggio etico, rispettando la loro libertà. Nel 1989 quindi Stallman creò la GNU General Public License per il software libero, che vincola gli utenti a ridistribuire un software, e le sue eventuali modifiche, come software libero. Questo non è sempre vero e nemmeno scontato, come per il caso "X Window System". Sviluppato al MIT, esso venne presto adottato da molte società informatiche e ridistribuito insieme ai sistemi Unix con lo stesso accordo di non-diffusione, trasformandosi rapidamente da sistema libero a sistema proprietario.
Nel 1992 il Sistema GNU ebbe al suo interno un editor di testi estensibile (Emacs), un compilatore (GCC), con funzioni di ottimizzazione e la maggior parte delle librerie e delle utility di un sistema Unix standard. Era praticamente un sistema completo, ma non era ancora pronto il kernel chiamato GNU Hurd (originariamente battezzato "Alix"), il cui sviluppo era cominciato nel 1986, prima sulla base di TRIX (un kernel Unix realizzato al MIT) e successivamente (1988) sulla base di Mach (sviluppato all'Università Carnegie Mellon).
Si decise allora di abbinare il software GNU al kernel Linux, un kernel compatibile con Unix sviluppato nel 1991 da Linus Torvalds come software proprietario, ma reso software libero nel 1992, per creare un unico sistema chiamandolo GNU/Linux.
Uno delle sfide del progetto fu quella delle librerie non libere. Tra il 1996 e il 1996 veniva utilizzato l'ambiente grafico KDE, libreria non libera e dunque non compatibile con i sistemi GNU/Linux, tuttavia, aggiunta ai sistemi da alcuni distributori. Questo rappresentava un problema di libertà, così la Free Software Foundation decise di risolvere il problema ideando GNOME e Harmony.
Lo sviluppo di GNU Hurd, software libero creato nel 1990 per sostituire il kernel di Unix, viene ancora oggi portato avanti dal progetto GNU, ma non ha ancora raggiunto una maturità ed una stabilità che ne permetta l'uso in un ambiente di produzione. Il Progetto GNU continua ad usare il termine "software libero" per esprimere l'idea che la libertà sia importante, non solo la tecnologia.
Descrizione
GNU è un sistema operativo di tipo Unix, questo significa che è costituito da diversi programmi quali: applicazioni, librerie, giochi e strumenti di sviluppo.
Kernel
Il sistema GNU è stato abbinato a diversi kernel, tra i quali:
il kernel GNU Hurd (il sistema operativo prende il nome di GNU/Hurd);
il kernel XNU utilizzando Darwin (il sistema operativo prende il nome di GNU/Darwin);
il kernel Linux (il sistema operativo prende il nome di GNU/Linux);
il kernel NetBSD (il sistema operativo prende il nome di GNU/NetBSD);
il kernel FreeBSD (il sistema operativo prende il nome di Debian GNU/kFreeBSD);
il kernel di Solaris (il sistema operativo prende il nome di NexentaOS).
Principali software del sistema GNU
Bash (bourne again shell): shell del sistema GNU. Il suo scopo è consentire l'esecuzione di programmi da interfaccia a riga di comando.
GCC (GNU Compiler Collection): suite di compilatori. Supporta numerosi linguaggi di programmazione tra cui C, C++, Objective-C, Fortran, Java e Ada.
gdb (GNU debugger): debugger.
GNU Emacs: editor di testo estendibile tramite macro in Emacs Lisp
Core Utilities: collezione di software per effettuare operazioni basilari su file e testi.
glibc (GNU C Library): implementazione GNU della libreria standard del C
GNOME (GNU Network Object Model Environment): desktop environment
GIMP (GNU Image Manipulation Program): manipolazione di immagini digitali e ritocco fotografico.
Distribuzioni per PC datati
Puppy Linux
Tiny Core Linux
SliTaz
Debian LXDE
Lubuntu
LXLE Linux
Parabola GNU/Linux-libre
Note
Voci correlate
Progetto GNU
Free Software Foundation
Free Software Directory
Software libero
Open source
Licenza di software libero
Copyleft
GNU Free Documentation License
GNU General Public License
GNU Lesser General Public License
Lista dei pacchetti GNU
:Categoria:Sistemi operativi utilizzanti GNU
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2025 | https://it.wikipedia.org/wiki/Guaricano | Guaricano | Il barrio del Guaricano è un centro abitato situato alla periferia nord della città di Santo Domingo. È zona di recente urbanizzazione, legata all'affluenza nella capitale da tutte le parti del paese. Socialmente, si tratta di una zona molto povera.
In tono dispregiativo era conosciuto negli anni ottanta come "il barrio della spazzatura", a causa del deposito dei rifiuti della città che fino agli inizi degli anni novanta si trovava al suo ingresso. Lo sviluppo urbano ha suggerito agli amministratori di bonificare il deposito e di trasferirlo una decina di chilometri più a nord, nelle vicinanze di Duquesa.
Casa
L'abitazione media è edificata in blocchetti di cemento, senza intonaco, e ha dimensione di 6x12 metri, suddivisi da pareti di compensato in 4 o 5 vani: una "veranda" esterna, chiamata localmente galería, salotto, cucina, una o due camere da letto. Le pareti interne non raggiungono il tetto, per lasciar circolare meglio l'aria nella stagione calda. La copertura è di lamiera ondulata inchiodata su una travatura di legno.
Le finestre hanno le inferriate per proteggere dai ladri, e al posto del vetro c'è una serranda che ricorda le nostre tende alla veneziana, ma è fissa e di metallo, e non isola (non ce n'è bisogno, la temperatura non scende mai sotto i 18 °C). Inoltre esiste sempre un "bagno", esterno alla casa, a volte ancora con un buco come latrina, e che serve per fare la "doccia" (un dominicano si lava anche 4 o 5 volte al giorno!).
Chi si è stabilito da poco ha ancora le pareti di legno, ma si nota uno sforzo grande per migliorare questa condizione: appena possibile si tira su un muro esterno di blocchetti (diventerà il muro della casa rinnovata), e chi può fa il tetto di cemento. Però all'interno lo spazio rimane "stretto": spesso si dorme tutti nella stessa camera, i letti attaccati uno all'altro (se ci sono!), gli armadi non esistono e i vestiti sono appesi a bastoni sistemati negli angoli della camera.
Strade
Le strade: le principali sono asfaltate (a parte buchi, solchi e tratti rovinati). Tutte le altre sono in terra, e si trasformano in fango appena piove.
L'urbanizzazione è avvenuta in molti punti con il semplice tracciamento delle strade da parte del comune, ossia facendo un marciapiedi di cemento sotto al quale sono stati posti, in qualche urbanizzazione più pensata, i grandi tubi della fognatura; ai lati la gente ha costruito la sua casa.
Altrove è stato lo stato, a costruire le case, palazzine a uno o più piani, destinate in qualche caso ad accogliere famiglie sfrattate da altri quartieri; tipico il quartiere che esisteva dove per il 1992 è stato eretto il faro a Colombo: molti suoi abitanti hanno ricevuto una casa in Guaricano.
Scuole
Le scuole sono insufficienti. Il primo governo di Leonel Fernández (1996-2000) ha ripreso a costruire, dopo anni di incuria, un complesso iniziato dal governo precedente, per una capienza di ventiquattro aule. Per l'incompletezza dell'edificio, molti bambini - soprattutto se non sono dichiarati - rimangono tuttavia tuttora esclusi dalla scuola, e passano le giornate giocando nel fango.
Attualmente è fortissima la domanda di un liceo per Guaricano, a cui si sta dando risposta costruendo una scuola professionale; l'opera è resa possibile da un finanziamento del BID, Banco Interamericano de Desarrollo (Banca Interamericana di Sviluppo). A fronte di venticinque classi dell'ottavo della primaria (corrispondente alla terza media italiana), ci sono solo otto classi diurne di prima liceo. Le quattro prime liceo serali sono sconsigliabili e temutissime per il clima di violenza che infesta il barrio di notte.
Salute
I servizi sociali più elementari sono carenti: vi sono alcune strutture medico-ambulatoriali, gestite dalla Chiesa cattolica o da chiese evangeliche. Ve ne sono altre private (care), pubbliche (abbastanza inefficienti) e gestite da ONG. Mancano completamente i servizi per anziani e gli asili infantili. Nel 2005 la Chiesa cattolica ha cominciato un servizio di ambulanza.
Spazzatura
La spazzatura regna ovunque, inquinando l'ambiente e producendo fetori. A volte viene bruciata, ad aumentare la quantità di fumo e di inquinanti che si respirano.
Matrimonio e famiglia
È frequente che giovani donne poco più che adolescenti rimangano incinte, dal fidanzato o da rapporti occasionali. Le gravidanze sono comunque accettate dalla madre e i figli vengono normalmente riconosciuti. Il neonato non può essere tuttavia riconosciuto al registro civile dal momento che la legge dominicana richiede per la dichiarazione che entrambi i genitori abbiano compiuto i 16 anni di età. Parecchi di questi genitori non considerano tuttavia "necessario" il riconoscimento civile dei figli o comunque non lo ritengono una cosa urgente. Altre volte partono con l'idea di procedere al riconoscimento non appena arriveranno all'età richiesta dalla legge, se non fosse che a quel punto la coppia può essere "cambiata" e il nuovo padre non intende riconoscere il figlio di un altro. La conseguenza è che molti bambini crescono senza tutela giuridica, con tutte le implicazioni del caso.
Juntas de vecinos, Associazioni di Vicini
A livello di partecipazione, la legge prevede che i cittadini si riuniscano in associazioni denominate juntas de vecinos (associazioni di vicini), che raggruppano le persone che vivono nella stessa urbanizzazione (il Guaricano ne conta una quarantina per circa 100.000 abitanti), che le autorità riconoscono come gli interlocutori naturali per affrontare i problemi dei quartieri, e che fanno da tramite per la segnalazione di bisogni e l'effettuazione di alcuni servizi elementari.
Stesso discorso si può fare per alcune Organizzazioni non governative presenti sul territorio e che operano per la promozione della donna, per la tutela dell'infanzia, per lo sviluppo della microimprenditoria. Ricevono molte risorse, uno dei principali finanziatori è la associazione internazionale di stampo evangelico Visión Mundial (Visione Mondiale), ma mediamente la gente ha poca fiducia in esse.
Note
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Santo Domingo |
2026 | https://it.wikipedia.org/wiki/Grunge | Grunge | Con il termine grunge si intende la scena musicale originatasi negli anni Ottanta nello Stato di Washington (USA), in particolare a Seattle, e giunta al successo mondiale nei primi anni Novanta. La musica prodotta da questa scena è anche detta Seattle sound.
Origine del termine
Il termine grunge deriva dall'aggettivo grungy, espressione gergale in voga dagli anni Sessanta ad indicare qualcosa di dirty o filthy, ovvero sporco e sudicio. Fu Mark Arm, poi cantante di Green River e Mudhoney, ad introdurlo nella scena musicale del luogo: nel 1981 scrisse una lettera al magazine locale Desperate Times, descrivendo il proprio gruppo, Mr. Epp And The Calculations, come "Pure grunge! Pure noise! Pure shit!" In seguito Arm preciserà che l'espressione era già stata adottata in precedenza per descrivere band australiane quali King Snake Roost, The Scientists, Salamander Jim, e Beasts of Bourbon".
Il celebre giornalista e critico musicale Lester Bangs lo utilizza nel suo libro sui Blondie (1980), nel capitolo In Which Yet Another Pompous Blowhard Purports to Possess the True Meaning of Punk Rock, parlando degli Stooges: «La loro musica era brutale, irrazionale, primitiva, viziosa, basica, selvaggia, primordiale, piena di odio, grungy, violenta, spaventosa e soprattutto REALE. Incarnavano il senso di ogni nota e ogni parola»
Arm, che stilerà una sua personale classifica dei gruppi più grungy per la rivista Rolling Stones (2019) chiarisce che, nelle sue intenzioni, il termine aveva puro scopo descrittivo della qualità, della 'grana' della musica, non indicativo di un genere preciso:«All’inizio degli anni ottanta 'grungy' era solo un aggettivo che stava per ‘ruvido', simile a 'gnarly', 'ostico'. Indicava una cosa grezza, incasinata»
A metà anni Ottanta Bruce Pavitt della Sub Pop Records si serve del termine per promuovere l'ep Dry as a bone (1987) dei Green River. Col tempo il termine verrà adottato dai media per descrivere un'intera scena, un insieme di band anche molto diverse tra loro, sia per provenienza geografica e ispirazione musicale che per attitudine. In una intervista negli anni Novanta, Stone Gossard (Green River, Mother Love Bone, Pearl Jam) dichiara di detestare la parola al punto da evitare di pronunciarla. In generale, le band etichettate come grunge non sono entusiaste: «Il termine grunge non è mai piaciuto a nessuno di noi. È una mossa di marketing per mettere Seattle tra gli scaffali dei negozi di dischi. Alla fine lo abbiamo accettato come un termine convenzionale, comprensibile a tutti, per descrivere quello che facciamo» (Kim Tahyil, Soundgarden).
«Personalmente non me ne è mai importato troppo. Se qualcuno ha bisogno di utilizzare il termine per definire le mie band e la scena a cui sono fiero di appartenere, ok. Probabilmente c'era bisogno di etichettare in qualche modo quella musica, uno strano miscuglio di punk, hard rock e new wave, sia da parte dell'industria discografica, sia da parte della stampa» (Matt Cameron, Soundgarden).
«Se in quel momento vivevi a Seattle e avevi meno di trent'anni eri grunge, non importa cosa suonasse la tua band (Ben London, Alcohol Funnycar)
«Il grunge originale, quello Sub Pop, non aveva niente a che fare con quello che sarebbe poi diventato popolare con questa definizione, come Silverchair o Puddle of Mudd» (Everett True, giornalista e critico musicale)
«All'inizio ci annunciavano come "L7, la band tutta al femminile". Poi come "L7, la band grunge". Quando finalmente, ad un concerto in Germania, lessi che eravamo annunciate come "L7, rock from USA", esultai: finalmente! Tuttavia, se serve a farci ricordare, va bene tutto: grunge, riot grrrl etc» (Donita Sparks, L7).
Influenze musicali, culturali e stilistiche
Dal punto di vista strettamente musicale, pur nella varietà dei generi e degli stili, con grunge si intende una contaminazione tra hard rock, metal, punk rock, hardcore punk e new wave, nonché il ritorno alla formazione chitarra-basso-batteria e alle sonorità degli anni Sessanta e Settanta. Le caratteristiche che accomunano le numerose band sembrano essere, stando a buona parte della critica musicale, lo stile sludge guitar, drumkit essenziale e vocalità potente, intensa, emozionale, viscerale. «Il grunge è rock distorto, down-tuned, basato sui riff, con potenti riverberi di chitarra elettrica, linee di basso pesanti e 'poderose' per supportare le melodie delle canzoni» (Charles R Cross, giornalista musicale)
«Due delle migliori voci rock che ho ascoltato negli ultimi anni vengono entrambe da band grunge: sono quelle di Eddie Vedder e Chris Cornell» (Bruce Dickinson, Iron Maiden)Le influenze musicali dichiarate dalle band sono disparate e annoverano, tra gli altri, Beatles, Rolling Stones, Black Sabbath, Led Zeppelin, Black Flag, Stooges, Ramones, Kiss, Motorhead, Dead Kennedys, Velvet Underground, The Slits, Neil Young, Frightwig, Devo, Sonic Youth, Bauhaus, Joy Division, Killing Joke, Sonics, ma anche Iron Maiden e Queen.
I membri delle band della scena provengono da contesti familiari, sociali ed economici molto differenti tra loro: alcuni fanno parte della borghesia cittadina e/o frequentano scuole private, altri crescono in aree desolate e povere, vivono situazioni familiari difficili, esperienze dolorose già fin dall'infanzia e pre-adolescenza. Pur variando i vissuti personali e le tematiche affrontate nei testi, questi indagano per lo più disagi personali o sociali, dando sfogo a rabbia, disincanto, talvolta sarcasmo e autocommiserazione. La generazione nata negli anni Sessanta, cresciuta in contesti di disoccupazione, dissesto familiare, crisi economica, alcolismo e droghe pesanti, mette in musica l'angoscia e il male di vivere (Fell on black days, Black) il senso di inadeguatezza e di smarrimento, la solitudine, la frustrazione (Outshined, Rusty cage), l'abuso di sostanze stupefacenti (Nutshell, Dirt), il trauma della guerra in Vietnam (Rooster), la pulsione autodistruttiva (I Hate Myself and I Want to Die), la predazione del corpo (Polly dei Nirvana, Violet delle Hole; Dead men don't rape delle 7 Year Bitch), la spensieratezza vagheggiata o perduta dell'adolescenza (Long done day dei Mad Season), l'autodeterminazione (Fast and frightening, L7), la violenza come pane quotidiano (Jeremy dei PJ; Hate the police dei Mudhoney), conflitto con figure di riferimento cruciali (Mother, Bruise Violet, Right Now, Babes in Toyland), la feroce ambivalenza dell'amore, il desiderio e infine l'impossibilità di abbandonarsi alla persona amata (Love hate love, Down in a hole, Heaven beside you degli AIC). Talvolta emergono tratti satirici o parodistici, ad esempio sulla retorica della guerra (Wargasm, L7) o sul narcisismo e il machismo del rock'n'roll (Jesus Christ Pose e Big Dumb Sex dei Soundgarden).
Le band stesse descrivono la propria musica come un insieme di generi, stili, influenze e atmosfere differenti:«Nirvana significa liberazione dal dolore, dalla sofferenza e dal mondo esterno e questo si avvicina al mio concetto di punk» (Kurt Cobain, Nirvana)
«Se ascolti con attenzione Badmotorfinger noti che il disco è attraversato da tanti sentimenti differenti, nostre interpretazioni di ciò che di pesante, dark e psichedelico amiamo in musica» (Kim Thayil, Soundgarden)
«Eravamo con Mark Arm e Buzz Osborne, intorno all'86, a parlare e ascoltare musica. A un certo punto Buzz ci dice che in alcuni brani dei Black Sabbath il chitarrista Tony Iommi usa questa accordatura detta drop d, che rende tutto più basso e più pesante. Allora ho iniziato ad usarla anche io, la prima canzone che ho scritto così è stata Nothing to say. La gente ha cominciato a paragonarci a Led Zeppelin e Black Sabbath, ma noi in quel periodo ascoltavamo Killing Joke e Bauhaus» (Kim Thayil, Soundgarden)
«Il nostro unico scopo era suonare qualcosa che, secondo noi, meritasse di essere ascoltata. All'epoca, a Seattle, c'era molta gente innamorata della musica inglese che non aveva niente a che spartire con il r'n'r: troppo pop, senza contare che tante band stilisticamente rock come Motley Crue o Poison facevano schifo. I Mudhoney significavano riallacciarci a quello che, per noi, era il vero r'n'r, ma senza ricalcare fedelmente il passato. Non pensavamo di essere importanti, né credevamo di star facendo qualcosa che avrebbe cambiato il volto della musica [...] E infatti non lo abbiamo cambiato» (Mark Arm, Mudhoney)
«Tutti provenivamo da background differenti. Non c'era nessun test di purezza. Gli Alice in Chains, ad esempio, erano decisamente meglio di tante band punk attive in città» (Mark Arm, Mudhoney)
«Il nostro primo disco (Pretty on the Inside, ndr) non doveva essere melodico, ma espressione nuda e cruda. L'aspettativa non era che vendesse dischi, ma che fosse figo, e non in senso artificioso, ma figo, in qualche modo. Avevamo una band ridotta all'osso, non così capace» (Courtney Love, Hole)
«Siamo una combinazione di molte cose diverse che non saprei definire con esattezza, ma certamente ci sono metal, blues, rock&roll, forse un tocco di punk. La componente metal non ci lascerà mai, ne voglio che accada» (Jerry Cantrell, Alice in Chains)
«Ci consideravamo delle punk che suonavano hard rock, una miscela di metal, punk, blues con un po' di melodia» (Donita Sparks, L7)Con il successo commerciale delle band più famose, il termine grunge è utilizzato dai media generalisti anche per descriverne l'abbigliamento e lo stile: camicie di flanella, t-shirt sdrucite, jeans strappati o tagliati, capelli lunghi, anfibi. «La gente qui indossava la flanella molto prima che venisse fuori il grunge. Fa freddo qui. È un modo di vestire economico e adatto per vivere nel Nordovest» (Tad Doyle, Tad)
«Ho incontrato i Soundgarden quando ho organizzato un loro show nell'86-87. Indossavano pantaloni da lavoro e stivali arrotolati, Chris sembrava appena uscito dal turno in acciaieria. Erano davvero fighi» (Eric Johnson, tour manager)
«Indossavo i pantaloncini tutto l'anno. Non avendo una macchina mi spostavo in bici, anche per andare alle prove, e dovendo caricare il basso non ero comodo con i jeans. Non sono certo di cosa fosse grunge oppure no, certo non ho mai indossato una maglia di flanella. Avevo vari cappelli dai tempi dei Green River, li faceva la mia ragazza di allora. Al tempo non sembravo affatto un rocker, ma un idiota. Il mio stile era dettato in parte dalla funzionalità e in parte da ciò che c'era in giro» (Jeff Ament, Pearl Jam)
«Quando vidi Jeff Ament dei Mother Love Bone, mi dissi, wow. Erano diversi, indossavano pantaloncini sopra la calzamaglia, con gli stivali militari. Ricordo che abbiamo cominciato a vestirci così, ad indossare abiti di Value Village e non farci la doccia per un po'. All'inizio cercavamo di avere delle gran chiome e tutto quanto, poi Layne si è fatto i dreadlocks. Ci siamo praticamente modellati su ciò che adesso, qualunque cosa siachiamano grunge, » (Mike Starr, Alice in Chains) Così come il punk era stato una risposta all'estetica hippy, così il grunge sembra esserlo a quella hair metal degli anni Ottanta, al trucco e ai capelli cotonati, allo spandex e al lurex. Le band della scena grunge si presentano senza travestimenti, esibendo una mascolinità sia dimessa e dolente che esibita e ammiccante, ma senza camuffamenti, tranne qualche episodio giocoso di esplicito crossdressing. Paradossalmente, il recupero di un aspetto più classicamente maschile corrisponde ad una messa in discussione di certi stereotipi machisti del rock'n'roll. La gente crede che siamo dei maiali machisti. Noi suoniamo musica mascolina, rock molto potente. E lo facciamo senza bisogno di lunghi e inutili inserti che non vanno da nessuna parte, senza stupidi assoli di chitarra né rossetto. (Kim Thayil, Soundgarden)
Il passaggio, tuttavia, non è affatto netto, ad ulteriore dimostrazione dell'universo variegato etichettato per comodità come grunge: i membri degli Alice in Chains, ad esempio, vengono da band street-glam e agli inizi la band apre per Megadeth, Slayer, Anthrax, Van Halen e persino Poison. Staley e soci, inoltre, in contrasto con la cupezza della propria musica, si presentando ai media come band guascona che si gode apertamente il circo del sex drugs and rock'n'roll, con tanto di tipica aneddotica su groupies, blo**obs, strippers, nonché adesivi di pin-up sulle chitarre. E ancora, i Mother Love Bone hanno uno stile era punk/glam e i modelli che ispirano Andy Wood si chiamano Marc Bolan, Freddie Mercury, Prince e Gene Simmons. Quanto alla rivalità tra la scena grunge e quella hair/glam metal degli anni Ottanta, sembra essere una costruzione dei media, così come il mito di una scena che cancella completamente quella precedente. Stante le differenze musicali e stilistiche, è improprio parlare di movimenti nettamente definiti o in conflitto tra loro, dato che spesso intercorrono rapporti di conoscenza, amicizia e stima reciproca, umana o musicale. «Quando abbiamo cominciato a suonare, negli anni Ottanta, a L.A. c'era una grossa scena metal, ma noi non ne facevamo parte, anzi, la trovavamo ridicola, vergognosa, idiota e totalmente misogina. Eravamo punk. [...] Però sono tuttora amica di alcuni di quei ragazzi. Quasi tutte quelle band adoravano le L7. Taime Down, il frontman di Faster Pussycat, veniva sempre a vederci e anche i Guns N'Roses ci stimavano molto. È strano e ironico che ci apprezzassero, dato che noi li abbiamo sempre considerati dei bastardi misogini» (Donita Sparks, L7)
Anche all'interno delle stesse band le posizioni non sono unanimi, come dimostra il recente battibecco social tra Eddie Vedder e Nikky Sixx dei Motley Crue. Il frontman dei Pearl Jam ha rivendicato l'importanza di una scena in cui «Le ragazze andavano in giro con gli anfibi e pettinate come Cat Power», e il ruolo delle band come la sua e altre nel «Diffondere un'immagine diversa degli uomini e rispettare le donne», in questo marcando la differenza con i contenuti veicolati da canzoni come Girls girls girls. La cosa ha infastidito Sixx, che ha replicato definendo i Pearl Jam la band più noiosa del mondo'. A tentare di spegnere la polemica interviene Stone Gossard, il quale ammette:«Io, Jeff Ament e Mike McCready abbiamo attraversato la nostra fase hard rock. Ho comprato anche il primo album dei Mötley Crue, Too Fast Too Love, del 1981. Avevano qualcosa di punk, simile ai Motörhead. Mi è sempre piaciuto il rock duro britannico alla Led Zeppelin o Black Sabbath, era interessante per la sua carica ribelle e mi sembrava fosse arrivato in California con i Motley e poi con band rap come gli N.W.A.»È tuttavia innegabile che il cambio di tendenza spiazza le band che dominano il mercato negli anni Ottanta: «La prima volta che sono andato alla Columbia, per discutere il nostro disco Cherry Pie, c'era un gigantesco nostro poster sopra la scrivania della segreteria. Neanche un anno dopo sono tornato, per discutere del nostro album Dog Eat Dog, e le cose erano drasticamente cambiate: non dimenticherò mai quando, andando verso l'ufficio di Don Lenner, (allora presidente della Columbia, ndr) ho visto questo enorme poster di Dirt degli Alice in Chains sulla scrivania della segreteria. Ho pensato: 'Hello Seattle! Goodbye Warrant'». (Jani Lane, Warrant)
Band come i Nirvana e tutto il movimento grunge hanno messo band come la nostra ai margini del mercato. Per un po' non dicevi volentieri di essere negli Skid Row, perché la gente avrebbe replicato: chi, la band hair metal degli anni Ottanta? (Rachel Bolan, Skid Row)
Per quanto concerne lo stile delle band composte in parte o del tutto da donne, è interessante notare la re-interpretazione dello stereotipo femminile in chiave quasi parodistica: si pensi allo stile kinderwhore di Kat Bjelland e Courtney Love, agli abiti da studentessa perbene di Kathleen Hanna, o alla deliberata persecuzione del grottesco delle L7, di ispirazione punk, splatter e cartoon. «Lo stile 'Kinderwhore' consisteva in abitini babydoll, vestiti che sembravano in stile Lolita in donne di 25 anni. Kat Bjelland delle Babes in Toyland adottò questo stile come sorta di simbolo della sua musica e di ciò che era. E fu un grosso problema quando Courtney diventò così famosa e spacciò questo stile per suo. Ha rubato la scena a Kat» (Neal Karlen, biografo delle Babes in Toyland)
Dal punto di vista politico, la gran parte delle band dichiara la propria estraneità a contesti di attivismo o militanza: «Parliamo di ciò che ci tocca da vicino, delle nostre emozioni. Altre band scelgono di parlare di cose che non conoscono o di stron**te tipo macchine, ragazze, feste e risse del sabato sera. Scriviamo di noi perché è ciò che conosciamo. Non siamo una band politica, non abbiamo alcuna autorevolezza per parlare di questioni politiche» (Layne Staley, Alice in Chains)
«Sono una femminista, lo sono da sempre e mi sono presa un sacco di me**a per questo, ma non suono per spingere una agenda politica. Non è questo il motivo per cui ho iniziato a suonare. Suoniamo per spaccare!» (Donita Sparks, L7)
«Per me la musica deve essere completamente separata dalla politica» (Chris Cornell, Soundgarden)
«Non sostengo nessun partito, non mi interessa. Come disse Groucho Marx "Non voglio appartenere a nessun club disposto ad accettare me come membro". Onestamente, credo che la gente dovrebbe guardare a fonti più autorevoli per le proprie convinzioni politiche, non alla gente che fa intrattenimento. Se ti metti a leggere qualcosa scritto da Flea o chiunque altro su questioni politiche, sei un fottuto idiota. Peggio ancora gli attori: questa gente guadagna due milioni di dollari in neanche due mesi, e si suppone che io debba imparare qualcosa da loro?» (Buzz Osborne, Melvins) L'unica band della scena che prende costantemente posizione su questioni politiche varie sono i Pearl Jam, soprattutto tramite il cantante Eddie Vedder, che, nel corso degli anni, si esprime pubblicamente su sessismo, razzismo, omofobia, cambiamento climatico, condotta delle compagnie petrolifere e dei vari presidenti USA. Le prese di posizione più note sono certamente la battaglia ingaggiata contro il colosso Ticketmaster sul caro biglietti, la cancellazione di alcune date in segno di protesta contro leggi anti-lgtb o la politica estera del presidente G.W. Bush, l'esibizione alla cerimonia di addio alla Casa Bianca di Barack Obama, loro grande fan e amico personale di Eddie Vedder.
Una analisi a parte necessita la questione del rapporto tra i sessi. La scena grunge è, infatti, la prima nella storia del rock'n'roll ad avere una consistente presenza di donne non solo tra il pubblico, come acquirenti di dischi e partecipanti ai concerti, ma anche sul palco, come musiciste/front-women, e dietro le quinte, come figure chiave nel music business: manager come Susan Silver, speaker radiofoniche come Cathy Faulkner di KISW, sostenitrice della prima ora della scena grunge, fotografe come Karen Mason Blair e Alice Wheeler, executives come Amy Finnerty di MTV o Michèle Anthony, oggi vicepresidente di Universal Music. Ad un certo punto mi ero guadagnata un certo rispetto, dato che come manager avevo ottenuto successo. Non dubito di essere stata il bersaglio di parecchie battute, essendo una donna e una esordiente nel settore, nonché la ragazza del cantante. Ma erano cose a cui non attribuivo alcuna importanza e non influenzavano il modo in cui lavoravo. L'unico episodio apertamente offensivo fu un commento stupido durante un concerto dei Soundgarden: un gruppo di tizi della casa discografica si avvicinano al bar e uno di loro mi squadra da capo a piedi e mi fa: 'Sai, non sembri una manager rock'n'roll'. Gli ho detto 'E tu non sembri uno stronzo, quindi ecco qua'. E questo è quanto. Forse c'era un certo livello di protezione, essendo in coppia con Chris. La gente non si azzardava con me. Ma, davvero, non mi importava di nulla di tutto ciò. Ero concentrata nel fare il mio lavoro. (Susan Silver, manager)Tale presenza è sia matrice che prodotto di una evoluzione sociale introdotta dal femminismo negli anni Settanta, la cui onda lunga si riverbera sulla coeva scena riot grrrl originatasi ad Olympia e, di conseguenza, sui coetanei maschi, costretti a confrontarsi, volenti o nolenti, con un mondo differente da quello dei padri, un mondo in cui sono state messe in discussione la coppia, la famiglia, il matrimonio, la sessualità. Nel dicembre 1991, a San Francisco, durante un concerto con i già celebri Red Hot Chili Peppers e i lanciatissimi Nirvana, Eddie Vedder, cantante degli ancora relativamente sconosciuti Pearl Jam, canta Suggestion, una canzone dei Fugazi sullo stupro. Alla fine del pezzo il cantante dice al pubblico: "Don't go partying on other's people pu**ies unless they want you to " (Non andate a festeggiare sulla f**a di un'altra persona a meno che non sia lei a volerlo, ndr), riferimento non troppo velato al pezzo dei Peppers, Party on your pu**y. Il processo di cambiamento si avverte sia nei testi delle canzoni che nei rapporti che intercorrono tra le band maschili e quelle femminili, che si trovano a condividere il palco non solo per festival e tour ma anche per questioni condivise quali violenza sessuale e aborto. Rock For Choice (1991-2001), serie di concerti di sensibilizzazione sul diritto delle donne all'autodeterminazione sessuale e riproduttiva, vede la partecipazione di molte band della scena, tra cui le organizzatrici L7, poi Bikini Kill, Fugazi, 7 Year Bitch, Lunachiks, Mudhoney, Free Kitten, Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Hole, Foo Fighters, Stone Temple Pilots.«Sono stato a molti concerti dei Green River, e una cosa che ricordo è che ogni volta il pubblico femminile cresceva esponenzialmente. Era come vedere improvvisamente apparire un gruppo di modelli. Sto esagerando, ma avevano nel gruppo questi ragazzi alti, coi capelli lunghi. Un sacco di gente li considerava la band più figa» (Matt Wright, Gas Huffer)
«All'inizio era un inferno, perché, anche se i nostri amici erano ragazzi a posto, la scena punk rock di L.A. era veramente misogina. Non mi ci trovavo affatto. È stato solo quando abbiamo cominciato a suonare a Seattle che ho trovato ragazzi di idee più progressiste. Ma essere una femminista, comunque, mi ha resa un bersaglio facile per un sacco di tempo» (Donita Sparks, L7)
«Passando molto tempo con amiche donne finii per comprendere a quanta mancanza di rispetto, a quanta oppressione erano sottoposte. Voglio dire, le parole 't**ia* e 'pu**ana* erano d'uso comune, ricorrenti. Anche se ho ascoltato molto band come Aerosmith e Led Zeppelin, e alcune delle loro melodie mi piacevano, dopo anni ho realizzato quanto la loro musica avesse a che fare con il sessismo. Il modo in cui scrivevano dei loro ca**i e del fare sesso. Ho cominciato a rendermi conto di ciò che mi infastidiva così tanto negli ultimi anni di liceo» (Kurt Cobain, Nirvana)
«Quando ero piccola, ricordo che vedevo Mick Jagger e pensavo: vorrei essere la sua ragazza. Guardavo Jerry Hall, così glamour. Poi ho scoperto il punk rock e ho cominciato a desiderare di essere Mick Jagger, non la sua ragazza. Essere Mick Jagger era diventata una opzione. Le groupies sono per lo più un fenomeno tipico del rock mainstream. È un mondo sessista, e loro sono parte di questo mondo» (Jennifer Finch, L7)
«Le groupies non sono fan. Chi è fan ha ascoltato il tuo disco milioni di volte, glielo leggi negli occhi. Le groupies sono persone con problemi di autostima. È assurdo quello che sono capaci di fare per arrivare a te. Uno dei trucchetti consiste nel piazzarsi davanti a noi e insultarci, provocarci, dicendoci che la nostra musica fa schifo o che siamo machisti e sessisti. E se reagisci, boom! Ecco che ti hanno tirato dentro ad una conversazione!» (Chris Cornell, Soundgarden)
«Non sono un tipo che perde la calma facilmente, ma tutti questi uomini che cercano di controllare il corpo delle donne cominciano a farmi veramente inca**are. Molti uomini invidiano la possibilità delle donne di dare la vita, e hanno paura di parlarne perché perderebbero i loro compagni di bevute. Non me ne frega niente di perdere questo tipo di amici» (Eddie Vedder, Pearl Jam)
«Quando siamo diventati più famosi sono aumentate le ragazze ai nostri concerti. Di recente, in Oregon, una ragazza, strafatta, si è tolta la maglietta davanti a Chris, ha afferrato il microfono, è piombata sul palco e gli ha urlato 'Fu** me!'. Lui le messo le braccia sulle spalle e l'ha riaccompagnata tra il pubblico, con grande calma, da gentleman. È una questione che mi interessa molto. Quando ero giovane ero convinto che i maschi fossero idioti e le femmine fossero esseri superiori, eventualmente da proteggere. Era una posizione cavalleresca, molto paternalistica. Con il tempo ho capito che anche le ragazze possono essere completamente idiote (...). Come band, cerchiamo di trattare le persone con rispetto. Non siamo femministi, ma allo stesso tempo ci rifiutiamo di perpetuare gli stereotipi macho-sessisti del rock'n'roll. Abbiamo una posizione, diciamo, neutrale» (Kim Thayil, Soundgarden)Tuttavia, come rilevano diverse musiciste, tale processo incontra, anche in una scena musicale considerata progressista, resistenze, pregiudizi e, in fase di storicizzazione, plateali rimozioni: «Ci saranno 10, 15 rockstar donne. Onestamente non mi sono mai messa a contarle. Sai, scaraventare televisori dal balcone [...] Per cose del genere che hanno fatto Keith Richards, Jim Morrison o Bono, delle quali nessuno si ricorda più, io sento di essere stata giudicata con un doppio standard, ma sai, è così che vanno le cose» (Courtney Love, Hole)
«Qualche anno fa ho googlato il nome della nostra band e non ho trovato nulla. Allora mi sono chiesta se eravamo esistite davvero o era tutto un sogno. Di me si parlava solo per la faccenda del tampax. Una musicista brillante e piena di talento come Suzi (Gardner, ndr) veniva ricordata meno di musicisti maschi di impatto nettamente inferiori al suo. Allora ho aperto una pagina Facebook della band, per conservare la memoria, e lì si è riattivata tutta la nostra fan base. Non ci avevamo dimenticate, anzi. Credo che molte donne volessero essere noi, ma erano spaventate, non proprio sicure di riuscire a farlo» (Donita Sparks, L7)
«La presenza delle donne nelle band di Seattle non era certo una anomalia. C'erano le Fastbacks, che sono in giro da sempre. Era pieno di donne anche da prima, gruppi post-punk come le Little Bears of Bangkok, con tre donne e un cantante uomo. The Visible Targets erano tre sorelle e un batterista, che nei primi anni Ottanta sembravano destinate al successo con un disco prodotto da Mark Ronson. Eppure, è accaduto non ci fossero donne nelle band della città divenute celebri negli anni Novanta» (Mark Arm, Mudhoney)
Storia e gruppi principali
Le origini
La Seattle che diverrà nota come la culla del grunge, negli anni Ottanta, è una città portuale di circa 600 mila abitanti, lontana dalle rotte dello show-business, con una economia basata sulla lavorazione del legno e sui cantieri navali e i primi investimenti nel settore IT (il colosso del commercio online, Amazon, aprirà qui proprio nel 1994). In ambito musicale, Seattle vanta una vivace scena jazz negli anni Trenta e Quaranta, poi dà i natali a pochi ma eccellenti nomi del rock: «Sono di Seattle, amico. Non abbiamo tutti questi eroi provenienti dalla nostra città. Abbiamo Jimi Hendrix e le Heart, i Queensrÿche e questo è tutto. Non abbiamo molte band rispettate a livello nazionale, ma quelle che abbiamo sono davvero di grande qualità, sia musicale che umana. Conosco le ragazze (Nancy e Ann Wilson, ndr) da molti anni. Seattle non è una città così grande, quindi ci si conosce tutti e abbiamo trascorso tanto tempo insieme per anni» (Jerry Cantrell, Alice in Chains)
«Seattle, come terreno di coltura di arte e musica, era così isolata e provinciale che, in un certo senso, poteva permettersi di crescere proprio perché ignorata da tutti» (Chris Cornell, Soundgarden) In questo periodo, Seattle come altre città portuali della costa, diviene luogo di una massiccia diffusione dell'eroina, che segnerà tragicamente le vite di molti dei protagonisti e delle protagoniste della scena musicale locale. Duff Mc Kagan, nativo di Seattle e futuro bassista dei Guns'n'Roses, ricorda:«L'eroina arrivò a Seattle nel 1982 circa. Ha decimato tutti i miei amici: la mia ragazza, il mio coinquilino, tutti. Al tempo suonavo la chitarra in una band chiamata 10 Minute Warning, avevamo firmato con la Alternative Tentacles (l'etichetta di Jello Biafra, ndr), avevamo fatto una tour con i Dead Kennedys e i Black Flag nell'83-84 ed eravamo davvero lanciati. Eravamo diversi, lenti, strani, pesanti. Poi, nella band, arrivò l'eroina. Un amico venne da me, una sera che era fatto e devastato, e mi disse che ero la sua unica speranza, l'unico che credeva potesse tirarsene fuori e combinare qualcosa. Così mi sono licenziato dal lavoro, ho preso i 360 dollari che avevo e sono partito per Los Angeles. Ho lasciato Seattle per allontanarmi dall'eroina» Nel 1979 Bruce Pavitt è ideatore e conduttore del programma radiofonico Subterranean Pop, in onda sull'emittente Kaos-FM. Poco dopo nasce l'omonima fanzine cartacea SubPop. Le band seminali della scena si formano nei primi anni Ottanta: The U-Men, i Bam Bam della cantante afroamericana Tina Bell, i Melvins da Aberdeen, i Green River, scioltisi nel 1988 per differenze di giusti e ambizioni. Dalle sue ceneri nascono le band Mudhoney, con il cantante Mark Arm e il chitarrista Steve Turner, e Mother Love Bone, con il bassista Jeff Ament e l'altro chitarrista Stone Gossard. Cantante di questa band era Andrew Wood, già con il fratello Kevin nei Malfunkshun.
In questi anni un ragazzo francese, Hugo Piottin, apre il Metropolis, che diviene il club punk di Seattle, uno spazio di creatività che si rivelerà cruciale per l'incontro e il confronto tra le varie band dell'area, tratto distintivo e carta vincente della scena. Altro luogo storico per la musica cittadina è il Central Saloon.
Sull'influenza della propria band sulla scena locale, Buzz Osborne dei Melvins non usa mezzi termini:«Senza i Melvins non ci sarebbero stati i Nirvana, non importa ciò che leggi, il che significa che la nostra musica ha avuto un impatto a livello mondiale. Abbiamo avuto una influenza diretta su tutte queste band, inclusi i Soundgarden. Tutto è scaturito dalla nostra musica, ma i giornalisti non lo sopportano perché sono accecati dal binomio soldi e successo. Anche se siamo in giro da 25 anni ci odiano perché non giochiamo al loro gioco e non ce ne andiamo in giro col jet privato» Nel 1984 Chris Hanzsek, futuro produttore di molte band della scena, apre uno studio di registrazione, il Reciprocal Recording, dove viene registrato l'EP Villains (Also Wear White) dei Bam Bam. Nello stesso anno nascono i Soundgarden con il cantante Chris Cornell, il chitarrista Kim Thayil, il bassista Hiro Yamamoto e il batterista Scott Sundquist (dal 1986 sostituito da Matt Cameron). Pavitt vide nella band 'un nuovo paradigma, e anni dopo dirà: «I Soundgarden erano perfetti. Avevano un suono heavy, ma non erano una heavy metal band. Avevano un potenziale commerciale enorme, ce ne accorgemmo subito. Fu la prima band della Sub Pop a farci fare cassa»Dall'incontro dei fratelli Van e Gary Conner con Mark Lanegan nascono gli Screaming Trees da Ellensburg. L'anno successivo si formano gli Skin Yard e i fratelli Rakesh e Raj Parashar fondano i London Bridge Studios, da cui usciranno alcuni tra i più importanti dischi della scena.
Nel 1986 l'etichetta C/Z pubblica Deep Six, una raccolta di brani delle band Green River, Melvins, Malfunkshun, Soundgarden, Skin Yard, The U-Men. Nello stesso anno nasce la Sub Pop Records di Jonathan Poneman e Bruce Pavitt e pubblica la raccolta Sub Pop 100 (1986) contenente, tra gli altri, i lavori di Steve Albini, Steve Fisk, Sonic Youth. Segue SubPop 200 (1988), con lavori di Green River, Soundgarden, Tad, The Walkabouts, Fastbacks, Cat Butt, Screaming Trees, Girl Trouble.
Nel 1987, dall'incontro tra Layne Staley e Jerry Cantrell, nascono gli Alice in Chains, mentre Kurt Cobain, originario di Aberdeen, forma i Nirvana con Krist Novoselic, Chad Channing e Jason Everman.
Nel 1988 l'ex macellaio Tad Toyle fonda i Tad; esce il seminale EP Superfuzz Bigmuff (1990) dei Mudhoney; nascono i Seaweed a Tacoma e i My Sister's Machine, 7 Year Bitch, Hammerbox, Candlebox. Ad Olympia si formano le Bikini Kill di Kathleen Hannah e Tobi Vail, band riot grrrl. Il fermento che c'è nell'area attira band anche dagli altri Stati: dalla California arrivano L7 e Hole, dall'Ohio The Gits. Alla scena vengono accostate anche band attive in altre aree: Stone Temple Pilots a Los Angeles, Smashing Pumpkins a Chicago, Babes in Toyland a Minneapolis.
La scena locale ottiene la copertura della stampa specializzata britannica con il celebre articolo del giornalista Everett True sul Melody Maker: Sub Pop: Seattle: Rock City (1989), che scriverà: «È la scena musicale più eccitante prodotta da una singola città dai tempi della Londra del punk».
Cresce l'attenzione delle case discografiche, sia label indipendenti che major. Figure chiave, in questa fase di affaccio nel music business, sono Susan Silver e Kelly Curtis, l'una manager prima di The U-Men, poi Soundgarden, Alice in Chains e Screaming Trees, l'altro dei Pearl Jam.
«Chi ha reso possibile l'esplosione del fenomeno Seattle sono una manciata di persone. Ovviamente Pavitt e Poneman. Susan Silver. Art Chantry. E Charles Peterson. Senza le sue foto e l'immaginario creato da lui non credo che la scena sarebbe emersa come movimento coeso e coerente, così come è stato percepito dal resto del mondo» (Grant Alden, The Rocket)
Escono Bleach (SupPop, 1989) dei Nirvana, Smell the magic (SubPop, 1990) delle L7, Facelift (Columbia, 1990) degli Alice in Chains, primo disco d'oro della scena, trainato dal video del singolo Man in the Box in heavy rotation su MTV, Ultramega Ok (1988), Louder than Love (1990) dei Soundgarden.
L'inizio del nuovo decennio è segnato dai primi successi e al contempo dalla prima di una lunga serie di tragedie che funesteranno la scena: nel marzo del '90 muore per overdose di speedball Andrew Wood, cantante dei Mother Love Bone, amico di molti musicisti della città, frontman carismatico e ambizioso. È questo l'evento che segna, secondo Chris Cornell, all'epoca coinquilino di Wood, la fine dell'età dell'innocenza della scena di Seattle. Cornell scrive alcune canzoni dedicate all'amico scomparso, le quali attirano l'attenzione di Jeff Ament e Stone Gossard, ex compagni di Wood. A loro si uniscono Matt Cameron e Mike Mc Cready e nascono i Temple of the dog, il cui album omonimo (1991) è un ottimo successo. Eddie Vedder, originario di San Diego, duetta con Cornell del singolo Hunger Strike. Dall'incontro tra Vedder e gli ex compagni di Wood nascono i Pearl Jam, che finiranno per essere il gruppo con il maggiore successo commerciale e la carriera più longeva.«Li vidi suonare la prima volta come Mookie Blaylock. Eddie era molto timido. Sul palco quasi si guardava le scarpe. Era un cantante davvero splendido, ma essendo a Seattle, con tutta questa comunità unita di gente che aveva amato Andy prima di lui, era probabilmente un po' nervoso» (Nancy Wilson, Heart)
Il successo mondiale
L'epoca di maggiore successo commerciale della scena è il triennio 1991-1994, con l'album più noto, Nevermind dei Nirvana (1991, Geffen Records), che stravende, trainato dal singolo Smells Like Teen Spirit e relativo video in rotazione su MTV. In retrospettiva, il momento dell'esplosione del grunge come fenomeno pop è stato analizzato con diverse chiavi di lettura dai protagonisti stessi della scena: «Il disco cruciale fu l'esordio degli Alice In Chains (Facelift, 1990, ndr): fece capire che c'era aria nuova, che si stava creando un'alternativa. I Nirvana si trovarono nel mezzo di tutto ciò e giocarono bene le loro carte, favoriti da una personalità iconica come quella di Kurt Cobain. (...) Credo che chiunque si uccida quando è giovane e all'apice del successo sia destinato al mito, al di là dei suoi meriti. A parte ciò, i Nirvana hanno costruito la loro fama compiendo tutte le mosse giuste: la firma con una major, la scelta di un grande produttore e la pubblicazione di un disco "commerciale" come Nevermind, che ha appunto venduto milioni di copie. Probabilmente la loro caratteristica più speciale era la voce di Kurt, differente da quella di chiunque altro» (Mark Arm, Mudhoney)
«Quando si tratta di grunge o anche solo Seattle, una è stata la band fautrice della musica di quel periodo. Non erano i Nirvana, ma i Mudhoney. I Nirvana hanno esportato il grunge nel mondo, ma i Mudhoney erano la band di quel momento e di quel suono» (Eddie Vedder, Pearl Jam) Altre uscite significative del '91 sono Ten dei Pearl Jam, enorme successo trainato di singoli Alive e Jeremy, quest'ultimo promosso con un video divenuto celeberrimo, Badmotorfinger dei Soundgarden, Uncle Anesthesia degli Screaming Trees (che ospita Chris Cornell ai cori), Pretty on the inside delle Hole. Nel 1992 escono Dirt degli Alice in Chains, Core degli Stone Temple Pilots, Bricks are heavy delle L7, Fontanelle delle Babes in Toyland.
Esce il film Singles (1992) del regista Cameron Crowe, all'epoca marito di Nancy Wilson delle Heart, con Matt Dillon e Bridget Fonda. Ambientato e girato a Seattle, è una commedia romantica che racconta storie d'amore e d'amicizia della generazione X con, sullo sfondo, la scena musicale locale. Soundgarden e Alice in Chains si esibiscono in concerto, Chris Cornell e Tad Doyle presenziano con un cameo, mentre Stone Gossard, Jeff Ament ed Eddie Vedder compaiono come membri dei Citizen Dick, band del protagonista Cliff Poncier. La colonna sonora contiene, oltre alle band già menzionate, Nearly lost you degli Screaming Trees, Chloe dancer/Crown of thorns dei Mother Love Bone, Overblown dei Mudhoney. Ai personaggi e alla trama del film si ispirerà una delle serie di maggior successo degli anni Novanta: Friends.
L'EP Sap (1992) degli Alice in Chains vede la partecipazione di Chris Cornell dei Soundgarden e Mark Arm dei Mudhoney, nel brano Right Turn, accreditato ad Alice Mudgarden, e Ann Wilson delle Heart nei brani Brother e I am inside. La traccia Got me wrong farà parte della colonna sonora del film Clerks (1994).
Dalla collaborazione tra vari musicisti della scena cittadina, ovvero Stone Gossard, Regan Hagar (Satchel e Malfunkshun), Shawn Smith (Pigeonhed, Satchel), Jeremy Toback nascono i Brad, che pubblicano Shame (Epic, 1993).
Negli anni di massimo successo, le band appaiono sulle copertine delle riviste musicali, sono premiate agli MTV Video Music Awards e ai Grammys, sono invitate come headliners nei principali festival del mondo come il Lollapalooza in USA e Canada, Hollywood Rock in Brasile, Glastonbury e Reading in UK.
Eddie Vedder è in copertina sul prestigioso Time Magazine (ottobre 1993) dal titolo All the rage. Angry young rockers like Pearl Jam give voice to the passions and fears of a generation Le/i cantanti delle band assurgono a idoli per teen-ager, icone di bellezza e persino sex appeal, ad alcuni di loro viene proposto di posare come testimonial di moda.
In una scena solo apparentemente scevra da ogni estetismo/sessualizzazione, l'avvenenza sembra invece essere un fattore rilevante ai fini del grande successo:«Faccio musica grande, grassa e orribile, proprio come me, ne sono contento e onestamente non me ne frega un cazzo di tutto il resto. Non diventerò mai popolare, a meno che non perda un sacco di chili, e questo dovrebbe bastarti per capire in che stato si trova la musica contemporanea. L'anno scorso Bruce Pavitt mandò un mio video a MTV affinché lo trasmettesse. Risposero che non potevano mandarlo in onda perché sono troppo lardoso. Ma ci puoi credere? Non che morissi dalla voglia di vedere il mio brutto muso in televisione, ma la cosa mi fa crepare dal ridere ancora adesso» (Tad Doyle, TAD)
MTV invia i giornalisti Tabitha Soren e Kurt Loder a Seattle per uno speciale sulla scena musicale cittadina. Vengono intervistati, tra gli altri, Soundgarden, Alice in Chains, Mudhoney, Bruce Pavitt, Tad Doyle, Krist Novoselic, My sister's machine, Queensryche, Heart e Al Hendrix, padre di Jimi.«Tabitha Soren di MTV venne a Seattle per questo speciale sul grunge. Fu una cosa assurda. (...) Era contrariata dal fatto che le rockstar non fossero tutti bei ragazzi. Si aspettava fossero tutti Chris Cornell o roba simile. La portai a conoscere i TAD, che erano parte fondamentale della scena, e fu molto rude. Non ne voleva sapere, a lei interessavano solo i bei ragazzi» (Jennie Boddy, Sub Pop Records publicist)Il termine e l'estetica grunge ispirano allo stilista Marc Jacobs una intera collezione, che però non verrà mai prodotta né distribuita su larga scala. «La parola grunge divenne un termine d'uso comune e le passerelle si riempirono di camicie di flanella e calzamaglie» (Dave Grohl)
«È interessante riflettere su cos'era il grunge e cosa è diventato, cioè alta moda. Mio padre era così povero che andava nei centri di raccolta per poveri a procurarsi jeans rattoppati. Non era una scelta dettata dalla moda. Era una scelta basata sul fatto che non aveva soldi» (Frances Bean Cobain)Anche negli anni di maggiore successo continuano a consumarsi tragedie e lutti: la chitarrista Stephanie Sargent (1992) e la bassista Kristen Pfaff (1994) muoiono di overdose, Mia Zapata viene stuprata e assassinata (1993). Il fatto scuote la città e viene organizzata una serie di concerti di beneficenza, noto come Mia Zapata Benefit, per finanziare le indagini sul caso, cui partecipano band quali Love Battery, Maxi Badd, D.C. Beggars, Sage e, a sorpresa, Nirvana. La batterista delle 7 Year Bitch, Valerie Agnew, fonda l'organizzazione non profit Home Alive. Viene pubblicato l'album Home Alive.The art of self defense per la sensibilizzazione e la raccolta fondi, con brani di Soundgarden, Pearl Jam, Fastbacks, Ann e Nancy Wilson, Green Apple Quick Steps, The Posies, Kristen Barry, Jello Biafra, The Gits. Esce l'album ¡Viva Zapata! (C/Z Records, 1994) delle 7 Year Bitch, dedicato a Mia.«È una cosa che ci ha sconvolte, qualcosa con cui all'epoca facevamo i conti quotidianamente, dato che l'assassino non era stato trovato. Non riuscivamo a pensare ad altro» (Elizabeth Davis, 7 Year Bitch)Continuano le collaborazioni tra i vari musicisti della scena cittadina: Ben Sheperd e Matt Cameron dei Soundgarden danno vita al progetto Hater (1993) con Brian Wood, fratello di Andy e Kevin, e John Mc Bain. Parte di questi musicisti partecipa, nello stesso periodo, anche al progetto Wellwater Conspiracy.
sce Houdini (Atlantic Records), il primo album dei Melvins con una major, prodotto dallo stesso Kurt Cobain, grande fan della band, poi sollevato dall'incarico per i suoi problemi di droga. Pochi mesi dopo la registrazione dello splendido Umplugged in New York dei Nirvana, Cobain viene ricoverato per overdose da Roypnol mentre si trova a Roma con Courtney Love, che dà l'allarme. Un mese dopo, il 5 aprile, Cobain si spara con un colpo di fucile nella sua casa sul Lago di Washington. Il suo corpo viene ritrovato tre giorni dopo, e alla diffusione della notizia la reazione è di enorme sgomento, sia sui media che nelle parole dei colleghi musicisti e dei fan:«Mi addolora la morte di Kurt. Un ragazzo meraviglioso, poi patetico, perso ed eroicamente stupido. Davvero rock» (Pete Townshend, The Who)
«Eravamo appena usciti di scena, in procinto di rientrare per i bis, e, credo, il bassista dei Tad venne a darci la notizia (...). Eravamo scossi, era una situazione surreale, non eravamo a casa, non avevamo intorno nessuno che conoscevamo. In un certo senso elaborammo la cosa con la consapevolezza di essere nati per suonare musica cupa e sofferente, la colonna sonora adatta a questi scenari assurdi e tremendi» (Chris Cornell, Soundgarden)
«Kurt ed io non eravamo amici stretti, ma quando ci incrociavamo agli show parlavamo e passavamo del tempo insieme. Lo conoscevo bene abbastanza da essere devastato dalla notizia della sua morte. E non la capisco. L'ultima volta che l'ho visto, mi ha dato un passaggio fino a casa di un amico. Per tutto il tragitto, circa quindici minuti, mi ha parlato della figlia. Una persona così pacata, eppure così eccitata all'idea di aver avuto una figlia. Amava davvero quella bambina. Poi neanche un mese dopo ho visto la notizia che era morto» (Layne Staley, Alice in Chains) C'è anche chi, come i suoi idoli Melvins, pur di evitare che la morte dell'amico divenga una sorta di mito romantico e culto del martirio, optano per un sarcasmo dissacrante. Poco dopo la morte di Cobain fanno stampare dei poster con la scritta We Killed Kurt e delle t-shirt con la sua caricatura e la scritta L'unico drogato buono è il drogato morto. Come spiega il bassista, Mark Deutrom: Kurt è morto, ma per noi non fa alcuna differenza. Continuiamo a divertirci ridendo di lui!
Nel 1994 arrivano al grande successo commerciale anche i veterani della scena, i Soundgarden, con l'album Superunknown. Si riconfermano i Pearl Jam con Vitalogy, escono Hungry for stick delle L7 e Live through this delle Hole.
Nel 1995 la Loosegroove Records, etichetta di Stone Gossard e Regen Hagar, pubblica postumo Return To Olympus dei Malfunkshun, prima band di Andrew e Kevin Wood. Da un'idea di Mike Mc Cready nascono i Mad Season, che pubblicano un unico album, la perla Above (1995), con Layne Staley alla voce e la partecipazione di Mark Lanegan e altri musicisti della scena. L'anno successivo Staley torna ad esibirsi con gli Alice in Chains per MTV Umplugged (1996), concerto intenso e sofferto che diverrà uno degli album più amati della band.
Delle decine di band della scena di Seattle o accostate ad essa, solo una manciata (Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Alice in Chains, Stone Temple Pilots da Los Angeles, Smashing Pumpkins da Chicago, Hole) ottengono fama e successo globali vendendo milioni di dischi. Altre (Melvins, Mudhoney, L7 da Los Angeles, Babes in Toyland da Minneapolis, Bikini Kill, Screaming Trees, Tad) facendo intensa attività live, godendo del plauso della critica e/o di alcuni anni di copertura mediatica mainstream, ottengono riscontri commerciali discreti. Ci sono poi band che rimangono, più o meno orgogliosamente, nell'ambito underground e saranno in seguito materia di riscoperta e rivalutazione da parte della critica musicale. Tra queste ci sono Truly, Love battery, 7 Year Bitch e Bam Bam, la cui cantante, Tina Bell, scomparsa nel 2012, è considerata 'the godmother of grunge'. Seattle la omaggia con un concerto tributo nel 2021, cui prendono parte Matt Cameron, primo batterista della band, Kendall Jones, Ayron Jones, Jenelle Roccaforte, Stone Gossard, Om Johari.«Tina era una frontwoman carismatica, magnifica. Come Chris, Kurt, Lanegan, Eddie e Layne, Tina faceva parte di questa generazione di cantanti incredibili» Matt Cameron, Soundgarden
Il declino, i progetti paralleli e le reunion
Con la morte di Kurt Cobain (1994), l'inattività prolungata degli Alice in Chains e lo scioglimento dei Soundgarden (1997), lhype del grunge si esaurisce. In parte ciò si deve a problematiche interne alle band, in parte al fisiologico cambio di tendenza:«Nel '95 ho sentito che qualcosa si stava incrinando. Tutti, dal management, alle band, alla casa discografica - sentivano la pressione derivante dal successo di Alice in Chains e Soundgarden. Passavamo il tempo cercando di aiutare le band a sostenere le ricadute del successo, sia che si trattasse di dipendenza, malcontento o differenze di vedute artistiche» (Susan Silver, manager, ex moglie di Chris Cornell)
Come ricorda Donita Sparks, fin dopo la morte di Cobain e per tutta la seconda metà del decennio, il pubblico è forse stanco, provato dall'impatto emotivo della musica grunge e delle vicende dei suoi protagonisti. Entrano in scena nuove band come Green Day o Blink 182, che con il loro vivace pop-punk portano una ventata di spensieratezza. Di parere affine è Steve Turner dei Mudhoney:«Le band che sono emerse da Seattle dopo la morte di Kurt, Presidents of the Unites States of America e Harvey Danger, hanno espresso sfumature di rock'n'roll profondamente diverse da ciò che le aveva precedute. Era essenzialmente pop solare, musica allegra per stare bene, credo una diretta reazione all'esasperazione che tutti sentivamo dopo l'accaduto»
Restano in attività Melvins e Mudhoney, i Pearl Jam consolidano l'enorme successo mainstream, nascono side project come i Wellwater Conspiracy (1997), con Matt Cameron, Glenn Slater dei The Walkabouts, Kim Thayil e Ben Shepherd, Eddie Vedder, Josh Homme. Dave Grohl fonda i Foo Fighters e ottiene fin dal debutto omonimo (1995) un ottimo successo commerciale grazie ad un pop punk tirato ed energico. Courtney Love punta a Hollywood e fa centro con il ruolo in Larry Flint (1996) di Milos Forman, poi pubblica con le Hole il patinato Celebrity Skin (1998) e ottiene la definitiva consacrazione pop. Le L7, senza etichetta e senza management, sospendono l'attività. Chris Cornell e Jerry Cantrell si cimentano nella carriera solista, l'uno con Euphoria Morning (1999), l'altro con Boggy Depot (1998) e Degradation Trip (2002). In seguito Cornell formerà gli Audioslave (2001) con alcuni componenti dei Rage against the machine. Nel 2000 gli Screaming Trees ufficializzano lo scioglimento, Mark Lanegan intensifica le collaborazioni con altri artisti, tra cui Josh Homme per Songs for the Deaf (2002) dei Queens of the Stone Age, o Greg Dully, e si dedica alla carriera solista con la Mark Lanegan Band.
Nel giugno 2000, durante un concerto dei Pearl Jam al festival di Roskilde, in Danimarca, nove persone del pubblico muoiono schiacciate dalla calca.
Nell'aprile 2002 Layne Staley viene ritrovato morto nella sua casa di Seattle, dove da tempo viveva quasi recluso, provato dalla tossicodipendenza e dalla perdita della ex compagna Demri Lara Parrot, anch'essa eroinomane, deceduta nel 1996. Come Wood, muore per overdose di speedball. Come Cobain, esattamente otto anni dopo, si spegne il 5 aprile. Anni dopo il fatto Chris Cornell pubblicherà un post rivelando di aver sognato Staley e di provare ancora rabbia per non averlo sostenuto abbastanza quando ne aveva bisogno:«È un pensiero che mi ha perseguitato per anni. Eravamo nel salotto di Kelly Curtis, di ritorno dal funerale di Andy Wood. All'improvviso è entrato Layne, completamente a pezzi, piangeva disperatamente, perso e terrorizzato come un bambino. Ci guardò tutti, uno per uno, e per un attimo ho sentito l'impulso di andare da lui, abbracciarlo e dirgli che era tutto ok. Non l'ho fatto e ancora me ne pento. Non lo ha fatto nessun altro dei presenti. Non so perché» Nel 2005, a Seattle, gli Alice in Chains tornano sul palco in occasione dello Tsunami Relief Benefit Show, invitati dalle sorelle Ann e Nancy Wilson delle Heart. Tra i vocalist c'è William DuVall e la band esegue i classici del repertorio. L'ottima accoglienza spinge la band a riprendere l'attività.
Nel 2010 annunciano la reunion i Soundgarden, che pubblicano King Animal (2012) e si sciolgono nuovamente alla morte del cantante Chris Cornell, suicidatosi nel maggio 2017 a Detroit. L'ondata di sgomento e commozione è profonda, specie tra chi, nella scena di Seattle, ha sempre visto Cornell come un esempio, un punto di riferimento e una fonte di ispirazione: «L'ultima persona a cui mi aspettavo una cosa del genere. Chris mi ha influenzato a livello artistico e personale. Ha dato l’esempio su cosa fare e cosa non fare, ed io l’ho seguito. Ha avuto un ruolo importante nel prendere una precisa direzione. Non hai bisogno di questa merda, non hai bisogno di queste cazzate: hai bisogno della musica. Era profondo ed emozionale, sento un’affinità con autori come lui» (Jerry Cantrell, Alice in Chains)
«Mi faccio le stesse domande e il mio cuore corre a cercare i perché ed i se. Sono un egoista, ammetto di essere triste al pensiero di non vederti mai più, non suonare più insieme, o crogiolarmi in tuo gesto di approvazione, o essere parte della tua vita. È stato un dono passare del tempo con te, era il tuo tempo e lo hai condiviso con noi, grazie. Eri troppo, il tuo talento era strabiliante. Le canzoni, le parole, la voce, come potevi avere tutte e tre. E, non così ovvio, il tuo perfido senso dell'umorismo e la tua giocosità» (Stone Gossard, membro dei Pearl Jam e ancora prima di Temple of the Dog, Mother Love Bone e Green River)
Nell'aprile 2019 muore Shawn Smith dei Satchel. Il decesso avviene il 5 aprile, come nel caso di Kurt Cobain e Layne Staley. Nel febbraio 2022 muore nella sua casa di Killarney, in Irlanda, Mark Lanegan, ex frontman degli Screaming Trees. Circa un mese dopo muore a Bogotà (Colombia) il batterista dei Foo Fighters, Taylor Hawkins.
L'eredità del grunge
La scena grunge ha influenzato diverse band negli anni successivi, sia per quanto riguarda l'aspetto musicale che l'attitudine, sia negli anni immediatamente successivi, si pensi, oltre ai Foo Fighters che raccolgono il testimone, a Bush, Silverchair, Creed, Nickelback, 3 Doors Down and Puddle of Mudd, alla scena cosiddetta post grunge e, in UK, Dinosaur Pile-Up, Pulled Apart by Horses, Wonderswan. Numerose anche le collaborazioni tra i nomi di riferimento della scena con artisti vecchi e nuovi. Steve Albini collabora con, tra gli altri, Bully, Vomitface, Shannon Wright. Emma Ruth Rundle dei Marriages va in tour con Buzz Osborne dei Melvins. Artiste ed artisti come Courtney Barnett, Wolf Alice, Yuck, Speedy Ortiz, The Kut, Mitski, 2:54, False Advertising, Slothrust, Baby in Vain, Big Thief, Torres, Lullwater, Red Sun Rising e Bent Trees Society sono considerati fortemente influenzati dal grunge, così come Title Fight, InCrest, Fangclub, Code Orange, My Ticket Home, Citizen, Milk Teeth, Muskets.
Dal punto di vista culturale, la musica e la scena grunge sembrano aver segnato in modo significativo, o quantomeno espresso, lo spirito gli ultimi decenni:«La brutta gente non era autorizzata a fare rock prima di noi, poi la Sub Pop se ne è uscita con questa idea del perdente» (Mark Arm, Mudhoney)
«Credo che una delle più importanti eredità lasciate dal grunge sia l'aver fatto fuori, almeno temporaneamente, la misoginia nel rock» (Donita Sparks, L7)
«Per una volta, è come se avessero vinto i ragazzi buoni» (Jerry Cantrell, Alice in Chains)Per quanto riguarda ciò che della scena è rimasto nell'immaginario collettivo, sono significative queste parole di Chris Cornell: «A parte le persone direttamente coinvolte, il resto del paese e del mondo credono che la scena di Seattle fosse Soundgarden, Pearl Jam, Nirvana ed Alice in Chains, rock chitarroso con influenze punk e seventies, fine della storia. Ed è molto lontano da ciò che realmente stava accadendo. È stata esclusa tutta la musica sperimentale, dal free jazz alle band più teatrali o gotiche. Molte persone che erano parte della scena sono state depredate, escluse o messe da parte perché non rientravano nella rigida narrazione di ciò che Seattle aveva da offrire»Prima i Nirvana (2014) poi i Pearl Jam (2017) entrano nella Rock'n'Roll Hall of Fame.
Aneddoti e curiosità
A metà degli anni Ottanta, Susan Silver e Chris Cornell si incontrano per la prima volta al negozio di abiti vintage Tootsie's dove lei lavora, che diverrà punto di riferimento per il vestiario delle band, inclusi gli anfibi Dc Martens. Si rivedono poco dopo, per caso, ad una festa di Halloween, dove lui si esibisce coi Soundgarden. Lei è in maschera ma lui la riconosce, cosa che la colpisce positivamente. Poco dopo i due si mettono insieme, per poi sposarsi nel 1990. Nel 2004 il divorzio, seguito da una pesante battaglia legale.
Prima dei Soundgarden, Chris Cornell faceva parte della band The Shemps, specializzata, per via di una fissazione del chitarrista Matt Dentino, in cover di artisti rigorosamente morti. In line up anche il bassista Hiro Yamamoto.
Nel 1989 Kurt Cobain e Mark Lanegan, entrambi fan della musica del folksinger Lead Belly, si ritrovano in studio per registrare un album di cover. Il progetto si arena dopo poco tempo, ma dall'esperienza Lanegan trae lo stimolo per sperimentarsi come solista. Cobain farà una cover acustica del brano Where did you sleep last night di Lead Belly nel celeberrimo Umpugged in New York.
Nel 1990 i Nirvana propongono a Susan Silver, già con Soundgarden, Alice in Chains e Screaming Trees, di diventare anche la loro manager. Lei declina in quanto già impegnata con le sue band. È stata tuttavia ringraziata pubblicamente da Krist Novoselic durante la cerimonia per l'inserimento dei Nirvana nella Rock'nRoll of fame per i buoni consigli ricevuti ad inizio carriera.
Il titolo del brano Smells like teen spirit, singolo di massimo successo dei Nirvana e detonatore dell'intera grunge-mania, è ispirato ad una frase scritta sul muro da Kathleen Hannah delle Bikini Kill, durante una festa a casa di Kurt Cobain. Dopo sei mesi lui la chiama e le comunica che trova quella frase molto cool e la vuole usare per una canzone. Teen Spirit è un deodorante per ragazze adolescenti lanciato sul mercato nel '91, vendutissimo in seguito al successo del brano.
Nel 1991 Jerry Cantrell degli Alice in Chains, momentaneamente senza casa, trova ospitalità dalla manager della band, Susan Silver, nella casa dove vive con il marito Chris Cornell. Qui, in una piccola stanza, durante le notti trascorse a pensare al padre reduce dal Vietnam, Cantrell compone il brano Rooster.
Secondo il giornalista britannico Everett True, Courtney Love e Kurt Cobain si incontrano per la prima volta nel maggio 1991 ad un concerto delle L7 e dei Butthole Surfers.
Nel videoclip del brano Would? degli Alice in Chains, dedicato da Jerry Cantrell ad Andrew Wood, Layne Staley indossa una maglia arancione appartenuta a Wood, donatagli da colei che era la sua compagna al momento della morte, Xana La Fuente.
Nel 1992, agli MTV Awards, Kurt Cobain e Courtney Love hanno un diverbio con Axl Rose, il quale in precedenza li ha definiti pubblicamente un drogato e la moglie di un drogato'. Provocato da Courtney, Axl minaccia Kurt, il quale replica con sarcasmo suscitando l'ilarità delle persone presenti. Spiazzato, Rose si allontana
Nel 1992, al Reading Festival, in UK, le L7 si esibiscono con mille problemi tecnici e dal pubblico arrivano palle di fango. Infastidita dalla situazione, la cantante Donita Sparks si sfila il tampax e lo lancia sulla folla, gridando "Eat my tampons, fu**ers". L'episodio è noto come 'tampon incident. Nello stesso anno, sempre in UK, durante il programma The Word, Sparks si abbassa i pantaloni esibendo le parti intime in un nudo full frontal che fa scandalo.
Nel 1993, a Stoccolma, durante un concerto degli Alice in Chains, un ragazzo tra il pubblico fa il saluto nazista e disturba con spintoni e insulti. Layne Staley lo invita sul palco e poi lo colpisce con un pugno, gridando Fu**ing Nazis die. Il ragazzo chiama la polizia, Staley prende il traghetto per la Finlandia e la band viene trattenuta fino al suo ritorno. Chiarita la dinamica dei fatti, gli AIC vengono lasciati andare.
Nel 1993, a São Paulo, in Brasile, durante il festival Hollywood Rock, membri delle Hole, degli Alice in Chains, dei Nirvana e delle L7 fanno baldoria insieme. Stando al libro di memorie di Patty Schemel, batterista delle Hole, il gruppo si ritrova in una suite prenotata da Maria, spacciatrice di fiducia, incaricata da Staley e Cobain di procurare eroina dagli USA
Nel 1993, durante il Lollapalooza Festival, in cartellone ci sono Primus, Dinosaur Jr., Fishbone, Arrested Development, Front 242, Tool, Rage against the machine, Alice in Chains e Babes in Toyland, le quali vantano il camerino meglio fornito di alcol e junk food. Stando ai ricordi di Maureen Herman e Lori Barbero, rispettivamente bassista e batterista della band, Layne Staley fa amicizia con loro fin dalla prima sera del tour. In particolare, lega con la cantante e chitarrista Kat Bjelland, con cui passa molto tempo. Jerry Cantrell ricorda il festival come il tour più divertente mai fatto, con grande interazione tra le band, che suonavano e si divertivano insieme.
Nel 1994, dopo la morte di Kurt Cobain, Mark Lanegan si presenta ad un banco dei pegni dove un amico gli riferisce che Courtney Love è passata poco prima e ha lasciato materiale informativo sul Musicians’ Assistance Program, ideato dal sassofonista jazz Buddy Arnold per sostenere la disintossicazione di musicisti in condizioni di indigenza. Inizialmente Lanegan è diffidente, poi accetta di entrare nel programma. Courtney lo sostiene economicamente e gli scrive una lettera in cui gli ricorda l'affetto fraterno che Kurt aveva per lui. Nella sua autobiografia (2020), Lanegan definisce la generosità di Courtney un gesto che non potrà mai ripagare.
Nell'aprile 1994, pochi giorni dopo la morte di Cobain, i Pearl Jam sono in visita alla Casa Bianca per discutere con lo staff presidenziale su dei concerti in una base militare. A sorpresa, l'allora presidente Bill Clinton chiede di incontrare la band e la invita nello Studio Ovale. Qui comunica ad Eddie Vedder che sta valutando di fare un discorso alla nazione, scossa dalla notizia. Vedder risponde che, dato il rischio di effetto emulazione, un discorso sarebbe un errore.
Nel 1996, ai Litho Studios di Seattle, i Pearl Jam stanno registrando No Code. Una volta finito, lasciano sul divano dello studio un manichino a grandezza naturale, Safety Man. Poco dopo i Soundgarden utilizzano lo stesso studio per registrare Down on the upside. Un giorno Chris Cornell arriva per primo, indossa gli abiti del manichino e prende il suo posto sul divano, dove siede immobile per oltre venti minuti. All'improvviso balza dal divano verso Matt Bayles, ingegnere del suono, che non si era accorto di nulla, spaventandolo a morte. L'episodio è raccontato da Stone Gossard e Mike Mc Cready durante una chat su Reddit (2020).
Note
Voci correlate
Rock alternativo
College rock
Punk rock
Hardcore punk
Heavy metal
Post-grunge
Riot grrrrl
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2027 | https://it.wikipedia.org/wiki/Gran%20Bretagna | Gran Bretagna | La Gran Bretagna ( o più familiarmente Britain; in scots Great Breetain; in gaelico scozzese Breatainn Mhór; ; in cornico Breten Veur; in italiano, anticamente, Britannia e Albione) è un'isola europea dell'oceano Atlantico situata a nordovest dell'Europa continentale.
Si sviluppa per circa in direzione nord-sud e presenta un'estensione massima di circa in direzione est-ovest; la sua distanza minima dal continente, da cui è separata dal canale della Manica, è di presso lo stretto di Dover, che divide l'isola dalla Francia.
Con una superficie di è l'isola più grande d'Europa e la nona più estesa del mondo, nonché la maggiore dell'arcipelago britannico che comprende, oltre all'isola d'Irlanda, la seconda più estesa del gruppo, anche l'isola di Man e altre isole e arcipelaghi minori. Amministrativamente l'isola di Gran Bretagna appartiene al Regno Unito e il suo territorio è diviso fra tre delle sue quattro nazioni costitutive: la Scozia nella parte settentrionale, l'Inghilterra in quella centromeridionale e il Galles, che si affaccia sul mare d'Irlanda, in quella centro-occidentale.
Dal punto di vista puramente geografico il termine Gran Bretagna designa sia l'isola principale sia quelle che la circondano (quali le isole Anglesey e Wight, e le isole Ebridi, le Orcadi e le Shetland). Dal punto di vista politico, il termine è a volte usato (impropriamente) con riferimento a tutto il Regno Unito (formato però anche dall'Irlanda del Nord, regione nord-orientale dell'isola d'Irlanda); ed è usato specialmente, in ambito sportivo, per indicare le rappresentative e le squadre del Regno Unito.
Origini e nomenclatura
Nei secoli la Gran Bretagna si è evoluta politicamente da diversi stati indipendenti (Inghilterra, Scozia e Galles), passando attraverso due regni con un singolo monarca (Inghilterra e Scozia), un singolo Regno di Gran Bretagna, fino alla situazione attuale, a partire dal 1801, nel quale la Gran Bretagna assieme all'Irlanda del Nord compone il Regno Unito, cui viene spesso erroneamente riferito il nome "Gran Bretagna" o semplicemente "Inghilterra".
Due regni per una monarchia
Il termine Gran Bretagna venne inizialmente usato in modo diffuso durante il regno di re Giacomo VI di Scozia, I d'Inghilterra per descrivere l'isola sulla quale coesistevano due regni governati dallo stesso monarca. Anche se Inghilterra e Scozia rimanevano legalmente in esistenza come due Stati separati con i rispettivi parlamenti, collettivamente venivano indicati come Gran Bretagna.
Nel 1707, un Atto di Unione unì assieme i due Stati. L'Atto usava due differenti termini per descrivere il nuovo Stato insulare, un "Regno unito" e il "Regno di Gran Bretagna". Il primo termine viene generalmente, anche se non universalmente, visto come una descrizione dell'unione piuttosto che come il suo nome. Molti libri di testo descrivono il regno di tutta l'isola, che esistette tra il 1707 e il 1800 come il Regno di Gran Bretagna.
Nel 1801, sotto il nuovo Atto di unione questo regno si fuse con il Regno d'Irlanda, sul quale il monarca di Gran Bretagna aveva regnato. Il nuovo regno veniva chiamato, in maniera non ambigua, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. Nel 1922, ventisei delle trentadue contee irlandesi si separarono per formare lo Stato Libero d'Irlanda. Il regno così troncato è ora conosciuto come Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, che ora include anche un numero di territori d'Oltremare.
Spesso i termini si riferiscono all'intero Regno Unito o ai suoi predecessori, o a istituzioni ad esso associate, e non solo alla Gran Bretagna. Ad esempio, i monarchi del Regno Unito sono spesso chiamati "monarchi britannici", il Primo ministro del Regno Unito diventa il "Primo ministro britannico". Tale uso è generalmente ritenuto corretto. Comunque il termine inglese per britannico, come in "Regina d'Inghilterra" è chiaramente sbagliato; l'Inghilterra, nel senso di uno Stato separato, non esiste dal 1707.
Il termine isole del Nord Atlantico o IONA è stato usato recentemente per le Isole britanniche. Venne coniato come termine neutrale da usare nel tentativo di trovare l'accordo su Isole britanniche.
Perché "Gran" Bretagna invece che Britannia?
In realtà esistono due Bretagne: l'isola di Gran Bretagna, nell'arcipelago britannico, e la regione/penisola di Bretagna in Francia. Gli antichi Romani nominarono come Britannia l'isola, mentre quella regione della Gallia era da loro conosciuta come Armorica. In Francia sono conosciute come la Grande-Bretagne e Bretagne, in inglese come Great Britain e Brittany, dove great significa appunto "grande", mentre la y finale di Brittany va intesa come diminutivo e significa "piccolo". Questa doppia e contraddittoria nomenclatura si deve al Medioevo.
Il primo motivo fu dovuto alle invasioni dell'Isola di Britannia da parte degli Anglo-Sassoni, nel V secolo, che provocò la fuga di numerosi Britanni oltre la Manica, e che in larga parte si rifugiarono nella regione attuale, appunto di Bretagna, affine a loro dal punto di vista etnico e che per loro divenne la "Piccola Britannia". Altra causa storica medievale si fa inoltre risalire a quando i sovrani d'Inghilterra, tra il X e il XV secolo, possedettero vaste zone territoriali in Francia (la Bretagna appunto, ma anche Normandia, Aquitania, Angiò ecc.). Dopo la guerra dei cent'anni, i due Paesi si scissero definitivamente, ma la Corona inglese continuò a rivendicare dei diritti su quella francese.
Gran Bretagna o Regno Unito?
Gran Bretagna è semplicemente il nome dell’isola, con una valenza esclusivamente geografica. È anche l’isola più grande di tutto l’arcipelago britannico.
Regno Unito, invece, è la denominazione politica del Regno ed è formato da 4 nazioni (home nations); Inghilterra (con capitale Londra), Scozia (con capitale Edimburgo), Galles (con capitale Cardiff) ed Irlanda del Nord (con capitale Belfast).
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Collegamenti esterni |
2029 | https://it.wikipedia.org/wiki/Giulio%20Cesare%20%28disambigua%29 | Giulio Cesare (disambigua) |
Cinema e televisione
Julius Caesar – film del 1908 diretto da James Stuart Blackton – William V. Ranous
Giulio Cesare – film del 1909 diretto da Giovanni Pastrone
Giulio Cesare – film del 1913 prodotto dalla "Itala", regista sconosciuto
Giulio Cesare (noto anche con il titolo di Cajus Julius Caesar) – film del 1914 diretto da Enrico Guazzoni
Giulio Cesare (Julius Caesar) – film del 1953 diretto da Joseph L. Mankiewicz (1953)
Giulio Cesare (Julius Caesar) – miniserie televisiva di Uli Edel (2002)
Persone
Giulio Cesare – generale e dittatore romano
Giulio Cesare – nome proprio di persona maschile
Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto – primo imperatore romano
Gaio Giulio Cesare Germanico – imperatore romano della dinastia Giulio-Claudia
Germanico Giulio Cesare – generale romano
Gaio Giulio Cesare il Vecchio – senatore e pretore romano, padre di Giulio Cesare.
Giulio Cesare – cratere sulla Luna.
Liceo classico statale Giulio Cesare – celebre liceo classico di Roma
Navi
Giulio Cesare – nave da battaglia della prima guerra mondiale e della seconda guerra mondiale
Giulio Cesare – transatlantico italiano varato nel 1920
Giulio Cesare – transatlantico italiano varato nel 1950
Altro
Giulio Cesare – tragedia di William Shakespeare (titolo originale:The Tragedy of Julius Caesar)
Giulio Cesare – opera di Georg Friedrich Händel
Giulio Cesare – brano musicale di Antonello Venditti dell'album Venditti e segreti |
2031 | https://it.wikipedia.org/wiki/Gpl | Gpl |
Sigle
Gas di petrolio liquefatti – miscela di idrocarburi.
GNU General Public License – licenza per software libero stesa dalla Free Software Foundation.
Grand Prix Legends – videogioco di guida.
Glider Pilot Licence – licenza di pilota di aliante.
Codici
GPL – codice aeroportuale IATA dell'Aeroporto Potreru Grande di Guápiles (Costa Rica)
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2032 | https://it.wikipedia.org/wiki/Garante%20per%20la%20protezione%20dei%20dati%20personali | Garante per la protezione dei dati personali | Il Garante per la Protezione dei Dati Personali (GPDP), noto anche come Garante della privacy, è un'autorità amministrativa indipendente italiana istituita dalla legge 31 dicembre 1996, n. 675, per assicurare la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali e il rispetto della dignità nel trattamento dei dati personali.
Dal 2020 l'autorità è presieduta da Pasquale Stanzione.
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Ai sensi del Codice per la protezione dei dati personali è costituita da quattro membri, eletti dai due rami del Parlamento della Repubblica Italiana, che ne individuano due ciascuno.
Le candidature possono essere avanzate da persone che assicurino indipendenza e che risultino di comprovata esperienza nel settore della protezione dei dati personali, con particolare riferimento alle discipline giuridiche o dell'informatica e devono pervenire almeno trenta giorni prima della nomina e i curricula devono essere pubblicati negli stessi siti Internet.
I membri a loro volta eleggono uno di loro come presidente, il voto del quale prevale in caso di parità.
All'atto dell'istituzione il mandato dei componenti durava quattro anni e poteva essere rinnovato; dal 2005 la durata per i mandati successivi è fissata a sette anni e il mandato non può essere rinnovato.
Il codice etico
Il codice etico adottato dal Garante definisce l'insieme dei principi di condotta morale e i criteri fondamentali affinché i dipendenti che operano presso l'"Ufficio del Garante" operino con imparzialità e trasparenza nell'attività amministrativa, nonché mantengano il rispetto degli obblighi di riservatezza. A ogni dipendente è proibito fare uso delle informazioni non disponibili al pubblico per realizzare interessi privati e rilasciare informazioni relative ad atti e provvedimenti prima della loro comunicazione alle parti.
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"dati genetici, biometrici o dati che indicano la posizione geografica di persone od oggetti mediante una rete di comunicazione elettronica"
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"dati idonei a rivelare la vita sessuale o la sfera psichica trattati da associazioni, enti od organismi senza scopo di lucro, anche non riconosciuti, a carattere politico, filosofico, religioso o sindacale"
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"dati sensibili registrati in banche di dati a fini di selezione del personale per conto terzi, nonché dati sensibili utilizzati per sondaggi di opinione, ricerche di mercato e altre ricerche campionarie"
"dati registrati in apposite banche di dati gestite con strumenti elettronici e relative al rischio sulla solvibilità economica, alla situazione patrimoniale, al corretto adempimento di obbligazioni, a comportamenti illeciti o fraudolenti"
Nell'art. 39 ci sono gli obblighi di comunicazione al garante che riguardano il trasferimento di dati personali tra enti pubblici e il trattamento di dati personali che riguardino lo stato di salute.
All'art. 154, comma 5 viene definito il tempo utile di risposta del garante alle richieste di autorizzazioni, "fatti salvi i termini più brevi previsti per legge, il parere del Garante è reso nei casi previsti nel termine di quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta. Decorso il termine, l'amministrazione può procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere".
Potere sanzionatorio
Le sanzioni applicabili dal Garante si attuano sia all'ambito amministrativo sia a quello penale.
Sanzioni amministrative:
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art. 162 altre fattispecie come cessione dei dati, la violazione della disposizione, inosservanza delle misure necessarie e dei divieti
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2035 | https://it.wikipedia.org/wiki/Geometria | Geometria | La geometria ( e questo , composto dal prefisso geo che rimanda alla parola γή = "terra" e μετρία, metria = "misura", tradotto quindi letteralmente come misurazione della terra) è quella parte della scienza matematica che si occupa delle forme nel piano e nello spazio e delle loro mutue relazioni.
Storia
La nascita della geometria si fa risalire all'epoca degli antichi Egizi. Erodoto racconta che, a causa dei fenomeni di erosione e di deposito dovuti alle piene del Nilo, l'estensione delle proprietà terriere egiziane variavano ogni anno e dovevano quindi essere ricalcolate a fini fiscali. Nacque così il bisogno di inventare tecniche di misura della terra (geometria, nel significato originario del termine).
Lo sviluppo della geometria pratica è molto antico, per le numerose applicazioni che consente e per le quali è stata sviluppata, e in epoche remote fu a volte riservata a una categoria di sapienti con attribuzioni sacerdotali. Presso l'Antica Grecia, , si diffuse massicciamente l'uso della riga e del compasso (sebbene pare che questi strumenti fossero già stati inventati altrove) e, soprattutto, nacque l'idea nuova di usare tecniche dimostrative. La geometria greca servì da base per lo sviluppo della geografia, dell'astronomia, dell'ottica, della meccanica e di altre scienze, nonché di varie tecniche, come quelle per la navigazione.
Nella civiltà greca, oltre alla geometria euclidea che si studia ancora a scuola, e alla teoria delle coniche, nacquero anche la geometria sferica e la trigonometria (piana e sferica).
Geometria euclidea
La geometria coincide fino all'inizio del XIX secolo con la geometria euclidea. Questa definisce come concetti primitivi il punto, la retta e il piano, e assume la veridicità di alcuni assiomi, gli assiomi di Euclide. Da questi assiomi vengono quindi dedotti dei teoremi anche complessi, come il teorema di Pitagora ed i teoremi della geometria proiettiva.
La scelta dei concetti primitivi e degli assiomi è motivata dal desiderio di rappresentare la realtà, e in particolare gli oggetti nello spazio tridimensionale in cui viviamo. Concetti primitivi come la retta ed il piano vengono descritti informalmente come "fili e fogli di carta senza spessore", e d'altro canto molti oggetti della vita reale vengono idealizzati tramite enti geometrici come il triangolo o la piramide. In questo modo, i teoremi forniscono fin dall'antichità degli strumenti utili per le discipline che riguardano lo spazio in cui viviamo: meccanica, architettura, geografia, navigazione, astronomia.
Geometria piana
La geometria piana si occupa delle figure geometriche nel piano. A partire dal concetto primitivo di retta, vengono costruiti i segmenti, e quindi i poligoni come il triangolo, il quadrato, il pentagono, l'esagono, ecc.
Le quantità numeriche importanti nella geometria piana sono la lunghezza, l'angolo e l'area. Ogni segmento ha una lunghezza, e due segmenti che si incontrano in un estremo formano un angolo. Ogni poligono ha un'area. Molti teoremi della geometria piana mettono in relazione le lunghezze, angoli e aree presenti in alcune figure geometriche. Ad esempio, la somma degli angoli interni di un triangolo risulta essere un angolo piatto, e l'area di un rettangolo si esprime come prodotto delle lunghezze dei segmenti di base e altezza. La trigonometria studia le relazioni fra gli angoli e le lunghezze.
Geometria solida
La geometria solida (o stereometria) studia le costruzioni geometriche nello spazio. Con segmenti e poligoni si costruiscono i poliedri, come il tetraedro, il cubo e la piramide.
I poliedri hanno vertici, spigoli e facce. Ogni spigolo ha una lunghezza, ed ogni faccia ha un'area. In più, il poliedro ha un volume. Si parla inoltre di angoli diedrali per esprimere l'angolo formato da due facce adiacenti in uno spigolo. Molti teoremi mettono in relazione queste quantità: ad esempio il volume della piramide può essere espresso tramite l'area della figura di base e la lunghezza dell'altezza.
Figure curve
La geometria euclidea considera anche alcune figure curve. Le figure "base" sono la circonferenza nel piano e la sfera nello spazio, definite come luogo dei punti equidistanti da un punto fissato. Partendo da queste figure, ne vengono definite altre come il cono. A queste figure vengono associate grandezze analoghe ai poliedri: si parla quindi di lunghezza della circonferenza, di area del cerchio e di volume della sfera.
L'intersezione nello spazio di un cono con un piano forma una nuova figura curvilinea: a seconda dell'inclinazione del piano, questa è una ellisse, una parabola, un'iperbole o una circonferenza. Queste sezioni coniche sono le curve più semplici realizzabili nel piano. Ruotando una figura intorno ad una retta, si ottengono altre figure curve. Ad esempio, ruotando un'ellisse o una parabola si ottengono l'ellissoide ed il paraboloide. Anche in questo caso, il volume dell'oggetto può essere messo in relazione con altre quantità. La geometria euclidea non fornisce però sufficienti strumenti per dare una corretta definizione di lunghezza e area per molte figure curve.
Geometria cartesiana
La geometria cartesiana (o analitica) ingloba le figure ed i teoremi della geometria euclidea, introducendone di nuovi grazie a due altre importanti discipline della matematica: l'algebra e l'analisi. Lo spazio (ed il piano) sono rappresentati con delle coordinate cartesiane. In questo modo ogni figura geometrica è descrivibile tramite una o più equazioni (o disequazioni).
Rette e piani sono oggetti risultanti da equazioni di primo grado, mentre le coniche sono definite tramite equazioni di secondo grado. Equazioni polinomiali di grado superiore definiscono nuovi oggetti curvi. Il calcolo infinitesimale permette di estendere con precisione i concetti di lunghezza e area a queste nuove figure. L'integrale è un utile strumento analitico per determinare queste quantità. Si parla in generale quindi di curve e superfici nel piano e nello spazio.
Spazi vettoriali
Retta (passante per l'origine), piano (contenente l'origine) e spazio sono esempi di spazi vettoriali di dimensione rispettivamente 1, 2 e 3: infatti ogni punto è esprimile rispettivamente con 1, 2 o 3 coordinate. La geometria cartesiana è facilmente estendibile alle dimensioni superiori: in questo modo si definiscono spazi di dimensione 4 e oltre, come insiemi di punti aventi 4 o più coordinate.
Grazie all'algebra lineare, lo studio delle rette e dei piani nello spazio può essere esteso allo studio dei sottospazi di uno spazio vettoriale, di dimensione arbitraria. Lo studio di questi oggetti è strettamente collegato a quello dei sistemi lineari e delle loro soluzioni. In dimensione più alta, alcuni risultati possono contrastare con l'intuizione geometrica tridimensionale a cui siamo abituati. Ad esempio, in uno spazio di dimensione 4, due piani possono intersecarsi in un punto solo.
Geometria affine
In uno spazio vettoriale l'origine (cioè il punto da cui partono gli assi, di coordinate tutte nulle) gioca un ruolo fondamentale: per poter usare in modo efficace l'algebra lineare, si considerano infatti solo sottospazi passanti per l'origine. In questo modo si ottengono delle relazioni eleganti fra i sottospazi, come la formula di Grassmann.
Nella geometria affine il ruolo predominante dell'origine è abbandonato. I sottospazi non sono vincolati, e possono quindi essere paralleli: questo crea una quantità considerevole di casistiche in più. In particolare, la formula di Grassmann non è più valida. Lo spazio affine è considerato (fino alla scoperta della relatività ristretta) come lo strumento migliore per creare modelli dell'universo, con 3 dimensioni spaziali ed eventualmente 1 dimensione temporale, senza "origini" o punti privilegiati.
Geometria algebrica
Dal XIX secolo in poi l'algebra diventa uno strumento preponderante per lo studio della geometria. Nel tentativo di "abbellire" il quadro, e di ricondurre molte proprietà e teoremi ad un numero sempre minore di proprietà fondamentali, la geometria analitica viene progressivamente inglobata in un concetto più ampio di geometria: si aggiungono i "punti all'infinito" (creando così la geometria proiettiva), e si fanno variare le coordinate di un punto non solo nei numeri reali, ma anche in quelli complessi.
Geometria proiettiva
La geometria proiettiva nasce come strumento legato al disegno in prospettiva, e viene formalizzata nel XIX secolo come un arricchimento della geometria cartesiana. La geometria proiettiva include i "punti all'infinito" ed elimina quindi alcune casistiche considerate fastidiose, come la presenza di rette parallele.
In questa geometria molte situazioni si semplificano: due piani distinti si intersecano sempre in una retta, e oggetti differenti della geometria analitica (come le coniche ellisse, parabola e iperbole) risultano essere equivalenti in questo nuovo contesto. La geometria proiettiva è anche un esempio di compattificazione: similmente a quanto accade con la proiezione stereografica, aggiungendo i punti all'infinito lo spazio diventa compatto, cioè "limitato", "finito".
Varietà algebriche
La geometria algebrica verte essenzialmente sullo studio dei polinomi e delle loro radici: gli oggetti che tratta, chiamati varietà algebriche, sono gli insiemi dello spazio proiettivo, affine o euclideo definiti come luoghi di zeri di polinomi.
Nel XX secolo il concetto di varietà algebrica assume un'importanza sempre maggiore. Rette, piani, coniche, ellissoidi, sono tutti esempi di varietà algebriche. Lo studio di questi oggetti raggiunge risultati impressionanti quando le coordinate dello spazio vengono fatte variare nel campo dei numeri complessi: in questo caso, grazie al teorema fondamentale dell'algebra, un polinomio ha sempre delle radici.
Questo fatto algebrico di grande importanza (esprimibile dicendo che i numeri complessi formano un campo algebricamente chiuso) ha come conseguenza la validità di alcuni teoremi potenti di carattere molto generale. Ad esempio, il teorema di Bézout asserisce che due curve di grado e nel piano che non hanno componenti in comune si intersecano sempre in punti, contanti con un'opportuna molteplicità. Questo risultato necessita che il "piano" sia proiettivo e complesso. In particolare, è certamente falso nell'ambito classico della geometria analitica: due circonferenze non devono intersecarsi necessariamente in 4 punti, possono anche essere disgiunte.
Lo studio della geometria nello spazio proiettivo complesso aiuta anche a capire la geometria analitica classica. Le curve nel piano cartesiano reale possono ad esempio essere viste come "sezioni" di oggetti più grandi, contenuti nel piano proiettivo complesso, ed i teoremi generali validi in questo "mondo più vasto e perfetto" si riflettono nel piano cartesiano, pur in modo meno elegante. Come lo studio della geometria affine fa largo uso dell'algebra lineare, quello delle varietà algebriche attinge a piene mani dall'algebra commutativa.
Geometria differenziale
La geometria differenziale è lo studio di oggetti geometrici tramite l'analisi. Gli oggetti geometrici non sono necessariamente definiti da polinomi (come nella geometria algebrica), ma sono ad esempio curve e superfici, cioè oggetti che, visti localmente con una lente di ingrandimento, sembrano quasi rettilinei o piatti. Oggetti cioè "senza spessore", e magari un po' curvi. Come la superficie terrestre, che all'uomo sembra piatta, benché non lo sia.
Questo concetto di "spazio curvo" è espresso tramite la nozione di varietà differenziabile. La sua definizione non necessita neppure di "vivere" in uno spazio ambiente, ed è quindi usata ad esempio nella relatività generale per descrivere intrinsecamente la forma dell'universo. Una varietà può essere dotata di una proprietà fondamentale, la curvatura, che viene misurata tramite oggetti matematici molto complessi, come il tensore di Riemann. Nel caso in cui lo spazio sia una curva o una superficie, questi oggetti matematici risultano più semplici: si parla ad esempio di curvatura gaussiana per le superfici.
Su una varietà dotata di curvatura, detta varietà riemanniana, sono definite una distanza fra punti, e le geodetiche: queste sono curve che modellizzano i percorsi localmente più brevi, come le rette nel piano, o i meridiani sulla superficie terrestre.
Geometrie non euclidee
Con la geometria differenziale è possibile costruire un "piano" in cui valgono tutti i postulati di Euclide, tranne il quinto, quello delle parallele. Questo postulato ha avuto un'importanza storica fondamentale, perché ci sono voluti 2000 anni per dimostrare la sua effettiva indipendenza dai precedenti. Asserisce che, fissati una retta ed un punto non contenuto in , esiste un'unica retta parallela a e passante per .
Una geometria non euclidea è una geometria in cui valgono tutti gli assiomi di Euclide, tranne quello delle parallele. La sfera, con le geodetiche che giocano il ruolo delle rette, fornisce un esempio semplice di geometria non euclidea: due geodetiche si intersecano sempre in due punti antipodali, e quindi non ci sono rette parallele. Un tale esempio di geometria è detta ellittica. Esistono anche esempi opposti, in cui ci sono "così tante" rette parallele, che le rette parallele a e passanti per sono infinite (e non una). Questo tipo di geometria è detta iperbolica, ed è più difficile da descrivere concretamente.
Topologia
La topologia è infine lo studio delle forme, e di tutte quelle proprietà degli enti geometrici che non cambiano quando questi vengono deformati in modo continuo, senza strappi. La topologia studia tutti gli oggetti geometrici (definiti in modo algebrico, differenziale, o quant'altro) guardando solo la loro forma. Distingue ad esempio la sfera dal toro, perché quest'ultimo ha "un buco in mezzo". Studia le proprietà di connessione (spazi "fatti di un pezzo solo") e di compattezza (spazi "limitati"), e le funzioni continue fra questi.
Le forme degli oggetti vengono codificate tramite oggetti algebrici, come il gruppo fondamentale: un gruppo che codifica in modo raffinato la presenza di "buchi" in uno spazio topologico.
Geometria e geometrie
Nel 1872 Felix Klein elaborò un programma di ricerca, l'Erlanger Programm, in grado di produrre una grande sintesi delle conoscenze geometriche e integrarle con altri settori della matematica, quali la teoria dei gruppi.
Nella prospettiva di Klein una geometria consiste nello studio di proprietà di uno spazio che sono invarianti rispetto ad un gruppo di trasformazioni (geometria delle trasformazioni):
La geometria euclidea si occupa di proprietà che sono invarianti rispetto a isometrie, cioè trasformazioni che preservano lunghezze e angoli.
La geometria affine si occupa di proprietà che sono invarianti per trasformazioni affini. In ambito di geometria affine non ha più senso il concetto di "angolo" o di "lunghezza" e tutti i triangoli sono "equivalenti".
La geometria proiettiva studia le proprietà che sono invarianti per trasformazioni proiettive, cioè trasformazioni che possono essere ottenute mediante proiezioni. In ambito proiettivo tutte le coniche sono equivalenti potendo essere trasformata l'una nell'altra da una proiezione.
La topologia studia proprietà che sono invarianti per deformazioni continue. Dal punto di vista topologico una tazza ed una ciambella diventano equivalenti potendo essere deformate l'una nell'altra ma rimangono distinte da una sfera che non può essere "bucata" senza una trasformazione discontinua.
Applicazioni
La geometria analitica e l'algebra lineare forniscono importanti collegamenti tra l'intuizione geometrica e il calcolo algebrico che sono diventati ormai una parte costitutiva di tutta la matematica moderna e delle sue applicazioni in tutte le scienze. La geometria differenziale ha trovato importanti applicazioni nella costruzione di modelli per la fisica e per la cosmologia. La geometria piana e dello spazio fornisce inoltre degli strumenti per modellizzare, progettare e costruire oggetti reali nello spazio tridimensionale: è quindi di fondamentale importanza in architettura e in ingegneria come anche nel disegno e nella computer grafica.
Geometria descrittiva
La geometria descrittiva è una disciplina che permette, attraverso determinate costruzioni grafiche, di rappresentare oggetti tridimensionali già esistenti (rilievo) e/o da costruire (progettazione). L'applicazione informatizzata della geometria descrittiva permette oggi la creazione di superfici e solidi, anche ad alta complessità tridimensionale. Inoltre, e soprattutto, ne permette il controllo in modo inequivocabile di ogni loro forma e dimensione. I maggiori campi d'impiego della geometria descrittiva sono quelli dell'architettura, dell'ingegneria e quelli del design industriale.
Bibliografia
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volume 1, Geometria delle superfici dei gruppi di trasformazioni e dei campi, Editori Riuniti, 2011. ISBN 978-88-6473-232-9
volume 2, Geometria e topologia delle varietà, Editori Riuniti, 2011. ISBN 978-88-6473-233-6
volume 3, Metodi della teoria delle omologie, Editori Riuniti, 2011. ISBN 978-88-6473-234-3
Nikolai I. Lobachevsky, Pangeometry, traduction et édition: A. Papadopoulos, Heritage of European Mathematics Series, Vol. 4, European Mathematical Society, 2010.
Robin Hartshorne, Geometry: Euclid and Beyond, Springer 2000, ISBN 0-387-98650-2
Federigo Enriques, Questioni riguardanti la geometria elementare, Bologna Zanichelli 1900
Federigo Enriques, Ugo Amaldi Elementi di Geometria ad uso delle scuole superiori, Zanichelli Bologna 1903 (ristampe fino al 1992)
Federigo Enriques, Gli elementi di Euclide e la critica antica e moderna, 4 volumi, Roma e Bologna 1925
Federigo Enriques, Lezioni di geometria descrittiva, Bologna 1893
Guido Castelnuovo, Lezioni di geometria analitica e proiettiva, Roma, Milano, 1905
Guido Castelnuovo, Elementi di geometria analitica e proiettiva Roma, 1909
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Geometria analitica
Geometria descrittiva
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Matematica
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2041 | https://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio%20Gaber | Giorgio Gaber | Soprannominato Il Signor G dai suoi estimatori, è stato un chitarrista di valore, utilizzando per lo più strumenti costruiti da Carlo Raspagni; è stato tra i primi interpreti del rock and roll italiano alla fine degli anni cinquanta, nonché autore e attore teatrale, divenendo un precursore del genere del teatro canzone. È uno tra gli artisti con il maggior numero di riconoscimenti da parte del Club Tenco, con due Targhe e un Premio Tenco.
Biografia
Gli esordi
Giorgio Gaberščik nasce il 25 gennaio 1939 a Milano, nel quartiere Sempione, in via Francesco Londonio 28 (sul palazzo è stata collocata una targa commemorativa), da una famiglia della medio-piccola borghesia; i genitori si conobbero e si sposarono in Veneto (di dove era originaria la famiglia di sua madre) e in seguito si trasferirono in Lombardia per migliorare la loro condizione.
Il padre Guido (Trieste, 18 luglio 1903 – Milano, 28 gennaio 1977) è impiegato, la madre Carla Mazzoran (Milano, 11 marzo 1906 – Milano, 29 luglio 1984) è casalinga ed il fratello Marcello, maggiore di sei anni, compie gli studi di geometra e suona la chitarra per diletto. Lo stato di salute di Giorgio è cagionevole: durante l'infanzia si ammala due volte di poliomielite. Il primo attacco, occorsogli verso gli otto-nove anni, colpisce il braccio sinistro e gli procura una lieve paralisi alla mano. Il padre gli regala una chitarra affinché eserciti le dita con piacere, non come una costrizione. Approfittando del fatto che il fratello la sa già suonare, anche Giorgio impara a usare lo strumento. L'idea darà buoni risultati, sia sotto l'aspetto medico sia artistico. Da adulto, Gaber dirà: "Tutta la mia carriera nasce da questa malattia".
I suoi chitarristi modello sono i jazzisti statunitensi: Barney Kessel, Tal Farlow, Billy Bauer. Gaber, da adolescente, non pensa ancora a cantare: è essenzialmente uno strumentista. Vive la musica come momento di divertimento, di svago, essendo la sua attività principale quella di studente. Cerca di imparare anche dai musicisti italiani: a Milano può ascoltare dal vivo il chitarrista Franco Cerri, che si esibisce spesso alla Taverna Messicana.
La sua carriera da chitarrista inizia nel gruppo di Ghigo Agosti «Ghigo e gli arrabbiati», formazione che nasce all'Hot Club di Milano, ed esordisce al festival jazz del 1954, non facendosi ancora chiamare "Gaber" ma presentandosi al pubblico con il suo vero cognome. Dopo due anni di spettacoli, tra musica leggera e jazz, entra nei Rock Boys, il complesso di Adriano Celentano, in cui al pianoforte suona Enzo Jannacci. Nel 1957 il gruppo compare in televisione nella trasmissione abbinata alla Lotteria Italia Voci e volti della fortuna.
Conosce in questo periodo Luigi Tenco, trasferitosi a Milano da Genova. Con lui forma il suo primo gruppo, composto da Jannacci al pianoforte, Tenco e Paolo Tomelleri al sax, Gaber e Gian Franco Reverberi alla chitarra. I Rocky Mountains Old Times Stompers (questo il nome completo del gruppo) si esibiscono nel celebre club milanese Santa Tecla. Gaber e Tenco compongono insieme alcuni brani, sviluppando parallelamente un'intensa amicizia. Tra il 1957 e il 1958 Gaber, Tenco, Jannacci, Tomelleri e Reverberi partecipano a una tournée di Adriano Celentano in Germania.
Nel 1958 si diploma ragioniere. In estate parte per Genova, dove trascorre la stagione estiva suonando nei locali in un trio basso-chitarra-pianoforte con Tenco, sperimentando per la prima volta le sue doti di cantante. In autunno si iscrive all'Università Bocconi di Milano, mantenendosi gli studi con il lavoro da chitarrista e cantante dei «Rocky Mountains» al Santa Tecla.
Viene notato da Nanni Ricordi, direttore artistico dell'omonima casa editrice musicale, che lo invita per un provino. Gaber inizia così la carriera da solista, con l'incisione per la neonata Dischi Ricordi, branca della storica casa editrice musicale per la musica leggera, di quattro canzoni, due originali in italiano: Ciao ti dirò (rock) e Da te era bello restar (lento), e due successi americani: Be-Bop-A-Lula e Love Me Forever. Sull'etichetta del 45 giri si legge: «Giorgio Gaber e la sua Rolling Crew». Per la prima volta appare il suo pseudonimo.
Firmata da Giorgio Calabrese e Gian Franco Reverberi Ciao ti dirò è uno dei primi brani rock in italiano; Gaber non fu accompagnato dal suo gruppo, ma da musicisti già sotto contratto per la Ricordi, tra cui Franco Cerri alla chitarra e Gianni Basso al sassofono, entrambi jazzisti. Il primo disco frutterà a Gaber un'apparizione in TV alla trasmissione Il Musichiere condotto da Mario Riva (1959).
Nella primavera del 1959 Gaber partecipa, con tutti i nuovi artisti del momento – tra cui Mina, Celentano e Little Tony – a una serata rock al Palazzo del Ghiaccio di Milano. Nello stesso anno forma con Enzo Jannacci un duo, I Due Corsari, che esordisce con il 45 giri 24 ore/Ehi! Stella. La formazione incide altri 45 giri: Una fetta di limone (1960) è uno dei loro maggiori successi. Alla fine del 1959 Gaber si iscrive alla SIAE, come melodista e paroliere.
Il successo
Dopo i primi 45 giri, Gaber raggiunge il successo nel 1960 con il lento Non arrossire, con il quale partecipa alla Sei giorni della canzone; nello stesso anno incide la sua canzone più conosciuta tra quelle del primo periodo, La ballata del Cerutti, con il testo dello scrittore Umberto Simonetta. Nel corso degli anni sessanta i testi delle canzoni di maggior successo di Gaber sono firmati dallo scrittore. Tra esse, Trani a gogò (1962), Goganga, Porta Romana (1963), fruttano a Gaber molte apparizioni televisive.
Gaber è attratto anche dalla canzone francese: ascolta gli chansonniers della Rive gauche parigina, a cui riconosce uno spessore culturale e un'attenzione ai testi che, a suo dire, mancano nella musica leggera italiana. Gaber afferma, a proposito: "Il mio maestro è stato Jacques Brel".
Gaber, come Gino Paoli, Sergio Endrigo, Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Enzo Jannacci e Luigi Tenco, è alla ricerca di un punto di equilibrio tra le influenze americane (rock e jazz) e la canzone francese. Tutti loro lo trovano nella canzone d'autore in italiano. I primi cantautori nostrani, con l'eccezione del precursore Domenico Modugno, emergono in questo periodo, e Gaber è tra loro.
Dopo un sodalizio sentimentale-artistico con la cantante e attrice Maria Monti (insieme avevano scritto Non arrossire), il 12 aprile 1965 Gaber sposa all'Abbazia di Chiaravalle Ombretta Comelli, in arte Ombretta Colli, attrice, cantante e studentessa di lingue orientali (russo e cinese) all'Università degli Studi di Milano, già concorrente a Miss Italia nel 1960. Il 12 gennaio 1966 nasce la loro unica figlia, Dahlia Deborah, conosciuta come Dalia.
Negli anni sessanta Gaber partecipa a quattro edizioni di Sanremo:
nel 1961 con il brano Benzina e cerini (scritto tra gli altri da Enzo Jannacci), in coppia con Maria Monti;
nel 1964 presenta Così felice (scritta con Sandro Luporini), in coppia con Patricia Carli;
nel 1966 con uno dei suoi successi più grandi, Mai, mai, mai (Valentina), in coppia con Pat Boone;
nel 1967 con ... E allora dài!; in coppia con Remo Germani.
I primi due sono pubblicati da Ricordi, gli ultimi due sono incisi per la Ri-Fi, etichetta a cui è passato nel 1965 dopo aver abbandonato la Ricordi. Dopo alcuni singoli, la Ri-Fi pubblica anche un'antologia "a mezzi" con successi di Gaber e di Mina, all'epoca altra artista di punta dell'etichetta (Mina & Gaber: un'ora con loro, ottobre 1965).
Nell'estate del 1966 Gaber partecipa al 14º Festival della canzone napoletana, dove si classifica al secondo posto con il brano di Alberto Testa e Giordano Bruno Martelli 'A Pizza, eseguito in coppia con Aurelio Fierro. Questo brano, insieme a Ballata de' suonne, di cui scrive la musica sulle parole di Riccardo de Vita, rappresenta l'unica incursione di Giorgio Gaber nella canzone napoletana.
Nel 1967 partecipa alla quarta edizione del Festival delle rose con il brano Suona chitarra, cantato in duetto con Pippo Franco. In quegli anni gira molti caroselli, partecipa a numerose trasmissioni televisive, idea e conduce le sue trasmissioni. Alterna all'attività di cantante quella di presentatore e organizzatore di programmi. Gaber è uno dei volti più popolari della televisione. Non dimentica i Rocky Mountains, con cui suona nei locali famosi e meno famosi di Milano. Contribuisce al lancio del giovane Franco Battiato.
Nel 1968 esce L'asse di equilibrio, unico album a carattere organico realizzato da Gaber con la Ri-Fi, poi il cantautore cambia casa discografica, passando alla Vedette. In quell'anno partecipa alla commedia musicale western per la Rai Non cantare, spara, con protagonista il Quartetto Cetra, dove veste i panni di Idaho Martin, detto il Meticcio, un cantastorie mezzosangue che canta la "Ballata di Idaho Martin" e riassume le puntate precedenti, all'inizio di ognuna delle otto puntate. Per la Vedette incide subito una canzone di successo, Torpedo blu, cui seguono Com'è bella la città (esempio di inserimento di tematiche sociali nella canzone) e Il Riccardo (entrambe nel 1969) e Barbera e champagne (nel 1970). In questo periodo nasce un'amicizia con il cantautore Claudio Chieffo, di profonda fede cattolica. Giorgio Gaber, ateo, di lui diceva: "Fa pensare".
Nel 1970 esce l'album Sexus et politica (realizzato con Antonio Virgilio Savona del Quartetto Cetra, conosciuto durante la registrazione di Non cantare, spara). Gaber esegue canzoni scritte su testi di autori latini. All'apice della popolarità, nel 1970 presenta il suo ultimo varietà televisivo: E noi qui, del sabato sera. Poi abbandona gli schermi TV e inizia una nuova carriera sul palcoscenico.
Il nuovo percorso artistico: il teatro canzone
L'esordio in teatro di Giorgio Gaber risaliva al 1959, al Teatro Girolamo con l'allora fidanzata Maria Monti. Il recital aveva per titolo Il Giorgio e la Maria. La Monti recitava dei monologhi su Milano, Gaber interveniva tra i monologhi con le sue canzoni. Nel 1960 Gaber aveva inciso un 45 giri con Dario Fo: Il mio amico Aldo, dove il primo cantava e il secondo recitava. Gaber aveva conosciuto il teatro di Fo e se ne era appassionato.
Nei primi anni sessanta aveva conosciuto Sandro Luporini, pittore viareggino. Insieme avevano scritto i testi di Così felice (1964), portata a Sanremo, e Barbera e champagne.
Il 1970 è l'anno della svolta: Gaber rinuncia all'enorme successo televisivo e porta "la canzone a teatro" (creando il genere che prenderà il nome di teatro canzone). Si sentiva "ingabbiato" nella parte di cantante e di presentatore televisivo, costretto a recitare un ruolo. Lascia questo ambiente e si spoglia del ruolo di affabulatore. Il Gaber che tutti hanno conosciuto non c'è più: appartiene al passato. Riparte da capo e si presenta al pubblico così com'è.
Per questo crea il «Signor G», un personaggio che non recita più un ruolo: recita sé stesso. Quindi "una persona piena di contraddizioni e di dolori", un signore come tutti: «il signor G è un signor Gaber, che sono io, è Luporini, noi, insomma, che tentiamo una specie di spersonalizzazione per identificarci in tanta gente». Oltre a inventare un nuovo personaggio, crea un nuovo genere, lo spettacolo a tema con canzoni che lo sviluppano, inframmezzate da monologhi e racconti. Con la sua nuova casa discografica, la Carosello, Gaber pubblica sia le registrazioni dal vivo degli spettacoli teatrali sia gli album registrati in studio.
Gli spettacoli e gli album del periodo 1970-1974
Per non fare un salto nel vuoto, Gaber aveva deciso già nel 1969 di testare la sua presa sul pubblico teatrale, così diverso rispetto a quello della televisione. L'occasione era venuta nientemeno che da Mina. All'inizio del 1970 (da gennaio a marzo) Gaber e la primadonna della musica leggera italiana realizzano una serie di recital nei teatri di molte città italiane. Gaber si esibisce nel primo tempo, Mina nel secondo tempo. La tournée viene ripetuta nella stagione seguente, nello stesso periodo.
Stagione 1970-71
Dopo un'anteprima il 6 ottobre 1970 presso gli studi Regson di Milano (ai fini della registrazione dello spettacolo dal vivo per la Carosello), il 21 ottobre «Il signor G» esordisce al Teatro San Rocco di Seregno, con la regia di Beppe Recchia e la direzione musicale di Giorgio Casellato. Gaber porta il recital in tournée nei teatri del circuito regionale lombardo.
Alla fine del 1970 fa l'unica apparizione televisiva di quell'anno: presenta la canzone Il signor G sul ponte a Canzonissima.
Lo spettacolo è prodotto da Paolo Grassi, allora direttore del Piccolo Teatro di Milano. Al termine di questa prima stagione Gaber fa un bilancio. I risultati non gli appaiono soddisfacenti, ma Grassi lo convince che ha trovato la strada giusta e gli dà un aiuto decisivo per proseguire lo spettacolo nella stagione successiva.
Gaber chiede all'amico Sandro Luporini di scrivere insieme a lui i testi delle canzoni e dei monologhi. Nascono così le Storie vecchie e nuove del signor G, una versione ampliata dello spettacolo dell'anno precedente. Dal 1971 Gaber e Luporini si ritroveranno tutte le estati a Viareggio per preparare lo spettacolo dell'anno successivo. L'ideazione dello spettacolo e la stesura dei testi avviene insieme, poi Gaber compone autonomamente le musiche.
Stagione 1971-72
Musica: I borghesi, album registrato in studio. Delle 11 canzoni che lo compongono si ricordano: il brano che dà il titolo all'album; Che bella gente, versione italiana di una canzone di Jacques Brel ("Ces gens-là"); una reincisione di La chiesa si rinnova con un nuovo testo e, come brano originale, L'amico.
Teatro: «Storie vecchie e nuove del Signor G» (esordisce al Piccolo Teatro il 28 dicembre 1971). Lo spettacolo è concepito come un ampliamento de "Il Signor G". Il tema dominante è il dialogo tra "G", un uomo adulto, e i giovani. In teatro Gaber si sente più libero: i testi (quasi interamente scritti con Sandro Luporini, cui la sua opera deve molto) si caratterizzano per l'intelligenza dello sviluppo di molte tematiche sociali e politiche, spesso controcorrente; Gaber si fa più aggressivo e arrabbiato e, avvalendosi del suo spessore artistico, si scaglia contro l'ipocrisia e la falsa coscienza delle persone. I musicisti che accompagnano Gaber sono: Giancarlo Messaggi al contrabbasso, Ivo Meleti alla chitarra, Giancarlo Ratti alla batteria e Giorgio Casellato al pianoforte.
Il 16 aprile (una domenica) Gaber appare in televisione nel programma Teatro 10 condotto da Alberto Lupo. Presenta L'amico e canta in duetto con Mina una fantasia dei suoi brani più noti.
Stagione 1972-73
Teatro: «Dialogo tra un impegnato e un non so». Si tratta di due personaggi che incarnano due modi diversi di affrontare la realtà. Così li descrive Gaber stesso: «Da una parte il poeta diciamo così borghese, coi suoi problemi, i suoi dolori, le sue cose: un tipo un po' compiaciuto, un po' narcisistico. Dall'altra, l'uomo che si è liberato del suo fardello individuale per dare un senso totale, collettivo alla propria vita». Per dare vita al dialogo, Gaber utilizza un nastro magnetico preregistrato con la propria voce. Gaber, il "Non so", sale sul palcoscenico e risponde di fronte al pubblico all'"Impegnato". Lo spettacolo affronta in maniera originale ed emozionante argomenti quali la disumanizzazione dell'individuo nel mondo capitalizzato (L'ingranaggio, Il pelo) e la presa di distanza da moralisti e intellettuali. Si imprimono nella memoria del pubblico Lo shampoo, in cui Gaber presenta con ironia un simbolismo tra la schiuma e la rinuncia a pensare, e La libertà.
Il disco dal vivo viene registrato nelle serate di esordio, quelle del 6-7-8 novembre 1972 a Genova. Molto apprezzato dai giovani, il "Dialogo" riscuote un grande successo; lo spettacolo fa spesso il tutto esaurito, frutto di un ininterrotto passaparola tra gli spettatori.
Nel 1973 Gaber firma due dischi: il primo è Recital Mina-Gaber, tratto dagli spettacoli tenuti nel 1970 e nel 1971. L'altro disco uscito in quell'anno è la raccolta Gaber al Piccolo, contenente brani tratti sia dal nuovo spettacolo sia da "Il signor G" e da "I borghesi".
Stagione 1973-74
Teatro: «Far finta di essere sani». Gaber canta 22 canzoni, di cui quattro riprese dallo spettacolo dell'anno precedente: I mastini, Lo shampoo, La libertà ed È sabato.
Gaber e Luporini sottolineano una certa incapacità di far convergere gli ideali con il vivere quotidiano, il personale con il politico. Il "signor G" vive, nello stesso momento, la voglia di essere una cosa e l'impossibilità di esserla.
È forte lo slancio utopistico, che ha il suo culmine nel brano Chiedo scusa se parlo di Maria a dominare la scena. L'esordio avviene come di consueto a Genova, il 2 ottobre 1973. L'ultimo spettacolo si tiene in un ospedale psichiatrico, a Voghera: è la prima volta per Gaber. Quasi interamente lo spettacolo viene presentato in un programma in quattro puntate della RSI (la radiotelevisione della Svizzera italiana) del 1973, che propone però un diverso ordine delle canzoni e dei monologhi rispetto a quanto messo in scena a teatro.
Questa volta non viene pubblicata la registrazione integrale dello spettacolo, ma solo le canzoni, senza i monologhi. La registrazione avviene tra il 12 e il 20 settembre a Milano, quindi prima della "prima". In teatro Gaber si esibisce da solo sul palco, senza musicisti, usando le basi musicali registrate.
Negli anni, l'affluenza del pubblico agli spettacoli di Gaber è decisamente aumentata: se "Il signor G" ha avuto in totale 18 000 spettatori; il "Dialogo" ha toccato le 166 recite con 130 000 presenze; "Far finta di essere sani" è stato rappresentato 182 volte e visto da 186 000 spettatori.
Con questo spettacolo termina il periodo di sintonia tra Gaber e il "movimento" (cioè il pubblico impegnato di sinistra). Da qui in avanti, infatti, il "cantattore" ne prenderà gradualmente le distanze, considerandolo ormai incapace di aggregare gli individui, se non cedendo al processo di massificazione.
Gli spettacoli del periodo 1974-1980
Stagione 1974-75
«Anche per oggi non si vola» è il primo spettacolo a insinuare il dubbio che il bisogno di cambiamento avvertito in quegli anni si stia dissolvendo in una sorta di moda o di atteggiamento di comodo: pezzi come Il coniglio, Angeleri Giuseppe, L'Analisi, La realtà è un uccello, smascherano con pungente ironia l'incapacità di proporre nel quotidiano dei veri e propri cambiamenti. L'idea del titolo dello spettacolo si deve a Luporini. Il pittore aveva sentito proferire per la prima volta questa frase da un suo amico. Si recava spesso nel suo negozio di colori. Quando l'amico lo vedeva con un'aria particolarmente assorta – tipica degli artisti che non riescono a liberare la propria vena poetica – gli diceva tra il serio e il faceto: "Anche per oggi non si vola". Lo spettacolo ottiene un grande successo, tanto che nella stagione teatrale successiva lo spettacolo antologico "Recital" ne conterrà vari monologhi e canzoni.
Anche per oggi non si vola viene registrato dal vivo il 9 ottobre 1974 a Milano ai fini dell'incisione del disco su etichetta Carosello. La sala è il Teatro Lirico meneghino, che viene riaperto per l'occasione dopo i restauri.
Nell'estate del 1975 si esibisce davanti a 40 000 persone alla "Festa del proletariato giovanile", al Parco Lambro a Milano. Gaber chiude il festival dopo Franco Battiato e la PFM.
Stagione 1975-76
Per ogni spettacolo Gaber dedica circa quattro mesi di preparazione. La tournée dura otto mesi: il teatro impegna il cantante per dodici mesi all'anno. Quest'anno decide di fare qualcosa di diverso. Si dedica soprattutto alla sceneggiatura di un film. Quanto al teatro, è in scena con Giorgio Gaber-Recital, spettacolo antologico dove presenta il meglio del suo teatro-canzone.
Decide di toccare quelle piazze che negli anni precedenti non era riuscito a raggiungere. La tournée infatti non tocca le grandi città.Il progetto del film viene rimandato.
Stagione 1976-77
Gaber e Luporini mettono in scena un nuovo spettacolo. Per il cantante è il sesto nella sua nuova vita professionale.
«Libertà obbligatoria» vive su un tema scottante: oggi siamo liberi o siamo obbligati a esser liberi? "Da un lato esistono persone che accettano passivamente tutto quanto viene loro propinato dal sistema. Dall'altro esistono quelli che credono di porsi in modo antagonistico al sistema, ma il loro antagonismo è fasullo e nel giro di breve tempo viene recuperato. Vedi la moda dei blue-jeans che ormai alimentano vere e proprie industrie. Entrambi i tipi non sfuggono alla massificazione". In questo spettacolo, della durata di tre ore, Gaber canta la memorabile Le elezioni. Un altro tema, che prende forma in questo spettacolo e che sarà ampliato in quelli successivi, è quello del rapporto tra l'individuo e il proprio corpo. Per Gaber-Luporini il sistema capitalistico è entrato talmente in profondità nella vita dell'uomo da modificare nell'individuo la coscienza del proprio corpo e dei propri bisogni.
"Libertà obbligatoria" nasce sul lago di Lugano invece che in Versilia. Quell'anno, infatti, la famiglia Gaber, per proteggere la piccola Dalia (erano tempi in cui purtroppo i rapimenti erano frequenti), decide di passare l'estate in una tranquilla località della Svizzera italiana, vicino a Lugano. Gaber è da solo sul palco con la sua chitarra. Senza l'orchestra dal vivo, le canzoni sono su basi registrate.
Lo spettacolo viene registrato dal vivo il 14 ottobre 1976 al Teatro Duse di Bologna per la Carosello. È l'ultimo spettacolo in cui Giorgio Casellato firma gli arrangiamenti. Durante la tournée Gaber è raggiunto dalla notizia della morte del padre (28 gennaio 1977).
Nel 1977-78 Gaber e Luporini preparano un testo per il teatro dal titolo Progetto per una rivoluzione a Milano 2, tratto dal libro di Alain Robbe-Grillet Progetto per una rivoluzione a New York, e ambientato proprio nella città satellite. Lo spettacolo rimarrà allo stadio di progetto.
Stagione 1977-78
Gaber replica «Libertà obbligatoria», portandolo nelle città dove non ha avuto occasione di recitare durante la stagione precedente. Sommando le due annate, Gaber sale sul palcoscenico 334 volte.
Stagione 1978-79
Polli d'allevamento (esordio il 3 ottobre a Parma) è il recital della vera e propria svolta: per la prima volta Gaber e Luporini avvertono nella società, da una parte, una crescente omologazione e, insieme, l'esaurirsi della spinta al cambiamento che aveva contrassegnato un intero decennio, a partire dal 1968. Esprimono tutta la loro delusione verso quei giovani che dichiarano di lottare «contro» il sistema, mentre in realtà la loro è una finta battaglia, è solo un atteggiamento. Le mezze misure vengono abbandonate per lasciare posto all'assoluto distacco da tutto ciò che è stato, come se si sentisse il bisogno di isolarsi da una società in caduta libera. Per segnare il loro cambiamento di posizione, Gaber e Luporini abbandonano il noi e usano il voi rivolgendosi alla propria generazione.
Anche questo spettacolo viene registrato dal vivo al Teatro Duse di Bologna (il 18 ottobre 1978) ai fini dell'incisione del disco su etichetta Carosello. Da questa stagione l'orchestrazione e l'arrangiamento dei pezzi sono curate da Franco Battiato e Giusto Pio, mentre Giorgio Casellato cura l'organizzazione e il coordinamento. Battiato e Pio si distaccano notevolmente da Casellato: al posto di basso, batteria e chitarre elettriche compaiono sintetizzatori, fiati e quartetti d'archi.
Lo spettacolo, che si sviluppa in un crescendo di tensione (magistrali i monologhi "La pistola" e "Il suicidio") culmina nelle canzoni La festa e Quando è moda è moda (brano finale dello spettacolo). Polli d'allevamento scatena una grande ondata di sdegno da parte di quelle aree del mondo politico che avevano sempre tentato di tenere sotto controllo il clamore mediatico provocato dal Teatro-canzone.
L'accoglienza nelle sale è difficile: in molti teatri Gaber viene fatto bersaglio del lancio di oggetti. Racconta: "È chiaro che mentre mi tiravano le monetine o mi insultavano per Quando è moda è moda dicevo: «Cavolo, guarda che avventura mi son preso. Ma chi me lo ha fatto fare?». Però, ripeto, è un grosso privilegio il poter andare lì e dire quello che pensi". E ancora: "Quando finisco lo spettacolo, so benissimo che s'incavoleranno, che fischieranno, sento questa cosa che mi arriva addosso e di nuovo rimango con l'occhio spalancato di notte, mi ritrovo a non addormentarmi fino alle otto di mattina per superare questo choc dello scontro". Al termine dell'estenuante tournée, Gaber decide di scendere dal palcoscenico. Scioglie la compagnia e si ferma per due anni.
In occasione della Festa di Sant'Ambrogio, il 7 dicembre 1978, il Comune di Milano assegna una Medaglia d'oro a 25 tra cittadini e istituzioni benemerite. Giorgio Gaber è uno di questi. Il 25 gennaio 1979 Gaber compie quarant'anni. In estate compra una casa a Montemagno di Camaiore, sulle colline sovrastanti la costa versiliese. Da allora in poi gli incontri estivi con Luporini si svolgeranno, invece che in un albergo viareggino, nella nuova casa di Montemagno.
In quest'anno Gaber firma le musiche della commedia teatrale C'era un sacco di gente, soprattutto giovani, di Umberto Simonetta. Alla fine del 1979 Gaber ritorna in sala d'incisione e nel 1980 pubblica l'album Pressione bassa. Nello stesso anno esce la dirompente Io se fossi Dio, canzone della durata di 14 minuti, pubblicata dalla F1 Team (per il rifiuto della Carosello) su disco da 12 pollici inciso solo da un lato. La canzone era stata scritta nel 1978, dopo l'uccisione di Aldo Moro, ma fu pubblicata due anni dopo "perché le case discografiche avevano paura ad esporsi… avevano paura di cause legali".
Gaber assume definitivamente il ruolo di libero pensatore, in lotta contro qualsiasi parte politica: la canzone è uno sfogo personale che incarna i disagi di molti italiani, disillusi ma arrabbiati, e denuncia la sfiducia nei confronti dell'uomo che Gaber, sui modelli letterari di Céline e Giacomo Leopardi, applica alla sua arte.
Tra maggio e giugno del 1980 Gaber si esibisce dal vivo al Teatro Lirico di Milano. La Rai registra due spettacoli e realizza uno speciale, che manda in onda in quattro puntate in seconda serata di lunedì, dal titolo rispettivamente Quasi allegramente la dolce illusione (10 e 17 novembre) e Quasi fatalmente la dolce uguaglianza (24 novembre e 1º dicembre). È la prima riapparizione di Gaber in televisione (per quanto riguarda la RAi): l'ultima volta risaliva al 1972. La versione televisiva contiene sei tagli rispetto agli spettacoli dal vivo.
Gli spettacoli degli anni ottanta
Il 4 marzo 1981 al PalaLido Gaber partecipa, insieme a Francesco Guccini e Franco Battiato, a un concerto di raccolta fondi per il giornale Lotta Continua. Pubblica l'album Anni affollati. Nello stesso anno firma la regia della commedia musicale Ultimi viaggi di Gulliver; la partitura è co-firmata da Guccini-Alloisio-Colli (Ombretta)-Gaber-Luporini. Prende parte al film di Sergio Citti Il minestrone, interpretando il personaggio del "profeta".
Stagione 1981-82
Lo spettacolo «Anni affollati» è un recital più conciso e colto, ma non per questo meno tagliente. Già dal pezzo di apertura, Anni affollati appunto, si riesce a percepire il distacco che ormai si è creato fra il fervore degli anni settanta e l'attuale condizione sociale; quasi tutti i monologhi prendono spunto da particolari estremamente divertenti e irriverenti ("La masturbazione", "L'anarchico") per giungere a conclusioni terribili e disperate ("Il porcellino"). Infine, quando l'insostenibile peso dell'ipocrisia pare aver fatto traboccare il vaso, tutto l'astio verso le idiozie e le bassezze del mondo viene riversato nella spietata e apocalittica invettiva della ormai celebre Io se fossi Dio.
Gaber dichiara: "Ho inserito Io se fossi Dio nello spettacolo con qualche perplessità. Certo, pacificato non lo sono neanche oggi. Continuo a non leggere i giornali e a non votare. Mi sembrava talmente teatrale, talmente nata per il palcoscenico". La versione su disco viene registrata tra il 9 e il 12 febbraio 1982 al Teatro Carcano di Milano e viene pubblicata dalla Carosello con il titolo Il teatro di Giorgio Gaber.
Nel 1982 Gaber viene eletto presidente dell'«Associazione Autori di testi letterari e musicali».
Stagione 1982-83
Gaber è alla sua seconda prova come autore teatrale. Firma con l'inseparabile Luporini una commedia in due atti: Il caso di Alessandro e Maria. In questo spettacolo Gaber è anche attore, ricoprendo il ruolo di protagonista maschile. La protagonista femminile è Mariangela Melato, una delle attrici più richieste e apprezzate di quegli anni. Il tema è quello del rapporto di coppia, anche se non mancano riferimenti alla realtà sociale degli anni ottanta. La pièce esordisce il 22 ottobre 1982 a Parma.
Al termine della tournée Gaber registra un disco con Enzo Jannacci. I due si ritrovano per rievocare le canzoni degli anni sessanta della coppia I Due Corsari con un look rivisto e corretto in stile "The Blues Brothers". L'album, o meglio il Q Disc, s'intitola «Ja-Ga Brothers».
Nello stesso anno Gaber cura la regia della pièce teatrale Dolci promesse di guerra dei cantautori Alloisio-Lolli. Gaber è anche il produttore dello spettacolo.
Stagione 1983-84
Gaber si prende una pausa dal palcoscenico. Firma la regia della commedia musicale Una donna tutta sbagliata, con Ombretta Colli nel ruolo di protagonista unica. Fonda la sua etichetta di produzione: «GO Igest», con la quale pubblica l'album «Gaber», da ricordare almeno per Benvenuto il luogo dove e Occhio, cuore, cervello. Gaber è invitato in televisione da Gianni Minà, che lo ospita nella sua trasmissione. Appare in tre puntate, due nel 1983 (in cui canta Le elezioni e Quello che perde i pezzi) e una nel 1984, in cui presenta Benvenuto il luogo dove.
Stagione 1984-85
Ritorna sulla scena con «Io se fossi Gaber». Il tema è l'appiattimento, la massificazione. Lo spettacolo esordisce il 18 ottobre 1984 a Torino. Tra le novità c'è il ritorno del gruppo che suona dal vivo alle spalle del cantattore. Le canzoni: Gli altri, La massa, Qualcosa che cresce, Il deserto. Gaber dichiara: "Io se fossi Gaber nasce dalla polemica sul misterioso termine "massa", su quelli che hanno ceduto alla logica del mercato, sulla caduta di resistenza anche da parte degli ultimi che facevano il tifo per il gusto". La versione su disco viene registrata tra il 4 e il 10 marzo 1985 al Teatro Giulio Cesare di Roma ed è pubblicata ancora dalla Carosello con il titolo Io se fossi Gaber. È un doppio album con caratteristiche antologiche: alle canzoni nuove e ai nuovi monologhi si alterna materiale degli spettacoli precedenti come Le elezioni, Il dilemma o La pistola.
Gaber appare al Premio Tenco, dove si esibisce nel recital "…Dove tutto è ironia", poi nel programma televisivo Fantastico, trasmissione di punta di Rai 1 presentata da Pippo Baudo e Heather Parisi, in cui esegue Oh mamma e Pressione bassa.
Stagione 1985-86
"Io se fossi Gaber" è riproposto per la seconda stagione. Nello stesso anno Gaber firma la regia della commedia musicale Aiuto… sono una donna di successo, con Ombretta Colli nel ruolo di protagonista unica.
Stagione 1986-87
Gaber porta in scena "Parlami d'amore Mariù", in cui ripropone il tema del rapporto di coppia. Gaber dichiara: "Il mio protagonista è un uomo che prova a fare chiarezza in quel malessere poco individuabile che accompagna la vita. E lo fa attraverso un'indagine sui sentimenti".
Lo spettacolo esordisce il 25 ottobre 1986 a San Marino. Gaber vince il «Biglietto d'oro» Agis-BNL per la più alta media di spettatori della stagione.
La versione su disco viene registrata tra il 7 e il 9 maggio 1987 al Teatro Smeraldo di Milano ed è pubblicata dalla Carosello. Gaber pubblica anche l'album in studio Piccoli spostamenti del cuore. In estate Gaber appare a Taormina Arte, in cui canta I soli.
Stagione 1987-88
Gaber scrive insieme a Gian Piero Alloisio e Arturo Brachetti In principio Arturo, spettacolo teatrale interpretato da Brachetti. Nell'estate 1988 Gaber cura e dirige la rassegna teatrale «Professione comico», manifestazione che proseguirà negli anni seguenti a Venezia, fino al 1991.
Stagione 1988-89
Il decennio si conclude con il ritorno di Gaber a uno spettacolo di prosa, il secondo dopo Il caso di Alessandro e Maria: si tratta de «Il Grigio», lungo monologo pubblicato anche su disco. È la storia di un uomo "che si ritira da un mondo che non gli piace, va a vivere in una casa isolata: e lì è assalito da tutta la sua vita, gli tornano addosso tutte le ansie, è costretto a una continua autoanalisi." L'antagonista dell'uomo è un topo. Il protagonista entra dentro sé stesso "per guardarsi, per fare un bilancio. […] Quando l'uomo sprofonda nell'osservazione del sé, poi, riemerge, lentamente. È come la calma dopo la tempesta, si accetta. Tutto qui. Accettarsi."
Questo spettacolo si differenzia da quelli precedenti per due elementi: a) la scena non è una struttura astratta, ma un ambiente realistico in cui sono presenti oggetti veri (chitarra, videoregistratore); b) non è uno spettacolo di teatro-canzone, ma di prosa vera e propria, con un protagonista unico sul palco.
Lo spettacolo esordisce il 19 ottobre a Belluno. Gaber vince il «Premio Curcio» per il Teatro e il «Premio Ascot Brun» come migliore attore. La versione su disco viene registrata tra il 6 e il 9 aprile 1989 al Politeama di Genova ed è pubblicata dalla Carosello. In alcuni teatri vengono organizzati incontri-dibattito pomeridiani con il pubblico.
Durante la tournée del Grigio Giorgio avverte le prime avvisaglie della malattia che lo ha colpito. Dopo una cura in clinica, conclusasi con esito positivo, riprende a lavorare alacremente. Scrive le musiche originali di A che servono gli uomini?, commedia musicale con la regia di Pietro Garinei rappresentata al Teatro Sistina di Roma. Interpreti: Ombretta Colli, Massimo Ghini e Stefano Santospago.
Stagione 1989-90
"Il Grigio" è riproposto per la seconda stagione. Gaber e Ombretta Colli firmano a quattro mani la sceneggiatura di Una donna tutta sbagliata, quattro film TV di un'ora e mezzo ciascuno, con storie indipendenti l'una dall'altra. I film vanno in onda nell'ottobre 1989 su Rai 2. Protagonista è Ombretta Colli, con la partecipazione straordinaria di Gaber.
Dal 1989 al 1992 Gaber è direttore artistico del Teatro Goldoni di Venezia e del Toniolo di Mestre.
Il 25 maggio 1990 esordisce al Teatro Malibran di Venezia l'allestimento gaberiano di Aspettando Godot di Samuel Beckett (1952). Si adotta la traduzione italiana di Fruttero & Lucentini. Interpreti: lo stesso Gaber (Vladimiro), Enzo Jannacci (Estragone), Paolo Rossi (Lucky) e Felice Andreasi (Pozzo). Per la prima volta Gaber recita un testo teatrale non scritto da lui. Trova il tempo di curare anche la regia dello spettacolo teatrale di Beppe Grillo "Buone notizie", scritto con la collaborazione di Michele Serra. Nello stesso anno Gaber replica "Il Grigio" a Roma. È un trionfo: lo spettacolo supera il numero di spettatori raggiunto l'anno precedente.
Gli anni novanta
Stagione 1990-91
"Il Grigio" è riproposto per la terza stagione.
Durante una replica a Urbino, al Teatro Sanzio, il 13 marzo 1990, in occasione dell'attribuzione del Premio TeatrOrizzonti per la Drammaturgia, festival diretto da Massimo Puliani, Gaber viene contestato dalla "pantera" studentesca. L'artista placa le proteste degli studenti facendoli entrare a teatro.
In qualità di direttore artistico del Teatro Goldoni, Gaber organizza una serie di incontri pubblici con i protagonisti del teatro italiano. La serie «Incontro con l'attore» vede la partecipazione, tra gli altri, di Luca Ronconi, Mariangela Melato, Gabriele Lavia, Giorgio Strehler e Dario Fo.
Nel 1991 Gaber prende parte al film Rossini! Rossini! di Mario Monicelli nella parte dell'impresario Domenico Barbaja.L'interpretazione gli varrà una candidatura al David di Donatello per il miglior attore non protagonista.
In estate viene invitato per la prima volta al Festival La Versiliana, dove esegue una serie di recital su tutto il teatro canzone. L'appuntamento diventa abituale e avrà un seguito negli anni seguenti.
Dal 1991-92 al 1993-94
Gaber ritorna a cantare in teatro. Insieme a Luporini mette in scena uno spettacolo antologico, intitolato «Il Teatro Canzone», che ripercorre tutta la storia dei vent'anni precedenti. L'unico inedito è il monologo Qualcuno era comunista, lucida analisi di quello che il comunismo aveva significato per tante persone, in termini di speranze ma anche di illusioni, e di quello che la fine di quell'esperienza ha voluto dire per molti:
Alla fine dello spettacolo Gaber non disdegna, negli immancabili bis, di ripescare alcune canzoni degli anni sessanta, come Porta romana (accompagnata nel ritornello dai cori del pubblico) e Non arrossire. Inoltre, come suo solito, realizza anche nuove versioni di brani storici, come Io se fossi Dio. Sul palcoscenico Gaber è accompagnato da un complesso. I musicisti sono: Gianni Martini alla chitarra, Luigi Campoccia al piano, Claudio De Mattei al basso, Enrico Spigno alla batteria, Corrado Sezzi alle percussioni e Luca Ravagni alle tastiere. Tale formazione lo accompagnerà fino all'ultimo anno di attività.
Il recital esordisce il 5 novembre 1991 a Pesaro. La versione su disco viene registrata nel mese di gennaio 1992 al Teatro Carcano di Milano ed è pubblicata dalla Carosello.
In estate Gaber è di nuovo alla Versiliana. Tra luglio e agosto registra il suo primo home video: "Storie del Signor G" al Teatro Comunale di Pietrasanta.
Riguardo alle vendite dei suoi dischi, Gaber dichiara: "Intanto [i miei] erano dischi anomali: dal vivo, con il pubblico, poi erano doppi e a prezzi particolari, nel senso che costavano come un singolo. La fonte più cospicua erano le vendite nei teatri [la sera dello spettacolo], e di conseguenza non registrate nelle classifiche, perché le classifiche sono [basate] sui rilevamenti fatti nei negozi.
«Il teatro canzone» va in scena per tre stagioni consecutive, fino alla primavera del 1994. Gaber vince per la seconda volta il «Biglietto d'oro» Agis-BNL per lo spettacolo più visto.
In quell'anno esce l'album, registrato dal vivo, Io come persona.
Stagioni 1994-95 e 1995-96
Nelle due stagioni va in scena «E pensare che c'era il pensiero»: Gaber riprende ad analizzare la realtà sociale con nuove canzoni come Destra-Sinistra, Quando sarò capace d'amare e Mi fa male il mondo e nuovi monologhi come La sedia da spostare, L'equazione e Sogno in due tempi, ma anche riprendendo e attualizzando vecchi brani come La realtà è un uccello e La Chiesa si rinnova (1969), originariamente pensata per il Concilio Vaticano II, e ora adattata al pontificato di papa Giovanni Paolo II.
Da «E pensare che c'era il pensiero» vengono realizzati un album dal vivo nel 1994 e un altro nel 1995: il primo è registrato al Teatro Alfieri di Torino nel novembre 1994; il secondo è registrato al Teatro Regio di Parma nell'ottobre 1995.
Nel 1996 Gaber diventa nonno, con la nascita di Lorenzo, il primo figlio di Dalia. Nel 1999 arriverà il secondo nipote, Luca.
Dal 1997-98 al 1999-2000
Nel 1997 Gaber inizia ad avere seri problemi di salute e gli viene diagnosticato un carcinoma dei polmoni, che nei mesi di agosto e settembre lo costringe a un lungo ricovero. Una volta dimesso, si mette al lavoro per preparare il nuovo spettacolo, che esordisce a Lucca il 2 gennaio 1998.
Un'idiozia conquistata a fatica, anch'esso riproposto per due stagioni, vede la cessazione del rapporto del cantautore con la Carosello, l'etichetta che ha prodotto per più di vent'anni i suoi dischi; per qualche tempo Gaber autoproduce i suoi dischi, messi in vendita solo dopo gli spettacoli, con la Giom, creata ad hoc, per poi passare nel 2000 alla CGD Eastwest.
Artisticamente il tema forte dello spettacolo è la critica alla società degli anni novanta, evidente in canzoni come Il potere dei più buoni e in Il conformista, canzone di cui Adriano Celentano effettuerà una sua versione.
«Un'idiozia conquistata a fatica» va in scena per tre anni. L'ultima stagione ha una conclusione anticipata, in quanto nel febbraio del 2000 Gaber è costretto a sospendere la tournée sempre per problemi di salute. È l'ultimo spettacolo creato con Sandro Luporini. Da "Il Signor G" a "Un'idiozia conquistata a fatica" la coppia Gaber-Luporini ha firmato undici spettacoli, in una collaborazione dalla durata trentennale.
Gli ultimi anni
Il 13 aprile 2001 Gaber pubblica un nuovo disco realizzato in studio, a 14 anni da Piccoli spostamenti del cuore: La mia generazione ha perso. Il nuovo lavoro, da un lato presenta alcune canzoni degli spettacoli precedenti ri-registrate (Destra-Sinistra e Quando sarò capace d'amare), dall'altro contiene alcuni inediti fra cui La razza in estinzione, che ha nel testo il verso che dà il titolo all'album.
Ormai segnato dalla malattia, compare nello stesso anno in due puntate del programma 125 milioni di caz..te di e con il suo vecchio amico Adriano Celentano, insieme ad Antonio Albanese, Dario Fo, Enzo Jannacci; in una surreale partita a carte: i cinque cantano insieme Ho visto un re. Il successo di quelle serate lo spinge a mettersi al lavoro per un nuovo disco, ad appena sei mesi di distanza dall'uscita dell'ultimo lavoro.
L'album in questione sarà Io non mi sento italiano, che però verrà pubblicato postumo: a seguito dell'ulteriore aggravarsi della malattia, Giorgio Gaber muore nel pomeriggio del 1º gennaio 2003, poco prima di compiere 64 anni, nella sua casa di campagna a Montemagno di Camaiore, nei pressi di Lucca. I funerali si svolgono nel luogo dove si era sposato, l'abbazia di Chiaravalle, con rito cattolico, nonostante il cantautore non seguisse una confessione religiosa tradizionale. Il corpo riposa nella Cripta del Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.
Dopo la scomparsa
La Fondazione Giorgio Gaber nel 2004 ha creato in suo onore il Festival teatro canzone Giorgio Gaber. Hanno partecipato a questa manifestazione tra i più importanti artisti italiani che hanno riproposto nelle varie edizioni i brani di Giorgio Gaber. Tra le varie dediche, nel 2004, a Giorgio Gaber viene intitolato il rinnovato auditorium sotterraneo del Grattacielo Pirelli di Milano.
Il 3 febbraio 2010 il Comune di Trieste dedica una piazza a Giorgio Gaber.
Il 13 novembre 2012 viene pubblicato l'album tributo Per Gaber... io ci sono, un cofanetto composto da 3 CD contenente canzoni dell'artista interpretate da 50 artisti italiani.
Il 21 gennaio 2013, in occasione del decennale dalla sua scomparsa e a pochi giorni da quello che sarebbe stato il 74º compleanno dell'artista, Fabio Fazio ha condotto uno speciale di Che tempo che fa intitolato G di Gaber, un omaggio-tributo in cui alcuni artisti, alcuni amici di sempre del musicista, lo hanno ricordato interpretando le sue più celebri canzoni. Fra gli altri, hanno preso parte Enzo Iacchetti, Claudio Bisio (che ha duettato con Paolo Jannacci, figlio di Enzo), lo stesso Sandro Luporini, Roberto Vecchioni, Patti Smith, Paolo Rossi, Luca e Paolo, Rossana Casale, la vedova Ombretta Colli e tanti altri.
Il 2 ottobre 2019 viene emesso dal Ministero dello sviluppo economico un francobollo commemorativo, insieme a quelli dedicati a Pino Daniele e Lucio Dalla.
Il 7 novembre 2019 il Comune di Arezzo dedica una piazza a Giorgio Gaber.
Il 18 dicembre 2021, dopo venti anni di chiusura e lunghi lavori di ristrutturazione, viene riaperto lo storico Teatro Lirico di Milano, rinominato "Teatro Lirico Giorgio Gaber".
Archivio
L'archivio Giorgio Gaber è costituito da materiale discografico, audiovisivo, fotografico e testuale (manifesti, fotografie, partiture musicali, programmi di sala, album di rassegne stampa, dischi in vinile, compact disc, registrazioni su musicassette e videocassette) conservato presso l'Associazione culturale Giorgio Gaber.
Premi e riconoscimenti
1974: Premio Tenco, nella prima edizione della rassegna musicale;
1990: premio di Drammaturgia Festival TeatrOrizzonti - Urbino, Teatro Sanzio 13/3/1990;
1992: candidatura come miglior attore non protagonista al David di Donatello 1992 per il film Rossini! Rossini!;
2001: Targa Tenco per la migliore canzone, con il brano La razza in estinzione;
2003: Targa Tenco, postuma, per il miglior album, con Io non mi sento italiano.
Discografia
L'intero canzoniere di Giorgio Gaber è diviso in sei periodi, a seconda della casa discografica per la quale lavorava.
Il primo è quello con la Ricordi (1958-1964), segue quello Ri-Fi (1965-1967), quindi quello Vedette Records (1968-1969), quello Carosello (1970-1995) e, infine, quello Giom (1996-2000) e Cgd (2001-2003).
Il periodo 1958-1969 è quello del Gaber più o meno leggero e comprende circa 160 incisioni. Quello successivo fu riorganizzato da Gaber stesso nel 2002 in 11 doppi cd, a cui vanno aggiunti gli ultimi due in studio.
La discografia omette i dischi dove venivano ripubblicati brani già editi, salvo eccezioni dovute alla presenza di almeno un inedito.
Libri
Il grigio. Racconto teatrale in due atti, con Sandro Luporini, Milano, GOigest, 1988; Torino, Einaudi, 2003. ISBN 88-06-16472-4.
La libertà non è star sopra un albero. Antologia ragionata, Valentina Pattavina (a cura di), Torino, Einaudi, 2002. ISBN 88-06-16132-6.
Gaber in prosa. Il Teatro d'Evocazione di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, con Sandro Luporini, Milano, Bompiani, 1994. ISBN 88-452-2261-6.
Questi assurdi spostamenti del cuore. Monologhi in forma di racconto, con Sandro Luporini, Torino, Einaudi, 2004. ISBN 88-06-16846-0.
Canzoni e monologhi, con 2 DVD, Roma, Radiofandango, 2005.
Giorgio Gaber su Re Nudo. Articoli e interviste 1972-2002, con DVD, Siena, Re nudo, 2007. ISBN 978-88-87791-14-3.
Filmografia
Juke box - Urli d'amore, regia di Mauro Morassi (1959)
Canzoni a tempo di twist, regia di Stefano Canzio (1962)
Gli imbroglioni, regia di Lucio Fulci (1963)
Il minestrone, regia di Sergio Citti (1981)
Rossini! Rossini!, regia di Mario Monicelli (1991)
Trasmissioni televisive condotte
Canzoni da mezza sera presentata da Giorgio Gaber, regia di Lino Procacci giugno luglio (1962)
Teatrino all'italiana (1963)
Canzoniere minimo (1963, una delle prime trasmissioni dedicate alla musica d'autore)
Canzoni di un anno, programma musicale presentato da Giorgio Gaber e Flora Lillo, orchestra diretta da Franco Pisano, regia di Marcella Curti Gialdino, trasmesso 31 dicembre 1963
Milano cantata (1964)
Questo e quello (1964)
Le nostre serate (1965), affiancato in ogni puntata da Paolo Poli, Renata Mauro, Pino Presti, Vanna Brosio, Liliana Zoboli e Gian Costello
Diamoci del tu (1967, tra gli ospiti vi sono gli esordienti Francesco Guccini e Franco Battiato)
Giochiamo agli anni trenta (1968)
E noi qui (1970)
Gaber partecipa come cantante a Canzonissima nelle edizioni 1968-69-70.
È invitato come ospite in programmi celebri come Studio Uno (1966), Teatro 10 (1972) e Senza rete (1968-69-72-73).
Opere dedicate a Giorgio Gaber
G&G di Davide Barzi e Sergio Gerasi, romanzo a fumetti ispirato alle opere del cantautore e pubblicato da ReNoir Comics.
Gaber se fosse Gaber, spettacolo teatrale scritto e interpretato da Andrea Scanzi.
Chiedo scusa al signor Gaber Album-tributo di Enzo Iacchetti a Giorgio Gaber
Tre Signori di Enrico Ruggeri, canzone dedicata a Giorgio Gaber, Enzo Jannacci e Giorgio Faletti presentata fuori gara durante il Festival di Sanremo 2015
Quando sarò capace di amare - Massini racconta a Gaber, spettacolo teatrale di Stefano Massini - 2023
Riprese televisive del teatro canzone
Me, fuori di me (4 tempi) (RSI, 1973);
Quasi allegramente la dolce illusione (Rai 1, 1980);
Quasi fatalmente la dolce uguaglianza (Rai 1, 1980);
Storie del Signor G (Canale 5, 1992).
Note
Bibliografia
Antonio Sciotti, Enciclopedia del Festival della Canzone Napoletana 1952-1981, ed. Luca Torre, 2011.
Elena Vicini, Gaber nella foresta, Venezia, Blow-up, 1975.
Riccardo Piferi (a cura di), Canzoni e spettacoli di Giorgio Gaber, Roma, Lato Side, 1979.
Michele Straniero, Il signor Gaber, Milano, Gammalibri, 1979.
Mario De Luigi, Cultura & canzonette, Milano, Gammalibri, 1980.
Michele Serra, Giorgio Gaber. La canzone a teatro, Milano, Il Saggiatore, 1982.
Gianni Borgna (a cura di), Gino Paoli, Lucio Dalla, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Fabrizio De André, Roma, l'Unità, 1989.
Premio Armando Curcio per il Teatro 1989, Giorgio Gaber, Roma, Armando Curcio, 1990.
Fabrizio Zampa, Gaber, Giorgio, in Gino Castaldo (a cura di), Dizionario della canzone italiana, I, A-K, Milano, Curcio, 1990, pp. 730–732.
Pietro Saitta, Io... magari fossi Gaber, Roma, Argo, 1997.
Vincenzo Mollica (a cura di), Giorgio Gaber: parole e canzoni, con VHS, Torino, Einaudi, 2002. ISBN 88-06-16132-6.
Carlo Carli, Giorgio Gaber e il Teatro canzone. Definizione del Teatro canzone ed atti parlamentari, Roma, s.n., 2003.
Francesco Cuccurullo, Il teatro di Giorgio Gaber, Foggia, Bastogi, 2003. ISBN 88-8185-524-0.
Giandomenico Curi, Chiedo scusa se parlo di Gaber, Roma, Arcana, 2003. ISBN 88-7966-295-3.
Massimo Emanuelli, Il suo nome era Giorgio Gaber. Storia del Signor G, Milano, Greco & Greco, 2003. ISBN 88-7980-320-4.
Paolo Jachia, Giorgio Gaber. 1958-2003. Il teatro e le canzoni, Roma, Editori Riuniti, 2003. ISBN 88-359-5446-0.
Andrea Scanzi, C'è tempo. Ritratti a scomparsa, Ancona, PeQuod, 2003. ISBN 88-87418-47-0. (il racconto iniziale)
Micaela Bonavia (a cura di), Giorgio Gaber. Frammenti di un discorso..., Milano, Selene, 2004. ISBN 88-86267-99-1.
Massimiliano Finazzer (a cura di), Altri conformismi. Croce, Testori, De Felice, Rossi, Campanile, Gaber. Ri-lettura di un secolo attraverso i contrasti, le voci, i libri, Venezia, Marsilio, 2005. ISBN 88-317-8611-3.
Andrea Pedrinelli (a cura di), Il signor G. Canzoni, video, letture per conoscere Giorgio Gaber, Milano, Ergon, 2005.
Giulio Casale, Se ci fosse un uomo. Gli anni affollati del signor Gaber, Roma, Arcana, 2006. ISBN 88-7966-418-2.
Gianluca Veltri, Gaber Giorgio, in Enrico Deregibus (a cura di), Dizionario completo della canzone italiana, Firenze, Giunti, 2006. ISBN 978-88-09-04602-3.
Nicola Del Vecchio, Gabereide, Roma, Serarcangeli, 2006. ISBN 88-7408-076-X.
Andrea Pedrinelli, Non fa male credere. La fede laica di Giorgio Gaber, Milano, Àncora, 2006. ISBN 88-514-0401-1.
Sandro Neri, Gaber. La vita, le canzoni, il teatro, Firenze, Giunti, 2007. ISBN 978-88-09-05061-7.
Andrea Pedrinelli (a cura di), Gaber, Giorgio, il signor G. Raccontato da intellettuali, amici, artisti, Milano, Kowalski, 2008. ISBN 978-88-7496-754-4.
Massimo Puliani, Valeria Buss, e Alessandro Forlani Gaberscik. Il teatro di Giorgio Gaber. Testo, rappresentazione, modello, con DVD, Matelica, Hacca Editrice, 2009. ISBN 978-88-89920-30-5.
Guido Harari (a cura di), Gaber. L'illogica utopia, autobiografia per parole e immagini, in collaborazione con la Fondazione Giorgio Gaber, Milano, Chiarelettere, 2010. ISBN 978-88-6190-112-4.
Guido Harari (a cura di), Quando parla Gaber. [Pensieri e provocazioni per l'Italia di oggi], Milano, Chiarelettere, 2011. ISBN 978-88-6190-184-1.
Mauro Germani, Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero, Arezzo, Zona, 2013. ISBN 978-88-6438-329-3.
Voci correlate
Adriano Celentano
Luigi Tenco
Maria Monti
Mina
Enzo Jannacci
Festival di Sanremo
Ombretta Colli
Pino Presti
Virgilio Savona
Sandro Luporini
Sergio Endrigo
Teatro canzone
Altri progetti
Collegamenti esterni
Attori cinematografici italiani
Attori teatrali italiani
Cabarettisti italiani
Cantautori in lingua lombarda
Chitarristi italiani
Chitarristi rock and roll
Gruppi e musicisti della Lombardia
Gruppi e musicisti della Carosello
Gruppi e musicisti della Dischi Ricordi
Gruppi e musicisti della Ri-Fi
Gruppi e musicisti della Vedette
Registi italiani del XX secolo
Registi teatrali italiani
Conduttori televisivi di Rai 2 degli anni 1960
Partecipanti al Festival di Sanremo
Partecipanti al Festival di Napoli
Partecipanti a Canzonissima
Studenti dell'Università commerciale Luigi Bocconi
Studenti dell'Università degli Studi di Milano
Sepolti nel Cimitero Monumentale di Milano |
2042 | https://it.wikipedia.org/wiki/Massiccio%20del%20Gennargentu | Massiccio del Gennargentu | Il Massiccio del Gennargentu - il cui nome in lingua sarda significa La porta dell'argento - è un'area montuosa di grande estensione situata nella zona centro-orientale della Sardegna, in provincia di Nuoro, comprendente le cime più elevate dell'isola. Geologicamente è un'antica formazione rocciosa, caratterizzata da montagne di altezza moderata e con vette a profilo rotondeggiante: tra le tipologie di roccia maggiormente rappresentate nell'area vi sono scisti, graniti e rocce calcaree. La particolarità dell'ambiente e la presenza di specie endemiche, sia animali sia vegetali, hanno portato all'iscrizione della regione montuosa tra le zone di protezione speciale incluse nella rete Natura 2000.
Descrizione
Geologia
In Sardegna affiora una sezione completa della catena ercinica: dalle zone esterne della catena, che affiorano nella Sardegna sud-occidentale, fino a quelle interne, che affiorano nella parte nord-orientale dell'isola. La catena ercinica segue una direzione nordovest-sudest (NW-SE), ed è caratterizzata da raccorciamenti e da una zonazione tettono-metamorfica tipica delle orogenesi da collisione continentale. Il basamento sardo è costituito da un sistema di falde erciniche vergenti verso sud-ovest, nota come “zona a falde”, interposte tra il complesso metamorfico della Sardegna settentrionale e una zona esterna a thrust ed a pieghe intensamente deformata che affiora nella parte sud-occidentale dell'isola. Il massiccio del Gennargentu è situato nella zona a falde interne ed esterne; dal punto di vista strutturale è formato da una grande piega antiforme formatasi sempre durante l'orogenesi ercinica. Le formazioni vanno dal Cambriano superiore-Ordoviciano inferiore (arenarie di San Vito e Postgotlandiano) fino all'Olocene (depositi di versante); inoltre è presente il complesso intrusivo ercinico con le coperture mesozoiche. La morfologia attuale è riconducibile a sollevamenti crostali terziari legati all'orogenesi alpina, rototraslazione del blocco sardo-corso ed apertura del bacino tirrenico.
Territorio
Comprende tutta la zona della Sardegna centro-orientale e si estende nel territorio della provincia di Nuoro. Il suo nome deriva da Genna ("porta" in sardo) e argentu ("argento" in sardo), quindi "porta d'argento", per la forte presenza della roccia di scisto dal tipico aspetto metallico e argenteo che caratterizza questi rilievi montuosi. . Tra le sue montagne vi sono le cime più alte dell'isola:
Punta La Marmora (1.834 metri);
Bruncu Spina (1.829 metri);
Su Sciusciu (1.823 metri);
Punta Florisa (1.822 metri);
Punta Paolina (1.792 metri);
Punta Erbas Irdes (1.703 metri);
Bruncu Allasu (1.701 metri);
Monte e S'Iscudu (1.676 metri);
Monte Spada (1.595 metri);
Monte Genziana, Orrunori (1.505 metri);
Conca Giuanni Fais (1.496 metri);
Punta Mungianeddu (1.469 metri);
Monte Orguda (1.361 metri);
Monte Perdedu (1.334 metri);
Margiani e Pubusa (1.323 metri);
Bruncu Muncinale (1.267 metri);
Monte Idolo (1.240 metri);
Monte Santa Vittoria (1.212 metri).
Perda Liana (1.293 metri).
Monte Tisiddu (957 metri).
Sulle sue pendici si trovano le sorgenti di importanti fiumi della Sardegna, tra i quali il Flumendosa ed il Taloro.
Flora
Le caratteristiche climatiche del massiccio montuoso permettono lo sviluppo di una flora differente, le cui origini risalgono all'era terziaria, rispetto a quella che si può ritrovare nelle altre zone della Sardegna. Si possono quindi ritrovare residui di foreste formate da tassi (Taxus baccata), agrifogli (Ilex aquifolium), pioppi tremuli (Populus tremula) e noci bianchi (Juglans regia), oltre a specie come il ribes del Limbara (Ribes sandalioticum), l'elleboro di Corsica (Helleborus argustifolius), la rosa di montagna (Peonia mascula), il ranno alpino (Rhamnus alpina), la digitale rossa (Digitalis purpurea), la genziana maggiore (Gentiana lutea), la dafne spatolata (Daphne oleoides), la scrofularia alata (Scrophularia umbrosa) ed il ranunculo a foglie di platano (Ranunculus platanifolius). Vegetano inoltre alcune specie endemiche ed esclusive, con areale piuttosto limitato; l'eufrasia del Gennargentu (Euprhasia genargentea), la festuca di Moris (Festuca morisiana), il cardo microcefalo (Lamyropsis microcephala), lo spillone di Sardegna (Armeria sardoa), l'astragalo del Gennargentu (Astragalus genargenteus), la carlina sardo-corsa (Carlina macrocephala), il ranunculo a foglie di cimbalaria (Ranunculus cymbalarifolius), l'aquilegia di Sardegna (Aquilegia nugorensis), l'euforbia irlandese (Euphorbia hyberna), l'ellera terrestre di Sardegna (Glechoma sardoa), la crespolina maggiore (Santolina insularis) e la viola sardo-corsa (Viola corsica).
L'eccessiva pressione antropica, esercitata dal pascolo e dall'uso scorretto del suolo, ha favorito la comparsa di fenomeni di erosione e degrado ambientale. La vegetazione originaria, costituita da formazioni forestale di leccio (Quercus ilex), roverella (Quercus pubescens), tasso ed agrifoglio e noci bianchi, è stata sostituita parzialmente da stadi immaturi dominati da arbusti, steppe e praterie montane. La vegetazione ripariale, che cresce lungo le rive dei torrenti montani, è caratterizzata da foreste a galleria costituita da ontani (Alnus glutinosa). Le aree nelle quali dominano gli arbusti sono popolate da specie come il ginepro nano (Juniperus nana), il prugnolo prostrato (Prunus prostrata), il crespino dell'Etna (Berberis aetnensis) e la rosa dei Serafini (Rosa seraphini).
Fauna
La particolare morfologia del territorio e l'effetto dovuto all'insularità ha permesso l'evoluzione di specie e sottospecie adattate alle particolarità ambientali. Sulle montagne del Gennargentu si possono ritrovare varie specie di vertebrati. Tra gli anfibi vi sono l'euprotto sardo (Euproctus platycephalus), il geotritone imperiale (Speleomantes imperialis), il geotritone del Supramonte (Speleomantes supramontis), il discoglosso sardo (Discoglossus sardus), il rospo smeraldino (Bufotes viridis) e la raganella sarda (Hyla sarda). I rettili sono invece rappresentati dall'algiroide nano (Algyroides fitzingeri), dalla lucertola del Bedriaga (Archaeolacerta bedriagae), dalla lucertola tirrenica (Podarcis tiliguerta), dalla luscengola (Chalcides chalcides) e dal gongilo (Chalcides ocellatus). Vi sono, inoltre, il colubro ferro di cavallo (Coluber hippocrepis), il colubro (Coluber viridiflavus), la biscia viperina (Natrix maura) e la biscia d'acqua sarda (Natrix cettii).
Tra gli uccelli che, un tempo, popolavano le vette delle montagne vi erano anche il gipeto (Gypaetus barbatus) e l'avvoltoio monaco (Aegypius monachus), ora estinti sul massiccio del Gennargentu. Tra i rapaci si possono avvistare l'astore (Accipiter gentilis), lo sparviere (Accipiter nisus), la poiana (Buteo buteo), l'aquila reale (Aquila chrysaetos), il gheppio (Falco tinnunculus) ed il falco pellegrino (Falco peregrinus). Altri uccelli molto comuni sono la pernice sarda (Alectoris barbara), la quaglia (Coturnix coturnix), il piccione selvatico (Columba livia), il colombaccio (Columba palumbus), il cuculo (Cuculus canorus), il barbagianni (Tyto alba), l'assiolo (Otus scops), la civetta (Athene noctua), il succiacapre (Caprimulgus europaeus), il rondone (Apus apus), il rondone maggiore (Apus melba), il gruccione (Merops apiaster), l'upupa (Upupa epops), il picchio rosso maggiore (Picoides major) ed il picchio rosso minore (Picoides minor). Tra i passeriformi sono comuni la tottavilla (Lullula arborea), l'allodola (Alauda arvensis), la rondine montana (Ptyonoprogne rupestris), il balestruccio (Delichon urbica), il calandro (Anthus campestris), lo spioncello (Anthus spinoletta), la ballerina gialla (Motacilla cinerea), il merlo acquaiolo (Cinclus cinclus), lo scricciolo (Troglodytes troglodytes), il pettirosso (Erithacus rubecola), l'usignolo (Luscinia megarhynchos), il saltimpalo (Saxicola torquata), il culbianco (Oenanthe oenanthe), il codirossone (Monticola saxatilis), il passero solitario (Monticola solitarius), il merlo (Turdus merula), la tordela (Turdus viscivorus), la magnanina (Sylvia undata) e la magnanina sarda (Sylvia sarda), la sterpazzola di Sardegna (Sylvia conspicillata) e la sterpazzolina (Sylvia cantillans), la capinera (Sylvia atricapilla), il fiorrancino (Regulus ignicapillus), il pigliamosche (Muscicapa striata), la cincia mora (Parus ater), la cinciarella (Parus caeruleus), la cinciallegra (Parus major) e l'averla piccola (Lanius collurio). Tra i corvidi vanno citati la ghiandaia (Garrulus glandarius), il gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), la taccola (Coloeus monedula), la cornacchia grigia (Corvus cornix) ed il corvo imperiale (Corvus corax). Altri passeriformi molto comuni sono lo storno nero (Sturnus unicolor), la passera sarda (Passer hispaniolensis), la passera mattugia (Passer montanus), la passera lagia (Petronia petronia), il fringuello (Fringilla coelebs), il venturone (Serinus citrinella), il verdone (Carduelis chloris), il cardellino (Carduelis carduelis), il fanello (Carduelis cannabina), il frosone (Coccothraustes coccothraustes), lo zigolo nero (Emberiza cirlus) e lo strillozzo (Emberiza calandra).
Tra i mammiferi sono presenti la crocidura rossiccia (Crocidura russula), il mustiolo (Suncus etruscus), la lepre sarda (Lepus capensis), il quercino (Eliomys quercinus), il ghiro (Glis glis), il topo selvatico (Apodemus sylvaticus), il ratto nero (Rattus rattus), il topolino domestico (Mus musculus), la volpe (Vulpes vulpes), la martora (Martes martes), la donnola (Mustela nivalis), il gatto selvatico (Felis silvestris), il cinghiale (Sus scrofa) ed il muflone (Ovis musimon).
Il Parco Nazionale
e preserva una grande varietà di bellezze naturali e di risorse biologiche, tra le quali vari endemismi. Il parco comprende nella sua complessità i territori del Gennargentu e quelli del Supramonte, per giungere fino al mare dopo una serie di importanti monumenti naturali come il canyon della gola di Gorropu, la gigantesca dolina di "su Suercone", le voragini di "su Disterru" e del "Golgo", il monte di Oliena, il monte novo San Giovanni di Orgosolo, le guglie costiere di Goloritzè e di Pedra Longa, le cale di Goloritzè, di Luna, Sisine, Mariolu, le innumerevoli testimonianze archeologiche della civiltà nuragica. Nell'idea di parco è compresa anche la zona dei Tacchi d'Ogliastra, con eminenze geologiche quali "Perda Liana" e i "Tonneri", nei "Tacchi" sono importanti alcune importanti cascate stagionali, le Cascate di Lequarci, e sempre nei tacchi anche la Grotta di Su Marmuri, anche perché il Gennargentu è da intendersi come un sistema montano continuo che ricomprende per l'appunto i Supramontes ed i rilievi ogliastrini.
Per tutelarne le bellezze è stato istituito, nel 1998, il Parco Nazionale del Golfo di Orosei e del Gennargentu. Le creazione dell'area protetta ha incontrato notevoli difficoltà nella sua fase di istituzionalizzazione in seguito alle rilevanti resistenze delle popolazioni locali, fondate principalmente sul timore di espropriazione del proprio territorio. Le comunità locali hanno avvertito, infatti, il pericolo che il territorio compreso entro i confini del parco nazionale potesse essere sottratto a coloro che, per secoli, vi hanno vissuto.
Nel 2008, con la sentenza n. 626 emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale della Sardegna, è stato dichiarato improcedibile il ricorso per l'annullamento del decreto istitutivo del Parco nazionale del Golfo di Orosei e del Gennargentu. Tale decisione è stata presa in seguito alle modifiche introdotte dalla legge n. 266/2005, che prevedono l'applicazione delle misure di tutela disposte dal decreto istitutivo del Parco, solamente previa intesa tra lo Stato e la regione Sardegna.
Escursionismo
L'Ente foreste della Sardegna ha realizzato, così come in altre parti dell'isola, una serie di sentieri, tra loro collegati e dotati di un sistema di segnali che contraddistinguono i vari itinerari. Le montagne del Gennargentu sono attraversate da una parte di questi percorsi escursionistici, lungo i quali si trovano diversi punti panoramici e fonti.
I sentieri percorribili sono i seguenti:
Girgini T-700 – Si tratta di un sentiero turistico lungo il quale sono ubicati punti di ristoro e aree di sosta. È percorribile in fuoristrada, motocicletta, a piedi, a cavallo oppure in bicicletta. Si sviluppa per una lunghezza di 6,7 km e con un dislivello di 125 metri. Il tempo di percorrenza medio è stimato in due ore;
Gennargentu T-721 – Percorrendo questo sentiero è possibile giungere fino alla Punta La Marmora, seguendo il Sentiero Italia con il quale si interseca. Lungo il sentiero si trovano delle aree di sosta e dei punti di ristoro, nonché un rifugio montano. La lunghezza del percorso è di 5,3 km per un dislivello di 149 metri, percorribili mediamente in un'ora e mezzo;
Is Meriagos T-723 – Il sentiero è percorribile con vari mezzi (fuoristrada, motocicletta, a piedi, a cavallo oppure in bicicletta) e si sviluppa per una lunghezza di 8 chilometri. Il dislivello è di 265 metri ed il tempo di percorrenza stimato è di due ore e mezza. lungo il tragitto si trovano delle aree di sosta e dei punti di ristoro;
Arcu Artilai – Bruncu Spina T-721A – Il percorso conduce al Bruncu Spina, fino alla quota 1828. Si sviluppa per circa 800 metri, con un dislivello di 168 metri, percorribile in circa trenta minuti. Lungo il tragitto si trovano aree di sosta, punti di ristoro ed un rifugio montano;
Girgini – Rifugio La Marmora T-722 – Il sentiero conduce ai ruderi del Rifugio Lamarmora. Lungo il percorso sono sistemate alcune aree di sosta. Il tragitto è lungo 8,2 chilometri su un dislivello di 644 metri. Il tempo di percorrenza è stimato in due ore e cinquanta minuti;
Muggianeddu T-501 – Il sentiero ha inizio dall'abitato di Tonara e si sviluppa per una lunghezza di 9,7 chilometri, superando un dislivello di 530 metri. Il tempo di percorrenza previsto è di tre ore e quaranta minuti. Lungo il percorso si trovano alcune aree di sosta e dei punti di ristoro;
Perdas Artas T-501A – Lungo il percorso si trovano diversi punti panoramici. Il sentiero si estende per 1,1 chilometri, su un dislivello di 124 metri. Può essere percorso in fuoristrada, a cavallo, a piedi o in bicicletta e lungo il tragitto si trovano delle aree di sosta e campeggio e dei punti di ristoro;
Muggianeddu – Bauerì T-502 – Il sentiero ha inizio dall'abitato di Tonara e può essere percorso in fuoristrada, in motocicletta, a cavallo, a piedi o in bicicletta. Si sviluppa per 12,6 chilometri, su un dislivello di 659 metri. Lungo il percorso si trovano diverse aree di sosta e dei punti di ristoro;
Sentiero Sorberine B-531 – È un sentiero escursionistico esperto che si sviluppa per una lunghezza di 13 chilometri, superando un dislivello di 900 metri. Il tempo di percorrenza stimato è di otto ore;
Sentiero dei Carbonai: Coa'e Serra – Thiu Predu Orrubiu B-532 – È un sentiero escursionistico esperto che si sviluppa per una lunghezza di 8,2 chilometri, superando un dislivello di 400 metri. Il tempo di percorrenza stimato è di due ore e quaranta minuti;
Sentiero dei Carbonai: Paule Munduge B-532A – È un sentiero escursionistico esperto che si sviluppa per una lunghezza di 5,3 chilometri, superando un dislivello di 475 metri. Il tempo di percorrenza stimato è di due ore e quaranta minuti. Lungo il tragitto si trovano dei punti di ristoro.
Sci
Gli sport invernali possono essere praticati negli impianti sciistici ubicati lungo i pendii del Bruncu Spina e del monte Spada, presso i quali si trovano anche alcune strutture di accoglienza per i turisti. Gli impianti rappresentano una delle attrattive turistiche del massiccio montuoso.
Galleria d'immagini
Note
Bibliografia
Voci correlate
Geografia della Sardegna
Rilievo sardo-corso
Comprensorio sciistico Bruncu Spina
Altri progetti
Collegamenti esterni |
2044 | https://it.wikipedia.org/wiki/George%20W.%20Snedecor | George W. Snedecor |
Biografia
Primo di 8 figli, crebbe in piccole cittadine e campagne della Florida e Alabama.
Contribuì all'analisi della varianza e covarianza, al campionamento applicato, l'analisi dei dati, disegno degli esperimenti, metodologia statistica, e promosse la diffusione del metodo statistico nel mondo.
Riconoscimenti
Per i suoi contributi scientifici gli sono stati dedicati il nome di una variabile casuale (v.c. F di Snedecor) ed un premio assegnato ogni due anni dalla American Statistical Association (George W. Snedecor Award) a chi abbia individualmente contribuito al progresso della biometria.
Nel 1970 inoltre gli è stato assegnato il Premio Samuel S. Wilks.
Voci correlate
Ronald Fisher
statistica
variabile casuale F di Snedecor
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2049 | https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra%20del%20Sonderbund | Guerra del Sonderbund | Il Sonderbund ("lega separata" o "lega d'eccezione", in lingua tedesca) fu un'alleanza separatista, creata in Svizzera nel 1845 tra otto cantoni cattolici e conservatori per difendere i propri interessi contro i piani di centralizzazione del potere messi in atto dalla Confederazione svizzera e dai cantoni radicali e liberali. Il violento scontro portò alla Guerra del Sonderbund (in tedesco Sonderbundskrieg, in francese Guerre du Sonderbund).
Motivazioni storiche
La Confederazione aveva molti problemi dovuti a forti particolarismi che non consentivano a una politica liberale di potersi esprimere in modo completo. Esistevano barriere doganali tra i vari Cantoni, a volte unità di misura diverse, eserciti regionali e altri particolarismi.
La soluzione poteva essere quella di costituire una Confederazione con un potere centrale più forte. Ma l'idea di rinunciare ai propri privilegi non piaceva ad alcuni Cantoni che aderirono, quindi, al Sonderbund. Si trattava dei cantoni storici: Lucerna, Uri, Svitto, Nidvaldo, Obvaldo, Zugo, a cui si aggiungevano Friburgo, Vallese. Erano tutti cantoni cattolici. Il Ticino e Soletta, cattolici ma liberali, rimasero invece fedeli alla Dieta federale.
Il Sonderbund è considerato, superficialmente, soltanto un conflitto religioso tra cattolici e protestanti. Si è portati a parlare di guerra di religione mentre, in realtà, lo scontro avvenne tra cantoni radicali (anche se prevalentemente protestanti) e cantoni conservatori (anche se prevalentemente cattolici). Emblematico è il fatto che l'esercito del Sonderbund venne guidato da un protestante (Johann-Ulrich von Salis-Soglio) e l'esercito confederato da un conservatore-moderato (Guillaume Henri Dufour).
Le vicende storiche
La conquista del potere da parte del Partito Radicale nella maggioranza dei cantoni aveva portato a misure anti-cattoliche e laiche, come la chiusura dei conventi in Argovia (1841). Quando Lucerna per rappresaglia richiamò i Gesuiti nel 1844, bande armate di radicali invasero il cantone. Fu l'occasione che fece esplodere la rivolta, anche se le cause reali vanno ricercate nel timore delle gerarchie reazionarie di cantoni rurali di perdere i propri antichi privilegi se la Svizzera avesse avuto un governo più centralizzato. Su queste premesse nacque il Sonderbund.
La maggioranza radicale della Dieta federale dichiarò disciolto il Sonderbund nel 1847, e ciò portò alla guerra civile. L'esercito confederale, forte di circa 100.000 uomini e agli ordini del generale Guillaume Henri Dufour, fu inviato contro i ribelli. Il Sonderbund fu sconfitto, tra il 3 ed il 29 novembre 1847, con una campagna praticamente incruenta (con meno di 100 vittime in totale); la guerra si concluse con la vittoria di Gisikon e la conseguente occupazione di Lucerna (24 novembre).
Conseguenze
Nel 1848 una nuova costituzione pose termine alla grande indipendenza di cui godevano i cantoni trasformando la Svizzera in uno stato federale (benché il nome di confederazione fosse mantenuto). La Compagnia di Gesù fu bandita dalla Svizzera (e così rimase fino al referendum costituzionale del 1973), e fu proibito l'insediamento di nuovi ordini religiosi.
Sulla pace stabilita nel 1848 venne emanata una Costituzione che divenne un ottimo punto di partenza per una maggiore integrazione dei cantoni, un rafforzamento del potere centrale e un periodo di forte crescita economica.
Note
Bibliografia
Nuova storia della Svizzera e degli Svizzeri, ed. it., vol. III, Casagrande, Lugano, 1983
Altri progetti
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Sonderbund
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2050 | https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni%20Agnelli | Giovanni Agnelli | Giovanni Agnelli (1866-1945), noto anche come il Senatore – imprenditore e politico italiano
Giovanni Agnelli detto Gianni Agnelli (1921-2003), noto anche come l'Avvocato – imprenditore e politico italiano
Giovanni Alberto Agnelli (1964-1997), noto anche come Giovannino – imprenditore e dirigente d'azienda
Giovanni Agnelli e C. – società italiana nata nel 1984
Fondazione Giovanni Agnelli – istituto di ricerca nel campo delle scienze sociali, fondato a Torino nel 1966 |
2051 | https://it.wikipedia.org/wiki/GOTO | GOTO | In informatica, GO TO o GOTO (letteralmente "vai a") è un'istruzione di controllo di flusso di esecuzione. Essa è prevista in vari linguaggi di programmazione e consente di effettuare salti incondizionati da un punto all'altro del codice. In passato veniva spesso impiegata, tuttavia il suo utilizzo risultava spesso improprio, rendendo illeggibile o di difficile comprensione un algoritmo o una procedura e dando vita a quelli che in gergo vengono chiamati spaghetti code.
Descrizione
Questa istruzione è presente in Fortran, ALGOL, COBOL, SNOBOL, BASIC, Lisp, C, C++, Pascal, Perl, PHP (dalla versione 5.3) e molti altri meno noti. In Assembly, ed in generale nei linguaggi a basso livello, è un'istruzione fondamentale per controllare il flusso delle istruzioni (ed adattarsi ai linguaggi di programmazione che non ne fanno volutamente uso).
Negli assembly essa corrisponde ad un'istruzione di salto e può essere chiamata con nomi diversi: BRA (da "branch"), JP, JMP o JUMP con tutte le loro varianti condizionali (zero, nonzero, carry, ecc.)
Era molto in voga nei linguaggi (ormai obsoleti) legati al numero di riga, come il BASIC. La sintassi era:
GOTO numero di riga
Altri linguaggi senza numeri di riga, come il C o il PHP, utilizzano delle etichette che identificano l'indirizzo di codice a cui si vuole saltare.
Nei linguaggi ad alto livello può essere usata per uscire rapidamente da cicli profondamente nidificati.
Ai giorni nostri l'uso di questa istruzione in tali linguaggi è generalmente considerato indice di cattiva programmazione (il cosiddetto "spaghetti code") perché viola le basi della programmazione strutturata.
Come dimostrato dal teorema di Böhm-Jacopini, un'attenta scrittura del codice può evitare di ricorrere a istruzioni GOTO, anche se è a volte necessario introdurre variabili aggiuntive o un ulteriore costrutto logico. L'assenza di GOTO rende comunque il codice più facile da analizzare.
Tuttavia, in linguaggi che non prevedano le eccezioni oppure nella scrittura di sistemi operativi, i salti incondizionati nel codice possono essere una valida scelta nel caso di rollback di operazioni o deallocazione di risorse allocate attraverso passi successivi, quando in uno di tali passi si verifichi una condizione di errore. Il codice sorgente del kernel Linux è ricco di GOTO, spesso finalizzati a tale scopo.
Esempi
I seguenti esempi stampano tutti a schermo 10 righe numerate progressivamente
Linguaggio BASIC
Esempio di utilizzo dell'istruzione goto 10 LET i = 1
20 PRINT i
30 LET i = i + 1
40 IF i < 10 THEN GOTO 20
Esempio di programmazione strutturata senza goto 10 LET i = 1
20 DO
30 PRINT i
40 LET i = i + 1
50 LOOP WHILE i < 10
Linguaggio C/C++
Esempio di utilizzo dell'istruzione goto
int i = 1;
etichetta:
printf("riga %d\n", i++);
if (i < 10) goto etichetta;
Esempio di programmazione strutturata senza goto
int i = 1;
do {
printf("riga %d\n", i++);
} while (i < 10);
oppure
for(int i = 0; i < 10; i++) printf("riga %d\n", i);
Curiosità
Nel videogioco Star Wars: Knights of the Old Republic II: The Sith Lords esiste un personaggio chiamato G0-T0 o Goto, che è un droide con problemi di programmazione.
Voci correlate
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Go To Statement Considered harmful (Edsger W. Dijkstra) Testo chiave nelle discussioni sulla programmazione strutturata e l'uso del GOTO.
Concetti di programmazione |
2052 | https://it.wikipedia.org/wiki/Gaetano%20Donizetti | Gaetano Donizetti | Scrisse poco meno di settanta opere oltre a numerose composizioni di musica sacra e da camera.
Le opere di Donizetti oggi più sovente rappresentate nei teatri di tutto il mondo sono L'elisir d'amore, Lucia di Lammermoor e Don Pasquale. Con frequenza sono allestite anche La Fille du régiment, La favorite, Anna Bolena, Maria Stuarda, Roberto Devereux e Lucrezia Borgia.
Biografia
Nato a Bergamo il 29 novembre 1797 da una famiglia di umile condizione e molto povera, quinto di sei figli (padre guardiano al Monte dei Pegni, Andrea Donizetti, e madre tessitrice, Domenica Nava) – così come il fratello Giuseppe, anch'egli futuro compositore, fu ammesso a frequentare (1804-1815) le "lezioni caritatevoli" di musica tenute da Giovanni Simone (Johann Simon) Mayr, Francesco Salari e Antonio Gonzales, nella scuola caritatevole di musica – dalla quale deriva l'attuale Istituto Superiore di Studi Musicali "Gaetano Donizetti" (il conservatorio di Bergamo). Dimostrò ben presto un talento notevole, riuscendo a rimediare alla modesta qualità della voce (era necessario svolgere egregiamente il servizio di cantore per potere proseguire i corsi gratuiti) con i progressi nello studio della musica. Conobbe Vincenzo Bellini e ne scrisse alla morte la messa da requiem, che venne eseguita per la prima volta solo nel 1870 nella basilica di Santa Maria Maggiore.
Esordi e trasferimento a Napoli
Fu proprio Mayr ad aprire all'allievo prediletto le possibilità di successo, curandone prima la formazione e affidandolo poi alle cure di Stanislao Mattei. A Bologna, dove proseguì gli studi musicali, Donizetti scrisse la sua prima opera teatrale, Il Pigmalione, che sarà rappresentata postuma, e interessanti composizioni strumentali e sacre. Qui, fra gli altri amici, ebbe modo di legarsi al musicista e patriota Piero Maroncelli, forlivese.
Ancora il maestro Mayr, insieme all'amico Bartolomeo Merelli, gli procurò la prima scrittura per un'opera al Teatro San Luca di Venezia, lEnrico di Borgogna, che andò in scena il 14 novembre 1818.
Conclusa l'esperienza veneziana il compositore fu a Roma, presso l'impresario Paterni, come sostituto di Mayr. Sul libretto poco felice del Merelli (Donizetti lo avrebbe definito "una gran cagnara"), scrisse la Zoraida di Granata, che sarebbe comunque stata riveduta due anni dopo, con l'aiuto di Ferretti. Al termine dell'opera si recò a Napoli per sovrintendere all'esecuzione dellAtalia di Mayr, oratorio diretto da Gioachino Rossini.
In seguito alla fuga del direttore con Isabella Colbran l'impresario Barbaja assunse Donizetti, che esordì il 12 maggio del 1822 con La zingara, opera semiseria su libretto del Tottola. In sala era presente Vincenzo Bellini, che rimase ammirato dalla scrittura contrappuntistica del settimino, ma che in seguito non ricambiò la stima profonda che Donizetti aveva per lui.
Questo periodo fu caratterizzato dalle numerose farse. La lettera anonima, andata in scena nel giugno del 1822 al Teatro del Fondo, attirò l'attenzione della critica, che apprezzò la padronanza con cui Donizetti aveva affrontato il genere buffo napoletano.
Il contratto con Barbaja lo impegnò per quattro opere l'anno. Subito dopo la rappresentazione dellAlfredo il Grande, egli mise mano al Fortunato inganno, satira teatrale ispirata ai precedenti di Benedetto Marcello (Il teatro alla moda, 1720) e di Carlo Goldoni (Il teatro comico, 1750), che fu per Donizetti un esercizio preparatorio per Le convenienze e le inconvenienze teatrali, del 1827, in parte già accennato anche nel personaggio di Flagiolet della Lettera anonima.
Anche se per molti anni la musicologia ha attribuito allo stesso Donizetti il libretto de “Le Convenienze”, si avvalse in realtà della penna di Domenico Gilardoni, poeta dei teatri reali di Napoli e suo storico collaboratore durante gli anni partenopei, come evidenziano Roger Parker e Anders Wiklund nell’edizione critica dell’opera.
Negli stessi anni dovette preoccuparsi del mantenimento della moglie Virginia Vasselli, sposata nel 1828, ed ebbe il dolore della perdita del figlio primogenito. La produzione fu talvolta un po' convenzionale.
Anni trenta e primi capolavori
Fu nel 1830, con lAnna Bolena, scritta in soli trenta giorni per il Teatro Carcano di Milano, che Donizetti ebbe il primo grande successo internazionale, mostrando una piena maturità artistica. Particolare curioso: dopo il successo dellAnna Bolena Mayr gli si rivolse chiamandolo "maestro". Il rapporto di affetto e stima tra i due compositori rimase saldo fino alla morte.
Di qui in poi la vita professionale di Donizetti proseguì a gonfie vele, anche se non mancarono i fiaschi, intrecciati a vicende familiari che non gli risparmiarono nessun dolore, spesso proprio nei momenti di maggior gloria e successo.
Il 31 luglio 1830 vi fu la prima assoluta della cantata Il ritorno desiderato, per il testo di Domenico Gilardoni con Luigia Boccabadati, Antonio Tamburini e Luigi Lablache al Teatro di San Carlo di Napoli.
Nel 1832, dopo l'insuccesso dellUgo, conte di Parigi, il pubblico milanese del Teatro della Cannobiana (l'odierno Teatro Lirico) applaudì L'elisir d'amore, su libretto di Felice Romani, da una commedia di Eugène Scribe. L'anno successivo, sempre a Milano, fu presentata con successo la Lucrezia Borgia, per la quale il Donizetti previde una nuova disposizione dell'orchestra, quella a cui si ricorre ancor oggi, con gli archi disposti a semicerchio davanti al podio. È invece del 1834 l'opera Rosmonda d'Inghilterra su libretto di Felice Romani, rappresentata per la prima volta a Firenze il 27 febbraio di quell'anno.
Ricevette poi da Gioacchino Rossini l'invito a scrivere un'opera per il Théâtre de la comédie italienne di Parigi: nacque così il Marin Faliero, su libretto del Bidera (da Byron), risistemato da Ruffini, che andò in scena il 12 marzo 1835, ma senza successo.
Erano passati due mesi dalla rappresentazione di I puritani di Vincenzo Bellini, quando la "prima" della Lucia di Lammermoor ripropose la competizione milanese del 1832 fra la Fausta e la Norma. La stima fra Bellini e Donizetti non fu affatto reciproca: il primo non risparmiò critiche feroci al secondo, che invece ammirò sempre la musica del catanese (Bellini morì in quell'anno e Donizetti scrisse per lui una Messa di Requiem).
Al Teatro di San Carlo di Napoli, di cui fu direttore artistico dal 1822 al 1838, Donizetti presentò ben diciassette opere in prima esecuzione, fra cui il suo capolavoro, la Lucia di Lammermoor. La prima della Lucia, su versi di Salvadore Cammarano, fu un trionfo. Il capolavoro di Donizetti non fa eccezione: anch'esso fu scritto in tempi ristrettissimi (trentasei giorni). L'anno seguente il Belisario fu applaudito alla Fenice, ma l'anno fu funestato dalla morte del padre, della madre e della seconda figlia. Due anni dopo sarebbero mancate anche la terza figlia e la moglie, che morì di colera il 30 luglio 1837.
La sua tristezza traspare chiaramente dalle lettere inviate al cognato e intimo amico Antonio "Toto" Vasselli. Solo una settimana dopo la morte della moglie Donizetti scrive a Toto:
Furono momenti di sconforto totale («Senza padre, senza madre, senza moglie, senza figli [...] per chi lavoro dunque? ... Tutto, tutto ho perduto»), ma Donizetti non smise mai di lavorare, componendo in questi anni sia opere buffe sia drammi romantici, come il Roberto Devereux e la Maria de Rudenz.
Tarda maturità
Presto Donizetti decise di lasciare Napoli: i problemi con la censura per il Poliuto (che alla fine non andò in scena, e fu rappresentato solo dopo la morte del compositore) e la mancata nomina a direttore del conservatorio (di cui era direttore effettivo) sicuramente lo confermarono nei suoi propositi; nell'ottobre del 1838 egli era già a Parigi. Qui era ad accoglierlo l'amico Michele Accursi, spia pontificia, che aveva anche lavorato per favorirne la venuta.
In quegli anni le sue opere furono rappresentate ovunque, sia in traduzione sia in lingua originale, presso il Théâtre des Italiens. Scrisse La figlia del reggimento, che esordì all'Opéra-comique nel febbraio del 1840, e preparò una versione francese del Poliuto intitolata Les martyrs.
L'ambiente parigino, dove si era temporaneamente trasferito, fu certo foriero di successi e di entusiasmi, ma non scevro di difficoltà e frizioni, soprattutto con l'apparato teatrale e operistico del luogo. All'amico Tommaso Persico scriveva così, nel periodo in cui metteva in scena Les martyrs:
L'anno seguente scrisse La favorita, riciclando pagine di un'opera mai conclusa: L'ange du Nisida. Ricevette anche l'importante nomina a cavaliere dell'Ordine di san Silvestro dal papa Gregorio XVI. Ma fu l'invito del Rossini a dirigere l'esecuzione dello Stabat Mater a Bologna l'avvenimento più significativo. Quindi, grazie a una raccomandazione per Metternich vergata da Rossini stesso, Donizetti partì alla volta di Vienna, dove il 19 maggio presentò la Linda di Chamounix.
Si era ormai giunti al 1843, anno di composizione del Don Pasquale. Il libretto, preparato da Giovanni Ruffini sulla base del Ser Marcantonio di Anelli fu pesantemente rimaneggiato da Donizetti, al punto che l'autore ritirò la firma: l'opera fu per lungo tempo attribuita a Michele Accursio. La firma "M.A." sta invece per "maestro anonimo". Intanto Donizetti si occupò della rappresentazione francese della Linda di Chamounix e terminò la Maria di Rohan: furono gli ultimi momenti di grande fervore creativo, poi la malattia ebbe il sopravvento.
Al Teatro Nuovo il 5 ottobre 1843 avvenne la prima assoluta del lied Addio brunetta, son già lontano, il 28 dicembre della romanza Malvina la bella, il 22 febbraio 1844 della barcarola Sovra il remo sta curvato, il 4 aprile della romanza Se a te d'intorno scherza e il 2 maggio della canzonetta Chi non mi disse un dì.
Dalla penna del maestro uscirono ancora il Dom Sebastien, che riscosse grande successo a Parigi, e la Caterina Cornaro, che invece fu fischiata, con gran delusione di Donizetti, a Napoli.
Gli ultimi trionfi del 1845 si accompagnarono al totale tracollo fisico del compositore che, ormai pazzo a causa della sifilide, aveva lo sguardo spento, un carattere chiuso e diffidente, segnato da manie di persecuzione. L'infezione, dovuta alla sifilide, costrinse Donizetti alla vita vegetativa nel manicomio d'Ivry-sur-Seine, dove fu rinchiuso con l'inganno dal nipote, il quale gli fece credere che il manicomio fosse un albergo e un soggiorno momentaneo. Uscì solo qualche mese prima della morte, grazie all'impegno degli amici che lo riportarono a Bergamo, nel palazzo Basoni Scotti, dove morì nel 1848; la sua tomba si trova nella basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo.
Morte
Gaetano Donizetti morì a Bergamo l'8 aprile 1848. Venne effettuata l'autopsia l'11 aprile, che appurò la causa della morte nella sifilide meningovascolare, le cui lesioni cerebrali erano sicuramente il motivo delle sue forti emicranie.
Venne dapprima sepolto nel cimitero di Valtesse, nella Bergamo bassa, tumulato nella cripta della nobile famiglia Pezzoli. Nel 1875 la salma fu esumata e venne effettuata un'ulteriore autopsia, durante la quale non venne però rinvenuto il cranio del musicista. Venne quindi iniziata la ricerca tra gli otto medici che avevano effettuato il primo esame. Le indagini portarono al ritrovamento della calotta cranica a Nembro, presso un nipote erede del dottor Gerolamo Carchen, presente all'autopsia del 1848 e che aveva presumibilmente sottratto il cranio del musicista complice la disattenzione dei suoi colleghi. Il reperto venne collocato prima nella Biblioteca civica Angelo Mai e successivamente nel Museo donizettiano. Nel 1875 i resti del compositore furono traslati in Santa Maria Maggiore e deposti nel "monumento funebre a Gaetano Donizetti", cenotafio scolpito da Vincenzo Vela nel 1855, accanto a quello del compositore tedesco e maestro di Donizetti, Simon Mayr. Solo il 26 luglio 1951 la calotta cranica venne posta nella tomba, così da ricomporre l'intera salma del musicista
Memoria
Bergamo, città natale di Donizetti, gli ha intitolato:
il teatro comunale
il Museo donizettiano nella Domus Magna (Bergamo)
la Biblioteca musicale Gaetano Donizetti
il conservatorio denominato Istituto Superiore Studi Musicali Gaetano Donizetti
La Fondazione Donizetti: istituzione che promuove l'attività scientifica e artistica per le opere donizettiane
Il festival Donizetti Opera: manifestazione durante la quale si mettono in scena i titoli donizettiani nei giorni intorno al 29 novembre, giorno della nascita del compositore
Stile
Donizetti apprese alla scuola di Mayr e Mattei una tecnica musicale solida e sicura, basata sui classici viennesi (Gluck, Haydn e Mozart) e italiani (Palestrina).
Debuttò nel teatro musicale con opere ancora influenzate dallo stile rossiniano, allora di moda, ma con caratteri già personali, quali l'attenzione alla psicologia dei personaggi e il maggiore impegno drammatico e patetico nello svolgimento delle situazioni.
Ben presto Donizetti scoprì la tradizione operistica napoletana, che rinnovò in senso romantico grazie a un'ardente ispirazione drammatica e a una sensibilità musicale lirica e malinconica, e già con Anna Bolena creò un nuovo modello di dramma lirico romantico, svincolandosi definitivamente da Rossini.
Si aggiunsero, grazie al soggiorno napoletano, anche influenze della musica popolare, che lo portarono al rinnovamento dei tradizionali schemi e moduli stilistici, soprattutto attraverso l'approfondimento psicologico e umano dei personaggi che sono sottratti alla schematicità dei propri ruoli e ridelineati dal compositore con affetto e partecipazione: ciò si nota in L'elisir d'amore, che arditamente spezza le barriere tra comico e serio, con la creazione di figure (Nemorino, Adina) i cui comportamenti e sentimenti sono volti ora a divertire ora a commuovere a seconda delle esigenze drammaturgiche.
Nelle opere della piena maturità, Lucia di Lammermoor, La favorita e Don Pasquale, Donizetti seppe trovare espressioni di definitivo equilibrio e perfezione, sollevandosi da quanto di provvisorio e incerto era nella ridondante e frettolosa produzione precedente. Produzione dovuta alle condizioni della vita teatrale del tempo e alle quali, diversamente da Rossini, Bellini o Verdi, Donizetti non si ribellò mai.
Queste opere della maturità, con la mirabile costruzione melodica, l'efficace taglio drammatico, l'approfondimento psicologico e patetico dei personaggi frutto di una nuova sensibilità romantica, la compiuta unità stilistica dell'insieme, fanno di Donizetti uno dei maggiori operisti italiani del primo Ottocento e il maggiore precursore di Verdi.
Alla produzione operistica si affiancò una notevole produzione vocale, religiosa (fra cui una Messa da Requiem per i funerali di Bellini), pianistica e strumentale (fra cui diciannove quartetti per archi, che secondo alcuni studiosi sono tra i migliori scritti in Italia nel XIX secolo).
Fortuna
La fortuna di Donizetti vivente fu rilevantissima. Nonostante non suonasse alcuno strumento la sua vena romantica e le straordinarie doti compositive furono riconosciute in tutta Europa, nel "mondo delle capitali" e a livello popolare. Il suo percorso creativo contribuì potentemente a inserire l'opera, prima rivolta al "bel canto", nella più profonda e drammatica teatralizzazione romantica, anticipando così la grande stagione verdiana.
Pur rimanendo assai diffuso dalla fine dell'Ottocento al secondo dopoguerra, il repertorio donizettiano regolarmente eseguito andò via via assottigliandosi fino a ridursi quasi ai soli capolavori assoluti: Lucia di Lammermoor, per il teatro drammatico, L'elisir d'amore e Don Pasquale, per l'opera buffa.
Nel secondo Novecento si è assistito a una diffusa riproposizione delle opere di Donizetti, per impulso di numerosi protagonisti, primo tra tutti il direttore d'orchestra Gianandrea Gavazzeni, e per il merito d'interpretazioni eccezionali, come quelle di Maria Callas in Anna Bolena, di Luciano Pavarotti in La figlia del reggimento e di Montserrat Caballé, Leyla Gencer, Joan Sutherland, Mariella Devia,Edita Gruberova,Beverly Sills,Alfredo Kraus.
Composizioni
Melodrammi
Il Pigmalione (1816; 13.10.1960 Teatro Donizetti, Bergamo)
Enrico di Borgogna (14.11.1818 Teatro San Luca, Venezia)
Una follia (17.12.1818 Teatro San Luca, Venezia) (andata perduta)
Il falegname di Livonia, ossia Pietro il grande (26.12.1819 Teatro San Samuele, Venezia)
Le nozze in villa (1819? Teatro Vecchio, Mantova)
Zoraida di Granata (28.1.1822 Teatro Argentina, Roma)
La zingara (12.5.1822 Teatro Nuovo, Napoli)
La lettera anonima (29.6.1822 Teatro del Fondo, Napoli)
Chiara e Serafina, ossia I pirati (26.10.1822 Teatro alla Scala, Milano)
Alfredo il Grande (2.7.1823 Teatro San Carlo, Napoli)
Il fortunato inganno (3.9.1823 Teatro Nuovo, Napoli)
Zoraida di Granata [rev] (7.1.1824 Teatro Argentina, Roma)
L'ajo nell'imbarazzo (4.2.1824 Teatro Valle, Roma)
Emilia di Liverpool (28.7.1824 Teatro Nuovo, Napoli) (anche come L'eremitaggio di Liverpool)
Alahor in Granata (7.1.1826 Teatro Carolino, oggi Teatro Bellini, Palermo)
Don Gregorio [rev di L'ajo nell'imbarazzo] (11.6.1826 Teatro Nuovo, Napoli)
Elvida (6.7.1826 Teatro San Carlo, Napoli)
Gabriella di Vergy (1826; 29.11.1869 Teatro San Carlo, Napoli) (anche come Gabriella)
Olivo e Pasquale (7.1.1827 Teatro Valle, Roma)
Otto mesi in due ore (13.5.1827 Teatro Nuovo, Napoli) (anche come Gli esiliati in Siberia)
Il borgomastro di Saardam (19.8.1827 Teatro del Fondo, Napoli)
Olivo e Pasquale [rev] (1.9.1827 Teatro Nuovo, Napoli)
Le convenienze teatrali (21.11.1827 Teatro Nuovo, Napoli)
L'esule di Roma, ossia Il proscritto (1.1.1828 Teatro San Carlo, Napoli)
Emilia di Liverpool [rev] (8.3.1828 Teatro Nuovo, Napoli)
Alina, regina di Golconda (12.5.1828 Teatro Carlo Felice, Genova)
Gianni di Calais (2.8.1828 Teatro del Fondo, Napoli)
Il paria (12.1.1829 Teatro San Carlo, Napoli)
Il giovedì grasso (26.2.1829? Teatro del Fondo, Napoli) (come Il nuovo Pourceaugnac)
Elisabetta al castello di Kenilworth (6.7.1829 Teatro San Carlo, Napoli)
Alina, regina di Golconda [rev] (10.10.1829 Teatro Valle, Roma)
I pazzi per progetto (6.2.1830 Teatro San Carlo, Napoli)
Il diluvio universale (28.2.1830 Teatro San Carlo, Napoli)
Imelda de' Lambertazzi (23.8.1830 Teatro San Carlo, Napoli)
Anna Bolena (26.12.1830 Teatro Carcano, Milano)
Le convenienze ed inconvenienze teatrali [rev di Le convenienze teatrali] (20.4.1831 Teatro della Canobbiana, Milano)
Gianni di Parigi (1831; 10.9.1839 Teatro alla Scala Milano)
Francesca di Foix (30.5.1831 Teatro San Carlo, Napoli)
La romanziera e l'uomo nero (18.6.1831 Teatro del Fondo, Napoli) (libretto andato perduto)
Fausta (12.1.1832 Teatro San Carlo, Napoli)
Ugo, Conte di Parigi (13.3.1832 Teatro alla Scala, Milano)
L'elisir d'amore (12.5.1832 Teatro Canobbiana, Milano)
Sancia di Castiglia (4.11.1832 Teatro San Carlo, Napoli)
Il furioso all'isola di San Domingo (2.1.1833 Teatro Valle, Roma)
Otto mesi in due ore [rev] (1833, Livorno)
Parisina d'Este (17.3.1833 Teatro della Pergola, Firenze)
Torquato Tasso (9.9.1833 Teatro Valle, Roma)
Lucrezia Borgia (26.12.1833 Teatro alla Scala, Milano)
Il diluvio universale [rev] (17.1.1834 Teatro Carlo Felice, Genova)
Rosmonda d'Inghilterra (27.2.1834 Teatro della Pergola, Firenze)
Maria Stuarda [rev] (18.10.1834 Teatro San Carlo, Napoli) (come Buondelmonte)
Gemma di Vergy (26.12.1834 Teatro alla Scala, Milano)
Marin Faliero (12.3.1835 Théâtre-Italien, Parigi)
Lucia di Lammermoor (26.9.1835 Teatro San Carlo, Napoli)
Maria Stuarda (30.12.1835 Teatro alla Scala, Milano)
Belisario (4.2.1836 Teatro La Fenice, Venezia)
Il campanello (1.6.1836 Teatro Nuovo, Napoli)
Betly, o La capanna svizzera (21.8.1836 Teatro Nuovo, Napoli)
L'assedio di Calais (19.11.1836 Teatro San Carlo, Napoli)
Pia de' Tolomei (18.2.1837 Teatro Apollo oggi Teatro stabile del Veneto Carlo Goldoni, Venezia)
Pia de' Tolomei [rev] (31.7.1837, Sinigaglia)
Betly [rev] ((?) 29.9.1837 Teatro del Fondo, Napoli)
Roberto Devereux (28.10.1837 Teatro San Carlo, Napoli)
Maria de Rudenz (30.1.1838 Teatro La Fenice, Venezia)
Gabriella di Vergy [rev] (1838); agosto 1978 Londra)
Poliuto (1838; 30.11.1848 Teatro San Carlo, Napoli)
Pia de' Tolomei [rev 2] (30.9.1838 Teatro San Carlo, Napoli)
Lucie de Lammermoor [rev di Lucia di Lammermoor] (6.8.1839 Théâtre de la Renaissance, Parigi)
Le duc d'Albe (1839, incompiuta; 22.3.1882 Teatro Apollo oggi Teatro Tordinona, Roma, come Il duca d'Alba)
L'ange de Nisida (1839; incompiuta; 18.7.2018 Royal Opera House, Londra)
Lucrezia Borgia [rev] (11.1.1840 Teatro alla Scala, Milano)
La Fille du régiment (11.2.1840 Opéra-Comique, Parigi)
Poliuto [rev] (10.4.1840 Théâtre de l'Opéra, Parigi) (come Les martyrs)
Lucrezia Borgia [rev 2] (31.10.1840 Théâtre-Italien, Parigi)
La Favorite [rev di L'ange de Nisida] (2.12.1840 Théâtre de l'Opéra, Parigi)
Adelia (11.2.1841 Teatro Apollo, Roma)
Rita, ou Le mari battu (1841; 7.5.1860 Opéra-Comique, Parigi) (come Deux hommes et une femme)
Maria Padilla (26.12.1841 Teatro alla Scala, Milano)
Linda di Chamounix (19.5.1842 Theater am Kärntnertor, Vienna)
Linda di Chamounix [rev] (17.11.1842 Théâtre-Italien, Parigi)
Don Pasquale (3.1.1843 Théâtre-Italien, Parigi)
Maria di Rohan (5.6.1843 Kärntnertortheater, Vienna)
Dom Sébastien (13.11.1843 Théâtre de l'Opéra, Parigi)
Caterina Cornaro (18.1.1844 Teatro San Carlo, Napoli)
Dom Sébastien [rev] (6.2.1845 Kärntnertortheater, Vienna)
Onorificenze
Discografia
Opere per oboe e pianoforte tra Ottocento e Novecento, Tactus, 2016 Luciano Franca, oboe, Filippo Pantieri, pianoforte storico (contiene la Sonata per oboe e pianoforte)
Cor Anglais Concertino in G Major, Tactus, 2013 Alessandro Baccini, corno inglese
Andante sostenuto in F minor arr for Oboe and string orchestra, Tactus, 2013 Alessandro Baccini, oboe
Film su Gaetano Donizetti
Il cavaliere del sogno, 1947, regia di Camillo Mastrocinque
Note
Bibliografia
Giorgio Appolonia, Cercherò lontana terra, Bergamo: Centro Studi Valle Imagna, 2013
Giuliano Donati Petténi, Donizetti, Milano: Fratelli Treves Editori, 1930
Guido Zavadini, Donizetti: Vita – Musiche- Epistolario, Bergamo, 1948
Herbert Weinstock, Donizetti, London: Metheun & Co., Ltd., 1964.
Marcello Sorce Keller, "Gaetano Donizetti: un bergamasco compositore di canzoni napoletane", Studi Donizettiani, III (1978), 100- 107.
John Black, Donizetti's Operas in Naples 1822-1848, London: The Donizetti Society, 1982
Philip Gossett, "Anna Bolena" and the Artistic Maturity of Gaetano Donizetti, Oxford: Oxford University Press, 1985
John Stewart Allitt, Donizetti – in the light of romanticism and the teaching of Johann Simon Mayr, Shaftesbury, Dorset, UK: Element Books, 1991.
Egidio Saracino Ed., Tutti i libretti di Donizetti, Milan: Garzanti, 1993
Annalisa Bini & Jeremy Commons, Le prime rappresentazioni delle opere di Donizetti nella stampa coeva, Milan: Skira, 1997
James P. Cassaro, Gaetano Donizetti – A Guide to Research, New York: Garland Publishing. 2000
Fabrizio Capitanio, Il Museo Donizettiano in Bergamo - Guida per i visitatori, Comune di Bergamo, Assessorato alla Cultura e allo Spettacolo, 2002
John Stewart Allitt, Gaetano Donizetti – pensiero, musica, opere scelte, traduzione di Sergio Pagliaroli, Villa di Serio (BG), Edizioni Villadiseriane, 2003
Giorgio Appolonia, Cercherò lontana terra (romanzo), Centro Studi Valle Imagna, Grafica Moroni, Bergamo, 2013
Voci correlate
Monumento funebre a Gaetano Donizetti
Scuola musicale napoletana
Altri progetti
Collegamenti esterni
Donizetti: ascolta i suoi brani musicali su Magazzini-Sonori Arie e opere in versione integrale;
Donizetti Society, Londra;
Gaetano Donizetti - Il musicista patriota La storia siamo noi
Compositori romantici
Compositori d'opera
Librettisti italiani
Gruppi e musicisti della Lombardia
Compositori Ricordi
Cavalieri dello Speron d'oro |
2053 | https://it.wikipedia.org/wiki/Gianni%20Agnelli | Gianni Agnelli | Era anche noto come "l'Avvocato" per via del suo titolo di studio, la laurea in giurisprudenza, anche se, non avendo mai sostenuto l'esame abilitativo alla professione forense, il titolo non gli competeva.
Fu per trentacinque anni sindaco di Villar Perosa. Figlio di Edoardo Agnelli e di Virginia Bourbon del Monte dei Principi di San Faustino, era il secondo dei sette figli della coppia.
Biografia
Famiglia
Figlio di Edoardo e di Virginia Bourbon del Monte, nacque a Torino nella casa di famiglia in corso Oporto (ora corso Matteotti). Il nonno era il senatore Giovanni Agnelli, fondatore insieme ad altri della FIAT. Il padre Edoardo morì tragicamente in un incidente aereo quando Gianni aveva 14 anni. Riprese il nome del nonno, cui tutti si riferivano come «il Senatore». Sposò nel 1953, a Strasburgo, nel castello di Osthoffen, Marella Caracciolo dei Principi di Castagneto, dalla quale ebbe due figli, Edoardo e Margherita.
Fu educato secondo un modello altoborghese con fitte frequentazioni nel mondo dell'aristocrazia, favorite dal legame con i principi di Piemonte, nei canoni di rigido formalismo del costume dell'epoca, che voleva i figli delle famiglie di maggior rango affidati alle cure di istitutrici straniere e di precettori privati, seppure talvolta anticonformisti e di prestigio intellettuale come Franco Antonicelli.
Gioventù
A Torino frequentò il Liceo classico Massimo d'Azeglio, dove conseguì la licenza liceale nel 1938. In quello stesso anno intraprese un viaggio negli Stati Uniti, dove visitò New York, Detroit e Los Angeles. Rientrò in Italia fortemente impressionato dagli Stati Uniti - dove tutto gli pareva contrassegnato da dimensioni imponenti, al punto da ricondurre in seguito a quella prima impressione il marcato occidentalismo e filoamericanismo della maturità - e rafforzato nell'idea, già instillatagli dal nonno, che la civiltà e la potenza americane fossero fuori del raggio delle nazioni europee.
Durante il periodo bellico nel 1940 seguì il corso per ufficiale di complemento presso la Scuola di Applicazione di Cavalleria di Pinerolo. Con il grado di sottotenente venne arruolato nel 1º Reggimento "Nizza Cavalleria" e inviato con il CSIR come addetto al comando sul fronte russo. Rientrato in Italia alla fine del 1941, nel gennaio 1942 fu aggregato al Reggimento Cavalleggeri di Lodi e assegnato al comando di uno squadrone di autoblindo, con il quale venne inviato a Tripoli il 23 novembre 1942, poche settimane prima della conquista di Tripoli da parte dell'Ottava Armata britannica. Partecipò alla Campagna di Tunisia, dove fu insignito della Croce di guerra al valor militare il 14 febbraio 1943. Su richiesta del nonno venne rimpatriato il successivo 29 aprile, sbarcando in Sicilia.
Durante il periodo passato in Italia, tra il novembre 1941 e il novembre 1942, proseguì gli studi fino a ottenere la laurea in giurisprudenza, presso l'Università di Torino. Dopo l'8 settembre, tentò di rifugiarsi insieme alla sorella Susanna nella tenuta di famiglia posta nella provincia di Arezzo, scortato da un maresciallo dell'esercito tedesco, cui era stata promessa, in compenso, un'automobile nuova.
Durante la trasferta la vettura, condotta dal sottufficiale, subì un grave incidente e il giovane Agnelli, con la gamba destra fratturata, venne ricoverato nel nosocomio del capoluogo toscano, ove il 23 agosto 1944 giunsero le truppe alleate. Terminata la lunga degenza, si trasferì a Roma, arruolato quale ufficiale di collegamento del Corpo Italiano di Liberazione con le truppe alleate.
Nel novembre del 1945 la madre fu coinvolta in un incidente automobilistico mortale, nei pressi di Pisa. Appena terminata la seconda guerra mondiale, all'età di 25 anni, divenne presidente della RIV, la società di produzione di cuscinetti a sfere fondata da Roberto Incerti e dal nonno nel 1906: l'incarico però ebbe una connotazione praticamente solo rappresentativa.
Nello stesso anno fu eletto sindaco di Villar Perosa, un paese ubicato poco dopo Pinerolo lungo la statale del Sestriere. È il paese ove la famiglia risiedeva d'estate (e da dove la stessa proveniva) e fu proprio Villar Perosa la città che ospitò anche il primo stabilimento RIV. Non si trattava di un incarico molto impegnativo e Agnelli lo mantenne per trentacinque anni. Tra la fine del 1945 e l'inizio del 1946 si trovò coinvolto, in rappresentanza della famiglia, nelle complesse trattative fra il CLN, le autorità alleate di occupazione e il governo italiano provvisorio, per la normalizzazione della conduzione della FIAT, della quale la famiglia Agnelli era ancora il principale azionista e il 23 febbraio 1946 firmò egli stesso l'accordo che ricostituiva il consiglio di amministrazione della società e ristabiliva Vittorio Valletta, precedentemente estromesso con l'accusa di collaborazionismo con i tedeschi, nella carica di amministratore delegato.
Il dopoguerra
Al termine del 1946, a quasi un anno dal decesso del nonno, Vittorio Valletta, divenuto dominus indiscusso dell'azienda, ebbe un colloquio con il giovane successore del defunto senatore per decidere delle sorti dell'azienda. Il sessantatreenne manager pose al nuovo proprietario questo dilemma: «Esistono solo due possibilità: o il presidente della Fiat lo fate voi o lo faccio io», al quale il giovane Agnelli rispose: «Ma di certo voi, professore». Con questa risposta il "professore" si guadagnò la sua autonomia manageriale e il giovane erede la sua libertà di godersi la giovinezza, seguendo un consiglio che gli avrebbe dato lo stesso nonno: «Prenditi qualche anno di libertà prima di immergerti nelle preoccupazioni dell'azienda». In seguito, comunque, Valletta lamenterà, più volte, l'eccessiva latitanza del principale azionista dall'impegno aziendale.
Intanto, già nel 1947, Gianni Agnelli divenne presidente della squadra di calcio che il padre Edoardo aveva portato al ruolo di "prima donna" nel calcio italiano: la Juventus, squadra cui sarà affezionato per tutta la vita. Viaggiava in continuazione in tutto il mondo, frequentando i luoghi più mondani d'Europa, le persone più famose del jet-set internazionale: attrici, principi, magnati, uomini politici (i suoi rapporti di amicizia con John Fitzgerald Kennedy, allora senatore democratico, risalgono a quegli anni come pure la frequentazione dei banchieri David D. Rockefeller e André Meyer della banca d’affari internazionale Lazard, conosciuti attraverso Raffaele Mattioli ed Enrico Cuccia).
Intrecciò numerose relazioni sentimentali, delle quali solo una, peraltro piuttosto burrascosa, farebbe pensare a un legame stabile: fu il rapporto con Pamela Digby (1920-1997), già Pamela Digby-Churchill, ex nuora di Winston Churchill, avendone sposato il figlio Randolph. Al termine di questa relazione, nell'estate del 1952, Gianni rimase vittima di un terribile incidente d'auto: correndo da Torino verso Monte Carlo, si schiantò contro un autocarro. Lo estrassero dalle lamiere piuttosto malconcio, la gamba destra fu nuovamente, seriamente ferita e per la seconda volta rischiando l'amputazione. La gamba fu poi operata più volte, ma una complessa protesi gli consentì di continuare a praticare uno dei suoi sport preferiti: lo sci (e sarà proprio sciando che se la romperà per la terza volta nel 1987). Superò l'incidente abbastanza bene, tuttavia rimase leggermente, ma visibilmente, claudicante per tutta la vita.
Nel 1953 sposò la principessa Marella Caracciolo di Castagneto, appartenente a un'antica, nobile famiglia di origini napoletane.
Nel 1959 divenne presidente dell'Istituto Finanziario Industriale (IFI), una società finanziaria pura che era una delle casseforti di famiglia e che assieme all'IFIL, altra cassaforte di famiglia, controllavano la Fiat. Divenne inoltre amministratore delegato della stessa Fiat nel 1963, una carica che dovette condividere con Gaudenzio Bono, un "vallettiano" a tutto tondo, mentre il cugino Giovanni Nasi era vicepresidente.
In ogni caso il timone dell'azienda automobilistica rimase per il momento nelle mani del "professore", sempre presidente.
La presidenza della FIAT
Anni sessanta
Il 30 aprile 1966, l'ormai ultraottantenne presidente FIAT Vittorio Valletta propose, quale suo sostituto, il nome di Gianni Agnelli all'assemblea generale degli azionisti, che ne deliberò l'approvazione, restituendo il timone aziendale alla famiglia Agnelli, dopo oltre venti anni di presidenza Valletta. Il nuovo assetto dirigenziale, naturalmente, teneva conto dell'inesperienza di Agnelli, mantenendo Valletta quale delegato speciale per i programmi produttivi, i rapporti con le maestranze e le iniziative estere, mentre Gaudenzio Bono assumeva le cariche di amministratore delegato unico e direttore generale.
Insediatosi al timone della Fiat all'età di 45 anni, dopo avervi svolto praticamente solo ruoli di rappresentanza, Gianni Agnelli si trovò dinnanzi a due problemi. Il primo riguardava l'esecuzione dell'accordo con l'Unione Sovietica per la costruzione di uno stabilimento presso una cittadina sul Volga (che verrà chiamata Togliatti), per il quale la Fiat doveva fornire all'Autoprominport (l'ente sovietico preposto) lo stabilimento "chiavi in mano" e il know-how per la produzione. Il contratto era stata l'ultima opera di Valletta, la cui morte, avvenuta nel 1967, rischiava di renderne difficoltosa l'attuazione, ma la gestione non si presentò particolarmente onerosa: i sovietici rispettarono i termini stabiliti e tutto procedette secondo il programma stabilito.
Il secondo problema era assai più grave. Venendo incontro al presidente dell'Alfa Romeo Giuseppe Luraghi, che da anni andava predicando l'impossibilità di far quadrare i conti aziendali senza un'adeguata "massa critica" di volumi produttivi (e cogliendo l'occasione di aprire un grosso stabilimento al Sud), il governo italiano decise di finanziare l'Alfa per la costruzione di uno stabilimento nell'Italia meridionale, ove si producesse un modello di autovettura di livello medio, nella stessa fascia di mercato, più o meno, della Fiat 128, che verrà lanciata di lì a poco.
Secondo Gianni Agnelli, nell'orticello del mercato italiano dell'auto di fascia bassa e media, concupito già dalle concorrenti europee grazie alla graduale riduzione dei dazi all'interno della CEE, non c'era spazio per un altro concorrente italiano, specialmente se questo poteva contare sui finanziamenti a carico del contribuente. Ma tutti i tentativi per contrastare a livello politico questo progetto fallirono; la sede designata fu Pomigliano d'Arco, un paese a pochi chilometri da Napoli, ove già operavano la piccola Alfa Motori Avio, e l'Aerfer, azienda parastatale di medie dimensioni, che produceva parti di velivoli commerciali per conto di grosse aziende americane (che verrà poi incorporata in Aeritalia, divenuta successivamente Alenia). Per trovare i quadri tecnici intermedi in numero sufficiente a far funzionare lo stabilimento, la neonata Alfasud non poteva che rivolgersi ai quadri della FIAT, cui sottrasse questi tecnici offrendo loro stipendi di entità superiore rispetto a quelli offerti dall'azienda torinese.
Sulla base di uno studio commissionato a una società di consulenza americana, dai primi del 1968 diede il via a una complessa opera di ridisegno del sistema aziendale, affidato soprattutto all'intervento del nuovo amministratore delegato, il fratello Umberto Agnelli (nato nel 1934). Questi, che sedeva nel consiglio di amministrazione della Fiat dal 1964, veniva da una precedente esperienza di riorganizzazione della consociata francese Simca, all'epoca quarto produttore di automobili sul mercato d'Oltralpe. Rinunciando alla politica industriale di Vittorio Valletta (terra/mare/cielo), Gianni Agnelli decise di disfarsi di quelle produzioni che richiedono continui investimenti e la cui redditività era precaria e condizionata (non solo sul mercato italiano) da scelte spesso legate a decisioni di carattere politico. Venne così ceduto alla Finmeccanica il 50% della Grandi Motori, detta Divisione Mare, specializzata in motori marini a ciclo Diesel per grosse navi, che fu trasferita a Trieste con il nome iniziale di Grandi Motori Trieste.
Analogamente si procedette con la cosiddetta Fiat Velivoli, specializzata in fabbricazione di aerei, prevalentemente a uso militare, spesso su licenza di grosse aziende estere, che venne aggregata all'Aerfer di Pomigliano d'Arco, nella società a partecipazione statale Aeritalia (divenuta molti anni dopo Alenia). La partecipazione Fiat rimase solo un fatto finanziario, poiché il controllo operativo era di Finmeccanica: il restante 50% delle azioni verrà definitivamente alienato da Fiat nel 1975. Così andò anche per altre realtà minori.
Nel 1969 l'ing. Ferrari cedette alla Fiat il controllo della sua casa di auto sportive: la Ferrari; il reparto corse resterà comunque gestito per molti anni ancora da lui. Il primo febbraio del 1970 venne acquisita dalla famiglia Pesenti, a un prezzo simbolico di un milione di lire, la Lancia, glorioso marchio di auto di prestigio (era detta "la Mercedes italiana") fondata a Torino da Vincenzo Lancia nel 1907, ormai in stato di quasi insolvenza.
Il sogno di Gianni Agnelli era l'internazionalizzazione della FIAT. Due anni dopo l'assunzione della guida della Fiat, Gianni Agnelli concordò con François Michelin, proprietario del pacchetto di controllo della Citroën, che si trovava in cattive acque, l'acquisto della partecipazione con l'intenzione di giungere successivamente al controllo totale della casa automobilistica francese.
La sinergia fra i due costruttori europei sembrava promettere bene: Citroën era un marchio prestigioso, con buona fama nella produzione di auto di alta gamma, la Fiat ugualmente nelle utilitarie. L'accordo si concluse, al vertice Citroën arrivarono uomini Fiat ma ci si mise di traverso l'opposizione di stampo nazionalistico dei gollisti: alla Fiat venne fatto divieto di acquisire la maggioranza delle azioni Citroën. Le incomprensioni fra i tecnici italiani e i tecnici francesi compirono il resto: la Fiat, senza il controllo totale dell'azienda, non poteva imporre nulla senza accordo con le altre forze in gioco, poteva solo investire per ammodernare impianti e strutture.
Alla fine, quattro anni dopo, il sogno s'infranse e Gianni Agnelli dovette rinunciare alla sua internazionalizzazione, almeno attraverso questa via, e la quota Fiat in Citroën fu ceduta alla Peugeot. L'Avvocato ripiegò, sperimentando altre vie, verso un altro modello di internazionalizzazione che passerà attraverso gli stabilimenti Zastava per la produzione del mod. 128 (Jugoslavia) e Tofaş per la produzione del mod. 124 (Turchia). Già presente sul mercato polacco con la fabbricazione del mod. 125, il 29 ottobre 1971 la Fiat siglò un importante contratto di licenza e collaborazione industriale con la Pol-Mot. Ne seguì, presso gli stabilimenti F.S.M. di Tychy, la produzione su larga scala della Fiat 126. Poco dopo venne decisa l'avventura di una produzione oltre oceano: creare uno stabilimento in Brasile (Belo Horizonte nello Stato di Minas Gerais) ove si sarebbe prodotta inizialmente la 127, opportunamente modificata per quel mercato (il nome del modello brasiliano sarà 147). L'ambizioso progetto di Giovanni Agnelli, per rendere noto al mondo il marchio FIAT, si realizzò nel giro di una decina d'anni con le unità produttive presenti su quattro continenti:
Europa - Italia (Fiat, Lancia, Autobianchi, Ferrari), Spagna (Seat), Jugoslavia (Zastava), Polonia (F.S.M.).
Sud America - Brasile (Automoveis), Argentina (Concorde).
Asia - Turchia (Tofas).
Africa - piccole unità produttive in Egitto e Sudafrica.
Non erano trascorsi che tre anni dal suo insediamento al vertice della FIAT, che Gianni Agnelli dovette affrontare un problema piuttosto difficile: il rinnovo del contratto di lavoro dei metalmeccanici (1969). La vertenza procedette per tutta la prima metà dell'anno più o meno aspramente rispetto alle volte precedenti, ma all'inizio di settembre le cose cambiarono radicalmente ed emersero nuove, inattese, forme di sciopero: incominciò quello che verrà subito battezzato autunno caldo.
Iniziarono i carrellisti di Mirafiori, Stabilimento Presse: scioperavano al di fuori delle direttive del sindacato, con scioperi improvvisi, mezza giornata o meno per volta, ma l'effetto fu paralizzante. Il loro compito era trasportare le parti di carrozzeria appena stampate dalle presse alla catena di montaggio: fermi loro, ferma tutta la produzione. In un primo momento il sindacato disapprovò queste forme di protesta spontanee e autonome, poi tentò di farle rientrare nell'alveo della propria iniziativa, agevolato anche dalla posizione dell'Azienda, che voleva un unico interlocutore ufficiale di fronte alle maestranze. Iniziarono, così, forme di sciopero del tutto nuove: si entrava al mattino alle 8 al lavoro ma dopo venti minuti passavano delegati nei vari reparti ad annunciare uno sciopero improvviso che sarebbe iniziato alle otto e trenta e durato fino all'ora di pranzo (o analogamente al pomeriggio). Tutto ciò a rotazione: ora in uno stabilimento, ora nell'altro.
Si formavano nelle officine cortei (detti "serpentoni") di operai muniti di fischietti e altri strumenti sonori che percorrevano i locali invitando i colleghi riluttanti ad astenersi dal lavoro. Quasi sempre invadevano anche le Palazzine uffici, rendendo problematiche le condizioni di lavoro per gli impiegati che non volevano scioperare. Si verificarono anche degli episodi di violenza, sui quali l'azienda non intervenne, per non inasprire gli animi ed evitare danni alle persone e alle apparecchiature. Questi episodi di violenza, accaduti prevalentemente all'ingresso degli stabilimenti produttivi, erano fomentati da forze estranee all'azienda, come risulta dai verbali redatti dalle forze dell'ordine e dalle pubbliche dichiarazioni dell'allora questore di Torino Giuseppe Montesano. Venne rilevata la presenza attiva di esponenti della neonata Lotta Continua e una massiccia presenza di studenti universitari provenienti dalla Sapienza di Roma.
Dal punto di vista del business le cose andavano bene: la crisi economica del 1964 era ormai superata, la richiesta di autovetture era in continuo aumento, tanto che la Fiat non riusciva a soddisfarla e i tempi di consegna si allungarono. Proprio in quell'autunno entrò in funzione lo stabilimento di Rivalta di Torino, ove si provvedeva al montaggio della nuova media cilindrata (per quei tempi), la 128, destinata a prendere il posto della famosa 1100 (mod. 103). Era un'auto dalla linea moderna e accattivante, il prezzo contenuto e piacque subito, ma per averla bisognava attendere anche fino a nove mesi.
La vertenza sindacale si chiuse nel gennaio del 1970 con un nuovo oneroso contratto per le aziende, con concessioni normative consistenti, che incideranno pesantemente sui bilanci futuri. Fra l'altro vennero abolite le differenze territoriali per la determinazione del minimo sindacale del salario (fino a quel momento i salari minimi erano differenziati per provincia, a seconda dell'indice del costo della vita locale elaborato dall'ISTAT) cosicché il neoassunto a Palermo avrebbe percepito, a parità d'inquadramento, lo stesso salario di quello assunto a Milano.
Si valutò che la perdita di produzione durante il periodo "caldo" ammontasse a oltre vetture (ma c'è chi dice molto di più, oltre : si tratta di vedere entro quali termini temporali viene considerato il periodo "caldo"). Intanto gli effetti dell'apertura dei mercati all'interno della CEE si faceva sentire e la concorrenza straniera aumentò la sua penetrazione in Italia.
Anni settanta
Nella prima metà degli anni settanta Gianni Agnelli dovette affrontare la prima grande crisi della Fiat, la più grande forse a partire dalla prima guerra mondiale: l'autofinanziamento non era più possibile (l'investimento brasiliano aveva pesato non poco e i primi risultati furono deludenti), le vendite di auto in Italia calarono e la concorrenza straniera, grazie alla piena attuazione del Trattato di Roma in materia di barriere doganali nell'Europa, si fece sempre più agguerrita, erodendo alla Fiat quote crescenti di mercato e la Fiat non poteva più fare a meno, come era stato fino a quel momento, di ricorrere massicciamente al credito.
Venne assunto in quel periodo un nuovo responsabile della finanza aziendale: Cesare Romiti (autunno del 1974) che raggiungerà nel quasi quarto di secolo di permanenza in Fiat, il massimo vertice. Auspice Romiti, Gianni Agnelli trasformò la Fiat S.p.A. da un'azienda industriale in una holding finanziaria. Da questa dipenderanno tante holding di settore, una per ogni settore produttivo, alle quali saranno sottoposte le rispettive società operative. Il processo durò più di cinque anni e nacquero così (citiamo solo quelle di dimensioni maggiori): la Fiat-Allis, settore macchine agricole, l'Iveco, settore veicoli industriali, La Macchine Movimento Terra, la Teksid (fonderie, produzioni metallurgiche e altro). Ultima, ma solo in ordine di tempo, la Fiat Auto (autovetture e veicoli commerciali leggeri).
Separazione secondo il mercato servito e internazionalizzazione. L'avvento di Agnelli al timone della Fiat segnò anche una svolta nella politica finanziaria dell'azienda: l'Avvocato si avvicinò sempre più alla Mediobanca di Enrico Cuccia (forse anche a seguito delle traversie finanziarie della Fiat e ai buoni rapporti che intercorrevano fra Romiti e Cuccia) dalla quale il suo predecessore Valletta si era sempre tenuto a una cortese distanza.
Nel 1976 accaddero due nuovi eventi: la meteora De Benedetti e l'alienazione della SAI. Carlo De Benedetti era un giovane imprenditore rampante: aveva rilevato l'azienda del padre, acquisite, a poco prezzo e per gradi, alcune aziende operanti nel settore della componentistica auto, che non se la passavano bene, e le aveva ristrutturate e razionalizzate inserendole nella sua Gilardini, di cui aveva il controllo con il 60% delle azioni. Si avvaleva di diversi collaboratori e inoltre dal 1974 al 1976 era stato presidente dell'Unione Industriale di Torino.
Conosciuto il personaggio (era stato compagno di scuola del fratello Umberto), Gianni Agnelli gli propose di entrare in Fiat come direttore generale accanto a Romiti. Carlo De Benedetti accettò ma a patto di diventare azionista Fiat, cosicché Gianni Agnelli fece acquistare dalla Fiat la Gilardini (azienda il cui fatturato era prevalentemente costituito dalle forniture alla stessa azienda) e la pagò con un pacchetto di azioni Fiat pari a circa il 5% del capitale sociale della medesima. De Benedetti, che si era portato dietro alcuni fedelissimi, tra i quali il fratello Franco e l'ingegnere Giorgio Garuzzo, iniziò un lavoro di sfoltimento del management aziendale.
Poi, improvvisamente, a fine agosto, decise di andarsene. I motivi di questo dietro-front dopo così poco tempo non sono mai stati spiegati chiaramente. Gianni Agnelli gli ricomprò il pacchetto di azioni Fiat allo stesso prezzo di valutazione della Gilardini quando quattro mesi prima questa era stata acquisita dalla Fiat, ove rimarrà. L'altro evento riguardò la Compagnia di assicurazione SAI, di proprietà della famiglia Agnelli. Fondata dal nonno di Gianni negli anni venti per riporci le polizze delle sue aziende e quelle personali, seguì lo sviluppo della Fiat giovandosi dell'automatica acquisizione del cliente FIAT che acquistava a rate l'autovettura con finanziamento SAVA (la società della Fiat che forniva il credito alla clientela).
La quota di controllo della SAI, che era quotata in borsa, era nel portafoglio di una delle "casseforti di famiglia", l'Istituto Finanziario Industriale (IFI). In quel momento era la terza compagnia italiana per raccolta premi e la prima nel settore delle assicurazioni auto (preponderante di molto rispetto agli altri rami esercitati). Questo pare venisse considerato il suo tallone di Achille: le tariffe RC Auto erano bloccate dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato da quando era entrata in vigore l'obbligatorietà dell'assicurazione RC per gli autoveicoli; l'inflazione gonfiava i costi di riparazione, qualcuno incominciò a pensare che l'attività assicurativa di questo ramo sarebbe stata presto nazionalizzata.
Nel luglio del 1976 in assemblea venne dato un annuncio improvviso: la compagnia era stata venduta al finanziere Raffaele Ursini. Sembrava che la vendita, caldamente patrocinata presso l'Avvocato dal management IFI, si fosse rivelata improduttiva per il venditore: il ricavato dell'acquisto, cosa già nota in sede di trattative con Ursini, se ne era andato quasi tutto nel riacquisto della consistente quota di azioni FIAT, ordinarie e privilegiate, che stavano nel portafoglio della Compagnia alienata.
Il blitz dell'Avvocato irritò il fratello Umberto, che al momento della firma del contratto di cessione si trovava negli Stati Uniti d'America e, tornato in Italia, si sarebbe trovato di fronte al fatto compiuto. Sulla vendita si scatenarono le polemiche (anche se allora non vi era per questi casi l'obbligo di OPA): il prezzo di vendita, si diceva, era stato troppo basso e nellentourage Fiat si diffuse il malcontento.
Ironia della sorte, un anno dopo il Ministero concesse agli assicuratori il sospirato aumento delle tariffe (20%), la SAI rifiorì, se mai fosse appassita, e passò ancora di mano (da Ursini al costruttore d'immobili Salvatore Ligresti) e, come altre compagnie, tornò a essere nel giro di pochi anni altamente redditizia. La FIAT costituì poco dopo una compagnia propria, l'Augusta Assicurazioni, ma rientrerà di fatto nel business assicurativo solo molti anni dopo, acquistando il pacchetto di maggioranza della Toro Assicurazioni dal fallimento del Banco Ambrosiano.
Alla fine del 1976 i problemi finanziari sembravano risolti con la cessione di poco più del 9% del capitale FIAT alla Lafico (Lybian Arab Foreign Investment Company), una banca controllata dal governo libico di Muʿammar Gheddafi (in dieci anni il socio libico, nel mero ruolo di investitore, arrivò a possedere quasi il 16% del capitale Fiat). La cessione gettò un certo sconcerto negli ambienti politici occidentali per le tensioni esistenti tra la Libia di Gheddafi e diversi altri Paesi, Stati Uniti in testa.
La crisi si riaffacciò prepotente a fine anni settanta (la quota di mercato della FIAT Auto in Italia, il mercato più importante per l'azienda torinese, era scesa dal quasi 75% del 1968, a meno di due anni dall'esordio di Gianni Agnelli come responsabile attivo dell'azienda, al 51% del 1979, ovvero quasi 25 punti in meno in dieci anni. Nel resto dell'Europa, Spagna esclusa, le cose non erano andate meglio, si passò da un già modesto 6,5% del 1968 al 5,5 del 1979), ma la crisi venne superata grazie alla ottima riuscita di modelli voluti dal nuovo direttore generale di FIAT Auto, Vittorio Ghidella: la Uno e, successivamente, la Croma e la Thema.
Anni ottanta
I conflitti della FIAT di Gianni Agnelli con le forze sindacali italiane rappresentano un esempio delle relazioni tra il mondo degli industriali e i sindacati negli anni 1980.
Uno dei più aspri scontri con il mondo sindacale si risolse in favore degli industriali nel 1980, quando uno sciopero generale, che aveva portato al blocco della produzione, (il "blocco" dei cancelli FIAT durò ben 35 giorni) venne spezzato dalla cosiddetta "marcia dei quarantamila" (dal supposto numero di lavoratori "qualificati" che il 14 ottobre dello stesso anno sfilarono a Torino reclamando il diritto "di poter andare a lavorare"). Questa azione segnò un punto di svolta e una brusca caduta del potere sino ad allora detenuto dai sindacati degli operai in Italia all'interno della FIAT.
Si trattò di un periodo in cui le cose andavano abbastanza bene; l'azienda, grazie al successo ottenuto con i nuovi modelli di cui si è detto e alla riduzione dei costi di produzione ottenuta con una forte spinta all'automazione dei processi produttivi (robotizzazione) che la portò a primeggiare nel mondo in questo campo, produceva nuovamente buoni utili per i suoi azionisti e assunse anche nuova mano d'opera. A metà degli anni ottanta iniziò una trattativa di accordo societario con la Ford Europa ma poi, a trattative già avanzate, l'accordo sfumò (ottobre 1985).
Poco dopo Gianni Agnelli strappò proprio alla Ford l'acquisto dall'IRI dell'Alfa Romeo, che il governo italiano aveva deciso di vendere. Le offerte dei due contendenti comprendevano un corrispettivo a titolo di acquisto più impegni finanziari successivi nella nuova realtà produttiva. In effetti il confronto fra le due offerte non era facile poiché, al di là del mero corrispettivo di acquisto, si inserivano altri fattori quali: le modalità di pagamento di tale corrispettivo, gli impegni a mantenere i livelli occupazionali dell'Alfa, l'ammontare degli investimenti che i due acquirenti avrebbero promesso di fare nell'azienda acquisita. Queste complessità favorirono il fiorire di numerose polemiche.
Nell'autunno si risolse poi un problema già vivo da qualche anno: la presenza di una banca dello Stato libico nella compagine azionaria. Tale presenza aveva già dato luogo a numerosi problemi alla Fiat per i rapporti che il gruppo teneva con numerose società ed enti statunitensi, arrivando a essere causa di rifiuto di acquisto di forniture di aziende del gruppo da parte di enti federali americani o di società private, le quali però lavoravano per la Difesa statunitense. Proprio nella primavera la tensione giunse al culmine: il 15 aprile 1986 uno stormo di cacciabombardieri americani attaccò una base navale libica presso Bengasi e la residenza dello stesso Gheddafi vicino a Tripoli (Operazione El Dorado Canyon), in ritorsione a una serie di attentati contro basi americane e luoghi frequentati da americani, la cui responsabilità veniva attribuita dall'amministrazione statunitense al governo libico. Poche ore dopo due missili libici caddero non lontano dalle coste dell'isola di Lampedusa. Dopo una trattativa durata qualche mese con i rappresentanti della banca libica la quota Fiat in mano a essa venne riacquistata da una delle "casseforti di famiglia", l'IFIL (settembre 1986). L'operazione, studiata da Agnelli e Romiti con Enrico Cuccia, che vide coinvolte sia Mediobanca sia la Deutsche Bank, fu una manovra finanziaria complicata, che nel complesso riuscì ma sollevò molte critiche.
Nel 1987 Gianni Agnelli blindò il controllo della Fiat da parte della famiglia costituendo la Società in accomandita per azioni Giovanni Agnelli, nella quale confluirono le partecipazioni degli ormai numerosissimi componenti della famiglia. Questa "tecnica" verrà presto utilizzata da altri industriali. Inspiegabilmente, alla fine del 1988, l'artefice della potente ripresa dell'azienda sui mercati italiano ed europeo, Vittorio Ghidella, venne bruscamente allontanato dalla Fiat dopo essere stato sugli scudi per tanto tempo. Due anni prima lo stesso Gianni Agnelli, entusiasta dei risultati ottenuti da Ghidella, l'aveva pubblicamente indicato come il futuro successore di Cesare Romiti. Intanto incominciava a pesare anche in Italia la concorrenza di avversari temibilissimi: i giapponesi.
Anni 2000
Al principio degli anni 2000, Gianni Agnelli, convinto che la Fiat non ce l'avrebbe fatta da sola ad affrontare la sfida del mercato mondiale (fra il 1990 e il 2001 la quota di mercato FIAT in Italia si era ridotta da circa il 53% a circa il 35% e in Europa da poco più del 14% a meno del 10%), aprì agli americani della General Motors (GM), con i quali concluse un'intesa: la grande azienda statunitense acquistò il 20% della Fiat Auto pagandolo con azioni proprie (un aumento di capitale riservato alla Fiat) che valevano in totale circa il 5% dell'intero capitale GM e la Fiat ottenne una clausola put, il diritto esercitabile in questo caso dopo due anni ed entro gli otto successivi, di cedere a GM il rimanente 80% della Fiat Auto a un prezzo da determinarsi con certi criteri predefiniti e che GM sarà obbligata ad acquistare. Erano previste inoltre fusioni fra società costituite da stabilimenti Fiat Auto e stabilimenti Opel, la consociata europea di GM, con sede in Germania.
L'accordo si ruppe cinque anni dopo (sia FIAT sia GM si trovavano in grosse difficoltà) con un risultato opposto a quanto ipotizzato originariamente: non fu la Fiat Auto che venne interamente ceduta a GM, bensì fu GM che pagò per evitare l'esercizio del diritto di cessione (clausola put) da parte Fiat, cedendo a quest'ultima anche le quote GM di Fiat Auto. Le società operative miste, già costituite e operanti, vennero sciolte e ognuno si riprese la sua parte, anche se GM mantenne i diritti di produzione dei motori MultiJet, che saranno montati su tutta la gamma GM e costruiti in un apposito stabilimento GM-Powertrain a Tychy, in Polonia. La crisi economica del settore auto del Gruppo Fiat trovò Agnelli già in lotta contro il tumore ed egli poteva partecipare ormai solo in maniera limitata allo svolgersi degli eventi.
La morte
Il 24 gennaio 2003 Gianni Agnelli morì, all'età di 81 anni, a Torino nella sua storica residenza collinare Villa Frescòt (al confine con Pecetto Torinese) per carcinoma della prostata. La camera ardente venne allestita nella Pinacoteca del Lingotto, secondo il cerimoniale del Senato. Il funerale, trasmesso in diretta su Rai 1, si svolse nel Duomo di Torino, seguito da un'enorme folla e presieduto dal cardinale Severino Poletto. La moglie, con una lettera aperta al direttore del quotidiano La Stampa ringrazierà poi tutte le figure nazionali e internazionali e tutti i cittadini presenti. Gianni Agnelli venne tumulato nella monumentale cappella di famiglia presso il piccolo cimitero di Villar Perosa.
Altri interessi
Circoli
Gianni Agnelli era socio di vari circoli esclusivi, come il Clubino di Milano, il Circolo della Caccia a Roma, il Knickerbocker Club di New York, lo Yacht Club Costa Smeralda di Porto Cervo e il Corviglia Ski Club di St. Moritz.
Sport
La figura di Gianni Agnelli fu anche intimamente legata alla storia della , la squadra di calcio del capoluogo piemontese di cui fu nominato presidente dal 1947 al 1954. La sua attività presidenziale ebbe un impatto all'interno del club simile a quello del padre Edoardo un ventennio prima, acquistando giocatori di rilievo quali Giampiero Boniperti, John Hansen e Karl Åge Præst, decisivi per la conquista di due campionati di Serie A nel 1950 e 1952, i primi vinti dalla Vecchia Signora in quindici anni, nonché per la trasformazione subita a livello societario, durante la sua gestione, da un club privato facente parte della casa automobilistica rivale Cisitalia, presieduta da Piero Dusio, a un'azienda indipendente con capitale privato a responsabilità limitata.
Dopo l'attività di presidente del club calcistico, rimase legato ai colori bianconeri svolgendo diverse attività dirigenziali in qualità di presidente onorario, con cui poté mantenere la sua influenza sul club fino al 1994, anno in cui consegnò tali attività a suo fratello Umberto, permettendo ai bianconeri di ottenere altri dieci titoli di campione d'Italia, quattro coppe nazionali, una Coppa Intercontinentale, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe, tre Coppe UEFA e una Supercoppa UEFA, per un totale di 23 trofei ufficiali in 48 anni; facendone una delle personalità più importanti nella storia dello sport. Le sue quotidiane telefonate delle 6 del mattino al celebre capitano della squadra prima e a sua volta presidente poi, Giampiero Boniperti, effettuate da dovunque fosse, sono leggendarie.
Nel 2000 fu nominato presidente del comitato d'onore di Torino 2006 e acclamato membro onorario del CIO, cariche che ricoprì fino alla morte.
L'editoria
Gianni Agnelli fu presente anche nell'editoria, sia pure attraverso la Fiat. Il 100% del quotidiano La Stampa era, fin dal 1926, di proprietà della Fiat. Anche il Corriere della Sera lo fu per un terzo del capitale dal 1973 al 1974 quando Gianni Agnelli decise di cedere la partecipazione. Ci rientrerà dieci anni dopo acquistando, attraverso la Gemina, società finanziaria collegata alla Fiat, poco più del 46% della Rizzoli, nel corso di un'operazione di salvataggio della società editrice, che in quel momento era piuttosto malandata.
Confindustria
Nel 1974 Gianni Agnelli fu eletto presidente della Confindustria, il sindacato degli industriali. La sua politica fu una sorta di appeasement verso i sindacati nella speranza che l'asprezza delle lotte si mitigasse e fosse possibile così riprendere lo slancio produttivo. L'interlocutore privilegiato divenne Luciano Lama, segretario generale della CGIL e responsabile della politica dei tre sindacati principali (la cosiddetta triplice, cioè CGIL, CISL e UIL).
L'effetto principale fu l'accordo sulla cosiddetta scala mobile, il meccanismo di indicizzazione dei salari al costo della vita. L'accordo fu trovato, il meccanismo precedente fu modificato e fu anche abolita la differenziazione fra categorie: lo scatto di contingenza (importo mensile lordo da corrispondere in più a ogni punto di incremento del costo della vita) diveniva uguale per tutti, dal semplice manovale allo specialista, al quadro impiegatizio della categoria più alta prima della dirigenza.
Agnelli lasciò la presidenza della Confindustria nel 1976: il suo operato fu successivamente fortemente criticato (l'accusa era quella di aver fatto delle concessioni troppo ampie, incompatibili con la situazione economica e a lungo termine dannose anche per le maestranze, in quanto nel meccanismo di adeguamento si celerebbe un fattore moltiplicativo dell'inflazione). In compenso la conflittualità all'interno delle fabbriche non si ridusse, anzi si accrebbe e si aggravò, come dimostrarono i fatti negli anni subito a seguire.
La presenza nelle istituzioni
Il primo incarico di natura pubblica lo ricevette nel 1961 quando, in occasione dei festeggiamenti per il primo centenario dell'unità d'Italia, fu nominato presidente dell'Esposizione internazionale del lavoro. All'inizio del 1976 l'allora segretario del Partito Repubblicano Ugo La Malfa offrì a Gianni Agnelli una candidatura nelle liste del partito per le elezioni politiche che si sarebbero svolte in giugno e in un primo momento parve che Gianni Agnelli avesse una certa intenzione di aderire alla proposta, ma poi declinò l'invito, avendo nel frattempo il fratello Umberto accettata la candidatura nella Democrazia Cristiana (Umberto verrà poi eletto senatore nelle file della DC).
Nel 1991 venne nominato senatore a vita dall'allora presidente della Repubblica Italiana Francesco Cossiga: Agnelli s'iscrisse al Gruppo per le Autonomie e venne ammesso alla Commissione Difesa del Senato. Nel 1994 fu tra i tre senatori a vita (insieme a Giovanni Leone e allo stesso Cossiga) a votare la fiducia al primo governo Berlusconi (e fu la prima volta nella storia d'Italia che i senatori a vita furono decisivi per la fiducia a un esecutivo), nonostante avesse dichiarato, quando Berlusconi stava per entrare in politica: «Se vince, avrà vinto un imprenditore, se perde avrà perso Berlusconi». Quando però nel 1998 cadde il governo Prodi I e fu nominato premier Massimo D'Alema, il primo post-comunista, fece scalpore il suo voto a favore della fiducia; come ebbe a spiegare alla stampa: «... oggi in Italia un governo di sinistra è l'unico che possa fare politiche di destra».
Vita privata
Nonostante le apparenze di uomo composto, Gianni Agnelli fu molto disinvolto nelle sue relazioni personali. Come riportato da un documentario americano del 2017, prodotto dalla rete TV HBO, presentato al festival del cinema di Venezia e da molte pagine web, godendo di un indiscusso fascino, Agnelli si divertiva molto con relazioni e avventure galanti, che consumava nelle sue numerose garçonnière.
Tra le tante sue donne si ricordano le più famose, come Anita Ekberg, Dalila Di Lazzaro e Jacqueline Kennedy. Alcune di queste sono state rivelate dalle stesse interessate, magari dopo la sua morte; le pubblicazioni di altre informazioni e fotografie sono state soffocate sul nascere, da familiari e da illustri collaboratori.
Agnelli amava molto anche correre con tutti i mezzi e particolarmente in automobile, ignorando i limiti di velocità, con conseguenze a volte gravi, tra cui il sopra citato incidente del 1952, che gli compromise la gamba. Egli stava infatti cercando di raggiungere urgentemente a Montecarlo la sua amante, Pamela Digby, già nuora del famoso statista inglese Winston Churchill, che aveva minacciato di lasciarlo, dopo averlo sorpreso con un'altra donna.
Onorificenze
Ascendenza
Fonte: "Note Azzurre" n. 2871,2872,5504,5689 e 5572
Eredità
La documentazione prodotta da Gianni Agnelli durante il periodo della sua attività nell'azienda di famiglia (1966-2003) è conservata nel fondo Fiat dell'Archivio storico Fiat.
Note
Bibliografia
Marco Ferrante, Casa Agnelli, Mondadori, 2007
Alan Friedman, Agnelli and the network of italian power, Mandarin Paperback (Octopus Publishing Gr.), London, 1988, ISBN 0-7493-0093-0 (ed. italiana: Tutto in famiglia, Longanesi, Milano, 1988)
Angiolo Silvio Ori, Viceré a Torino, Settedidenari, Bologna, 1969
Angiolo Silvio Ori, Storia di una dinastia - Gli Agnelli e la Fiat, Editori Riuniti, Roma, 1996 ISBN 88-359-4059-1
Berta Giuseppe, La Fiat dopo la Fiat, Mondadori, Milano, ISBN 88-04-55138-0
Cesare Romiti-Gianpaolo Pansa, Questi anni alla Fiat, Rizzoli, Milano, 1988 ISBN 88-17-53623-7
Enzo Biagi, Il Signor Fiat. Una biografia, Rizzoli, Milano, 1976
Giorgio Garuzzo, FIAT - I segreti di un'epoca, Fazi Editore, Roma, 2006, ISBN 88-8112-747-4
Valerio Castronovo, Giovanni Agnelli - La Fiat dal 1899 al 1945, Einaudi, Torino, 1977
Giancarlo Galli, Gli Agnelli, il tramonto di una dinastia, Mondadori, Edizione 2003, ISBN 88-04-51768-9
Videografia
Emanuele Imbucci, Gianni Agnelli, in arte l'Avvocato, RAI 3, 13 marzo 2023
Voci correlate
Agnelli (famiglia)
Giovanni Agnelli (imprenditore 1866)
Giovanni Agnelli e C.
Comitato Leonardo - Italian Quality Committee
Altri progetti
Collegamenti esterni
Gianni
Senatori a vita italiani
Imprenditori automobilistici
Dirigenti sportivi italiani
Cavalieri di gran croce OMRI
Cavalieri del lavoro
Benemeriti della cultura e dell'arte
Exor
Dirigenti della Juventus F.C.
Presidenti di Confindustria
Ufficiali del Regio Esercito
Persone legate agli alpini
Persone legate alla Fiat
Giovanni Agnelli e C.
Collezionisti d'arte italiani
Studenti dell'Università degli Studi di Torino
Sindaci in Italia
Presidenti della Juventus F.C. |
2057 | https://it.wikipedia.org/wiki/Gershom%20Scholem | Gershom Scholem |
Biografia
Il precoce interesse del giovane Gershom per la tradizione fu fortemente avversato dal padre Arthur. Grazie all'intermediazione della madre il ragazzo poté imparare l'ebraico e studiare il Talmud con un rabbino ortodosso. Tuttavia, per uno strano contrasto, Scholem era anche attratto dal sionismo laico e socialisteggiante, ed entrò a far parte del gruppo Jung Juda. Fu molto influenzato dal poeta Walt Whitman, che egli avvicinava al misticismo ebraico.
Studiò matematica, filosofia ed ebraico all'Università di Berlino; nell'ambiente universitario conobbe Martin Buber e Walter Benjamin; in quegli anni strinse amicizia con Shemuel Yosef Agnon, Hayim Nahum Bialik, Ahad ha-Am e Zalman Shazar (che all'epoca si chiamava ancora Zalman Rubaschoff), futuro presidente dello Stato di Israele.
Nel 1918 si trovava a Berna con Benjamin e fu ammesso alla locale Università; nella città svizzera incontrò Elsa Burckhardt, che sarebbe divenuta la sua prima moglie. Nel 1919 tornò in Germania e si laureò in lingue semitiche all'Università Ludwig Maximilian di Monaco.
Nel 1923 emigrò in Palestina, dove divenne capo del Dipartimento di Ebraico della Biblioteca Nazionale Ebraica; nel 1933 ebbe la prima cattedra di misticismo ebraico all'Università Ebraica di Gerusalemme.
Nel 1936 sposò Fania Freud. Dopo la nascita dello Stato di Israele fu presidente dell'Accademia nazionale delle Scienze; nel 1965 ebbe il titolo di professor emeritus all'Università Ebraica.
Morì il 20 febbraio del 1982.
Pensiero
Scholem pone il suo approccio storiografico allo studio del misticismo ebraico in diretto contrasto con quello della scuola ottocentesca della Wissenschaft des Judentums (scienza del giudaismo). L'analisi del giudaismo da parte di questo movimento ha, agli occhi di Scholem, due gravi carenze: (1) studia il giudaismo come un oggetto morto posto su un vetrino di microscopio anziché come un organismo vivente e (2) non tiene in considerazione il "fondamento" stesso del giudaismo, le forze irrazionali che vivificano la religione. Per Scholem le componenti mitiche e mistiche sono altrettanto importanti che quelle razionali.
Tuttavia egli non vuole seguire le orme di chi ha abbracciato la mistica ma non la storia degli Ebrei. In particolare è in disaccordo con Martin Buber a cui rimprovera la personalizzazione dei concetti cabalistici e l'ignoranza della storia, della lingua e della patria ancestrale del popolo ebraico.
Nella Weltanschauung di Scholem l'indagine del misticismo ebraico non può prescindere dal contesto storico. Partendo da una sorta di Gegengeschichte (controstoria) nietzschiana egli arriva ad includere nella storia "pubblica" molti degli aspetti meno "normativi" del giudaismo.
Quest'impeto di conferire legittimità all'irrazionale deriva, come quello della Wissenschaft, più o meno direttamente da Buber. Tuttavia le vedute "contro-storiche" (gegengeschichtlich) di Scholem comportano il concetto di tradizione come forte legame tra gli Ebrei di ieri e gli Ebrei di oggi (adesione al sionismo).
Specificamente Scholem concepisce la storia ebraica come formata grosso modo da tre stadi:
Durante il periodo biblico il monoteismo lotta contro il mito senza riuscire a sopraffarlo completamente.
Nel periodo talmudico parte delle "istituzioni" – per es. nozione del potere magico dell'adempimento dei sacramenti – viene eliminata a favore di un concetto più puro della trascendenza divina.
Nel periodo medievale, posti di fronte all'impossibilità di conciliare il Dio astratto della filosofia greca col Dio personale della Bibbia, i pensatori ebrei come Mosè Maimonide, nel loro tentativo di eliminare i residui del mito, snaturano la figura del Dio vivente. È a partire da quest'epoca che si sviluppa il misticismo inteso come sforzo teso a ritrovare l'essenza del Dio dei padri.
La nozione dei tre stadi, con le sue interrelazioni tra irrazionale e razionale, porta Scholem a formulare tesi assai controverse. Secondo la sua opinione è dalla Qabbalah luriana che si sviluppò il movimento messianico cinquecentesco del sabbatianesimo. Per neutralizzare il sabbatianesimo, come sintesi hegeliana, sarebbe sorto il Chassidismo.
Molti che aderivano al Chassidismo perché vi vedevano una congregazione ortodossa accolsero come uno scandalo l'idea che la loro comunità avesse un rapporto così stretto con un movimento "ereticale".
Similmente Scholem ipotizzò come fonte della Qabbalah duecentesca un ipotetico gnosticismo ebraico anteriore a quello cristiano.
L'approccio storiografico di Scholem implicava anche una teoria linguistica. Diversamente da Buber egli credeva nella capacità del linguaggio di evocare realtà sovrannaturali. E, in contrasto con Benjamin, poneva l'ebraico in posizione privilegiata in quanto unica lingua in grado di adombrare la verità divina. Scholem immaginava i cabalisti come interpreti di una rivelazione linguistica preesistente.
Bibliografia italiana
Le grandi correnti della mistica ebraica, trad. di Guido Russo, Milano, Il Saggiatore, 1965; Prefazione di Robert Alter, Genova, Il melangolo, 1982-1990; Introduzione di Giulio Busi, Torino, Einaudi, 1993-2008.
Le origini della Kabbala, trad. di Augusto Segre, Bologna, Il Mulino, 1973; Bologna, ed. Dehoniane, 1990
curatela di Walter Benjamin, Lettere: 1913-1940 (con Theodor Adorno), Torino, Einaudi, 1978
Walter Benjamin e il suo angelo, trad. di Maria Teresa Mandalari, Milano, Adelphi, 1978
La Kabbalah e il suo simbolismo, trad. di Anna Solmi, Torino, Eianudi, 1980
La cabala, trad. di Roberta Rambelli, Roma, ed. Mediterranee, 1982
prefazione a Walter Benjamin, Diario moscovita, a cura di Gary Smith, trad. di Gianni Carchia, Torino, Einaudi, 1983
Concetti fondamentali dell'ebraismo, trad. di Michele Bertaggia, Genova, Marietti, 1986
Teologia e utopia: carteggio 1933-1940 (con Walter Benjamin), trad. di Anna Maria Marietti, Torino, Einaudi, 1987
Da Berlino a Gerusalemme. Ricordi giovanili, trad. di Anna Maria Marietti, Torino, Einaudi, 1988; n.ed. ampliata, a cura di Giulio Busi, trad. di Saverio Campanini, Torino: Einaudi, 2004
Walter Benjamin. Storia di un'amicizia, trad. e note di Emilio Castellani e Carlo Alberto Bonadies, Milano, Adelphi, 1992
Alchimia e kabbalah, trad. di Marina Sartorio, Torino, Einaudi, 1995
Lo splendore della Qabbala, a cura di Massimo Jevolella e Laura Maggioni, Como, Red, 1995
Zohar: il libro dello splendore, passi scelti della Qabbalah, trad. di Elena Loewenthal, Torino, Einaudi, 1998
Mistica, utopia e modernità: saggi sull'ebraismo, a cura di Marina Cavarocchi Arbib, Genova, Marietti, 1998
Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio, trad. di Adriano Fabris, Milano, Adelphi, 1998
Sabbetay Sevi: il messia mistico 1626-1676, introduzione di Michele Ranchetti, trad. di Caterina Ranchetti e Milka Ventura, Torino: Einaudi, 2001
Scholem Shalom: due conversazioni su Israele, gli ebrei e la qabbalah, a cura di Gianfranco Bonola, introduzione di Friedrich Niewohner, Macerata: Quodlibet, 2001
I segreti della creazione Un capitolo del libro cabbalistico «Zohar», a cura di Elisabetta Zevi, trad. di Gabriella Bemporad, con una Nota di Moshe Idel, Milano, Adelphi, 2003
Tre discorsi sull'ebraismo, trad. di Paola Buscaglione Candela, Firenze, Giuntina, 2005
Educazione e giudaismo: un dialogo pedagogico, a cura di Massimo Giuliani, Brescia, Morcelliana, 2007
L'idea messianica nell'ebraismo e altri saggi sulla spiritualità ebraica, a cura di Roberto Donatoni e Elisabetta Zevi, con una nota di Saverio Campanini, Milano, Adelphi, 2008
La figura mistica della divinità. Studi sui concetti fondamentali della Qabbalah, a cura e con una nota di Saverio Campanini, Milano, Adelphi, 2010
La stella di David. Storia di un simbolo, a cura di Saverio Campanini e Elisabetta Zevi, con un saggio di Saverio Campanini, Firenze, Guntina, 2013
Tradizione e nuova creazione nei riti dei cabalisti, trad. di Rolando Galluppi in Il Rito, Quaderni di Eranos 42, Red editore, 1991
La crisi della tradizione nel messianismo giudaico, trad. Rolando Galluppi in Iniziazione e rinnovamento, Quaderni di Eranos 82, Red editore, 1996
Le tre vite di Moses Dobrushka, a cura e con un saggio di Saverio Campanini, traduzione di Elisabetta Zevi, Milano, Adelphi, 2014, ISBN 978-88-459-2896-3.
Il sogno e la violenza. Poesie, a cura di Irene Kajon, Firenze, Giuntina, 2014, ISBN 978-88-8057-516-0.
Il nichilismo come fenomeno religioso, Firenze, Giuntina, 2016, ISBN 978-88-8057-637-2.
Epistolari
G. Scholem-Hannah Arendt, Due lettere sulla banalità del male, Roma, Nottetempo, 2007, ISBN 978-88-745-2116-6.
G. Scholem-Leo Strauss, Lettere dall'esilio. Carteggio (1933-1973), a cura di Carlo Altini, trad. di Silvia Battelli, Firenze, Giuntina, 2008, ISBN 978-88-805-7309-8.
Walter Benjamin-G. Scholem, Archivio e camera oscura. Carteggio 1932-1940, a cura di G. Scholem, edizione italiana a cura di Saverio Campanini, Collezione Biblioteca n. 705, Milano, Adelphi, 2020, ISBN 978-88-459-3452-0.
Bibliografia critica
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Eric Jacobson, Metaphysics of the profane: the political theology of Walter Benjamin and Gershom Scholem, New York: Columbia University Press, 2003
Enrico Lucca, Sull'orlo dell'abisso. Scholem e Rosenzweig sulla lingua ebraica, in "Rivista di Storia della Filosofia", 2 (2013), pp. 305–320.
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Stephane Moses, La storia e il suo angelo: Rosenzweig, Benjamin, Scholem, trad. di Michele Bertaggia, Milano: Anabasi, 1993
Jacob Taubes, Il prezzo del messianesimo: lettere a Gershom Scholem e altri scritti, a cura di Elettra Stimilli, Macerata: Quodlibet, 2000
Saverio Campanini, Dénouement du monde, du temps et de l'âme, in G. Scholem, La cabale du Livre de l'image et d'Abraham Aboulafia, éditions de l'éclat, Paris 2019, pp. VII-XXXIV.
Altri progetti
Collegamenti esterni
Giacomo Maria Arrigo, Gershom Scholem, Il nichilismo come fenomeno religioso, in «Azioni Parallele - Rivista filosofica online» (01/2017).
F. Dal Bo, "Tra la sabbia e le stelle: Scholem e la traduzione di Zohar 22a-26b", in Materia Giudaica, VIII, 2, 2003, pp. 297-309 (un'analisi della traduzione di Scholem del primo capitolo dello Zohar)
Gershom Scholem tra Sionismo e Kabbalà tesi di laurea di Flavia Piperno, Università La Sapienza di Roma, a.a. 2000-2001
Enrico Lucca, Ateismo e profondità dell'essere. Un breve scambio epistolare tra Furio Jesi e Gershom Scholem, in "Scienza & Politica", xxv, 48 (2013), pp. 111–116
Saverio Campanini, "Parva Scholemiana", in Materia Giudaica, X, 2, 2005, pp. 395–412
Saverio Campanini, Astra Scholemiana. Simbolo e storia, in "Schede Medievali" 53 (2015), pp. 75–93.
Ebrei tedeschi
Personalità dell'ebraismo
Studenti dell'Università Humboldt di Berlino
Studenti dell'Università di Berna
Studenti dell'Università Ludwig Maximilian di Monaco
Filosofi della storia |
2066 | https://it.wikipedia.org/wiki/Golfo%20di%20Venezia | Golfo di Venezia | Il golfo di Venezia è un'insenatura situata nell'Alto Adriatico che va dalla punta di Goro nel delta del Po fino a capo Promontore, in Istria. Al suo interno è ricompreso il golfo di Trieste più altre baie minori, la laguna Veneta ed altre lagune minori (Laguna del Mort, Laguna di Marano, Laguna di Grado).
Nel golfo di Venezia sfociano, oltre allo stesso Po, i fiumi Isonzo, Piave, Brenta, Bacchiglione, Adige, Tagliamento, Risano, Sile, Rosandra, Lemene, Dragogna, Livenza, Quieto, Arsa, Dese.
Ai tempi della Repubblica di Venezia, la quale ha posseduto per lungo tempo gran parte della Dalmazia, nonché alcuni porti pugliesi, tale denominazione si estendeva a tutto l'Adriatico fino al canale d'Otranto.
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2069 | https://it.wikipedia.org/wiki/Greta%20Garbo | Greta Garbo | Soprannominata la Divina, dopo aver iniziato l'attività di attrice in Svezia venne ingaggiata negli Stati Uniti dalla Metro-Goldwyn-Mayer, di cui divenne rapidamente l'attrice di punta fra gli anni venti e gli anni quaranta, ottenendo un grandissimo successo sia nell'epoca del muto che del sonoro. Grazie al suo talento e al suo carisma fu apprezzata in pellicole divenute dei classici del cinema, come Grand Hotel (1932), La regina Cristina (1933) e Anna Karenina (1935), seducendo generazioni di spettatori e diventando una delle più celebri icone dello star system hollywoodiano. Il suo mito crebbe in contrapposizione con quello di un'altra grande diva, Marlene Dietrich, star di punta di una casa cinematografica concorrente che contribuì a creare una presunta rivalità tra le due attrici. Si ritirò dalle scene a 36 anni, all'apice del successo.
Ebbe quattro candidature ai premi Oscar e ne ricevette uno alla carriera nel 1955. L'American Film Institute ha inserito la Garbo al quinto posto tra le più grandi star della storia del cinema.
Biografia
Infanzia e adolescenza (1905-1922)
Greta Lovisa Gustaffson nacque a Södermalm, un quartiere popolare di Stoccolma, nel 1905, da una famiglia di modeste origini: suo padre, Karl Alfred Gustafsson (1871–1920), lavorava come netturbino e la madre, Anna Lovisa Karlsson (1872–1944), era una contadina d'origine lappone.
Terza di tre figli (Alva e Sven), Greta, dal carattere malinconico e solitario, preferiva restare appartata a fantasticare invece che unirsi ai coetanei nel gioco; da adulta confesserà che, pur considerandosi una bambina come tutte le altre, le capitava spesso di sentirsi un attimo prima molto felice, e subito dopo molto depressa. L'unico momento di svago che si concedeva, spesso da sola nella cucina di casa, era giocare a fare teatro: si travestiva con abiti dismessi, si truccava e organizzava personali spettacoli.
Nel 1920, ancora quindicenne, alla morte del padre (a causa dell'epidemia di influenza spagnola), dovette abbandonare la scuola per contribuire al sostentamento della famiglia; si impiegò così dapprima in un negozio di barbiere, che abbandonò ben presto a causa delle continue avances che riceveva dai clienti, e poi come commessa presso PUB, i famosi grandi magazzini di Stoccolma. Ben presto fu notata per la sua avvenenza e le fu chiesto di posare come modella e successivamente di apparire in due brevi cortometraggi pubblicitari; i filmati attirarono l'attenzione del regista Erik Arthur Petschle, che la fece esordire sul grande schermo nella commedia Luffar-Petter del 1922.
Queste esperienze convinsero la Garbo a prendere seriamente in considerazione la strada della recitazione: superando una dura selezione, riuscì a vincere una borsa di studio per l'Accademia Regia di Stoccolma; poco dopo venne chiamata a fare un provino con il quarantenne regista finnico Mauritz Stiller. Al momento del loro incontro Greta Garbo aveva diciotto anni, mentre il regista (che, renitente alla leva, si era rifugiato in Svezia circa vent'anni prima) a quell'epoca godeva già d'una certa notorietà ed era considerato un innovatore della tecnica cinematografica. Stiller si rivelerà una presenza determinante nei primi anni di carriera della Garbo, facendole da mentore e pigmalione, nonché da amico riservato e prezioso.
La nascita artistica (1923 - 1925)
Fu a questo punto della sua vita che Greta Lovisa Gustafsson, su consiglio dello stesso Stiller e facendone espressa richiesta al Ministero degli Interni, decise di cambiare il proprio nome in Greta Garbo, ispirandosi a quello di Bethlen Gábor, sovrano ungherese del XVII secolo. Anche il suo look subì dei progressivi mutamenti. Nel tempo libero, la ragazza amava infatti vestire comodamente, in maniera molto informale, e in tal modo inventò forse senza esserne in principio consapevole pienamente, anche uno stile: lo 'stile alla Garbo', caratterizzato da un abbigliamento decisamente androgino, con giacche di taglio maschile, pantaloni, camicia e cravatta, riuscendo ad imporre un'immagine innovativa e, nel contempo, sensuale.
Nel marzo del 1924, venne presentato a Stoccolma il film La leggenda di Gösta Berling (noto anche con il titolo I cavalieri di Ekebù): apprezzato dal pubblico, fu però stroncato dalla critica, ma Stiller decise di ripresentarlo a Berlino, dove registrò un successo incondizionato. Nella città tedesca Greta fece conoscenza con il regista Georg Wilhelm Pabst, che le offrì una parte nel film La via senza gioia (1925), pellicola che si rivelerà un classico della cinematografia e favorirà l'esordio della Garbo ad Hollywood: il produttore Louis B. Mayer, presidente della Metro Goldwyn Mayer, si trovava infatti a Berlino alla ricerca di nuovi talenti europei e, su consiglio del regista svedese Victor Sjöström già attivo a Hollywood, propose un contratto a Stiller, che accettò a condizione di portare con sé la sua protetta Greta Garbo. Mayer avrebbe anche declinato la richiesta ma, dopo una visione privata del film, pare abbia dichiarato che avrebbe preso subito l'attrice ma non il regista.
Star del muto (1925-1929)
Sebbene non parlasse inglese, la Garbo partì, poco convinta, per gli Stati Uniti assieme a Stiller, sul transatlantico SS Drottningholm. A Hollywood l'attrice, appena ventenne, fu sottoposta ad un provino da parte del produttore Irving Thalberg, noto scopritore di talenti alla MGM, che rimase entusiasta dalla resa della Garbo sullo schermo e provvide subito a perfezionarne l'immagine: l'attrice fu messa a dieta, le furono aggiustati i denti e le venne assegnato un tutor affinché imparasse velocemente l'inglese. Garbo e Stiller si aspettavano di iniziare insieme le riprese del primo film previsto dal contratto, Il torrente (uscito il 21 febbraio 1926), ma la produzione affidò invece la regia a Monta Bell. Il film, tratto da un racconto dello scrittore spagnolo Vicente Blasco Ibáñez, fu girato in soli 23 giorni e all'attrice svedese fu affidata la parte di Leonora, una contadina spagnola che diventerà cantante lirica; la Garbo non apprezzò né il soggetto né il suo personaggio, e si senti a disagio sul set, senza la presenza rassicurante di Stiller e con l'ostilità del suo partner Ricardo Cortez. Nonostante il film non avesse convinto la critica, fu un grande successo di pubblico e tutta l'attenzione si concentrò su questa nuova attrice europea (la rivista Variety scrisse: "È la vera scoperta dell'anno, un'attrice convincente, con una personalità magnetica. Teniamo d'occhio questa ragazza perché andrà lontano") tanto che Thalberg la mise subito al lavoro su un secondo film.
Ne La tentatrice (1926), tratto anch'esso da un racconto di Ibáñez, il suo nome venne piazzato per primo nei titoli di testa, benché il suo partner Antonio Moreno fosse già una star affermata, e questo privilegio le verrà mantenuto per tutto il resto della sua carriera; Stiller, che aveva convinto la riluttante Garbo ad accettare un altro ruolo da vamp, fu assegnato alla regia del film, ma, a causa dei suoi problemi con la lingua inglese, con i dirigenti della MGM e con Moreno, dopo soli dieci giorni venne licenziato da Thalberg e sostituito da Fred Niblo, con grande costernazione della Garbo. Il film, uscito nell'autunno del 1926, confermò il gradimento dell'attrice svedese da parte del pubblico e consacrò definitivamente la Garbo come nuova star della MGM.
Alti e bassi (e amarezze) si alternarono a lungo nella storia di donna e d'attrice di Greta Garbo: scrisse spesso agli amici svedesi di sentirsi sola e infastidita dal clamore della celebrità, dalle incursioni di giornalisti e fotografi nella sua vita privata, e d'essere scontenta della qualità dei suoi primi film girati nel 1926 nella Mecca del cinema - La tentatrice e Donna fatale - in cui interpretò ruoli di vamp provocanti, distruttive e prive di scrupoli. Dal 1927 al 1937 interpretò una ventina di film, sempre nei panni di seduttrice, un ruolo, a suo dire, da lei «detestato». L'attrice avrebbe desiderato interpretare la parte di Giovanna d'Arco, ma le sue aspettative di ottenere ruoli più aderenti alla sua personalità vennero ripetutamente scoraggiate dalla MGM.
A detta di molti, il successo dell'attrice era dovuto anche al fascino del suo volto meravigliosamente illuminato dal direttore della fotografia William H. Daniels. L'attrice stessa pretese che ci fosse sempre lui nei film in cui lavorava, per garantirle una buona riuscita sullo schermo. Forse a causa della sua timidezza, forse a causa della sua avversione al sistema soffocante dello studio, iniziò ad avanzare anche altre pretese: non voleva visitatori sul set e pretendeva dei paravento per non essere disturbata dalle maestranze. Iniziò anche a chiedere un salario più alto ad ogni nuovo film. Tutte le richieste venivano sempre accettate dai dirigenti della MGM tranne una: dovette infatti attendere quattro anni e interpretare ancora sette film muti prima di venire impiegata in un film sonoro.
I trionfi hollywoodiani (1930-1941)
La casa di produzione, consapevole del forte accento svedese dell'attrice, non voleva rischiare di perdere la star che garantiva i maggiori incassi: molti attori e attrici infatti avevano fallito il passaggio dal muto al sonoro. Alla fine, comunque, trovarono una storia adatta a lei, nella quale interpretava una ragazza di origini svedesi. In Anna Christie (1930), finalmente Greta Garbo 'parlò' per la prima volta in una pellicola. La sua prima battuta fu rivolta a un barman: "Gimme a whisky, ginger ale on the side, and don't be stingy, baby!", che tradotta in italiano è "Dammi un whisky, ginger ale a parte, e non essere tirchio, amico!". I rotocalchi dell'epoca non mancarono di salutare in maniera entusiastica l'avvenimento, titolando enfaticamente a caratteri cubitali: Garbo talks, ovvero "la Garbo parla". Tina Lattanzi, "voce" italiana della Garbo, ricorda come l'attrice svedese - vista dal leggio di doppiaggio al di qua dello schermo - emanasse un glamour inconfondibile ed emozionante, impreziosito da una recitazione quanto mai espressiva e "giocata" su minime sfumature.
Negli ambienti cinematografici sono molte, e non sempre confermate da dati di fatto, le leggende cresciute insieme e attorno alla figura di Greta Garbo; molto si è detto sulla sua presunta idiosincrasia a girare in presenza di persone non strettamente qualificate come 'addetti ai lavori', così come la stampa rosa d'ogni tempo ha accanitamente studiato al microscopio tendenze sessuali e rapporti interpersonali della signorina Greta Garbo, che per i fotoreporter era possibile immortalare solo di sfuggita mentre - avvolta in un cappotto lungo fino ai piedi, grossi occhiali da sole, il capo avvolto in un'ampia sciarpa - usciva di casa per recarsi a fare la spesa, o per fare solitarie passeggiate.
Molto chiacchierata a Hollywood fu la storia d'amore, o quanto meno di intensa amicizia, che la Garbo ebbe con l'attore americano John Gilbert, una delle più fulgide stelle del cinema muto. Sebbene sinceramente legata a lui, l'attrice non esitò a lasciarlo quando questi le chiese di sposarlo; indipendente ed autonoma, Greta Garbo non desiderava legarsi a nessuno, principio cui tenne fede per tutta la vita. D'altra parte, fin da quegli anni, emersero le prime testimonianze circa la bisessualità dell'attrice (vedi oltre). All'avvento del sonoro la carriera cinematografica di Gilbert era entrata in crisi poiché il suo timbro vocale non si rivelò adeguato alle pellicole parlate. Ma la Garbo non lo abbandonò: nel 1933 lo impose al regista Rouben Mamoulian per un ruolo di comprimario nel film La regina Cristina, che si rivelò un grande successo al botteghino.
Durante gli anni trenta l'attrice visse un'altra importante storia sentimentale con il direttore d'orchestra Leopold Stokowsky, coronata da una romantica fuga d'amore a Ravello, sulla costiera amalfitana, nel 1938.
Varie biografie confermano, invece, l'intensa relazione lesbica fra Garbo e Mercedes de Acosta, poetessa statunitense di origine spagnola, considerata una delle "pioniere" del lesbismo negli ambienti hollywoodiani. Riservata fino all'eccesso, la Garbo non perdonò mai alla de Acosta di aver diffuso alla stampa informazioni sulla loro storia sentimentale e, perciò, chiuse ogni rapporto con lei. In numerose lettere la poetessa implorò il suo perdono, ma l'attrice non cedette: la de Acosta morirà sola e povera nel 1968 a New York. Sarà questa una delle tante occasioni in cui l'artista svedese mostrerà di privilegiare il proprio riserbo e la propria indipendenza rispetto ad una relazione affettiva.
Sul grande schermo Greta Garbo è stata anche spia, regina del doppio gioco, assassina, aristocratica, moglie infedele, ammaliatrice e donna irresistibile, cortigiana e prostituta. Nel 1939, Ernst Lubitsch intravide le sue ulteriori potenzialità e ne fece la protagonista di un'esilarante commedia, Ninotchka, in cui la diva dimostrò insospettate doti di attrice brillante e dove, per la prima volta sullo schermo, la si vide ridere (il film venne infatti lanciato con lo slogan Garbo laughs, ovvero "la Garbo ride").
L'addio al cinema e il ritiro (1942-1990)
Dopo la delusione per l'inatteso e clamoroso insuccesso del film Non tradirmi con me (1941), a soli 36 anni la Garbo decise di ritirarsi definitivamente dalle scene e per il resto della sua esistenza sfuggì sempre la notorietà: le sue ultime interviste, fra le poche rilasciate, risalgono al 1928, alla scrittrice Rilla Page Palmborg, e al 1929, al cronista del New York Times Mordaunt Hall. Inizialmente decise di interrompere la carriera sino a che la Seconda guerra mondiale non fosse terminata, ma il ritiro fu poi definitivo. Numerosi furono i copioni che ricevette negli anni successivi, che ogni volta però puntualmente rifiutava, nonostante i produttori le offriessero inutilmente alti compensi affinché tornasse a recitare. Nel 1946 rifiutò in ruolo principale ne Il caso Paradine di Alfred Hitchcock, per la cui parte dunque fu scritturata Alida Valli, e nel 1947 disse di no alla parte sempre da protagonista in Mamma ti ricordo di George Stevens, ruolo che andò a Irene Dunne.Nel 1949, dopo aver scartato diverse attrici, alcuni produttori la contattarono per interpretare la malinconica ex diva del muto Norma Desmond in Viale del tramonto, ma l'attrice non prese neppure in considerazione la proposta e così la parte andò a Gloria Swanson. Nel 1950, anno in cui divenne cittadina statunitense, la Garbo fu nominata migliore attrice dei primi cinquant'anni del secolo dalla rivista Variety. Nel 1951 rifiutò di apparire in Quo vadis di Mervyn LeRoy, e il ruolo della protagonista Blanche DuBois in Un tram che si chiama Desiderio, la cui parte andò a Vivien Leigh. Nel 1952 accettò di apparire sempre come interprete principale nel thriller Mia cugina Rachele, per poi cambiare idea il giorno dopo, venendo così ingaggiata Olivia de Havilland. Nel 1954 le fu conferito un premio Oscar alla carriera; come migliore attrice era stata candidata quattro volte dall'Academy Award, senza mai vincerlo. Seguiranno altri rifiuti in film come Anastasia, Guai con gli angeli e Airport '75. Persino il celebre regista italiano Luchino Visconti nel 1960 le offrì invano una parte ne Il testamento di Orfeo.
Dal ritiro dalle scene fino alla morte, avvenuta al Medical Center di Manhattan nel giorno di Pasqua del 1990, l'attrice condusse appunto una vita assolutamente riservata, cercando il più possibile di evitare giornalisti e fotoreporter, restando affiancata solo dalla nipote e dai parenti. Riuscì a non rilasciare mai alcuna intervista, tranne all'inizio della sua carriera, ma non poté impedire di essere fotografata. Rarissime furono le occasioni in cui si fece fotografare consensualmente. I fotoreporter riuscirono comunque a scattarle di nascosto molte immagini che vennero poi pubblicate sui giornali. Greta Garbo stabilì la propria residenza a New York, in un lussuoso appartamento alle cui pareti erano appesi alcuni quadri di Renoir, uno fra i suoi pittori preferiti.
La Garbo appartiene tuttora al mito e all'immaginario collettivo, ben oltre quello star system dal quale aveva sempre preso le distanze. Federico Fellini, parlando di lei, la definì una fata severa: in cuor suo era, senza mezzi termini, la fondatrice d'un ordine religioso chiamato cinema.
Greta Garbo riposa nel cimitero di Skogskyrkogården, a Stoccolma.
Influenze culturali
Il brano Just Like Greta contenuto nell'album Magic Time di Van Morrison è ispirato a Greta Garbo.
Greta Garbo è menzionata nel brano My Name Is Jack contenuto nell'album Mannerisms di Manfred Mann e nella canzone Vacanze romane dei Matia Bazar.
Greta Garbo è menzionata come prima diva nel brano Vogue, il primo singolo estratto dall'album I'm Breathless, nonché pietra miliare della carriera della performer Madonna.
Immagini non autorizzate di Greta Garbo sono state utilizzate nel film pornografico Adam & Yves.
Viene citata nel brano Bette Davis Eyes.
Viene dichiaratamente citata (e omaggiata) nel film Cercando la Garbo (1984) di Sidney Lumet, in cui il suo personaggio fu interpretato da Betty Comden.
Viene citata nel film Nuovo Cinema Paradiso (1988) di Giuseppe Tornatore, dal personaggio del cineoperatore Alfredo (Philippe Noiret).
Senza citarne il cognome, Lisle von Rhuman, interpretata da Isabella Rossellini, nel film La morte ti fa bella (1992) lascia intendere che Greta Garbo sia tra i suoi clienti che hanno assunto un elisir di eterna giovinezza e che per questo abbia dovuto abbandonare le scene, benché ciò sia accaduto a soli 36 anni.
Viene citata nel libro A 007, dalla Russia con amore di Ian Fleming nel capitolo La magnifica esca, dove una funzionaria viene più volte paragonata a Greta Garbo per la sua bellezza.
Filmografia
Herr och fru Stockholm, regia di Ragnar Ring – cortometraggio (1920)
En lyckoriddare, regia di John W. Brunius (1921)
Konsum Stockholm Promo, regia di Ragnar Ring – cortometraggio (1921)
Luffar-Petter, regia di Erik A. Petscheler (1922)
Kärlekens ögon, regia di John W. Brunius (1923)
I cavalieri di Ekebù (Gösta Berlings saga), regia di Mauritz Stiller (1924)
La via senza gioia (Die freudlose Gasse), regia di Georg Wilhelm Pabst (1925)
Il torrente (Torrent), regia di Monta Bell (1926)
La tentatrice (The Temptress), regia di Fred Niblo (1926)
La carne e il diavolo (Flesh and the Devil), regia di Clarence Brown (1926)
Anna Karenina (Love), regia di Edmund Goulding (1927)
La donna divina (The Divine Woman), regia di Victor Sjöström (1928)
La donna misteriosa (The Mysterious Lady), regia di Fred Niblo (1928)
Il destino (A Woman of Affairs), regia di Clarence Brown (1928)
Orchidea selvaggia (Wild Orchids), di Sidney Franklin (1929)
Donna che ama (The Single Standard), regia di John S. Robertson (1929)
Il bacio (The Kiss), regia di Jacques Feyder (1929)
Anna Christie, regia di Clarence Brown (1930)
Romanzo (Romance), regia di Clarence Brown (1930)
Anna Christie, regia di Jacques Feyder (1931)
La modella (Inspiration), regia di Clarence Brown (1931)
Cortigiana (Susan Lenox (Her Fall and Rise)), regia di Robert Z. Leonard (1931)
Mata Hari, regia di George Fitzmaurice (1931)
Grand Hotel, regia di Edmund Goulding (1932)
Come tu mi vuoi (As You Desire Me), regia di George Fitzmaurice (1932)
La regina Cristina (Queen Christina), regia di Rouben Mamoulian (1933)
Il velo dipinto (The Painted Veil), regia di Richard Boleslawski (1934)
Anna Karenina, regia di Clarence Brown (1935)
Margherita Gauthier (Camille), regia di George Cukor (1936)
Maria Walewska (Conquest), regia di Clarence Brown (1937)
Ninotchka, regia di Ernst Lubitsch (1939)
Non tradirmi con me (Two-Faced Woman), regia di George Cukor (1941)
Riconoscimenti parziali
Premio Oscar
1930 – Candidatura alla miglior attrice per Anna Christie e Romanzo
1938 – Candidatura alla miglior attrice per Margherita Gauthier
1940 – Candidatura alla miglior attrice per Ninotchka
1955 – Oscar onorario per le sue indimenticabili interpretazioni sullo schermo
Faro Island Film Festival
1939 – Migliore attrice per Ninotchka
National Board of Review
1937 – Miglior recitazione per Margherita Gauthier
1939 – Miglior recitazione per Ninotchka
1941 – Miglior recitazione per Non tradirmi con me
Doppiatrici italiane
Rita Savagnone in Anna Christie, Cortigiana, Mata Hari, Come tu mi vuoi, Anna Karenina, Margherita Gauthier e Maria Walewska
Tina Lattanzi in Mata Hari, La regina Cristina, Il velo dipinto, Anna Karenina, Margherita Gauthier, Maria Walewska
Francesca Braggiotti in La modella, Cortigiana, Mata Hari, Grand Hotel, Come tu mi vuoi
Andreina Pagnani in Ninotchka, Non tradirmi con me
Anna Proclemer in Grand Hotel, Anna Karenina
Sonia Scotti in La regina Cristina
Angiola Baggi in Non tradirmi con me
Onorificenze
Note
Bibliografia
Michael Conway, Dion McGregor, Mark Ricci, The Films of Greta Garbo, The Citadel Press, Secaucus, New Jersey, 1968. ISBN 0-8065-0148-0
Giulio D'Ascenzo - Elisabetta Centore, Greta Garbo, un mito senza tempo, pag. 176, Teatroantico Edizioni, 2000
Italo Moscati, Greta Garbo. Diventare star per sempre, Edizioni Sabinae, 2010 - ISBN 978-88-96105-54-2
Voci correlate
Celebrità della Hollywood Walk of Fame
Divismo
Altri progetti
Collegamenti esterni
Greta Garbo in Paginerosa
Giovanbattista Brambilla, Divinamente stronza: Greta Garbo , "Pride", n. 76, ottobre 2005.
Giovanbattista Brambilla, Greta Garbo: mademoiselle Hamlet, "Babilonia", maggio 1990.
Rouben Mamoulian, Greta Garbo: "La Regina Cristina". |
2070 | https://it.wikipedia.org/wiki/Gnutella | Gnutella | Gnutella è un network e un protocollo di rete Peer to Peer dedicato alla condivisione di file aperta e che dà vita all'omonima rete.
L'approccio è di tipo Peer to Peer puro, ovvero quello in cui non esiste il ruolo di directory da parte dei server (presente invece in programmi quali Napster o eMule); ogni peer (o nodo equivalente) "conosce" alcuni vicini, facendo sì che le richieste vengano propagate all'interno della comunità sfruttando la relazione di vicinanza. Per ovviare al problema che le richieste continuino a girare in circolo, viene normalmente indicato il numero massimo di "salti" (hop), che una richiesta può fare sui peer contigui a partire dal nodo che l'ha generata prima di essere terminata.
Storia
Nonostante il nome contenga la parola GNU, essa non è parte del progetto GNU e per questo motivo la FSF, custode del progetto GNU, ha chiesto il cambiamento del nome.
La seconda parte del nome deriva da Nutella, nome di una crema gianduia prodotta dall'azienda dolciaria italiana Ferrero, presumibilmente molto apprezzata dagli sviluppatori di questa rete.
La prima implementazione del protocollo è stata il programma Gnutella scritto da Justin Frankel e Tom Pepper per la Nullsoft all'inizio del 2000. Il programma fu distribuito un giorno solo, il 14 marzo 2000 e fu scaricato da migliaia di persone, grazie all'annuncio apparso su Slashdot. Il codice sarebbe stato rilasciato in seguito probabilmente sotto licenza GNU GPL. Il giorno dopo AOL, che aveva da poco acquisito la Nullsoft, bloccò la distribuzione del programma per motivi legali e diffidò la Nullsoft dal continuarne lo sviluppo. Nonostante questo, la rete Gnutella sopravvisse sostenuta dalle migliaia di copie scaricate il primo giorno, che continuavano a distribuire il programma. In pochi giorni poi il protocollo fu reingegnerizzato e nacquero nuovi programmi liberi in grado di accedere a questa rete.
Descrizione
Gnutella è una rete completamente serverless, distribuita. I nodi sono trattati allo stesso modo, indipendentemente dalla banda e dal numero di file condivisi. Ogni nodo si occupa sia di fornire i file che di inviare e rispondere alle richieste di routing degli altri nodi, compito riservato ai server in una rete centralizzata. Ogni nodo, quindi, è sia un client sia un server: è definito a proposito servent.
Ciò consente una forte stabilità della rete, nella quale possono entrare e uscire continuamente nodi senza modificare le prestazioni.
Reti come Emule hanno invece dei server che contengono una tavola hash, ossia un elenco dei file e degli indirizzi IP dove sono scaricabili; in mancanza di questo diviene difficoltosa l'identificazione dei nodi di rete e particolarmente onerosa la fase di ricerca dei file. Gnutella invia messaggi a un elevato numero di nodi, a fronte di ogni ricerca effettuata, con un impegno di banda e di CPU nei vari nodi.
Il protocollo Gnutella attualmente implementato differenzia tra nodi "foglia" (leaf) e "ultranodi" (ultrapeer), al fine di concentrare la maggior parte del traffico di rete verso gli ultranodi, che dedicano alla rete maggiore capacità di banda e di calcolo, risparmiando traffico ai nodi foglia.
I protocolli di cui è composta sono pubblici ed aperti. La sua funzione principale è la ricerca di file all'interno dei nodi della rete stessa, e il successivo trasferimento degli stessi al richiedente.
Gnutella è un tipico esempio di overlay network.
Applicazioni
Esistono numerose applicazioni che si connettono a questa rete; le più popolari sono (in ordine alfabetico):
Aqualime
Acquisition (solo per macOS)
Bearshare
Cabos
Envy (eccellente multi-network, attivamente sviluppato)
Freewire
FrostWire (solo fino alla versione 4.x)
Furi
Gnucleus
gtk-gnutella (attivamente sviluppato)
LimeWire
MLDonkey
Morpheus
PeerProject (multi-network ,similare ad "Envy")
Phex
Qtella
QTraxMax
Shareaza (multi-network ,attivamente sviluppato)
Swapper
XoloX
Voci correlate
Gene Kan
Gnutella2
Collegamenti esterni
Glasnost test per il traffic shaping su Gnutella (Max Planck Institute)
Protocolli livello applicazione |
Subsets and Splits